L’ho
riletta, anche se ormai è un documento d’archivio poco noto.
Mi
ha colpito soprattutto la prima frase dell'introduzione (Avant-propos), al punto che ho scritto un lungo
articolo di commento che pubblicherò sulla rivista “Oblatio”.
Inizia
con un periodo ipotetico: “Se i sacerdoti…” e subito si apre una parentesi:
“Se i sacerdoti,
a cui il Signore ha dato
il desiderio
di riunirsi in comunità
- per lavorare in modo più
efficace alla salvezza delle anime
- e alla loro stessa santificazione…”.
C’è
un desiderio, messo dal Signore nei cuore dei primi Oblati;
è il
desiderio di vivere in comunità;
vogliono
vivere insieme perché hanno capito che la comunità
li
fa autentici missionari
e
autentici santi.
Si
può essere missionari in tanti modi, così come ci si può fare santi in tanti
modi. Gli Oblati sono missionari nella comunità e attraverso la comunità e si
fanno santi insieme.
Fin
qui tutte cose note.
La
sorpresa è stata quando, facendo visita alla comunità di Marino, ho dato uno
sguardo al registro delle ammissioni al noviziato.
C’è
la mia richiesta di essere ammesso al noviziato, datata 28 settembre 1969,
assieme a quella dei miei sei compagni.
L’ho riletta ed è stata davvero una
sorpresa: coincide con l’inizio della Regola di sant’Eugenio, un testo che
allora non conoscevamo, perché come ho detto è un pezzo da archivio.
Non
è come la formula dei noviziati precedenti, è una formula nuova.
Mi sono
ricordato che l’avevamo scritta insieme noi sette, perché volevamo che
esprimesse davvero quello che volevano.
Chi pensava che stavamo dicendo
quello che aveva detto tanti anni prima sant’Eugenio; si vede che avevamo proprio
la vocazione:
“Sentendo
in me la chiamata
A vivere,
in comunità,
la
scelta totale ed esclusiva di Dio,
e a
servire Cristo nei fratelli più poveri…”.
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