martedì 30 giugno 2020

365 ragioni (più una) per non temere




Gli studiosi mi dicono che nella Bibbia l’invito: “Non temere, non temete”, appare 365 volte. Siamo a posto, ne abbiamo uno al giorno!
E quando c’è l’anno bisestile, come in questo 2020? C’è la domanda supplementare del vangelo di oggi: “Perché temete?”.
Già, perché temere?
Con questa assicurazione del Signore possiamo stare tranquilli: anche quando dorme Egli c’è, e veglia!

lunedì 29 giugno 2020

La nuova geografia con il Covid-12



Un’altra eco in risposta a quanto ho scritto nei giorni scorsi sul coronavirus.

La pandemia da coronavirus di quest’anno 2020 non è ancora passata, ma siamo già nell’orizzonte di capire insieme come costruire il nostro tempo del dopo coronavirus.
Cosa sto imparando in questa straordinaria esperienza inedita nella storia dell’umanità vissuta insieme a 196 Stati e 8 miliardi di persone? Perché è questo lo straordinario di questo insegnamento: anche se nel passato remoto o prossimo ci sono state diverse epidemie e pandemie pericolose, nessuna ha potuto circolare così nel mondo come quella del Covid-19.
Dunque, la prima lezione è la scoperta di una nuova geografia: siamo tutti interconnessi, attraverso un sistema complesso di strutture umane ed economiche, che se da una parte hanno permesso di far correre il contagio velocissimamente, dall’altra ci ha messi tutti in relazione. Stiamo di fatto riscrivendo le nostre mappe geografiche, dove i confini non sono solo regioni e stati ma i luoghi dove si lotta per vincere il contagio. Il piccolo territorio è diventato di aiuto al grande per sostenerlo. 

Questa scoperta ci ha permesso di “guardarci” attraverso le nostre fragilità, riscoprirci persone che hanno bisogno gli uni dell’altri: proprio la nostra debolezza, di anziani, malati e poveri, è diventata misura per “vedere” come corre il contagio, ma nello stesso tempo per apprezzare il valore di ogni singolo uomo al di là del suo saper fare.

Incredibile conseguenza della circolazione del virus è che stiamo acquistando la mentalità che nessuna “chiusura” può bloccare il fluire di idee, sentimenti, valori: ogni singola persona ha capito che se mette in comune il poco che sa e che è, può contribuire nel mondo, a sostegno del Bene.
La pandemia è infatti una gigantesca lente di ingrandimento: mette in luce quei particolari attorno e dentro di noi che ci permettono di vederci fragili e vulnerabili, ma forti perché vediamo gli uni negli altri reciproci bisogni e diversità. E questa lezione, unica e inedita ad oggi, ci sostiene e ci farà andare insieme oltre il tempo della pandemia. 

domenica 28 giugno 2020

La diaconia della preghiera



Ordinazione sacerdotale di Timothy King. Era da tanto tempo che non prendevo parte ad una ordinazione, forse da quando ero superiore a Vermicino. Un momento di intensa gioia e commozione.
Tim ha 70 anni, ma il tempo non conta.
Durante l’ordinazione mi ha fatto impressione - forse perché in questi giorni sto leggendo gli Atti degli Apostoli - sentire che il “diacono” Kim veniva chiamato per accedere all’ordine del presbiterato. Ireneo di Lione è il primo che identifica i “Sette” degli Atti con i “diaconi”. Da allora è tradizione vedere nell’istituzione dei Sette l’istituzione dei diaconi. Eppure proprio in quel passo degli Atti degli Apostoli la parola diaconato è riservata ai Dodici, non ai Sette: “Noi – afferma Pietro – saremo perseveranti nella preghiera e nel servizio (letteralmente: diaconia) della Parola”.
Più si sale (se così di può dire) nel grado sacerdotale più si sale nella diaconia!
Tra le domande che il vescovo rivolge all’ordinando si chiede: “Vuoi insieme con noi implorare la divina misericordia per il popolo a te affidato, dedicandoti assiduamente alla preghiera?”. È proprio il compito che si sono riservati gli apostoli! Mi è apparso un compito straordinario!

sabato 27 giugno 2020

Un bicchiere d’acqua fresca (o calda?)


Che delusione, povero p. Fausto, quando si rese conto del vero – o presunto tale – significato dell’evangelico “offrire un bicchiere d’acqua fresca all’ospite”. Per anni, partendo dal bicchiere d’acqua fresca, aveva spiegato l’importanza di curare con attenzione i gesti d’amore in modo che siano fatti bene: “Non hai altro che acqua da dare all’ospite? Che almeno sia fresca!”. Gli dissero che in Oriente all’ospite si offre acqua riscaldata, più dissetante di quella fredda. Se qualcuno non ha neppure un focherello per scaldare l’acqua dia pure l’acqua così com’è: è un gesto povero povero, eppure, per quanto piccolo, anche questo atto d’amore avrà comunque una ricompensa.
Però p. Fausto aveva ragione. Quel bicchiere d’acqua, fredda o calda che sia, è sempre espressione di un dono.
La signora Maltese, una vecchia sola, una volta mi raccontò la gioia grandissima che le aveva dato p. Mimmo quando, andando a trovarla, le aveva portato una cipolla fresca presa direttamente dall’orto: non aveva altro da offrirle.
È il fatto di donare che conta, e quello che c’è nel dono: forse dovrebbe esserci tutto se stesso.

venerdì 26 giugno 2020

Due nuove opere d'arte per gli Oblati



Gli Oblati hanno tanti doni, ma non quello di suscitare arte. Ci sono buone opere in giro per il mondo, ma mi pare che quelle di valore siano poche. Comunque sono arrivati a casa nostra due quadri molto belli, due ritratti di grandi dimensioni, alti più di un metro e mezzo, di sant’Eugenio e del beato Gérard, dipinti una ventina d’anni fa.
Dalla chiesa di Maddaloni, che gli Oblati hanno lasciato anni fa, sono passati a quella di Cagliari, ma non c’era posto: tutta la chiesa era già stata occupata dai santi salesiani.
Eccoli dunque felicemente dirottati alla casa generalizia dove troveranno la dovuta sistemazione.
L’autore è il napoletano Gennaro Dinacci che ha perfezionato la sua formazione tecnica ed artistica con lo studio dei grandi maestri della pittura negli anni in cui ha lavorato al Museo Nazionale di Capodimonte e alla Reggia di Caserta quale restauratore di opere d'arte con le Soprintendenze di Napoli, di Caserta e di Salerno. Adesso ha un atelier-laboratorio sulla provinciale Fondi-Sperlonga.

La storia di questi quadri è un po’ un romanzo, ed è legata a p. Ottorino Casarotto, che è stato 18 anni parroco a Maddaloni. Dinacci aveva già restaurato alcune tele della chiesa. Il rapporto con p. Ottorino lo portò ad un profondo cambiamento spirituale e come riconoscenza espresse il desiderio di fare qualcosa per la chiesa. P. Ottorino gli suggerì di dipingere un grande quadro dell’Amore misericordioso.
A quel punto Dinacci passo per una serie drammatica di interventi chirurgici che lo condussero in fin di vita. P. Ottorino, che andò a dargli gli ultimi sacramenti, disse chiaramente al Signore che se il suo pittore moriva non ci sarebbe stato più un quadro in suo onore. Si vede che il Signore ci ha ripensato e così Dinacci poté dipingere il quadro. Un quadro tira l’altro… Così oggi abbiamo questo bel dono. Ne siamo grati al pittore e a quanti ce l’hanno consegnato.

giovedì 25 giugno 2020

Il grido di Gesù ne "La Peste" di Camus


Naturalmente anch’io, come tanti in questo periodo, ho letto La peste di Camus. Rispecchia alla perfezione momenti e sentimenti che abbiamo vissuto e viviamo in questo tempo di coronavirus. È un’opera corale nella quale l’agnostico Camus riscopre il valore della solidarietà e della fraternità, uniche vie di riscatto dell’assurdo umano.


La scena più drammatica e più significativa mi è parsa la morte del figlio del giudice Othon, attorno al cui letto si ritrovano i principali protagonisti del romanzo. Siamo davanti allo scandalo della morte dell’innocente. Sono descritti con cura tutti i sintomi della peste, l’aggravarsi del male, la trasformazione del bambino in un essere disumano, quasi con artigli al posto delle mani, con un viso che torna ad essere quell’argilla prima che soffio di Dio l’umanizzasse.
La scena richiama esplicitamente la passione di Gesù in croce: “il bambino contrasse le gambe ossute e le braccia da cui la carne in quarantotto ore si era dissolta e nel letto devastato prese la posa grottesca di una creatura crocifissa”.


Quello che più mi ha colpito è il suo grido finale: “Nel volto ormai rappreso in un’argilla grigia la bocca si aprì e ne uscì quasi subito un lungo grido ininterrotto, appena alterato a tratti dal respiro, che subito riempì la corsia di una protesta monotona, discordante, e così poco umana che sembrava venire da tutti gli uomini insieme”.
La sala dell’improvvisato ospedale si unisce in coro a quel grido, interprete del grido di sofferenza dell’umanità intera.
Davanti a quella morte i mondi si dividono: padre Paneloux mormora. “È qualcosa che oltrepassa la nostra misura, ecco perché ci rivolta. Ma forse dobbiamo amare quel che non possiamo capire”; il medico Rieux ribatte: “No, padre. Io ho un’altra idea dell’amore. E rifiuterò fino alla morte di amare questa creazione dove i bambini sono torturati”.

Quel grido rimane al centro del libro. È lo stesso grido inarticolato, senza parole, di Gesù che muore sulla croce, come ci è narrato da Matteo e da Marco; un grido che ancora interpella e divide.
Certamente Camus si è ispirato a Gesù.
Ma forse è più vero il contrario: è Gesù che si è ispirato al bambino e ha vissuto in sé il suo grido, il grido di tutto l’ospedale di Orano, il grido della fede difficile di Paneloux e della rivolta di Rieux, il grido di tutta l’umanità.
La solidarietà e la fraternità che La peste postula sono frutto di quel grido di Gesù in croce, fattosi solidale con ogni grido, fratello con ogni umano.

mercoledì 24 giugno 2020

Quel che resta delle parole


“Fra quattro anni ci rivediamo”, mi disse l’oculista.
“Fra quattro anni? Ma la patente dura dieci anni”.
“Sì, ma fra quattro anni lei avrà sessant’anni”.
Fu uno choc, non avrei mai pensato che stavo per raggiungere i sessant’anni. La visita medica per il rinnovo della patente mi lasciò senza parole.
Sì, ormai la mia vita stava terminando. Avrei dovuto trovare le parole giuste che mi avrebbero accompagnato nell’ultimo tratto; parole per vivere, o meglio parole che mi avrebbero potuto aiutare a “sopra-vivere”. La vita l’ho già vissuta, mi dicevo, ora occorre una vita ulteriore, “sopra”...

Iniziai così a raccogliere parole che mi avevano ispirato nel passato, a cercarne altre nel presente, a invernarne di nuove che mi aprissero al futuro.
Iniziai a scriverle. Ne nacque un piccolo libretto: Parole per sopra-vivere. Lo feci leggere al direttore di Città Nuova. “Troppo personale”, mi disse.
Un giorno scoprii apa Pafnunzio e cominciai a prestargli le mie parole per sopra-vivere. Questa volta Città Nuova le accettò, senza riconoscere nei detti di apa Pafnunzio le mie parole.

Alcune di quelle parole di allora sono rimaste inedite.
Così ecco il mio nuovo libretto, con quel che resta delle parole per sopra-vivere… con la solita alta tiratura di copie!

martedì 23 giugno 2020

La notte di san Giovanni senza streghe, con una fatina buona


La notte di san Giovanni i romani la passavano sui prati davanti alla basilica. Mangiavano lumache e suonavano i campanacci perché le streghe che passavano in cielo non scendessero a fare danni. Le streghe infatti quella notte si ritrovavano a Benevento per il sabba annuale e la rotta di quelle del nord passava sopra la basilica di san Giovanni.
Fino a qualche anno fa c’erano ancora bancarelle e luminarie in piazza san Giovanni. Poi la desolazione. Chi crede più alle streghe? A Benevento è rimasto soltanto il liquore Strega e il premio letterario Strega. A Roma poi perché ritrovarsi a fare festa in piazza san Giovanni quando ogni sera c’è la movida per la città? Poi quest’anno, con la chiusura degli spazi aerei per il coronavirus, anche le streghe non possono volere sulle loro scope.

Eppure fino a un anno fa ho continuato a far festa con l’omonima Giovanna Clemente. Contrastava le streghe, lei fatina buona. Questa volta facciamo festa lo stesso, noi qua e lei là in cielo.
Per caso in questi giorni ho riletto la sua testimonianza. Gliel’avevo chiesta nel 1996 per una serie di articoli poi confluiti nel libro Seguire Gesù. Risposta a una chiamata, pubblicato in quello stesso anno. Stavo scrivendo sulla vocazione secolare e chiesi a Giovanna la sua esperienza. L’articolo porta il titolo Tra la folla con Dio nel cuore. La secolarità consacrata. Ed ecco la breve testimonianza di Giovanna:

«Ero ancora una ragazzina quando sono stata abbagliata dall’amore di Dio. È stata una scoperta grandissima, quella di sapermi amata da lui. Avrei voluto gridarlo a tutti. Volevo essere tutta sua, ma non sapevo come fare. Non volevo andare in un convento, anche se apprezzavo tantissimo la vita delle suore. Volevo essere tutta di Dio, ma continuare a camminare per le vie del mondo. Una ragazza, una donna normale, come tutte, e nello stesso tempo diversa dalle altre, nel senso che volevo essere tutta donata a Dio. Pensavo che così mi sarebbe stato più facile trasmettere a tutti l’amore di Dio che sentivo dentro di me.
Quando ho conosciuto un istituto secolare – le Cooperatrici Missionarie Oblate dell’Immacolata – ho trovato il modo per realizzare il mio sogno: una vita consacrata nel mondo. Rimanere nel mondo, ma con uno stile tutto cristiano.

Il mondo è ora il luogo della mia santificazione e la via del mio apostolato.
Mi sembra di rivivere la vita di Gesù che, essendo Dio, si è fatto uomo per vivere la nostra vita di uomini e donarci la sua vita divina. Il mio sogno diventa realtà: essere un altro Gesù per le strade del mondo e come lui essere speranza, amore, accoglienza per tutti quanti incontro.

Vivo in un piccolo appartamento, nel cuore della città, con altre compagne con le quali condivido la scelta della consacrazione. Ogni mattina mi incontro con Dio nella preghiera, mi rivesto di lui. Nel dialogo quotidiano con Cristo e nella comunione con le mie sorelle trovo la luce e la forza per incontrare i miei alunni e colleghi.

Insegno in una grande scuola statale. È il mio mondo, al quale mi dedico con passione. Mi sento interpellata dalle alunne, dalle loro situazioni, dalle loro famiglie. Spesso si confidano con me come con una amica. Per loro sono più che una professoressa… Amo questo mio mondo. Anche Dio ha tanto amato il mondo da mandarvi il Figlio suo. Come il Figlio di Dio che s’incarna, anch’io cerco ogni giorno di “incarnarmi” nel mio mondo per essere “prossimo”, ossia vicina a quanti incontro, e dare ciò che ho ricevuto».


lunedì 22 giugno 2020

Orazione: un incontro di famiglia



Una caratterista dell’orazione oblata è che viene vissuta insieme. Pur in forma silenziosa e personale, essa è celebrata da tutti i membri della comunità riuniti davanti a Gesù Eucaristia.
È una delle più belle espressioni della loro unità attorno a Gesù: «Nella misura in cui cresce tra loro la comunione di spirito e di cuore, gli Oblati testimoniano davanti agli uomini che Gesù vive in mezzo ad essi e fa la loro unità per mandarli ad annunciare il suo Regno» (C 37).
«Malgrado le tante esigenze del ministero – ricorda ancora la Regola –, uno dei momenti più intensi nella vita di una comunità apostolica è quello della preghiera in comune: radunata davanti al Signore, in comunione di spirito con gli assenti, si rivolge a lui per cantare le sue lodi, ricercare la sua volontà, implorare perdono e chiedergli forza per meglio servirlo» (C 40).
Ha dunque il carattere di un incontro di tutta la famiglia oblata in Gesù Eucaristia.

Gli scritti di sant’Eugenio testimoniano la gioia che provava nel trovare tutti i suoi figli in Gesù Eucaristia. In un tempo in cui l’unico mezzo di comunicazione era la posta, che esigeva mesi per raggiungere i missionari più lontani, l’orazione serale era il quotidiano comune centro d’incontro tra tutti.
Dai suoi scritti appare anche la concretezza della sua preghiera, durante la quale si intrattiene con i suoi missionari, che ama immaginarsi ai loro posti di lavoro, nelle situazioni più difficili, e dei quali amichevolmente parla con il suo Signore.
Da Roma, il 31 dicembre 1825 scrive alla comunità di Marsiglia: «Stanotte mi sono occupato molto di voi tutti con grande consolazione, davanti al SS. Sacramento che resta esposto per due notti durante le Quarantore; e ancora stamane alla santa messa e poi durante la mia ora di adorazione».

10 gennaio 1852 a p. L’Hermite a Bordeaux: «Sapete che siete sempre presenti alla mia mente, al mattino durante il santo sacrificio, a sera durante l’udienza che ci offre il nostro divin Maestro quando veniamo a porgergli i nostri omaggi nell’orazione che ha luogo in sua presenza dinanzi al tabernacolo. Ve lo ricordo, figliolo caro, perché vi troviate assieme a me a questo appuntamento. È l’unico modo per accorciare le distanze: ritrovarsi fianco a fianco. Non ci si vede, ma ci si sente vicini, ci si ascolta, ci si confonde in una massa medesima».
Il 4 gennaio 1856: «Dio, predestinandomi a divenire padre di una famiglia numerosa nella Chiesa, mi ha fatto dono di un cuore tale che basta ad accogliere tutti i miei figlioli, offrendo a ciascuno il grado di affetto e di amore sincero che gli è dovuto; ma mi ci vorrebbero cento mani per mantenere una corrispondenza come vorrei con tutti coloro che mi danno segno del loro attaccamento. Non mi rimane che occuparmi molto di loro davanti al Signore, sia offrendo ogni giorno per loro il santo sacrificio della Messa sia pregando per essi ogni sera nell’orazione dinanzi al SS. Sacramento Così in qualche modo do loro appuntamento nel cuore adorabile del nostro divin Salvatore».

Il 6 marzo 1857: «Non potete credere quanto io mi preoccupi dinanzi a Dio per i nostri missionari della Rivière Rouge: questa presenza è l’unico mezzo di avvicinarmi ad essi perché dinanzi a Gesù Sacramentato a me pare di vedervi, mi pare di toccarvi e deve capitare spesso che an­che voi vi troviate alla sua presenza; allora noi ci ritroviamo in questo centro vivo che ci fa comunicare tra di noi».

25 marzo 1857, ricordando che ogni giorno ha presenti davanti al Signore i suoi figli, così scrive a uno dei missionari del Canada: «Quale grande gioia avere un centro comune dove ci si può ritrovare giornalmente! Quale delizioso appuntamento l’altare sul quale si offre la vittima santa e quel tabernacolo dove ogni giorno si viene ad adorare Gesù Cristo per conversare con lui di tutto quel che ci interessa. Io gli parlo di voi con tutta l’effusione del cuore; e gli parlo di tutti gli altri figlioli che la sua bontà mi ha dato: gli chiedo di mantenervi nei sentimenti di quella perfezione religiosa di cui voi avete dato esempio durante il noviziato e lo scolasticato. Lo prego di conservarvi in un sentimento di umiltà profonda in mezzo ai prodigi di zelo, mortificazione, carità che il vostro ministero così duro molto spesso vi dà occasione di compiere. Lo supplico inoltre di mantenervi tutti in buona salute perché possiate continuare a lungo a rispondere alla vostra sublime vocazione per la gloria di Dio e la salvezza delle anime, queste povere anime rimaste totalmente abbandonate e che possono salvarsi soltanto per mezzo vostro, servi così generosi che non avete altro di mira in questo mondo. Quale ricompensa avrete, solo Dio può valutarlo».

domenica 21 giugno 2020

Le sette note della Chiesa


Come sette? Non sono quattro le “note” della Chiesa?
- una
- santa
- cattolica
- apostolica.
Così almeno proclamiamo nel Credo.

Da tanto tempo prego ogni giorno perché la Chiesa sia più bella, più santa, più mariana, più evangelica, più profeta, più carismatica, più missionaria.
Non so da dove mi è venuta questa sequenza, sempre la stessa, ogni giorno, ripetuta con ostinazione.
Soltanto adesso mi accorgo che è un settenario e che a forza di ripeterlo lentamente mi si sono costituite come sette “note” della Chiesa. Credo di rimanere nell’ortodossia.
Le ripeto semplicemente così, una dopo l’altra. 

Un giorno mi piacerebbe commentarle, a cominciare dalla prima: se la Chiesa non si presenta bella, come potrà essere attraente? Gesù l’ha pensata come sua sposa “tutta gloriosa senza macchia né ruga” (Ef 5, 27). Una sposa bella e giovane!

sabato 20 giugno 2020

Quei due passeri venduti per un soldo


Apa Pafnunzio ruminò l’antico proverbio: “Non cade foglia che Dio non voglia”. Quanta saggezza nei detti popolari, pari a quella dei detti che si tramandavano i Padri del deserto. Il proverbio che andava ripetendo non era una parola degli antichi monaci, come non era di nessuno dei suoi compagni della laura. Da dove proveniva? Si trattava certamente di una rielaborazione della famosa parola di Gesù: “Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza che il Padre lo voglia”.
Anche apa Pafnunzio era convinto che dietro ogni evento vi fosse la mano provvida di Dio. Sì, quel detto gli piaceva davvero e ogni volta che lo mormorava il cuore gli si rallegrava.
Quella sera quando, al calare della brezza, vide una foglia staccarsi dall’albero vicino alla sua cella, fu colto da un dubbio. Sentì vibrare in sé il fremito della foglia che moriva. Dunque, si domandò, il Padre vuole la morte di un passero, come quella di ogni essere vivente, compresa quella della foglia che, dopo aver volteggiato con un gemito nell’aria, si è ormai irrimediabilmente distesa sulla terra nuda? Non è Egli il Dio della vita e non della morte? 

Turbato, il giorno seguente ne parlò con apa Serapione, che sapeva versato nelle Sacre Scritture. Apa Serapione prese il sacro testo che teneva avvolto in un panno ricamato e lentamente si avviò verso il Vangelo di Matteo. Era dotto, apa Serapione, e lesse la parola del Signore nell’originale greco. “Hai sentito quello che ha detto Gesù?”. Apa Pafnunzio conosceva il siriaco e il copto, ma non aveva dimestichezza con il greco. “Mi avrai letto la parola di cui ti ho parlato: nessun passero cadrà a terra senza che il Padre lo voglia”.
“No – riprese apa Serapione guardando il fratello con un sorriso compassionevole. Il Signore ha detto semplicemente: nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il Padre. Nel testo greco che ti ho letto non c’è il verbo volere. Dio non vuole che il passero cada a terra, non lo vuole neppure per la foglia. Gesù ha detto semplicemente che il passero non cade senza il Padre, non cade senza il Padre al suo fianco, senza che Dio non cada insieme a esso e lo accompagni e lo accompagni nella morte”.
Verso sera Apa Pafnunzio tornò alla sua cella e si rimase fuori a sedere, contemplando gli ultimi raggi del sole. Al calare della brezza una foglia si staccò dall’albero vicino alla cella.
Apa Pafnunzio vide il Padre che accompagnava la foglia nel fremito della sua ultima danza e lo vide morire a terra con lei.

venerdì 19 giugno 2020

Ragazzi, "siete una squadra fortissimi"


Ho intercettato la lettera di una maestra ai suoi alunni di IV B. Uno spaccato del tempo vissuto a scuola con il Covid-19.

Carissimi ragazzi,
di solito sono gli alunni che scrivono agli insegnanti alla fine dell’anno scolastico, ma oggi vorrei anch’io scrivervi al termine di questo che è stato per tutti noi Un anno speciale.
Anche se ci siamo visti ogni giorno a lezione a distanza, non ci incontriamo dal “vero” dal 4 marzo e la pandemia causata nel mondo dal coronavirus, che ha cambiato molto delle nostre vite, ci ha costretti a inventarci la Didattica a Distanza per continuare ad andare a scuola. Tre mesi intensi. Belli, pieni di voi, della vostra vita che è arrivata direttamente dentro casa mia, sebbene dalla piattaforma on line Webex, e ha portato tanta gioia e luce alle mie giornate chiusa in casa.

Grazie ragazzi!
Con il vostro esserci, ogni giorno attraverso il pc tra il vostro “buon giorno maestra” ed “eccomi maestra”, siete cresciuti e diventati più responsabili; tra “scusa sono in ritardo perché non riuscivo a connettermi” e  “maestra si sente a scatti”, vi siete impegnati moltissimo dimostrando di volere apprendere sempre meglio; tra “non ti sentiamo” e “si, ora si sente benissimo”, avete continuato a studiare bene e a collaborare tra voi. Con la vostra quotidiana allegria, con questa “normalità” degli ultimi tre mesi di scuola mi avete aiutata ad essere una maestra, anche chiusa in casa, avete riempito le mie giornate e mi avete salvata da un altro pericoloso “virus” diverso del Covid-19, il virus dello stare isolati e del non potersi incontrare.
  
Grazie ragazzi!
Vi siete subito adattati al modo nuovissimo e diversissimo di studiare insieme. Bravi! Senza mai scoraggiarsi, anche quando c’erano problemi di connessione, libro e quaderno in mano e concentrazione sull’argomento, siete andati avanti con autonomia e spirito d’iniziativa. Sempre ascoltando i miei consigli, suggerimenti … e a volte i miei rimproveri. Avete tirato fuori i vostri talenti e il vostro desiderio di imparare nonostante le difficoltà della distanza. Avete capito perfettamente che per andare in V elementare dobbiamo mettere in pratica quanto imparato in questi quattro anni di studio insieme, ciascuno secondo le proprie attitudini e capacità.

Grazie ragazzi!
Siete un team bellissimo, “siete una squadra fortissimi”, come direbbe Checco Zalone. E io sono molto orgogliosa di ciascuno di voi! La vostra forza è stare insieme, collaborare, aiutarsi gli uni gli altri, scoprire tra voi che le piccole e grandi diversità sono la vostra ricchezza, da custodire. Sempre pronti a rinunciare al proprio per aiutare chi è in difficoltà, e chi non riesce in qualcosa sempre libero di chiedere aiuto ai compagni. Come ho fatto anch’io con voi a lezione: mi avete aiutata a scrivere in chat, a spiegare a interrogare, a inventare una scuola bella anche a distanza.

Grazie ragazzi!
Per le nostre chiacchierate e per i nostri giochi a distanza. Vi svelo un segreto: aspettavo il lunedì e il mercoledì per collegarmi il pomeriggio alle 14.30, prima della lezione, per bere il caffè con voi e giocare a “Indovina cosa ho mangiato?”. Il bello della scuola è proprio questo: stare insieme con gioia alunni e insegnanti!

giovedì 18 giugno 2020

Cuore i Gesù: festa oblata / 2


La conversione di sant'Eugenio
nel Venerdì santo del 1807
Aix, 8 febbraio 1816
Il nostro ritiro oggi ha toccato uno dei momenti più alti: è giunta l’autorizzazione ad erigere, nella nostra chiesa di San Vincenzo de Paoli, detta della Missione, la Congregazione del Sacro Cuore di Gesù, aggregata alla pia unione del Sacro Cuore eretta a Roma nella chiesa di Santa Maria della Pigna, detta in Capella.
Appena eretta l’associazione noi sei missionari, per primi, abbiamo recitato la preghiera di rito. Le ultime parole mi hanno particolarmente toccato: “O mio Gesù, raccogli nel tuo Cuore tutti gli associati a questa pia unione, così che ardano del tuo divino amore compiendo in modo perfetto i tuoi divini precetti e i doveri del proprio stato”.
È dal tempo del mio esilio a Venezia, quando avevo ancora 14 anni, che ho imparato da don Bartolo Zinelli, ad amare in modo particolare il Cuore di Gesù, dal quale mi sono sempre sentito amato. Allora, con l’ingenuità e la purezza di un ragazzo, annotai nel mio quaderno: “Unirò le mie deboli adorazioni a quelle dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria, degli Angeli e dei Santi… Bacerò con rispetto il mio crocifisso sulla Piaga del Cuore”. (Dal diario di Sant’Eugenio de Mazenod, libera ricostruzione)

Su richiesta di p. J.-B. Lemius, superiore dei cappellani di Montmartre, e del p. Cassien Augier, superiore generale, il papa Leone XIII, con decreto del 19 maggio 1900, affidò agli Oblati la missione di diffondere lo scapolare del Sacro Cuore come “simbolo dell’Amore redentore”.
In quella occasione il superiore generale scrisse agli Oblati:

Esso ci costituisce ufficialmente Apostoli del Sacro Cuore, araldi del suo amore, unitamente all’amore e alla misericordia di Maria. [...] Missione particolarmente feconda per noi stessi, per la Congregazione e per le anime a cui siamo inviati, dandoci un diritto speciale alle innumerevoli grazie promesse dal Signore a coloro che lavorano per far conoscere e amare il Sacro Cuore. [...] Missione, infine, mirabilmente coerente con lo spirito della Congregazione; spiega e corona tutta una serie di fatti, che non esitiamo a chiamare provvidenziali. Non è da oggi, infatti, che l’albero benedetto della devozione al Sacro Cuore di Gesù è stato piantato nella nostra famiglia religiosa. Lo è stato fin dal principio; sarebbe più esatto dire che la Congregazione è stata fondata e piantata nel Cuore divino. [...].
Lo spirito del Padre è passato ai figli come preziosa eredità. Possiamo dire che oltre al culto di Maria, con il suo nome e i numerosi santuari, niente era più caro alla pietà dei figli di mons. de Mazenod dell’amore al Sacro Cuore di Gesù. Amore che è andato crescendo dal giorno in cui la fiducia del venerato Cardinale Arcivescovo di Parigi, mons. Guibert, ci ha chiamati ad essere i custodi del più bel santuario che la riconoscenza, il pentimento e l’amore hanno elevato all’adorabile Cuore di Gesù. Con Montmartre, la nostra missione di apostoli del Sacro Cuore si è resa più evidente; è diventata pubblica. Con lo Scapolare del Sacro Cuore è stata riconosciuta dalla Chiesa stessa; diventa ufficiale. Affidandoci il nuovo Scapolare, Leone XIII ci investe formalmente del compito speciale di predicare la devozione al Sacro Cuore, di cui lo Scapolare è simbolo. [...]
Sarete Apostoli del Sacro Cuore di Gesù. Non contenti di studiarlo e amarlo, lo farete conoscere e amare intorno a voi. Ne parlerete ai fedeli, soprattutto ai sacerdoti, i quali, a loro volta, effonderanno sul loro gregge luce e fuoco che hanno ricevuto da voi. Potrete mostrare loro il posto unico che, secondo i disegni di Dio, la devozione al Sacro Cuore di Gesù deve ora occupare nella Chiesa. (Circolare n. 73, 27 agosto 1900, Circulaires administratives, 2, p. 437-440)

Tra gli Oblati non sono mancati grandi apostoli del Sacro Cuore, come p. Alfred Jean-Baptiste Yenveux, per 30 anni cappellano di Montmartre: ha pubblicato un’opera in cinque volumi sulla dottrina del Sacro Cuore intitolata Il Regno del Cuore di Gesù. Anche p. Jean-Baptiste Lémius, superiore di Montmartre ha scritto molto su questo argomento, così come p. Félix Anizan. Dobbiamo poi ricordare il servo di Dio p. Victor Lelièvre, che aveva sempre il Sacro Cuore “sulle labbra e nel cuore”, e il venerabile mons. Ovidio Charlebois.

Possiamo concludere con le parole di p. Deschâtelets: «Gli Oblati amano Gesù Cristo, nostro Redentore, nostro Salvatore. Amare Gesù è amare l’amore stesso. È amare l’amore di Dio per l’umanità. [...] L’Oblato ama Gesù in modo tale da attuare il per Ipsum, cum Ipso et in Ipso della Messa quotidiana. Questo amore chiede all’Oblato di dedicarsi interamente al servizio di Gesù nel vero spirito di adorazione ed espiazione per i peccati del mondo ...» (L. Deschâtelets, Oblate spirituality, « Études Oblates » 8 [1949] 158).

* * *

Il manuale La preghiera oblata del 1986 non riporta più la preghiera di Consacrazione al Sacro Cuore che si recitava fin dall’inizio della Congregazione e neppure l’Atto di consacrazione degli Oblati al Sacro Cuore. (Non vi è più neppure la terza preghiera, l’Atto di riparazione, che compariva fin dal primo opuscolo pubblicato dal Fondatore nel 1820 e rimasto fino al manuale del 1958).
Nell’edizione italiana del 1986 compare invece un’altra preghiera intitolata “Consacrazione al Sacro Cuore”, scritta con molta probabilità da p. Gaetano Liuzzo, omi (appare infatti nel libro di preghiere delle COMI del 1959):

Cuore sacratissimo di Gesù,
unico Figlio del Padre e di Maria Immacolata, madre nostra,
col cuore pieno di riconoscenza per gli innumerevoli benefici ricevuti,
noi – Missionari Oblati di Maria Immacolata –
ti rinnoviamo la consacrazione della nostra Famiglia Oblata:
al tuo onore e al tuo servizio votiamo per sempre le nostre persone, le nostre opere e, in particolare, la nostra comunità.

Cuore di Gesù, ricco per quanti ti invocano con fede,
riempici del tuo spirito di santità,
rendici sempre disponibili al tuo amore
e alla vocazione che ci hai dato.
Infondi nei nostri cuori la carità ardente e generosa
– testamento del nostro Santo Fondatore –
che faccia di noi una vera famiglia
«con un sol cuore e un’anima sola»,
come Tu sei Uno col Padre e con lo Spirito Santo.
Donaci la carità universale e lo zelo instancabile del Santo Eugenio
che ci renda in ogni parte del mondo autentici missionari:
umili servitori della tua Chiesa,
fedeli annunziatori del tuo amore e testimoni della tua risurrezione,
con la vita, con la parola e con tutti i mezzi,
come tuoi cooperatori a lode della tua gloria
e per la salvezza delle anime più abbandonate.

Cuore di Gesù, sorgente di ogni vita e di ogni bene,
colmaci dei tuoi doni,
potenzia le nostre energie,
benedici e moltiplica le nuove vocazioni
affinché questa tua famiglia
– che vuol vivere ed operare solo con Te, in Te e per Te –
continui dovunque la tua missione di Salvatore e Redentore di tutti gli uomini.

Accogli questa nostra consacrazione e le nostre preghiere:
le affidiamo alle mani e al cuore di Maria Immacolata,
a gloria del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Amen.

mercoledì 17 giugno 2020

Cuore di Gesù: festa oblata / 1


Vetrata della chiesa della missione ad Aix
La devozione di sant’Eugenio al Cuore di Gesù è già presente negli anni del suo ritorno in Francia. Nel 1808 entra a far parte del circolo di amici che padre Magy, ex gesuita, aveva raccolto a Marsiglia attorno alla statua del Sacro Cuore.
Una volta in seminario spiega ai suoi compagni che «La festa del Sacro Cuore è la festa dell’amore di Gesù Cristo per gli uomini. Occorre dunque amare gli altri con la forza dell’amore di Cristo». E alla mamma scrive: «Onorando il Sacro Cuore di Gesù, andiamo ad attingere l’amore di Dio alla sua stessa fonte» (1 maggio 1810).
Rientrato ad Aix, il 12 luglio 1814 chiede al Papa la facoltà di dar vita a una confraternita del Sacro Cuore di Gesù, affiliata a quella di Roma. Essa viene eretta l’8 febbraio 1816 nel coro della “Chiesa della missione”, allora ancora inagibile. La chiesa era già dedicata al Sacro Cuore, raffigurato nello stucco che dominava l’abside (rimosso nei restauri successivi). Attualmente il Sacro Cuore è raffigurato nella vetrata in fondo alla chiesa.

Nel 1820 e 1822 i Missionari di Provenza pubblicano un opuscolo di preghiere al Sacro Cuore, dove troviamo l’Atto di consacrazione composto nel 1718 da suor Anna Maddalena Rémuzat, Visitandina di Marsiglia (1696-1730). Sant’Eugenio l’ha fatto proprio e, inserito nel Manuale di preghiera, gli Oblati lo hanno ripetuto fino al 1986 (è infatti ancora presente nel Manuale del 1958):

O Cuore adorabile del mio divino Redentore, sorgente feconda di tutte le grazie, Re di tutti i cuori, oggi consacro a te il mio cuore con tutti i suoi sentimenti, e lo pongo interamente a tuo servizio.
Vieni dunque, mio Dio, e regna nel mio cuore; vieni a disporre in esso da vero sovrano, elimina tutto quanto può non piacerti, raddrizza le sue inclinazioni, correggi i suoi smarrimenti, purifica le sue intenzioni, imprimi in esso l’amore alle tue sante leggi. Fai in modo che la dolcezza, la pazienza, l’umiltà, il disprezzo e il distacco dai beni della terra, insieme a tutte le virtù che hanno fatto la tua gioia, diventino anche le gioie del mio cuore.
Sii la sua guida sulle strade pericolose del mondo, il suo consolatore nelle difficoltà, il suo rifugio nelle persecuzioni e il suo difensore davanti alle porte dell’inferno. Soprattutto ti scongiuro, per il Sangue prezioso versato per me, d’infiammare al massimo il mio cuore con il fuoco sacro che hai portato sulla terra.
Ho tanto da temere per la sua fragilità, ma pongo in te tutta la mia fiducia e tutto spero dalla tua bontà.
Brucia in me tutto ciò che ti dispiace; allontana da me tutto quanto può farti resistenza; imprimi a fondo il tuo amore nel mio cuore, così che mai possa offenderti, né dimenticarti, né essere separato da te.
Che il mio nome sia scritto nel tuo cuore, che il mio cuore sia simile al tuo, e che per te ami eternamente il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Amen. (Exercice à l’honneur du Sacré Cœur de Jésus…, Aix, Imprimerie de Tavenier, 1822, p. 3-4).

Una volta divenuto Vescovo di Marsiglia, sant’Eugenio ripristinò in città la processione del Sacro Cuore, abolita dalla Rivoluzione francese. Ogni volta era per lui una vera festa, che gli dava profonda gioia.

Mons. Guibert, divenuto arcivescovo di Parigi nel 1871, fece propria l’iniziativa del governo di erigere un santuario al Sacro Cuore, sulla collina di Montmartre, e il 16 giugno 1875 ne pose la prima pietra. L’anno successivo chiamò gli Oblati a prenderne la direzione. Questo fatto accrebbe sensibilmente la devozione al Sacro Cuore in tutta la Congregazione.
Agli Oblati fu affidato anche il santuario nazionale del Sacro Cuore in Belgio. Il ministero iniziò l’11 aprile 1905 in una cappella provvisoria.

Il Capitolo generale del 1873, dietro suggerimento di p. Yenveux, decretò che tutta la Congregazione venisse consacrata al Sacro Cuore. L’atto di consacrazione fu letto dal Superiore generale, p. Giuseppe Fabre, l’8 agosto, alla chiusura del Capitolo. Il testo era stato preparato da p. Rambert, superiore dello scolasticato di Autun, dove si teneva il Capitolo. È rimasto in uso fino al 1986. Ecco alcuni paragrafi:

Sacro Cuore di Gesù, Figlio unigenito di Dio Padre e della Vergine Maria, nostra Madre Immacolata; Cuore, tabernacolo dello Spirito Santo nel quale abita la pienezza della divinità, […] la Congregazione degli Oblati di Maria Immacolata si consacra a Voi nella persona del Superiore Generale, degli Assistenti e di tutti i membri del Capitolo Generale qui riuniti. Si consacra al vostro onore e al vostro servizio, con una consacrazione assoluta e perpetua. Vi offre, senza alcuna riserva, persone, beni e opere. Vi riconosce come unico Maestro e Sovrano. Solo in Voi vuole essere, muoversi e vivere. Amarvi sarà per sempre l’unica gioia; possedervi, l’unica ricchezza; servirvi, l’unica gloria. […].
Sacro Cuore di Gesù, cuore pieno di bontà e di amore, donateci questa carità, testamento del cuore del nostro amato Padre qui presente, affinché possiamo sempre vivere come fratelli, con un solo cuore e un’anima sola. […]
Sacro Cuore di Gesù, oh cuore, fornace ardente, infiammateci con il fuoco divino da spandere su tutta la terra, perché adempiamo fruttuosamente l’apostolato di rigenerazione e santificazione delle anime da Voi redente.

P. Achille Rey, racconta che mentre i padri capitolari stavano pregando, «Fuori si è scatenato un temporale; tuoni incessanti fanno da ottimo accompagnamento, lampi rapidissimi e abbaglianti si fondono con la luce delle candele, la pioggia cade a torrenti e flagella le finestre della cappella. Lo sconvolgimento della natura non turba affatto la calma e la maestosità dei canti, né il nostro comportamento davanti al Sacro Cuore. […] O Sacro Cuore di Gesù, siate sempre il rifugio sicuro della Congregazione degli Oblati di Maria Immacolata. Sotto la vostra protezione divina, essa non avrà timore di affrontare le tempeste» (A. Rey, “Missions OMI”, 11 [1873], p. 254-257).

Tre anni più tardi il Direttorio dei novizi e degli scolastici del 1876 (p. 153) presenta la devozione al Sacro Cuore come una devozione “speciale” nella Congregazione:

Questa deve essere una devozione speciale per tutti gli Oblati, soprattutto dopo la consacrazione dell’intera Congregazione al Sacro Cuore di Gesù, fatta nel 1873, in occasione del Capitolo generale.
Il Cuore di Gesù è il tabernacolo della divinità, la fonte della vita, il focolare dell’amore, il canale delle grazie, lo strumento delle misericordie. Deve pertanto essere oggetto di una devozione molto cara al cuore di un missionario, tanto più che Nostro Signore si è impegnato a concedere alle anime devote al suo divin Cuore la grazia di convertire i più grandi peccatori e far fruttificare senza misura il loro lavoro apostolico.


Il direttore di “Missions OMI” scrisse: «Il Sacro Cuore si è degnato di gettare uno sguardo di predilezione sulla nostra umile Congregazione e di associarla ai suoi disegni, [...] ovunque gli Oblati sono gli apostoli di questo culto di amore e di riparazione» (“Missions OMI”, 17 (1879), p. 243).