giovedì 30 novembre 2017

Novena dell'Immacolata / Madonna del sorriso



Non solo mosaici. All’entrata principale della casa abbiamo due vetrate disegnate e realizzate da p. Jan Tillemans, un Oblato olandese. Queste due vetrate furono come la prova generale per poi andare a Notre Dame de la Madeleine, in Canada, a realizzare le 350 vetrate del santuario.
Entrando a sinistra c’è la Madonna della deposizione, a destra la “Madonna del sorriso”, quella che, secondo la tradizione, avrebbe sorriso a sant’Eugenio il 15 agosto 1822.

Sant’Eugenio è ritratto da vescovo, anziano, prostrato ai piedi di Maria.
Due angeli, in alto, sostengono un carteggio con scritta una frase della Regola: “L’avranno sempre per madre”. Sono invece quattro che ne sorreggono un altro, in basso, con lo stemma e il motto della Congregazione: “Mi ha mandato ad annunciare il Vangelo ai poveri”.




«Non vi sembra un segno di predestinazione portare il nome di Oblati di Maria, cioè consacrati a Dio sotto la protezione di Maria, di cui la Congregazione porta il nome, come il nome di famiglia che ha in comune con la Santissima e Immacolata Madre di Dio?» (Sant’Eugenio)


mercoledì 29 novembre 2017

Novena dell'Immacolata / Regina Polaris


Sulle pareti degli archivi della casa generalizia sono affissi otto grandi mosaici che rappresentano Maria. Sono stati staccati dalle cappelle che, prima del Concilio, servivano per la celebrazione delle Messe individuali. Adesso costituiscono una splendida galleria d’arte.
Uno dei mosaici è dedicato alla “Regina Polaris”. È ispirato a un dipinto realizzato da p. Paul Schulte, un Oblato tedesco, missionario tra gli eschimesi. Il dipinto, a sua volta, era stato fatto partendo da una foto che ritraeva il padre mentre portava la comunione a una comunità indigena. Quando p. Paul Schulte, a causa della guerra, fu costretto agli arresti domiciliari negli Stati Uniti, portò con sé il quadro che lentamente diede vita al più grande santuario mariano degli Oblati, Nostra Signora delle nevi a Belleville, nell'Illinois.

Una delle costruzioni del Santuario di Belleville


Nella novena dell’Immacolata il mosaico ricorda la grande missione affidata agli Oblati, “insegnare chi è Cristo”, fino ai confine della terra.
«Nella Vergine, attenta ad accogliere Cristo per donarlo al mondo, di cui è la speranza – afferma la Regola –, gli Oblati riconoscono il modello della fede della Chiesa e della propria fede. Avranno Maria sempre per Madre. Vivranno le sofferenze e le gioie di missionari in grande intimità con lei, Madre di misericordia. Dovunque il loro ministero li porterà, cercheranno di promuovere una devozione autentica alla Vergine Immacolata, prefigurazione della vittoria finale di Dio su ogni male».


martedì 28 novembre 2017

Novena dell'Immacolata / Madre del Buon Consiglio


Alla porta d'ingresso, in Via Aurelia 290, c'è un mosaico raffigurante la Madonna del Buon Consiglio. La stessa immagine la ritroviamo all’interno della casa, proprio all’ingresso, e infine nella cappellina a sinistra della grande cappella, su quell'altare dei voti che gli Oblati si sono portati con sé da Aix-en-Provence e che segna gli inizi della loro storia.
È una riproduzione dell'immagine situata a Genazzano, vicino a Roma, nel famoso santuario a lei dedicato.
Fu Leone XIII, nel 1903, ad aggiungere alle litanie di Loreto l'invocazione "Madre del buon consiglio".

Con questo titolo Maria è stata scelta come patrona della nostra casa, ed è comprensibile, è la casa del Consiglio Generale, che ha proprio bisogno di essere ispirato nel prendere orientamenti e decisioni.
Maria può ripetere le parole della Sapienza: "A me appartiene il consiglio e la saggezza, la mia e la prudenza, la mia fortezza" (Proverbi 8, 14) e invita anche noi a fare tutto ciò che Gesù ci dice di fare (cfr Giovanni 2, 1-11).

In casa abbiamo una ventina di statue, quadri, mosaici, vetri istoriati riproducenti la Madre di Dio; ogni giorno ci ricordano che siamo Oblati “di Maria Immacolata”.
In questa novena dell’Immacolata andrò a incontrarla in almeno alcuni dei luoghi di casa dove è stata collocata.


lunedì 27 novembre 2017

Perché apa Pafnunzio non si era sposato

  
Aveva letto la risposta di Gesù ai Sadducei. Gli avevano posto una delle solite domante a tranello, un po’ volgare per la verità: chi dei sette mariti avuto in questa vita l’avrebbe avuta per sé nell’altra vita. In questa vita, aveva risposto Gesù, ci si sposa, nell’altra no. Le parole di Gesù erano stato molto più belle, parlavano soprattutto del Dio della vita, ma era questa la sostanza e aveva suscitato in apa Pafnunzio un’altra domanda: “Perché io, in questa vita, non mi sono sposato?”.
Prese il papiro che gli aveva rilargato uno dei carovanieri, lo piegò in due parti e su un lato scrisse: “Perché in questa vita ci si sposa”, sul lato a fianco: “Perché nell’altra vita non ci si sposa”.
Un’antica raccolta di Detti dei padri del deserto riporta questo raro scritto di apa Pafnunzio. Il testo è incompleto, forse per il deterioramento del papiro, ed è giunto mutilo all’estensore della raccolta. Rimangono soltanto queste poche righe:

In questa vita ci si sposa per vincere la solitudine, già provata dal primo uomo, del quale Dio ebbe compassione: “Non è bene che l’uomo sia solo”. Essere soli è di una tristezza infinita.
Nell’altra vita non ci si sposa perché Gesù ha promesso di essere con noi. L’ha promesso al primo che ha messo piede nell’altra vita, il ladrone che gli era stato crocifisso accanto: “Sarai come me, in paradiso”. Lassù saremo sempre con lui, e con lui avremo la compagnia degli angeli e dei santi. Non saremo mai soli.

In questa vita ci si sposa per vivere l’intimità tra due persone che si amano. Intimità d’affetti e intimità fisica, mutua profonda conoscenza che dilata la persona oltre sé, avvolge e si sente avvolgere.
Nell’altra vita non ci si sposa perché vedremo Dio così come egli è, lo possederemo e ne saremo posseduti, fino ad essere con lui una cosa sola, come lo sono il Padre e il Figlio nell’unità dello Spirito Santo: “Dolcezza senza fine alla tua destra”, intimità perfetta e ineffabile.

In questa vita ci si sposa per condividere il cammino della vita. Comunanza di ideali, sostegno vicendevole nelle fatiche e nelle cadute, incoraggiamento reciproco nel perseguire le più ardue mete, spartendo le piccole gioie d’ogni giorno.
Nell’altra vita non ci si sposa perché saremo seduti a tavola, al banchetto di nozze, già preparato per noi e Gesù ci servirà e non mancheremo di niente. Il cammino di cielo in cielo, alla scoperta di sempre nuove realtà – perché Dio è infinito –, sarà un viaggio di nozze e saremo accompagnati dallo Sposo.

In questa vita ci si sposa per dare continuità alla vita, generando nuove vite. L’uomo e la donna hanno bisogno di rimane, oltre la loro breve esistenza.
Nell’altra vita non ci si sposa perché avremo la pienezza della vita, radicati nella fonte della vita, e non si muore mai.

Si interrompe qui la trascrizione del papiro di apa Pafnunzio. Poche righe, sufficienti a spiegare la sua alta stima per il matrimonio, profezia della vita del cielo, e il perché del suo celibato.


domenica 26 novembre 2017

Scorticati come Marsia


Roma è sempre generosa nella sua proposta culturale e i romani rispondono con altrettanta generosità. Ieri seri, con il solito biglietto a 1 euro, si sono aperti i Musei capitolini a musica e incontro con gli scrittori.
Nell’esedra di Marco Aurelia ho seguito lo splendido concerto della Sweetwater Jazz Band, e nella sala della Pinacoteca l’incontro con Edoardo Albinati, premio Strega 2016, che ha commentato la statua di Marsia.
Nonostante la lunghezza della conferenza di Edoardo Albinati (è abituato alla lunghezza, vedi le 1294 pagine dell’ultimo romanzo) il pubblico numeroso è rimasto incollato alle sedie e in piedi, tanto ero intenso erudito e avvincente il suo discorrere.

Nel suo ripercorrere l’iter letterario e artistico del mito di Mursia che sfida Apollo nel suo campo musicale, perdendo e conseguentemente essere scorticato vivo, Albinati non poteva non fare riferimento all’inizio del Paradiso di Dante, dove il poeta chiede al dio delle arti l’ispirazione per la terza Cantica:
Entra nel petto mio, e spira tue
sì come quando Marsïa traesti
de la vagina de le membra sue.
Mi pare che qui Dante chieda semplicemente al dio di entrare in lui con quella forza lirica che mostrò nella competizione con Marsia, quando lo tirò fuori dall’involucro della sua stessa pelle.
Diversa l’interpretazione di Albinati: Dante chiederebbe dal dio di fare a lui quello che fece a Marsia, di scorzarlo dell’umano per poter essere liberato da se stesso ed avere così accesso al paradiso.
Un’interpretazione forzata, eppure suggestiva.

Al di là di quanto Dante intendesse con queste parole, è proprio vero che il passaggio dal mondo dell’inferno e del purgatorio a quello del paradiso richiede una completa metamorfosi, occorre cambiare “pelle”.
Sono poi stato a vedere la statua di Marsia, nello stesso museo. Di una potente drammaticità. Sembra un Crocifisso. E l’accostamento tra Marsia scorticato e Cristo in croce non è troppo azzardato.
Ovidio colloca il mito nelle sue Metamorfosi e fa gridare a Marsia: “Perché mi sfili dalla mia persona?”. Dalle sue lacrime e da quelle di tutto il creato attorno si operò la metamorfosi e sgorgò il fiume che porta lo stesso nome: Marsia.
Anche nel Crocifisso si opera una metamorfosi, che lo porta ad essere il Signore della gloria.
È un passaggio obbligato?
Essere tratti fuori, “sfilati”, “scorticati”, per accedere al paradiso, al proprio vero essere.


sabato 25 novembre 2017

L’identità nascosta


E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 31-46).

Gesù è re, ma quanto originale la sua regalità. È originale perché non aspetta attenzione e onore verso la sua persona, ma verso i suoi sudditi. È originale perché si fa loro fratello, vicino, prendendo su di sé i loro interessi, le preoccupazioni, i disagi, le povertà, fino a identificarsi con loro. Vale anche per lui la profezia di sua madre: Dio “ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili”. Di sua volontà è sceso dal trono, senza che alcuno lo rovesciasse, si è messo dalla parte degli umili e li ha innalzati fino a farli diventare re.
Il vangelo di oggi rivela che in ogni persona che incontro c’è un’identità nascosta, una regalità segreta: Cristo, re dell’universo, che si è immedesimato con lei. Se ha una predilezione è per i piccoli, i poveri, gli infelici, gli scartati dalla società, quelli che umanamente contano di meno o non contano per niente. Con loro e per loro anch’egli si è fatto piccolo, povero ed è stato scartato, deriso, emarginato, torturato in maniera disumana, ucciso.
  

Tutti sappiamo che, alla fine, dovremo comparire davanti a lui. Come i cercatori di Dio d’ogni tempo, d’ogni luogo, d’ogni religione, anche noi bramiamo vedere il suo volto: “Il tuo volto, Signore, io cerco”. Come apparirà, come si mostrerà, come sarà quell’incontro tanto atteso, al cui pensiero si alternano gioia e timore? Quale sorpresa, quale meraviglia scoprire che il suo volto avrà il volto delle tante persone incontrate in vita!
Il criterio di giudizio è presto stabilito. Vedremo quanti ci sono passati accanto e si svelerà il segreto: era il Signore! Il criterio di salvezza non sarà: ti ho pregato, ti ho amato… Non sarà bastato aver detto “Signore, Signore…”. Occorrerà aver ascoltato, accolto, amato, servito lui là dove egli era veramente: nei nostri fratelli e sorelle. Lui eri loro e loro erano lui.
E se una predilezione dovremmo avere è quella che egli ha avuto! “I poveri sono i tuoi padroni – scriveva uno che conosceva bene questa pagina di vangelo e che vi ha aderito con tutta l’anima, Vincenzo de Paolo –, padroni terribilmente suscettibili ed esigenti: te ne accorgerai. Più essi saranno brutti, sporchi, più saranno ingiusti e volgari, più tu dovrai amarli”.
In quell’ora della verità, verrà in luce non soltanto la vera identità degli altri, ma anche la mia: amo, quindi sono; non amo, quindi non sono. Il giudizio è già espresso. Se ho amato sarò per sempre, se non ho amato non sarò più, perché mai sono stato, condannato a un’esistenza in negativo. “Alla fine della vita saremo giudicati sull’amore”.
Perché ci ama per primo e ci vuole salvi, Gesù ha già anticipato la domanda dell’esame finale. Sarei insensato se non mi allenassi a rispondere bene. Ora so dove egli è, so qual è il suo volto.
  
Il tuo volto, Signore, io cerco,
mostrami il tuo volto,
che lo riconosca
sul volto dei fratelli,
soprattutto in quelli in cui è più difficile
scoprirlo, perché sfigurato.
Se ti sei fatto me,
come ti sei fatto loro,
insegnami ad amarti in loro,
con il tuo stesso amore,
ed a servirti in loro
senza risparmio,
per amarti con i fatti
e nella verità.
Dona anche a me, come a loro,
la tua benedizione
e così ricevere, in dono da te,
il regno del Padre tuo.


venerdì 24 novembre 2017

Quella spaccatura che fa passare la luce



“There is a crack, a crack in everything… that’s how the light gets in”
Un amico mi ha mandato la canzone “Forget your perfect offering” di Leonard Cohen.
Mi ha così indicato il suo messaggio: “In tutto c’è una spaccatura” (e il video mostra un disco, lasciando intuire che c’è un graffio che l’ha rovinato), eppure “proprio attraverso questa spaccatura passa la luce”.



La canzone mi giunge proprio mentre sto preparando un momento di preghiera con i nuovi provinciale oblati di tutto il mondo che stanno facendo un momento di formazione a casa nostra. 

Ho così disegnato il cuore di sant’Eugenio, integro come Dio l’ha creato, spezzato dalle situazioni familiari, dai propri fallimenti e da quelli di chi gli era attorno, e rimesso insieme dalla misericordia di Dio, con delle linee di sutura che, nella mia intenzione, sarebbero d’oro: la luce che passa proprio attraverso le proprie miserie.

giovedì 23 novembre 2017

Bellezza nascosta / 2


Non c’è solo la bellezza della natura – il lago di Vico – e dell’arte – San Martino al Cimino. C’è anche la bellezza umana.
Anna Maria era bella, anche se gli ultimi anni di malattia l’avevano segnata.
Una donna bella e amante del bello, fine, attenta alle persone, gentile, signorile. Bastava vedere con che gusto teneva la casa.
Era amabile e amorevole, con un affetto particolare per la grande famiglia oblata e le sue missioni. Leggeva con piacere i miei articoli dal mondo.
Se n’è andata silenziosa, sola sola, la mattina presto, nell’ospedale dove era ricoverata da due mesi e mezzo.
Un paio di mesi fa ho avuto la gioia di darle l’unzione degli infermi, con le tre figlie accanto: con i grembiuli azzurrini antisettici, le cuffie bianche in testa, i guanti di lattice alle mani, sembravano degli angioletti indaffarati attorno a una santa.
Ieri il funerale con tutta la nostra grande famiglia missionaria: la stessa aria di lievità, di gioia, quasi un assaggio di paradiso.


mercoledì 22 novembre 2017

Bellezza nascosta


La domenica pomeriggio mi ha regalato una bellezza nascosta, che mi si è parata davanti all’improvviso: San Martino al Cimino, uno dei tanti tesori d’Italia.
Vi sono capitato per caso, girovagando attorno al lago di Vico.
Mai avrei immaginato un simile borgo in mezzo ai boschi dei monti Cimini. Un borgo? Papa Innocenzo X nel 1653 disse: “Non oppidum sed urbem, non urbem sed orbem”. Disegnato dal Borromini in forma ellittica il paese – la città, un mondo intero! – raccoglie nel suo seno l’abbazia cistercense e il palazzo della principessa Olimpia Pamphilj.
Pari alla bellezza di questi capolavori, l’amore dei volontari che fanno da guida.


Quante cose belle sapevano fare i nostri antichi, e quanta cura nel valorizzarle anche oggi, seppure rimangano d’una bellezza nascosta e quasi ignorata.
In una società sempre più volgare, arrabbiata e irosa fa bene immergersi in questa pace e lasciarci avvolgere da un’armonia che rispecchia almeno uno sprazzo di quella del Cielo.


martedì 21 novembre 2017

Le COMI 16 anni dopo...


21 novembre 2001
16 anni fa l’approvazione pontificia dell’Istituto secolare delle COMI.
Anche quest’anno l’abbiamo ricordato con un semplice momento di famiglia.
Una famiglia di missionarie.
Come annunciare il Vangelo di Gesù?

Maria rimane il modello supremo. Dopo l’evento straordinario dell’annuncio da parte dell’angelo, sarebbe stato più che naturale per lei fermarsi in raccolta contemplazione. Invece si alza e parte “in fretta” per andare incontro alla parente Elisabetta. Non è, per riprendere le parole del Papa, l’icona della Chiesa “in uscita”? Dimentica di sé mette da parte l’indicibile evento di cui è protagonista, per entrare nell’evento dell’altro.
Va da Elisabetta non per proclamare, ma per farsi prossima, per visitarla, per rendersi conto di cosa aveva bisogno, «desiderosa – come nota sant’Ambrogio – di compiere devotamente un servizio, con lo slancio che le veniva dall’intima gioia» (Commento al Vangelo di san Luca, 2, 19). Appena arrivata, per prima cosa la “saluta”, si interessa di lei, attuando quanto Dio ha appena compiuto con lei: il Verbo aveva lasciato i Cieli e le si è fatto vicino, condividendone la carne e il sangue. È quel “farsi uno” di cui parla l’apostolo Paolo narrando la propria esperienza: «Mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero… Mi sono fatto debole con i deboli…; mi sono fatto tutto a tutti…» (1 Cor 9, 19-22).
La sua presenza attenta e amorosa, diventa via per l’annuncio: venuta per servire giunge a poter parlare: «Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente…» (Lc 1, 46-49). Un annuncio esplicito, ma fatto come dono, non come imposizione, come condivisione della propria esperienza.
Maria poteva agire così perché aveva in sé Gesù, e la sua visita coincideva col portare Gesù.

Non è anche per noi questa la via della missione? Farsi prossimi, penetrare nelle situazioni, diventare amici, condividere gioie e preoccupazioni, consapevoli che la nostra vicinanza è quella di Gesù vivente in noi e nella nostra comunità. E quando è possibile, e come possibile, parlare, sempre e solo come dono, come condivisione. Non è questa la secolarità?
A volte forse non si potrà parlare, non sarà opportuno. Maria è maestra anche in questo. Ai pastori e ai Magi mostrò Gesù, ma questa volta fu un annuncio silenzioso, senza pronunciare una parola. Ma c’è parola più eloquente, annuncio più esplicito di quello che fa vedere il Verbo, la Parola?
Come Maria, sempre si può dire Gesù con la vita, dare Gesù con la discrezione e la forza dell’amore.


lunedì 20 novembre 2017

Enzo Teodori: sentirsi Famiglia oblata


Sono stato a Cassino per il funerale di Enzo Teodori, 53 anni, uno dei nostri amici più vicini, membro del laicato oblato. Sposato con Anna Rita, lascia due ragazzi, Alessandro e Francesca, di 19 e 15 anni. Siamo stati insieme quando ero superiore dello scolasticato a Vermicino. Ha dedicato alcuni anni di volontariato in Africa.
Ha raccontato in video la sua commovente esperienza:
http://www.diocesisora.it/pdigitale/chi-amati-a-rispondere-enzo-teodori/

La mia vita comincia a 18 anni, quando scopro la realtà di Dio Amore. È stata una scoperta così forte e sforante che ho deciso di riorientare tutte le mie scelte, disponibile a tutto quanto avrebbe voluto da me.
Dopo lungo discernimento, quando o capito che avrei dovuto sposarmi, dopo appena due settimane ho incontrarlo Annarita. Ci siamo sposati con la consapevolezza che anche il matrimonio è una vocazione, un modo speciale di vivere il rapporto speciale con Gesù. In questi 18 anni ho sperimentato che la radice del rapporto con mia moglie e i miei figli c’è un rapporto personale con Gesù che si alimenta con la parola, la preghiera, la carità reciproca, i sacramenti.
Un’esperienza molto particolare mi è capitata proprio l’anno scorso quando ha appreso di avere un cancro ad uno stadio piuttosto avanzato.
Il primo sentimento, nell’apprendere questa notizia, è stata di angoscia soprattutto per il rischio di lasciare mia moglie, i miei figli, senza un marito, senza un papà. Mi sono subito immerso in una preghiera essenziale, semplice, fondata sulla richiesta di aiuto e di affidamento e ho avuto come modello la preghiera di Gesù nell’orto del Getsemani. È nata in me grazie a questa preghiera una pace e una serenità che mi ha permesso di affrontare con fiducia le cure e la lunga convalescenza. Fortunatamente adesso tutto si è risolto.
Posso dire che l’aver vissuto, grazie alla preghiera, questa malattia con pace e serenità mi ha permesso di infondere questi sentimenti anche alle persone più care che mi erano vicino. Quindi è stata anche una esperienza missionaria. Il mio rapporto con Dio ha avuto un forte salto di qualità. Posso dire che la mentalità nuova, la conversione in fondo sono un processo di semplificazione la cui meta è di tornare come i bambini che hanno un atteggiamento di fiducia verso il loro Padre celeste. E posso dire che anche la malattia è una strada privilegiato per chi si sente chiamato a scoprire l’amore di Dio.

Ho appena pubblicato sull’ultimo numero della rivista "Oblatio" un suo articolo sulla sua esperienza come laico oblato. Non ho fatto in tempo a farglielo arrivare… Ne riporto una breve parte. Dopo aver parlato della sua vocazione battesimale, laicale e matrimoniale, narra della vocazione di Oblato di Maria Immacolata:

La mia terza specificazione della vocazione universale è la vocazione di Oblato di Maria Immacolata.
Cosa aggiunge il carisma di Sant’Eugenio de Mazenod alla mia vocazione universale, laicale e matrimoniale? La figliolanza e la fratellanza mi conducono alla “carità, carità, carità e allo zelo per le anime”. Il battesimo comporta un’intima unione con il Salvatore Crocifisso. Questa unione mi porta ad annunciare la buona notizia ai più abbandonati, ai fratelli più svantaggiati. Il battesimo mi rende membro della comunità sacramentale. Come cristiano ho Maria come modello. La vocazione laicale mi rende partecipe attivo della comunità civile. La vocazione matrimoniale mi conduce ad edificare la famiglia, la comunità di Dio più intima.
Cosa aggiunge, dunque, il carisma oblato? (…) La novità della vocazione carismatica, in generale, è “il mettersi insieme” per esaltare uno degli elementi costitutivi della vocazione universale. I contemplativi si mettono insieme per esaltare la preghiera, gli istituti missionari per divulgare la buona notizia, ecc. Sant’Eugenio asseconda la spinta interiore, la chiamata, a cercare dei compagni. Lo stare insieme genera una storia. La storia delle aggregazioni ecclesiali non è il semplice succedersi di avvenimenti. È la narrazione della cooperazione di uomini e donne con lo Spirito Santo. (…)
Ogni famiglia ha la stessa vocazione, ma ogni famiglia è diversa dalla altre, perché i genitori sono diversi. La storia della Famiglia Oblata ha i suoi elementi costitutivi comuni ad altre famiglie missionarie, (l’evangelizzazione, l’opzione per i più abbandonati, la fedeltà alla Chiesa, lo spirito di famiglia, la radice nel Crocifisso, Maria come modello), ma allo stesso tempo è unica nel panorama della Chiesa, perché unici sono i suoi appartenenti. Unici sono Eugenio, Tempier, Jetté, Zago, Lougen, i martiri del Laos e i martiri spagnoli, e uniche le loro storie di cooperazione con lo Spirito Santo e unica la storia oblata nella Chiesa.


Vale la pena di sottolineare che una storia carismatica dipende dall’interconnessione tra personalità degli attori, vocazioni e azione dello Spirito Santo. (…) La storia demazenodiana è collettiva, dal momento che sant’Eugenio ha dato vita ad una fondazione. Cosa avevano in comune il passionale Eugenio e il misurato Tempier? Cosa hanno oggi in comune l’Oblato congolese e l’Oblato olandese? E l’Oblato religioso e l’Oblato laico? Allora, come oggi, hanno in comune la storia comune di cooperazione con lo Spirito Santo per l’evangelizzazione dei più abbandonati, dei poveri dai molteplici volti. Il mettersi insieme, in risposta ad una chiamata dello Spirito, di uomini e donne, religiosi e laici, europei e africani, ricchi e poveri, passionali e flemmatici, genera una storia unica. Alle volte si parla di stile di vita da Oblati. (…)

Il mio senso di appartenenza, il sentire la Famiglia Oblata “mia”, non cambia nel constatare che gli elementi costitutivi del carisma appartengono anche ad altre famiglie missionarie come, ad esempio, i Redentoristi. La famiglia “Teodori” è la mia famiglia perché ci sono io, mia moglie Anna Rita, i miei figli, Alessandro e Francesca. Ci riconosciamo dalle altre famiglie per le nostre persone e per la storia che abbiamo vissuto e viviamo insieme. A me non cambia nulla sapere che il mio vicino ha una moglie e due figli come me e che la sua famiglia si basa sugli stessi elementi della mia.
Cosa apporta concretamente, dunque, il carisma? Occorre guardare alle concrete relazioni tra le sue varie componenti. (…)

Io sono felice e grato di appartenere alla famiglia demazenodiana e di far parte della sua storia unicaIl bicentenario è stata una grande occasione per rivedere l’album di famiglia. I primi passi di Eugenio sacerdote, la prima comunità, la prima regola, le prime missioni, l’apertura delle missioni ad gentes, e poi lo sviluppo della Congregazione, l’allargarsi della Famiglia ai laici, la fondazione di diversi istituti, tutto ciò è un ritrovare le radici della propria storia. È rivedere, riscoprire e rinnovare il nostro essere figli e fratelli da “Oblati demazenodiani”, da Oblati di Maria Immacolata.


domenica 19 novembre 2017

Iniziano gli incontri di Trinità dei Monti



Una quarantina di membri dei più diversi gruppi: membri delle comunità di vita consacrata, Movimenti ecclesiali, Nuove comunità, laici legati alle Famiglie carismatiche, si sono incontrati a Trinità dei Monti, sopra piazza di Spagna, per l’intero sabato pomeriggio. L’obiettivo? una reciproca conoscenza, crescere nella fraternità e comunione, in modo che la loro nostra presenza nella città di Roma sia sempre più una ricchezza per la Chiesa locale.


È il primo di quatto incontri programmati durante l’anno.
La linea di riflessione ruota attorno a Maria.

Ci accoglie la comunità dell’Emmauele alla quale, da un anno, è affidata la custodia e la cura del grande complesso architettonico, comprendente chiesa e convento, così come l’antica scuola.


sabato 18 novembre 2017

Il rischio e la fiducia


«Un uomo, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì…» (Mt 25,14-30)

Quanta fiducia nei nostri confronti! Al punto da consegnare i suoi beni nelle nostre mani. Gesù sale al cielo e lascia a noi il compimento della sua missione. Si arrischia, pur conoscendo la nostra piccolezza, le infedeltà, i tradimenti.
Tutto in noi è opera sua. Eppure non siamo oggetti inerti del suo amore. Ci vuole soggetti attivi, corresponsabili nel suo disegno di amore.
Senza di lui non possiamo fare nulla, ma anche lui senza di noi non può fare nulla!
Ha un tale rispetto di noi che ci ha resi liberi, così da poter accogliere il suo dono e rispondere al suo amore con un’adesione convinta ed operosa.

Gesù si è tutto donato rivolgendoci la sua parola, depositandola in noi come un seme. Ora attende che esso cresca, diventi albero, porti frutto e che a nostra volta seminiamo in altri il suo vangelo.
Gesù si è tutto donato nel pane e nel vino, suo corpo e sangue, e vuole che il dono si perpetui: “Fate questo in memoria di me”. Ora attende che chi mangia di lui viva di lui e viva per lui.
Ci ha donato il comandamento nuovo dell’amore reciproco. Ora attende che ci amiamo tra di noi fino a fare della terra un cielo.

Ha rischiato, eccome, mettendo nelle nostre mani la sua stessa vita. Ora chiede a noi di rischiare mettendo a frutto i talenti che ci ha donato.
Perché tenere nascosti sotto terra i suoi doni invece di investirli e di farli fruttare?
A volte, davanti a quanto ci è chiesto, ci sentiamo troppo piccoli, inadeguati, incapaci di rispondere. Non crediamo che il dono ricevuto ha in sé la vita, la capacità di germogliare e di portare frutto, attivando in noi risorse nascoste.
Non ci fidiamo di Dio, forse perché ci si para davanti l’immagine di un Dio duro ed esigente. Riteniamo allora, come il servo pigro e infedele, che la cosa migliore sia rimanere ligi al proprio dovere, facendo il minimo indispensabile, senza prendere nessuna iniziativa rischiosa, per paura di sbagliare, di essere giudicati. Rimanere senza far nulla per paura di sbagliare è uno sbaglio ancora più grande.
Il rischio che Dio mi chiede è proporzionato alla fiducia che egli mi dà.

Grazie per i doni che poni nelle nostre mani.
Grazie per esserti donato,
per averci chiamato a collaborare con te,
per la fiducia che in noi riponi.
Aiutaci a rispondere con generosità
a tanto amore
rendendoci operosi e vigilanti,
creativi e pieni di fantasia,
intraprendenti e audaci
perché cresca in noi la tua vita
e si diffonda il tuo Regno.


venerdì 17 novembre 2017

Le Famiglie carismatiche nella galassia ecclesiale


Uno dei partecipanti mi ha mandato
questa foto scrivendo:
The Holy Spirit is Big !!!
Ad ottobre, parlando ai Fatebenefratelli sul rapporto tra le diversi componenti delle Famiglie carismatiche avevo parlato di una rivoluzione: dal sistema tolemaico a quello avevo copernicano: http://fabiociardi.blogspot.it/2017/10/famiglia-carismatica-una-rivoluzione.html
Oggi, parlando dello stesso tema all’Associazione Membro Curie Generalizie (continuerò anche domani), ho proseguito nella metafora cosmica:

Il sole non è fisso, ma a sua volta in movimento, parte di una rotazione ben più vasta che è quella galattica. Ci sembra così grande il nostro sole eppure è un puntino nell’immensa Via Lattea.
Così è di ogni Famiglia carismatica, non ha senso se non immersa nella galassia ecclesiale, nella grande comunione tra carismi e vocazioni, dove tutti ruotiamo attorno al grande disegno divino della costruzione del regno di Dio.
Non viviamo per noi stessi, non possiamo ripiegarci su noi stessi, stare lì a guardarci, altrimenti diverremmo una setta, e vagheremmo nello spazio come una meteora. Viviamo per la Chiesa, per l’umanità, per la fratellanza universale, per l’unità chiesta da Gesù al Padre. Solo così ha senso la Famiglia carismatica, solo dimenticandosi per vivere "fuori di sé", essa è realmente se stessa.

Un certo Bergoglio, allora vescovo ausiliare ai Buenos Aires, al Sinodo dei vescovi del 1994 avvertì: «ci si preoccupa eccessivamente del proprio carisma prescindendo dal suo reale inserimento nel santo popolo di Dio, confrontandosi con le necessità concrete della storia... e anziché essere “un dono dello Spirito alla Chiesa”, la vita religiosa, così configurata, finisce per essere un pezzo da museo o un “possedimento” chiuso in se stesso e non messo al servizio della Chiesa».
Da qui l’appello rivolto ai consacrati nell’enciclica Evangelii gaudium, ad «integrarsi armonicamente nella vita del Popolo santo di Dio per il bene di tutti» (n. 130).


giovedì 16 novembre 2017

Frugiate e castagnaccio


Se fossi la Raggi emetterei un’ordinanza che mette al bando le caldarroste durante l’estate. Non è possibile, d’agosto, aggirarsi attorno a piazza di Spagna e sentire l’odore delle frugiate (questo il vero nome delle caldarroste). Le apposite bancarelle disposte qua e là all’angolo della strada sono un autentico attentato all’alternarsi delle stagioni, un terribile effetto di una male intesa globalizzazione. (Tra l’altro, dove diavolo trovano i marroni d’estate?)
Le frugiate si mangiano d’autunno e d’inverno, come Dio comanda. (Le ho mangiate all’inizio di questo novembre a san Pietro Avellana, al tempo giusto, nel luogo giusto).
Il problema è piuttosto il castagnaccio, quello a Roma non si trova neppure al momento adatto. E come si fa ad affrontare un inverno senza il castagnaccio?
Per fortuna c’è Alessandra che conosce tutti i nascondigli della città. Ed ecco che mi sono visto arrivare un involtino e anche quest’anno ho avuto l’assaggio giusto. Anche per gli innocenti peccatucci di gola ci vogliono le amicizie giuste…


mercoledì 15 novembre 2017

Padre Liuzzo "servo di Dio"


Alla chiesa di san Nicola ai Prefetti ieri, 14 novembre, abbiamo celebrato l’anniversario della partenza per il cielo di padre Gaetano Liuzzo.
Il Vangelo del giorno, del “servo inutile” sembrava scelto su misura per lui che non ha risparmiato la sua vita, logorandola completamente e lentamente, convinto che il servizio non è un potere ma un allenamento a vivere la croce della fatica, della solitudine, dell’incomprensione, del peso dei fratelli e sorelle con le loro debolezze come con le loro esigenze. Era convinto che è indispensabile essere e restare piccoli per servire realmente, e soprattutto per non “spadroneggiare” su nessuna delle persone affidate…
Nessuna rivendicazione, desiderio di ricompensa, né pretese o attese di trattamenti speciali.
Enrica Di Cianno, che gli è stata vicina per tanti anni, ricorda che ripeteva molto spesso: “Servi inutili siamo e restiamo”.
Quando c’era qualcosa che gli bruciava dentro, come un fallimento visibile solo ai suoi occhi o una troppo amara delusione, dal suo soliloquio con Dio si lasciava sfuggire un bisbiglio appena percettibile: «Oh!... Boh boh boh!... Servi inutili siamo!».
Ma, in Dio, l’apparente inutilità del servo trova il suo posto alla mensa della beatitudine eterna: “Vieni servo buono e fedele, ricevi…”.

Aveva come modello Gesù che “spogliò se stesso assumendola condizione di servo” (Fil 2,6-8). Nella Circolare 50 invitava i membri dell’Istituto che aveva fondato, le COMI, a fare altrettanto, «mettendoti volentieri all’ultimo posto, tacendo sulle tue buone qualità vere o presunte, compiendo volentieri i servizi più modesti (lavare, rassettare…), anzi preferendoli come un bel privilegio.
Quando ti si affidano questi servizi poco graditi alla natura, sappi accoglierli con gioia e mostrartene lieta. Il grande motivo teologico di tale gioia è che così facendo realizzi concretamente quanto ti dirà il Signore alla resa dei conti: “tutto quello che hai fatto ad uno dei miei fratelli più piccoli lo hai fatto a Me” (Mt 25,40): è per Lui e per suo amore che hai lavato, adornato la casa, come una piccola servetta».

Ed aveva davanti il modello di Maria, come scrive il 25 marzo 1960: «Care figliole, la festa odierna ha certamente richiamato al pensiero di tutte voi il motto della Madre Celeste che avete ricevuto come divisa: “Ecce Ancilla Domini”, ecco l'ancella del Signore. Ancella nel senso latino non è la domestica o la cameriera o la serva ma la schiava; e nel senso cristiano è la schiava d'amore, la fedelissima figlia. Riassaporate intentamente, alla luce di Maria, questa splendida divisa intesa come ideale o programma di vita…».

La conclusione di Enrica:
«Il Padre durante la sua vita sulla terra è stato innanzitutto e soprattutto un “servo di Dio” inopinabilmente; ed è stato anche un autentico servo per la Congregazione OMI, per la Chiesa missionaria, per le sue figlie-Comi. 
Ci sarebbe forse qualcosa di male, se, facendo anche tutta la nostra parte, il Signore volendolo, venisse un giorno dichiarato dalla Chiesa “Servo di Dio”?».

martedì 14 novembre 2017

Quei foglietti modesti densi di verità


























«Ogni giorno con Chiara Lubich. “Parole di Vita” quei foglietti modesti densi di verità”», così Fabrizio Cavallina ha intitolato il suo articolo sul quotidiano di informazione “Faro di Roma”. Nel suo pezzo leggiamo, tra l’altro:

«Chiara Lubich amava commentare il Vangelo su foglietti modesti, scritti con un linguaggio alla portata di tutti. “Parole di Vita”, così è stato chiamato il genere letterario da lei stessa inventato attraverso questi pezzetti di carta. Più che una semplice interpretazione dei Testi Sacri, gli scritti lasciati dalla Fondatrice del Movimento dei Focolari sono uno sprazzo di luce, un impulso a mettere in pratica e vivere la Parola di Dio. “Il fuoco di una lente che concentra su di sé i raggi del Vangelo”, così amava definirsi Chiara Lubich…
Pensieri caratterizzati da una semplicità disarmante, ma che non deve trarre in inganno, come afferma Fabio Ciardi, curatore dell’edizione: “Chiara ha democratizzato il Vangelo in un momento in cui era chiuso dentro le Chiese; lo ha reso fruibile a tutti. Le Parole di Vita sono entrate nelle scuole, nelle carceri, perfino in Parlamento. Ogni Parola invita a vivere l’Amore di Dio. Ogni Parola rimanda all’unità degli uomini, l’ultima cosa che ha chiesto Gesù Cristo al Padre”».

“Ogni giorno”. Sicuramente il giornalista ha intitolato così il suo articolo perché ha ascoltato quanto ho detto in conferenza stampa sulla mia esperienza di “ogni giorno”:

Non sono un gran cuoco, mi piace comunque cucinare. Mentre prepari il pranzo impari a conoscere gli alimenti, i condimenti, la loro lavorazione, i tempi e i modi della cottura… Al momento di servirlo in tavola, sai tutto di quel cibo. Quando però ti siedi e inizi a mangiare è tutta un’altra cosa, gusti finalmente quello che hai preparato ed ha sempre un sapore diverso da come te l’eri immaginato cucinandolo.
Così è stato per il libro di Chiara Lubich, Parole di Vita. L’ho preparato con cura, conoscendone piano piano tutti gli ingredienti. Una volta consegnato all’editore ho pensato che fosse giunta l’ora di iniziare a leggerlo senza più la preoccupazione del lavoro. Il 22 agosto ho così ripreso in mano il libro pensando: sono circa 350 Parole di Vita, se ne leggo una al giorno mi accompagneranno per un anno intero. Ho iniziato la lettura e ho fatto quello che scriveva Chiara in uno dei suoi primi commenti del 1948 quando, parlando della Parola di Vita vissuta nel mese precedente, affermava: «La gustammo, la vivemmo il più possibile…». La prima azione nell’accogliere la frase evangelica proposta per il mese non è dunque leggerla con attenzione, studiarla, meditarla, pregarla, neppure viverla, è: “gustarla”. Dal 22 agosto mi sto gustando le Parole di Vita, una ad una, e sprigionano un sapore inimmaginato.
Ho capito che per vivere la Parola di Vita occorre premettere un atto di contemplazione, gustarne la bellezza, prendere coscienza che è Dio stesso che si rivolge a noi con amorevole condiscendenza, desideroso di avviare un dialogo di salvezza. Solo allora, quando la si è accolta come autentica Parola di Dio che ci parla, si può sperare di viverla e ci si lascia vivere da essa.

L'Avvenire dedica una pagina intera all'evento. Nell'articolo di Marco Roncalli tra il resto si legge:
«La Parola di Vita era il collante della nuova comunità nascente, che andava rapidamente diffondendosi in Italia» oltre a rivelarsi «un metodo efficace di evangelizzazione, come Chiara affermerà più tardi ricordando quei primi tempi», osserva padre Ciardi nel suo saggio introduttivo (quasi un libro nel libro), suggerendo poi le sue chiavi di lettura o i modi con cui sostare su queste pagine.