mercoledì 31 maggio 2023

Vecchi

Ho sintetizzato in una mezza paginetta per la rubrica "In poche parole" di "Città Nuova" la mia lunga conferenza sulla vecchiaia:

Vecchi. Chissà se qualcuno leggerà questa parola. Più attraente la parola “giovani”. Per fare un complimento a un vecchio gli si dice: “Come sei giovane!”. Per denigrare un giovane: “Sei vecchio!”. Eppure, come diceva Benedetto XVI, «è bello essere anziani! In ogni età bisogna saper scoprire la presenza e la benedizione del Signore e le ricchezze che essa contiene». Come ogni età anche l’anzianità ha la sua vocazione. Quale? Andare in profondità nella vita interiore? Alcuni vecchi di mi dicono: “Ho lavorato tanto, adesso posso pregare con calma e a lungo. - Ho servito tante persone, ora sono a servizio del mondo intero. - Attendo con gioia l’incontro con il Signore. - Ho trovato un rapporto nuovo con il Padre”. È riconciliarsi col passato, trasfigurandolo in misericordia e riconoscenza? È spandere come profumo la sapienza accumulata con gli anni? È dare fiducia ai giovani, incoraggiarli, sostenerli, sperare e credere in un futuro migliore del passato?

Forse ciò che più caratterizza il vecchio – la sua vocazione –, specialmente se ammalato o inibito in tante sue funzioni, è ricordarsi e ricordare a tutti che siamo dei “mendicanti”, bisognosi dell’altro, fino a chiedere con semplicità. La sua parola è: «Se non diventate come bambini non entrerete nel regno dei cieli» (cf. Mt 18, 3). Il regno dei cieli è un dono e lo si accoglie al modo con cui i bambini sono soliti accogliere ogni aiuto da parte degli adulti: hanno bisogno di chi dia loro il cibo, di essere lavati, di chi allacci loro le scarpe, di essere aiutati in tutto.

La debolezza dei vecchi è provocatoria: invita anche i più giovani, gli stessi adulti, a scoprire la dipendenza dagli altri come stile di vita. Tutti abbiamo bisogno di aiuto, dell’altro, e siamo grati di ricevere, pur senza avanzare delle pretese, accentando con “perfetta letizia” anche la privazione, la povertà, la solitudine. Siamo tutti mendicanti e tutti possiamo restituire il dono ricevuto, almeno con un grazie, con un sorriso, come i bambini.

martedì 30 maggio 2023

La casa degli Oblati a Marsiglia

Padre Paolo fa finta di non sapere niente e io faccio finta di sapere tutto, così, mentre andiamo verso la cattedrale di Marsiglia, e iniziamo a salire per l’antico quartiere di Panier, illustro la storia più che millenaria della chiesa dell’Accoules, ricostruita nel XIII secolo e poi demolita dalla Rivoluzione francese. Addossata alle parete di fonda, che la Rivoluzione aveva risparmiato assieme al campanile, la costruzione di un calvario, a seguito della missione predicata dai Missionari di Provenza, non ancora diventati i Missionari Oblati di Maria Immacolata. Sant’Eugenio nel luglio 1823 istituì in quel luogo la sua terza comunità e affidò al suo primo compagno p. Tempier l’incarico di costruire un convento di una cinquantina di stanze e sale, che era già completato all'inizio del 1825. Gli Oblati costruirono anche la chiesa dedicata a Nostra Signora del Soccorso, proprio sulla piazza antistante il calvario. Così il quarto Capitolo Generale poté tenersi in questa casa, dal 10 al 13 luglio 1826, dove vennero promulgate le regole appena approvate da Roma. Per alcuni anni, i Padri de Mazenod e Tempier, vicari generali, ebbero qui la loro stanza. Nel 1903, in seguito alla nuove legge civili sulle asociazioni, la chiesa fu chiusa e la comunità cacciata manu militari. La maggior parte dei padri resterà comunque dispersa a Marsiglia dove continuarono la loro opera di predicatori. Il convento, preso dallo Stato, viene venduto al prezzo di circa 50.000 franchi. Adesso è diviso in tutta una serie di appartamenti.

Anni fa, passando da queste parti, ho trovato la porta aperta e sono entrato: nessuno. Mi sono girato tutta la casa, sono sceso nel cortile interno, ho visto una grande stanza, deposito di un carpentiere, dove sulle pareti si potevano ancora notare tracce di affreschi: doveva essere stata la cappella.

A padre Paolo, dalla strada, illustro le glorie dell’antica casa oblata, dove si sono formati anche i nostri giovani missionari. Poco più in là una signora mi chiama e mi domanda come mai sono così interessato a una casa che all’esterno è una costruzione molto comune. Gli spiego che siamo i discendenti dei costruttori e degli antichi proprietari, che una volta sono entrato a vedere… E lei: “E io sono la proprietaria di adesso”. In breve ci porta dentro, ci fa visitare i locali… Insieme rievochiamo la storia degli Oblati che da qui partivano per andavano a predicare centinaia di missioni, svolgevano il ministero di cappellani nelle carceri, seguivano istituzioni religiose... Soprattutto avevano istituito l’Opera degli Italiani, per i numerosi immigrati. Iniziata dal Fondatore poco dopo il suo arrivo a Marsiglia nel 1823, l’aveva poi affidata ai padri italiani Albini, Semeria e Rolleri. L’Opera continuò anche dopo l’espulsione, con i padri Zirio, Gallo, Lingueglia, Centurioni, D’Eramo… Gli italiani nel 1873 erano dai 30.000 ai 40.000 e circa 80.000 nel 1889. Al tempo di p. D’Eramo erano circa 150.000.

Alla fine degli anni 1950 i tempi cominciarono a cambiare. Al posto degli italiano arrivarono i nord africani, musulmani, poi gli africani… E gli Oblati partirono per altri lidi, lasciando definitivamente agli inizi del 1980…

La signora ci mostra antiche foto d’epoca, come quella della definitiva cacciata dalla casa, preceduta da una festa solennissima che la gente organizza nel cortile interno, e con una grande scritta sulla casa: “Gli Oblati sono i nostri benefattori, le ameremo sempre”. Ci mostra anche le antiche stanze medievali sottostanti casa e... una pianeta degli Oblati: fantastichiamo che fosse proprio quella che indossava sant’Eugenio per la festa del Sacro Cuore… Infine la sorpresa: la finestra di una stanza si apre proprio dietro il grande crocifisso che domina la spianata. Decidiamo che era quella la stanza di sant’Eugenio.





 

lunedì 29 maggio 2023

Da Maria Maddalena

 

Sono tornato, dopo diversi anni, sulla tomba di santa Maria Maddalena, in Provenza, a St-Maximin. Un paesetto piccolo e grazioso, che custodisce una grande basilica, oggetto di pellegrinaggi continuati fino alla Rivoluzione francese, quando il culto venne meno. Sant’Eugenio si adoperò molto perché esso tornasse in auge. Scrisse al vescovo di Fréjus, alla cui diocesi apparteneva il santuario: «Non è giunto il momento opportuno per rianimare la devozione dei fedeli verso i nostri santi protettori? Sarebbe ora di porre termine a questo sonno della pietà e di ravvivare un culto così caro ai nostri padri».

Sappiamo quanto sant’Eugenio, vescovo di Marsiglia, fosse orgoglioso nel considerarsi successore di Lazzaro l’amico che Gesù aveva risuscitato e che era diventato il primo vescovo di Marsiglia. Secondo la tradizione infatti Lazzaro, Marta e Maria, dopo aver lasciato la loro terra per sfuggire alla persecuzione, trovarono rifugio nella Provenza.

In un dépliant che mi viene consegnato sul posto leggo: «A causa delle persecuzioni degli ebrei contro i primi cristiani e in particolare contro gli amici più intimi di Gesù, Maria - soprannominata ‘la Maddalena’ - fu messa su una barca senza vela né remi, con suo fratello Lazzaro, sua sorella Marta, le pie donne Maria (madre di Giacomo) e Maria Salome, Massimino (uno dei 72 discepoli) e alcuni altri. Il fragile scafo, sotto la protezione del Signore, arrivò incolume alle foci del Rodano in quel luogo oggi chiamato “Les Saintes Maries de la Mer”. Il gruppo di esiliati fu accolto da una donna di nome Sara, che si dice essere d’origine egiziana e zingara. Sara si convertì e ricevette il battesimo di Gesù Cristo. Sarebbe diventata la patrona degli zingari. Mentre Maria (madre di Giacomo) e Maria Salome si fermavano presso Sara, gli altri membri del gruppo si dispersero per la Provenza. Marta si stabilì a Tarascona, importante crocevia su un’antica isola del Rodano. Maria Maddalena accompagnò suo fratello a Marsiglia e qui evangelizzò i marsigliesi sul sagrato del tempio di Artemide. Essa fu anche a Aix-en-Provence da Massimino, suo compagno d’esilio che divenne il primo vescovo di questa città. Poi, risalendo il corso dell’Huveaune, andò a stabilirsi alla Sainte Baume per trascorrervi gli ultimi anni della sua vita. Con la sua alta montagna, la sua grotta misteriosa e la sua foresta sacra, la Sainte Baume era da tempi remotissimi un luogo di culto a divinità pagane e oscure. Maria Maddalena vi passò gli ultimi anni della sua vita nella preghiera, nella contemplazione e nella predicazione... Sentendo declinare le proprie forze, scende in pianura per raggiungere Massimino e morire tra le sue braccia dopo aver ricevuto la santa Comunione. Fu sepolta a St. Maximin, in una cripta al disopra della quale fu innalzata - a partire dal 13° sec. - la magnifica basilica che possiamo vedere attualmente».

La Maria sorella di Lazzaro e Marta è naturalmente Maria di Betania, perché stava a Betania, alle porte di Gerusalemme. Mentre la Maria che Gesù liberò da sette demoni è Maria Maddalena, perché stava a Magdala, sul lago di Galilea. Ma la tradizione le ha fuse insieme in un’unica Maria. Anzi vi ha aggiunto anche una terza donna, innominata dai Vangeli, che nella casa di Simone lavò i piedi a Gesù con le sue lacrime. Tre in una.

Così la Maria di Betania che sbarcò il Provenza è sempre stata ritenuta Maria di Magdala, quella che prima entrò nel sepolcro vuoto (il piedi della Maddalena che per primo entrò nel sepolcro è custodito in un reliquiario stupendo nella chiesa di san Giovanni dei Fiorentini a Roma… ma questa è tutta un’altra storia).

Sant’Eugenio era un appassionato non soltanto di Lazzaro, ma anche di Maria Maddalena. La chiesa nella quale fu battezzato ad Aix era intitolata a lei. Una volta demolita, al tempo della Rivoluzione, il titolo passò all’attuale chiesa della Maddalena, particolarmente cara agli Oblati perché fu lì che sant’Eugenio iniziò la sua famosa predicazione in lingua provenzale.

Sia come sia eccomi a St-Maximin, sulla tomba di santa Maria Maddalena, nell’antica cripta, sotto la basilica. Basilica e cripta sono deserte in questa mattina silenziosa. Si avverte la presenza viva di questa appassionata seguace di Gesù: l’ha seguito fino ai piedi della croce, l’ha cercato con perseveranza, l’ha abbracciato, l’ha annunciato gridando “Ho visto il Signore”… Che donna eccezionale! La senti, è proprio lì e puoi chiedergli la stessa passione, lo stesso amore, la stessa fedeltà…

Ma qui è venuta soltanto a morire e ad essere sepolta. Dove ha vissuto per trent’anni? Con la macchina proseguo il viaggio inoltrandomi nel parco della Santa Baume – la santa “grotta”, secondo l’antico provenzale. È una mattinata d’incanto, con un sole splendente. Entro nel bosco mediterraneo, verdissimo anche grazie alle piogge di questi giorni, con squarci di vigneti ordinati e puliti. La strada si avvoltola su per i tornanti e sale fino all’ostello medievale dei Domenicani. Proseguo a piedi su per il sentiero di montagna, assieme a parecchie altre persone che salgono e scendono in silenzio e con aria di festa, come in un autentico pellegrinaggio. All’ultimo tratto il bosco sparisce d'improvviso, come per incanto, e si erge ripida la parete di roccia nuda a strapiombo. Si apre la grande grotta, la santa grotta! 

Maddalena è lì, silenziosa, in preghiera, in contemplazione, rapita dal suo Signore che l’ha liberata dai molti mali. Dalle pareti della grotta si sente sussurrare il suo nome: “Maria!” e in risposta la sua esplosione di gioia: “Maestro!”. Apostola degli apostoli, continua a narrare come ha visto morire il suo Gesù, come è stato il suo incontro con il Risorto, l’abbraccio forte e sincero con il quale lo ha trattenuto, le ultime parole udite dal Maestro che ormai condivide tutto: “… il Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro…”.

Mattinata troppo fugace, ma mi porto con me la Maddalena.

domenica 28 maggio 2023

A Padova davanti alla Madonna del pilastro

Sono a Padova. All’ingresso della basilica del Santo ritrovo questa bellissima immagine.

Ormai verso la fine del mese di maggio lasciamoci guardare da entrambi. 

Possiamo chiedere a lei: dammi l’amore che hai per lui.

Possiamo chiedere a lui: dammi l’amore che hai per lei. 

sabato 27 maggio 2023

Pentecoste: Chiesa in uscita

Da quando è nata la Chiesa è “in uscita”. Lo Spirito Santo a Pentecoste scaraventa i discepoli fuori del cenacolo e li mette subito in “missione”. L’artefice dell’evangelizzazione è proprio lui, lo Spirito Santo, che ha guidato la Chiesa nella sua nascita e nella sua espansione.

Pietro non aveva programmato di rivolgersi ai pagani. È stato lo Spirito che lo ha condotto a Cesarea nella casa di Cornelio aprendo un’era nuova nella storia dell’annuncio della Parola (cf. Atti 10, 1-48). Paolo aveva un suo progetto apostolico, ma è lo Spirito a prendere l’iniziativa, fino a fargli cambiare gli stessi itinerari geografici dei suoi viaggi (cf. Atti 16, 6-9).

Allora come ora è lui che guida la Chiesa e apre nuove vie dell’evangelizzazione. Dà la capacità di leggere i segni dei tempi, suscita i carismi, l’audacia, la parresia, l’intraprendenza... La storia dell’evangelizzazione è storia dello Spirito. In ogni secolo la Chiesa ha trovato la via dell’evangelizzazione e ha risposto in maniera adeguata alle sfide del tempo. I santi ne sono i testimoni.

Infondendo nei cuori l’amore e portando la presenza di Gesù, il Risorto, nella comunità di quanti sono uniti nel suo nome, fa divampare il fuoco.

Come non ricordare il discorso di Giovanni Paolo II la vigilia di Pentecoste 1998 in piazza san Pietro:

Gesù ha detto: «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12, 49). (…) Accogliamo l'invito del Signore, perché il suo fuoco divampi nel nostro cuore ed in quello dei fratelli.

Vieni Spirito Santo, vieni e rinnova la faccia della terra! Vieni con i tuoi sette doni! Vieni Spirito di vita, Spirito di verità, Spirito di comunione e di amore! La Chiesa e il mondo hanno bisogno di Te. Vieni Spirito Santo e rendi sempre più fecondi i carismi che hai elargito. Dona nuova forza e slancio missionario a questi tuoi figli e figlie qui radunati. Dilata il loro cuore, ravviva il loro impegno cristiano nel mondo. Rendili coraggiosi messaggeri del Vangelo, testimoni di Gesù Cristo risorto, Redentore e Salvatore dell'uomo. Rafforza il loro amore e la loro fedeltà alla Chiesa.

A Maria, prima discepola di Cristo, Sposa dello Spirito Santo e Madre della Chiesa, che ha accompagnato gli Apostoli nella prima Pentecoste, rivolgiamo il nostro sguardo perché ci aiuti ad imparare dal suo Fiat la docilità alla voce dello Spirito.

venerdì 26 maggio 2023

Maria: il capolavoro dello Spirito Santo

Ultimo giorno della novena di Pentecoste

«Maria, la tutta Santa Madre di Dio, sempre Vergine, è il capolavoro della missione del Figlio e dello Spirito nella pienezza del tempo. Per la prima volta nel disegno della salvezza e perché il suo Spirito l’ha preparata, il Padre trova la Dimora dove il suo Figlio e il suo Spirito possono abitare tra gli uomini. In questo senso la Tradizione della Chiesa ha spesso letto riferendoli a Maria i più bei testi sulla Sapienza. Maria è cantata e rappresentata nella Liturgia come “Sede della Sapienza”. In lei cominciano a manifestarsi le “meraviglie di Dio”, che lo Spirito compirà in Cristo e nella Chiesa». Così il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 721).

Il rapporto vivo fra lo Spirito Santo e Maria è illustrato con quattro verbi che indicano precise azioni dello Spirito: egli prepara, realizza, manifesta, mette in comunione.

«Lo Spirito Santo ha preparato Maria con la sua grazia. Era conveniente che fosse “piena di grazia” la Madre di Colui nel quale “abita corporalmente tutta la pienezza della Divinità” (Col 2, 9). Per pura grazia ella è stata concepita senza peccato come la creatura più umile e più capace di accogliere il Dono ineffabile dell’Onnipotente» (n. 722).

«In Maria, lo Spirito Santo realizza il disegno misericordioso del Padre. È con lo Spirito e per opera sua che la Vergine concepisce e dà alla luce il Figlio di Dio. La sua verginità diventa fecondità unica in virtù della potenza dello Spirito e della fede» (n. 723).

«In Maria, lo Spirito Santo manifesta il Figlio del Padre divenuto Figlio della Vergine. Ella è il roveto ardente della Teofania definitiva: ricolma di Spirito Santo, mostra il Verbo nell’umiltà della sua carne ed è ai poveri e alle primizie dei popoli che lo fa conoscere» (n. 724).

«Infine, per mezzo di Maria, lo Spirito Santo comincia a mettere in comunione con Cristo gli uomini, oggetto dell’amore misericordioso di Dio. Gli umili sono sempre i primi a riceverlo: i pastori, i magi, Simeone e Anna, gli sposi di Cana e i primi discepoli» (n. 725).

È così che «Maria è diventata la “Donna”, nuova Eva, “Madre dei viventi”. Madre del “Cristo totale”. In quanto tale ella è presente con i Dodici “assidui e concordi nella preghiera” (At 1, 14), all’alba degli “ultimi tempi” che lo Spirito inaugura il mattino di Pentecoste manifestando la Chiesa» (n. 726).

Avvolta dallo Spirito Santo dall’annunciazione fino alla Pentecoste ci invita a lasciarci guidare dallo Spirito come ha fatto lei, che si è fatta condurre fino al Paradiso: Assunta in cielo, la nostra meta.


Oggi, sulla tomba di sant’Eugenio a Marsiglia non posso non ricordare le parole di Paolo VI, adattissime alla nostra novena dello Spirito Santo:

Eugenio de Mazenod era un appassionato di Gesù Cristo e tutto dedito, senza riserve, alla Chiesa! Questo Pastore e Fondatore, testimone autentico dello Spirito Santo, lancia a tutti i battezzati e a tutti gli apostoli di oggi un appello fondamentale: lasciatevi invadere dal fuoco della Pentecoste e conoscerete l’entusiasmo missionario. (Paolo VI, 19 ottobre 1975)

giovedì 25 maggio 2023

"Madre de' Santi": La Pentecoste del Manzoni

Ottavo giorno della novena di Pentecoste

Duecento anni fa Manzoni dava alle stampe (50 copie!) l’ultimo dei suoi Inni Sacri: La Pentecoste.
Nell’anniversario dei 150 dalla sua morte lasciamo che sia lui a dettarci un pensiero per questa novena di Pentecoste.

Nell’Inno rievoca innanzitutto la nascita, le vicende e le glorie della Chiesa. Basta una sola strofa:  


Come la luce rapida
piove di cosa in cosa, 
e i color vari uscita 
dovunque si riposa; 
tal risonò molteplice la voce dello Spiro:
l'Arabo, il Parto, il Siro
in suo sermon l'udì

Mostra poi i tempi e gli effetti della prima evangelizzazione: il ritorno del mondo al vero Dio, l’uguaglianza dei liberi e degli schiavi per il dolore del Salvatore di tutti, la nuova libertà dello spirito umano riconciliato con Dio, gli eroismi della fede e della carità. È la vera rivoluzione cristiana che cambia il mondo e tutti affratella.
Infine una preghiera che invoca dallo Spirito la conservazione e la fecondità dei suoi doni nelle varie condizioni delle anime e nei vari stati di vita. Anche di quest’ultima grande preghiera, una strofa soltanto, che può essere la nostra preghiera:

noi T'imploriam! placabile
spirto discendi ancora,
a' tuoi cultor propizio,
propizio a chi T'ignora;
scendi e ricrea; rianima
i cor nel dubbio estinti;
e sia divina ai vinti
mercede il vincitor.



Comunque, trovandomi ad Aix, oltre che a Manzoni offro la parola al primo dei giovani che hanno seguito sant’Eugenio nella sua avventura e quello che gli è succeduto come superiore in questa prima casa degli Oblati quando il Fondatore ha lasciato Aix per andare a Marsiglia: Ippolito Courtès. Nel diario scrive:
“Se non si prega il cuore si secca… Lo Spirito Santo è la luce. È lui che dona ai sensi il gusto del divino. Occorre dunque ritirarsi nel nostro cuore per amare e per pregare. Là ascolteremo la voce di Dio e, sotto questa ispirazione, le nostre azioni saranno più sante, il nostro influsso sui fratelli più decisivo”. 

mercoledì 24 maggio 2023

Uno Spirito di fortezza

Settimo giorno della novena di Pentecoste

È un ideale troppo alto quello che ci stiamo proponendo questi giorni? Ce la faremo a viverlo? Ecco che lo Spirito si fa nostra forza! “Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza” (2 Tim 1, 7). Scendendo su Maria lo Spirito si è mostrato “potenza dell’Altissimo” (Lc 1, 35) e ancora “potenza” quando discese su Gesù (Atti 10, 38). Gli apostoli a Pentecoste furono “rivestiti della potenza dall’Alto” (Lc 24, 49), e secondo la promessa di Gesù non ebbero paura di testimoniarlo davanti al sinedrio e davanti ai tribunali. Anche Paolo, lungo tutta la sua vita, ha costantemente sperimentato la medesima “potenza dello Spirito” (1 Cor 2, 4-5).

La fortezza non è caratteristica esclusiva di persone particolarmente coraggiose o eroiche, è un dono di Dio, uno dei sette doni dello Spirito Santo. Papa Francesco ricorda che le persone semplici, che vivono una vita ordinaria con amore straordinario, possono compiere, nel silenzio, quotidiani gesti eroici nelle piccole e grandi difficoltà dell’esistenza: “Fanno tutto questo perché c’è lo Spirito di fortezza che li aiuta. Non conosciamo i loro nomi, ma sono i santi del quotidiano e vivono nascosti in mezzo a noi. Onorano la nostra Chiesa perché sono forti: forti nel portare avanti la loro vita, la loro famiglia, il loro lavoro, la loro fede”. È la testimonianza silenziosa dei martiri di ogni giorno che non comporta la morte, ma anch’essa “è un ‘perdere la vita’ per Cristo, compiendo il proprio dovere con amore, secondo la logica di Gesù, la logica del dono, del sacrificio” (Angelus, 23 giugno 2012). 

martedì 23 maggio 2023

Spirito di luce e di bellezza

 

Sesto giorno della novena di Pentecoste.

L’amore che lo Spirito versa nei nostri cuori è anche luce, sapienza. Egli stesso è “Luce”, si fa rivelazione per ogni uomo (cf. 1 Cor 2, 6-10). È lui, come ricorda Giovanni, che insegna ogni cosa (cf. Gv 14, 26), che guida alla verità tutta intera (cf. 16,13) facendo comprendere le parole di Gesù, i suoi atti, i suoi segni.

Egli è la luce che brillava sul volto di Mosè, la luce che brillava sul volto di Gesù sul Tabor, la luce che brillava sul volto dei martiri, la luce che brilla sul volto dei santi.

La luce dello Spirito Santo vuole illuminare anche noi e fare anche di noi persone “luminose” perché introdotte nella luce della conoscenza di Dio. Ci rende capaci di contemplazione – dove contemplazione, come insegna S. Francesco di Sales, “altro non è che un’amorosa, semplice, permanente attenzione dello spirito a Dio e alle cose di Dio” (Timoteo, IV, 3, 5).

Con l’amore egli riversa nei cuori la gioia, l’istinto del bene, della bellezza, della sapienza. È lui che ci fa dire sempre: “Che bello!”, che ci porta sempre nell’incanto.

Con la sua luce ci aiuta a interpretare i segni dei tempi e cogliere il valore profondo degli avvenimenti, gli aneliti del cuore umano, ad aprire nuove frontiere, ad amare il mondo, a elaborare risposte nuove a domande ed esigenze nuove… Dona il discernimento che ci fa comprendere spontaneamente, quasi istintivamente, ciò che appartiene alla fede da ciò che non le appartiene, ciò che è secondo il disegno di Dio e ciò che è solo frutto di progetto umano, ciò che è bene e ciò che è male.

Ci rende familiari con Dio e con tutto il mondo del divino, dà quell’intelligenza delle cose divine che la ricerca intellettuale o l’acutezza dell’intelligenza da sole non potrebbero mai dare. È la conoscenza dell’amore. “Avanzate per la carità infusa nei vostri cuori dallo Spirito santo che vi è stato dato – scrive S. Agostino – ... Non si può amare una cosa che si ignora completamente; ma se si ama ciò che si conosce anche molto poco l’amore lo fa conoscere meglio e più pienamente” (In Ioan., 96, 4). La conoscenza diventa sapienza, dove “non si tratta di conoscenza, ma di godimento..., non di scienza, ma di esperienza, non di vista, ma di gusto e di assaporamento” (Francesco di Sales, Timoteo, VII, 5).

Chi è illuminato dallo Spirito Santo può divenire a sua volta luce per gli altri e aiutarli ad entrare nella luce, a “vedere” con gli occhi di Dio.

Da Cesena mi giunge la testimonianza di una professoressa: “Oggi qua per tanti ennesimo giorno di lavoro. Sono giorni surreali, mai vista una catastrofe del genere, mai viste così tante persone (amici, colleghi ed estranei) che hanno perso tanto. Eppure c’è una lietezza di fondo. Tanti alunni mi hanno scritto in questi giorni che da tanto non si sentivano così contenti, così pieni… - è possibile prof?!"

Lei risponde con un testo di Italo Calvino, da Le città invisibili: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio"

Non so se quei ragazzi sono cristiani, certamente sono “spirituali”, animati dallo Spirito Santo, perché soltanto lo Spirito sa far coglier il bello nel brutto, ciò che non è inferno in mezzo all’inferno. E' la luce dello Spirito Santo quella che brilla sul volto di quei ragazzi.

lunedì 22 maggio 2023

Spirito di armonia

Quinto giorno di novena di Pentecoste

L’amore che lo Spirito versa nei nostri cuori porta armonia e unità prima di tutto nella nostra stessa persona, in tutte le dimensioni della vita. La vita non è dispersa tra le mille attività che pure siamo chiamati a fare, non è stracciata dalle molteplici attrattive o sensazioni a cui è sottoposta dal mondo esteriore.

Lo Spirito ci aiuta a trovare il principio dell’armonia: “Tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre”; “Sia dunque che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio” (Col 3, 17).  Non facciamo tante ose, ne facciamo una sola! Chi si lascia guidare dallo Spirito compie tutto nell’amore, tutto per amore, tutto come espressione dell’unico amore.

Compie tutto nel nome del Signore, secondo la sua volontà, per lui, in lui, con lui, seguendo in tutto la voce dello Spirito. Questo è ciò che dà uni­tà all’intera vita della persona “spirituale”.

 

domenica 21 maggio 2023

Spirito d'amore e d'unità

Quarto giorno della nostra novena di Pentecoste

“Fino alla gelosia ci ama lo Spirito che egli (Dio) ha fatto abitare in noi” (Gc 4, 5). E amandoci ci porta in dono l’amore, perché Egli stesso è l’Amore di Dio donato e riversato nei nostri cuori, è l’Amore fatto persona!

L’Amore si identifica infatti con lo Spirito Santo (cf Rm 15, 30; Col 1, 8). Se il Padre è l’Essere e il Verbo la Luce, lo Spirito è la Vita, l’Amore. Lo Spirito Santo, direbbe Sant’Agostino, è “un qualcosa di comune al Padre e al Figlio. Ma questa comunione è consustanziale e coeterna: se le conviene il nome di amicizia la si chiami pure così; ma è più esatto chiamarla carità... Lo Spirito Santo è dunque comunione, amicizia, carità, unità, dono” (De Trinitate, VI, 5, 7).

Così amati, anche noi possiamo amare a nostra volta con l’amore che ci è donato (cf. Rm 5, 5).

L’amore che lo Spirito riversa nel cuore si risolve in dono di sé ai fratelli, fino a coinvolgerli nella reciprocità dell’amore, secondo il comando del Signore, fino all’unità.

Chi è animato dallo Spirito vive l’unità e lavora per realizzarla (proprio come fa lo Spirito Santo all’interno della Santissima Trinità), per far nascere la comunità cristiana (Lui ne è l’Anima!), ridare la vita a quanti sono morti a causa del peccato (è il soffio che, nella visione di Ezechiele, rianima le ossa aride…), mantenere viva l’unità e di portare avanti e incrementare la vita.

sabato 20 maggio 2023

Dove ci porta lo Spirito?

Terzo giorno della nostra novena di Pentecoste

Lo Spirito Santo ci guida. Ma dove ci porta?

Lo Spirito, si sa, rimane sempre nell’ombra per proiettare la sua luce sul volto di Cristo e, di là, su quello del Padre. Dirige i nostri cuori verso il Padre e verso il Figlio, per portarci a vivere pienamente la realtà di Dio.

Egli dirigere il cuore verso il Padre e il Figlio, per portare alla piena comunione trinitaria, alla piena partecipazione al mistero stesso di Dio. Lo Spirito rivela il mistero di Dio ed introduce in esso. Porta alla comunione con il Padre ponendo sulle nostre labbra il nome stesso di Padre: «E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: “Abbà! Padre!”» (Gal 4, 4-7; Rm 8, 5-17). Porta alla comunione con il Figlio, che fa abitare nel nostro cuore (Ef 3, 16-17), ci unisce a lui (1 Cor 6, 17), ce lo ha conoscere come Signore: «nessuno può dire “Gesù è Signore” se non sotto l'azione dello Spirito Santo» (1 Cor 12, 3).

Questa relazione d’amore e di conoscenza è l’essenza della “preghiera”. Lo Spirito Santo è la nostra preghiera. Egli “viene in aiuto alla nostra debolezza”, è lui stesso che «intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio» (Rm 8, 26-27 cf. Giuda 20).

Egli è l’intimità di Dio e scendendo in noi ci rende intimi a Dio. È l’opera ineffabile dello Spirito Santo.

21 maggio: Festa di sant'Eugenio. Alla parrocchia del SS. Crocifisso grande spettacolo: Mistral, con la sua meravigliosa storia, con testi e musiche di Mite Balduzzi. 




venerdì 19 maggio 2023

Ascoltare quella voce

 

Secondo giorno della nostra novena di Pentecoste

Se “viviamo dello Spirito”, esorta Paolo mostrando l’ovvia conseguenza del nostro essere nello Spirito, “camminia­mo anche secondo lo Spirito” (Gal 5, 25). Il cristiano è chiamato ad essere una persona che vive e opera nello Spirito: una persona “spirituale”. Il nostro essere nello Spirito si invera nel nostro vivere cristiano.

Mediante la fede e il battesimo abbiamo ricevuto lo Spirito. Egli è in ognuno di noi, nel nostro spirito, nel nostro stesso corpo, fino a trasformarci nel suo stesso tempio (cf. 1 Cor 6, 19). Tutti i cristiani sono quindi “persone spirituali”, in quanto vivono nello Spirito e dello Spirito: “Voi non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spi­rito di Dio abita in voi” (Rm 8, 9).

Eppure spesso la vita nello Spirito rimane allo stato larvale. C’è come qualcosa che gli impedisce di prendere interamente possesso del nostro corpo, della nostra mente, del nostro cuore e sprigionare così tutta la sua energia e pienezza di vita. L’esistenza cristiana rimane come bloccata, atrofizzata, senza poter sbocciare in pienezza e attuare tutte le sue potenzialità. Il fatto è che si è tentati di resistere alla voce dello Spirito e alla sua guida, di seguire i nostri desideri piuttosto che i suoi, il nostro volere piuttosto che il suo, fino a contristarlo (cf. Ef 4, 3), fino ad arrivare ad estinguere la sua presenza in noi (cf. 1 Ts 5, 19).

L’uomo veramente “spirituale” è invece il cristiano che, rotto ogni indugio, si è finalmente aperto in maniera incondizionata all’azione dello Spirito e si lascia guidare da lui, in piena docilità, nell’avventura evangelica.

Sant’Eugenio de Mazenod, alla vigilia di prendere in mano la cura della diocesi di Marsiglia, sente che per poter guidare la sua Chiesa come vescovo deve lasciarsi guidare lui stesso dallo Spirito: “Devo rimanere attento a tutte le sue ispirazioni; ascoltare innanzitutto nel silenzio dell’orazione, seguirle e obbedire ad esse nel compiere ciò che mi indicano. Evitare con cura tutto ciò che potrebbe contristare lo Spirito o indebolire l’influsso della sua potenza su di me...” (Notes de retraites, mai 1837).

L’imperativo è dunque anche oggi: “Ascoltare” quella voce interiore che parla... È la voce dello Spirito.

giovedì 18 maggio 2023

Il soffio dello Spirito

 

19 maggio 2023: inizia la novena della Pentecoste. Vogliamo farla insieme? Da dove cominciare? Lasciamoci guidare dallo Spirito Santo. Non è come vento leggero che “soffia dove vuole” e si porta dove vuole. Così almeno disse Gesù a Nicodemo quando si incontrarono nel silenzio della notte.

Il cristiano è una persona guidata dallo Spirito. Come Gesù: “Lo Spirito lo guidò nel deserto…”. Non si tratta di abdicare alla propria volontà quanto piuttosto di porre interamente forze, cuore, mente, tutte le proprie capacità a completa disposizione dell’azione creativa dello Spirito.

La letteratura cristiana conosce un’immagine suggestiva. Si può pensare il proprio cammino spirituale come fossimo un navigatore che spinge la sua barca a forza di remi. Oppure si tirano i remi in barca, si spiega la vela, e ci si lascia condurre dal vento dello Spirito. Lo Spirito può così compiere l’opera sua. Lasciarsi condurre con fiducia da lui. Perché lui sa cosa è meglio per noi.

La docilità allo Spirito non è debolezza. È coraggio! Il coraggio di fidarsi di Dio, di credere che le sue vie non sono le nostre vie. Il coraggio di abbandonarsi alla avventura sempre nuova e imprevedibile della sequela di Cristo. Il coraggio di credere al Vangelo. Il coraggio di mettere tutta la vita interamente nelle mani di Dio. Non ci resta che ascoltare quella voce e lasciarsi guidare.

Come scrive p. Mario Borzaga ricordando uno dei primi viaggi in jeep sulle piste del Laos: “La strada lunga 150 Km è polverosa e difficile. Ciò nonostante a bordo si canta. Quando si incontra un’altra macchina la nube di polvere è tale da non vedere più nulla. Chiudiamo gli occhi. È bello camminare con gli occhi chiusi perché ci si sente completamente in Dio. La Fede ha compiuto il miracolo di farci camminare al buio con gioia”.

mercoledì 17 maggio 2023

Far conoscere Maria

 

"Tutti noi facciamo professione di devozione specialissima per la Madre di Dio. La Chiesa ci ha imposto il dovere (dolce senza dubbio, ma sempre dovere) di propagare il suo culto. “Noi speriamo che i membri di questa santa famiglia che, custodendo certe leggi adatte, d’altronde, a formare i cuori alla pietà, si sono dedicati al ministero della predicazione e riconoscono per patrona la Madre di Dio, la Vergine Immacolata, si applicheranno, secondo le loro forze, a ricondurre nel seno della misericordia di Maria gli uomini che Gesù Cristo, dall’alto della croce, le ha voluto dare per figli”. Sono le parole della Bolla di approvazione di Leone XII."

Così sant’Eugenio a Mons. Arbaud, vescovo di Gap, il 10 marzo 1828. In questo mese di maggio ci ricorda il nostro “dolce” dovere che il Papa ha affidato agli Oblati.

martedì 16 maggio 2023

Visitazione: un saluto prima del Magnificat

In questo mese di maggio un pensiero a Maria “regina degli Apostoli e prima missionaria del Vangelo” (così la chiama il messale). È Regina degli Apostoli perché prima missionaria del Vangelo. Quando è diventata la prima missionaria? 

Inizia subito dopo l’annunciazione. L’angelo era appena partito da lei. In Maria si era compiuto il più grande evento che la storia avesse mai conosciuto: lo Spirito Santo era sceso su di lei, ed era stava avvolta dalla potenza dell’Altissimo; l’Onnipotente e il Santo aveva preso carne in lei; l’infinito Iddio si era rimpicciolito e si era fatto figlio suo. Sarebbe stato più che naturale fermarsi in raccolta contemplazione. Maria invece si alza e dà subito inizio ad un’azione nuova, che – come indica l’uso del verbo greco – richiede un cambiamento e una decisione. Non si ferma ma va. Esce da sé per andare incontro all’altro. Mette da parte l’indicibile evento di cui è protagonista per entrare nell’evento dell’altro, la parente Elisabetta, che pure è stata visitata da Dio ed ha concepito un figlio. È un passaggio repentino. Alzatasi, intraprende il viaggio “in fretta”. L’amore non conosce lentezze. “In fretta”, una parola che significa anche diligenza, premura, entusiasmo. Non è con rammarico che Maria si dimentica di sé per volgere la sua attenzione a Elisabetta, ma con gioiosa dedizione.

Perché si mise subito in viaggio? L’evangelista non lo dice. Il testo sembra suggerire che il segno dato dall’angelo – Dio aveva reso feconda la sterilità di Elisabetta – doveva essere verificato. Mi piace tuttavia assecondare la lettura tradizionale che vede Maria spinta dalla carità e dalla volontà di servizio verso la parente anziana. Maria, scrive Ambrogio di Milano, «si avviò in fretta verso la montagna, non perché fosse incredula della profezia o incerta dell’annuncio o dubitasse della prova, ma perché era lieta della promessa e desiderosa di compiere devotamente un servizio, con lo slancio che le veniva dall’intima gioia».

Paolo VI, nell’enciclica Marialis cultus, accoglie questa interpretazione quando scrive che la festa della Visitazione «ricorda la beata vergine Maria, che porta in grembo il Figlio e si reca da Elisabetta per porgerle l’aiuto della sua carità e per proclamare la misericordia di Dio salvatore» (n. 7). Il primo intento è il servizio, la conseguenza è la proclamazione di quanto Dio ha operato. «Maria va per fare il bene – scrive Enzo Bianchi – e finisce per portare Cristo».

Non possiamo tenere per noi la Parola che in noi si è fatta vita; siamo chiamati a partecipare il dono ricevuto. Il Vangelo è uno scrigno prezioso che racchiude inestimabili tesori di luce: da esso non soltanto possiamo attingere costantemente per la nostra vita, ma possiamo anche distribuirne a tutti le inesauribili ricchezze, a mani piene. Anche noi subito in piedi, con l’urgenza, la sollecitudine, la premura di farci prossimi, di servire, di condividere la Parola di Dio ricevuta e l’esperienza di fede che ne è nata.

 “Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta” (1, 40). Cosa le disse? come fu apostola verso di lei? Il Vangelo non riporta le parole di Maria. Forse le disse semplicemente “shalom”, ma è bastato un saluto perché il bambino in seno a Elisabetta sussultasse. Maria porta il Signore e l’altro lo avverte: in Elisabetta c’è una vita che sobbalza di gioia, quasi risvegliata dall’incontro con Cristo. I personaggi esteriori sono Maria ed Elisabetta, ma quelli veri, interiori, sono Gesù e Giovanni. Le due donne si incontrano, ma il vero incontro è quello tra i due figli. Poi da quel salutò scaturì il Magnificat...

Lo stesso possiamo fare noi con gli altri. In noi c’è la Vita, e ne siamo consapevoli. Ma anche nell’altro c’è la Vita. Qui il Verbo, lì il Verbo, o almeno i semi del Verbo, pur sempre Verbo. Forse basta anche solo un saluto… Poi verrà anche il Magnificat...

lunedì 15 maggio 2023

Madonna di Montenero - Per grazia ricevuta

Pensavo solo a stare a galla ed era difficile per il mare mosso. Per il momento non si vede nessuna nave superstite, solo l’aereo che girava basso come un cane arrabbiato e buttò giù diversi salvagente. Dopo poco ritorna una nave e si ferma in mezzo ai naufraghi, ma io e qualcun altro eravamo già lontani.

Si sperava che venissero a prenderci, ma o non avevano i mezzi o era il mare cattivo. Intanto trovai un palo e mi rincuorai con la speranza che mi facesse da remo per avvicinarmi alla nave, ma invece comandavano le onde e non c’era niente da fare. Mentre lottavo con le onde, c’era un altro isolato a pochi metri da me e mi faceva compassione perché non aveva la ciambella ed io non sapevo avvicinarmi. Cercavo di fargli coraggio dicendogli: “Non si vede ancora nessuno, ma verranno a prenderci”. Ma quello non dava risposta… Poco più distante c’era una zattera con quattro naufraghi attaccati ai lati ed uno, arrampicato sopra, aveva la testa senza capelli per l’età; la testa bianca contro il colore scuro del mare faceva contrasto.

Quasi tre ore di quella lotta per la vita furono lunghe, saliva un groppo alla gola, tremito, crampi, raffreddore, proprio non si respirava più. Restavano ancora pochi minuti, invocavo la Madonna di Montenero, vedevo in faccia la morte, pensavo a casa. Quando finalmente arrivarono i soccorsi: una motobarca italiana arrivata per prima fece un giro a prendere gli isolati e quando la vidi mi venne spontaneo: “Questi sono angeli!”. Alzai quel palo che tenevo in mano per farmi vedere e loro voltarono nella mia direzione. Quando furono a pochi metri mi lanciarono la fune, ma io gli diedi il bastone e mi tirarono. Mi aggrappai, mi sollevarono e mi misero sulla barca, quando piangendo gli dissi: “Grazie!” Li avrei baciati come santi! Dopo me, raccolsero l’altro ed altri cinque, come erano ridotti! Vomitavano, tremavano come vagli, pure io tremavo.

Nonostante che le onde rendessero difficile il navigare, ci si sentiva sicuri come su terra ferma. Si girò intorno ai naufraghi per rincuorarli e loro gridavano che si prendessero a bordo, ma eravamo già al completo ed i marinai gli gridavano soltanto: “Si ritorna, stati tranquilli, state calmi, arrivano gli altri soccorsi”.

Il naufrago che mi era vicino non aveva tregua dalla paura e dal tremito, aveva gli occhi chiusi e gli arreggevo le mani e la testa e gli dicevo: “Stai calmo, siamo salvi, tutto è passato, siamo vicini al porto, fra poco siamo sulla terra, ringrazia il Buon Dio”. Allora ci portarono alla nave ausiliaria. Con tanta pazienza, causa il mare grosso, gli andarono vicino e ci aiutarono a montare sulla scaletta. Per gli altri calarono un’altra barchetta e gli misero sopra per portarli su, perché erano mezzi morti. Dopo, la motobarca ritornò al grande e santo lavoro di salvataggio…

È il racconto del naufragio di mio padre, una pagina particolarmente cara alla mia famiglia. La nave sulla quale compiva la traversata nel Mediterraneo era stata silurata. Sabato 17 aprile 1943. Erano tempi di guerra… Come adesso… Stessi drammi. Oggi più numerosi di allora. Leggo ancora una volta questa pagina nel giorno della festa della Madonna di Montenero alla quale si era raccomandato e che ce lo ha salvato.

domenica 14 maggio 2023

Una grande donna accanto a ogni grande uomo

“Dietro ogni grande uomo c’è una grande donna”. Un detto di origine incerta, che qualcuno attribuisce a Virginia Woolf, o fa derivare dal latino “Dotata animi mulier virum regit” (“Una donna dotata di coraggio sostiene il marito”). Potremmo ricordare la figura della donna forte tracciata dal libro dei Proverbi nella quale «confida il cuore del marito»: egli può fare bella figura nell’assemblea cittadina perché a casa c’è una moglie saggia e industriosa che lavora e porta avanti la famiglia (31, 10-31). La celebre poesia di Eugenio Montale «Ho sceso le scale, dandoti il braccio, almeno un milione di volte» mi sembra particolarmente eloquente al riguardo. È lui, il poeta, che dà il braccio all’ipovedente Drusilla Tanzi, ma adesso che ella è morta prende coscienza che è stata piuttosto lei a guidarlo nella comprensione del reale e a ispirare la sua poesia.

“Dietro ogni grande uomo c’è una grande donna”: una sentenza che vuole rendere giustizia alle tante donne alle quali le culture o le circostanze raramente hanno permesso di emergere, ignorando il loro contributo alla storia e ai saperi. Eppure oggi può essere intesa in maniera negativa, sessista. Qualcuno l’ha mai pronunciata specularmente affermando che “dietro ogni grande donna c’è un grande uomo”? Alcuni uomini si senterebbero sminuiti o umiliati se queste parole fossero rivolte a loro. Siamo abituati, ad esempio, a dare rilievo alle “first ladies”, mentre generalmente si ignorano i partner delle donne leader della politica per i quali non si è ancora affermato un nome che ne identifichi la figura (perché non ce l’hanno, o perché di scarsa rilevanza), anche se in alcuni luoghi li si chiama “first gentlemen”.

Di fatto, ed è questo l’asserto del presente sintetico contributo, molte donne sono devenute fonte di ispirazione per tante altre persone, donne o uomini che siano. Le troviamo tra mamme e mogli comuni come tra scrittrici e mistiche famose, tra monache e scienziate. Di alcune l’influenza sulla società e sulla storia è acclarata, da Nilde Jotti a Rita Levi Montalcini, da Maria Montessori a Natalia Ginzburg, da Armida Barelli a Chiara Lubich, solo per un accenno al Novecento italiano. Ed è subito evidente quanto queste grandi donne abbiano influito su tanti uomini del loro tempo e continuino ancora oggi ad essere di ispirazione per molti.

Limitandomi al rapporto donna-uomo, propongo uno sguardo veloce, appena evocativo, su quattro esperienze puntuali, scelte nell’abito della spiritualità cristiana.

Inizio così l’ultimo articolo appena pubblicato: Una grande donna accanto a ogni grande uomo (e viceversa), “Nuova Umanità”, 45 (2023/1), p. 63-81.

sabato 13 maggio 2023

Nella comunione dei Tre

 

Il Cielo oggi si riversa sulla terra. Gesù prega il Padre che manda lo Spirito. Egli stesso si muove incontro a noi e giunge con il Padre e lo Spirito. Tutta la santissima Trinità viene a prendere stabile dimora tra noi.

L’amore soltanto sa vederti e cogliere la sua presenza. Il “mondo”, invece, dove è assenza d’amore, non vede e non crede. Spesso noi stessi viviamo come fossimo orfani e ciechi. La pienezza della luce, della vita e della gioia, da parte nostra, è infatti condizionata dalla volontà e dalla capacità di accoglienza: “Se mi amate… Chi accoglie i miei comandamenti…”. Possiamo amare o non amare, ascoltare o non ascoltare… Dio ci dona questa tremenda possibilità di accoglierlo o di rifiutarlo, di aprirci a lui o di rinchiuderci in noi: ci ha resi liberi, come lo è lui.

Ma la sua libertà si apre sempre e solo all’amore e al dono. È certo che il Padre dona lo Spirito, è certo che lo Spirito rimane con noi, è certo che Gesù ci ama e si manifesta a noi. Da parte sua possiamo esserne sicuri: non ritira mai la sua promessa, il suo amore non viene mai meno, non nasconde mai la sua presenza. È da parte nostra l’incertezza, la sospensione. Il tradimento è sempre in agguato, come il dubbio, la stanchezza della sequela, l’assuefazione.

Come vedere, sentire, riconoscere la sua presenza tra noi? “Se mi amate… Chi accoglie i miei comandamenti…”. La condizione è un amore fatto di concretezza, non di parole soltanto o sentimenti. L’amore, quello vero, spinge a vivere come Gesù ha insegnato e vissuto. Se lo amiamo veramente si accende il desiderio di essere come lui, di dargli gioia nel volere ciò che egli vuoi. Ed è aderendo ai suoi insegnamenti che, a sua volta, s’accende l’amore e impariamo ad amare.

Se così avviene ecco il miracolo: Gesù torna al Padre e rimane presente tra noi, è nel Padre e noi in lui e lui in noi. L’umanità avrebbe mai potuto pensare una simile immanenza, sperare una intimità così profonda, sperimentare una amicizia tanto sincera?