sabato 31 dicembre 2016

Il tesoro della Madre


Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore (Lc 2, 16-21).

“Dove è il tuo tesoro, lì è anche il tuo cuore”. Quando Maria ascoltò queste parole rivolte dal figlio alla folla, forse sorrise: le conosceva bene. Era lui il tesoro che il Padre le aveva affidato. Fin dal primo istante nel quale lo Spirito lo aveva generato in lei e da lei, il suo cuore era con il Figlio. Lo aveva sempre pensato, amato, ascoltato. Ha vissuto con lui, per lui, di lui. Lo ha accudito, fatto crescere… Era sua madre e per lui ha vissuto.
L’Occidente la dipinge in ginocchio davanti al suo bambino, a mani giunte, estasiata, tutta presa da lui.
L’Oriente la vede orante, con il figlio iscritto in seno, nel cerchio del cuore.
In Occidente Gesù è un bambino, vero uomo, adagiato in un presepe vero.
In Oriente è il Signore Iddio immerso nell’oro del cielo.
Per entrambe le tradizioni Maria è la Madre, custode del mistero e da esso rapita.
Ha generato colui che neppure i cieli possono contenere.
Egli è più grande di lei e lei lo contieni. Si è rimpicciolito perché ella potessi accoglierlo e si è fatto suo bambino.
Dio l’ha resa infinitamente grande per poterlo accogliere e l’ha fatta Madre di Dio.
Egli è talmente grande – è Dio! – che la riempie interamente. In Lui è il suo tesoro, in Lui il suo cuore. Tutta per lui, con tutta se stessa.

Così vorremmo essere noi.
Il cuore, inquieto, percorre mille sentieri, attratto da mille ricchezze disseminate lungo il cammino. Tutte belle, tutte buone, tutte nostre. Ma il tesoro è un altro e Maria oggi ci ricorda dove puntare il cuore.
Il suo perenne raccoglimento, il suo silenzio, la meditazione, l’adorazione di Dio, che in sé contiene ogni altra ricchezza, ogni altro amore, è l’icona del Natale. Che sia anche quella del nostro cammino, che riprende con il nuovo anno.

Mostra a noi il tuo Tesoro,
Vergine Madre,
come lo mostrasti a Giuseppe,
ai pastori, ai magi.
Insegnati a guardare tuo Figlio
con i tuoi stessi occhi di contemplazione
e adorazione
e amore.
Chiudi i nostri occhi
su altri tesori
e donaci sguardi per lui soltanto.
Educa il cuore a custodire,
nel silenzio e nella meditazione,
il mistero della presenza di Gesù,
perché sia sempre lì,
con il suo unico Tesoro.


venerdì 30 dicembre 2016

India: il Sole che splende


All’aeroporto di Mumbai, uno dei più belli dell’Asia, completamente rinnovato da poco tempo, in attesa di spiccare il volo, vediamo sorgere il sole in un globo di fuoco rosso.
A Dehli, mentre fuori la foschia rabbuia il cielo lattiginoso, il sole splende all’interno dell’aeroporto: il dio Sole, con i 24 raggi delle 24 ore del giorno (il dio risplende sempre, anche di notte!), con le 60 fiammelle che ardono una per ogni minuto (ogni attimo esiste perché raggio della sua luce). Un simbolo del nostro Natale, quando Cristo sorge, sole senza tramonto, Luce del mondo, che splende nelle tenebre.

Il tempo, che è galantuomo, nel viaggio di ritorno ci restituisce il giorno che si è preso venendo. Una lunga giornata di viaggio, col sole che ci accompagna, fin quando il tramonto si prolunga per quasi tre ore nel vasto orizzonte.  Sul velluto nero che copre la terra si posa leggero il nastro di luce con rapide graduali cromature che salgono dal rosso porpora all’arancio, giallo, verde, azzurro, blu intenso. La luna si annuncia discreta con appena un segno sottile. In basso il manto nero inizia a intessersi di mille fili d’oro: le città disegnano arazzi di astratte figure.






Che giorni intensi e ricchi di vita! Mentre mi preparavo al viaggio India ero esitante, mi sembrava una missione al di là delle mie capacità. Pochi giorni prima di partire mi è venute in cuore le parole di Paolo: «Quando sono venuto tra voi, non mi sono presentato ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso. Io venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione; e la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza» (1 Cor 2, 1-4).
Poi, alla partenza, la prima lettura della liturgia, quasi fosse riferita ai nostri amici Indù: «Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore, (…) li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. (…) Io ne radunerò ancora altri, oltre quelli già radunati» (Is 53, 6-8). Forte della Parola di Dio e contando sulla preghiera di tanti e sull’unità con Judy sono partito sicuro.
Durante il volo per l’India l’ufficio delle letture, che parlava di Dio che sceglie il re Ciro per compiere la sua opera, mi ha lanciato un ulteriore messaggio: se io sceglie una persona fuori del suo popolo per affidargli una missione, non può rivolgersi anche a Indù e Parsi, Musulmani e Giainisti? Chi può dire a Dio come deve operare, o accorciare il suo braccio?
A Roma mi attende la cupola di san Pietro, che appare fedele nella notte dalla finestra di casa. Con le larghe braccia del colonnato può accogliere tutti.


giovedì 29 dicembre 2016

India: 4 templi per 4 religioni, con Madre comune


Ultimo giorno indiano, il primo senza impegni. Judy decide per visitare uno slam, io alcuni templi, uno per ogni religione. Non posso visitare il Tempio del fuoco dei Parsi, precluso a chi non fa parte della religione zoroastriana. 

Scendo comunque a sud di Mumbai per iniziare con un tempio indù. Mi guida un giovane indù. La vicinanza del templio è evidente dall’intensificarsi dei negozietti con le offerte votive: fiori di loto, noci di cocco, ghirlande di fiori, dolci. I devoti le comprano per offrirle alle tre dee del panteon indù, moglie della trinità indiana. Lungo l’ultimo tratto occorre togliersi le scarpe e procedere scalzi. La folla si intensifica fino a diventare una fiumana, e non è un giorno di festa… ma sono tanti gli abitanti di Mumbai! Le due file separate di uomini e di donne si ricongiungono davanti alle divinità in una calca festosa e silenziosa insieme. Donano ai bramini le offerte e le riprendono in ritorno, benedette. Le tre dee hanno occhi grandi: ognuno vuole essere guardato dalla divinità; e hanno quattro mani ciascuna, perché la benedizione sia più abbondante…
Come ogni tempio che si rispetta anche quello di Mahalaxmi ha la sua storia, che culmina con un uomo che sogno la statua della dea nel vicino mare, e la trova veramente tra le acque della baia; ad essa verrà costruito il santuario.
Uscendo, sulla strada una donna accudisce due mucche: si può comprare un po’ erba da dare agli animali, oppure basta semplicemente toccarli per avere la benedizione; la mucca è come una mamma, dà il latte, il sostentamento…
  
Dal tempio indù alla moschea di Haji Ali Dargah, anch’essa con la bella storia di un ricco mercante, da cui essa prende nome, che, dopo aver tutto venduto ed aver compiuto vari prodigi come tutti i santi, muore; mentre viene trasportato verso la Mecca la cassa cade in mare e miracolosamente giunge sull’isoletta di Mumbai, dove adesso è custodito e venerato il corpo del santo.
Negozi e bancarelle cambiano di oggetti, ma avvicinarsi alla lunga passerella che congiunge la terra ferma all’isoletta provoca la stessa esperienza che per il tempio indù. È un via via continuo. Mentre ci si avvicina alla moschea, sui bordi del camminamento giacciono decine di malati, sciancati, ciechi che chiedono compassione e salmodiano il Corano. Una volta entrati occorre toccare la tomba del santo, pregare, sedere, semplicemente stare: siamo in un luogo benedetto e la benedizione va assorbita. Attorno non mancano i piccoli punti di ristoro, come in ogni santuario che si rispetti.

Ora è la volta del tempio giainista. Cambio ci scena. Non ci sono bancherelle, i fedeli sono pochissimi, il silenzio assoluto, interrotto soltanto dai rari tocchi di campana suonati da chi entra nella stanza centrale, che io posso guardare soltanto da fuori. Questa volta è un giovani giainista, che ha interrotto il lavoro nella sua gioielleria ed è corso per spiegarmi filosofia e rituali di una religione che egli asserisce essere la più antica di tutte (ma anche gli altri dicono altrettanto). Nel cortile alcune monache vestite con l’abito bianco, l’unico che possiedono, danno un senso ancor più intenso alla vita del tempio: si consacrano per tutta la vita con voti di verginità, sincerità, distacco, povertà, generosità; cambiano spesso da un tempio all’altro portando con sé quasi niente, dedite alla lettura dei testi sacri, alla meditazione, all’istruzione religiosa. Ricordo quando anni fa ne vidi partire due, una giovane e una anziana su una sedia a rotelle, accompagnate per un tratto da un gruppo di donne… adempievano davvero il loro voto di distacco.

Quarto tempio: il santuario della Madonna del monte, e sono nel cristianesimo! La gradinata che porta alla chiesa è stata costruita da un Parsi che ha attenuto una grazia dalla Madonna! Come con i templi indù e musulmano, anche qui il santuario è circondato da banchi non ghirlande di fiore, candele colorate e – cosa nuova – piccoli oggetti di plastica raffiguranti una casa, un ufficio, un passaporto, una gamba, un braccio, un bambino, delle monete… un ex voto anticipato, secondo la grazia che si vuole domandare alla Madonna.
La chiesa è piena di persone che pregano, e anche qui è un giorno qualsiasi. Vi sono molti indù. Qui vale proprio la pena pregare il rosario… quello cristiano.

Che grande Paese l’India, che atteggiamento inclusivo! C’è posto e accoglienza per ogni cultura e religione. Quale altro Paese offre due giorni di festa ad ogni religione? Due feste anche per i cristiani – Natale e Venerdì santo – che sono appena il 2%, e in questi due giorni sono chiuse scuole, uffici pubblici, banche… Altro che abolizione delle feste religiose per rispetto delle altre religioni; piuttosto rispetto per le altre religioni celebrando tutti insieme le feste le une delle altre.
Penso che Maria qui abbia proprio da fare! È la Madre, venerata dai fedeli di tutte le regioni, e può abbracciare tutti i suoi figli; tutti, anche Parsi e Indù, Giainisti e Musulmani, senza escludere naturalmente i Cristiani; è proprio Madre di tutti e tutti può unirli in un’unica famiglia.


mercoledì 28 dicembre 2016

Per tutta l'India un fiume infuocato d’amore di Dio



Il nostro ritiro-scuola è terminato. Dopo cena, d’improvviso, sbocciano i canti di famiglia e portano tra noi realtà di cielo. Paola, per una vita intera nel Gen verde e ora in India, guida e raccoglie in armonia le voci. In semplicità e naturalezza ci avvolge un clima soprannaturale. Siamo di nazioni diverse, dall’India, naturalmente, come anche dalle Filippine, Brasile, Malesia, Germania, Italia, Malta… eppure un unico vincolo ci lega in unità. "Quest'anno Natale ci ha davvero generati a vita nuova", ha detto uno dei presenti. E un altro: “Quest'anno Natale non solo ha portato Gesù in terra ma ha portato noi in paradiso”.


Partendo non si avverte il distacco: ognuno ha in sé gli altri e porta con sé il divino tra noi generato, per dilatare la famiglia là dov’è inviato. È un “fiume infuocato”, amore di Dio, che si diffonde, secondo quella dinamica che abbiamo cercato di vivere in questi giorni: “Far crescere Dio in noi, tenerLo vivo e traboccarLo sugli altri come fiotti di vita e risuscitare i morti. TenerLo vivo fra noi amandoci”.


martedì 27 dicembre 2016

La Scuola Abbà in India


Dal giorno di Natale sono con i focolarine e le focolarine dell’India, una quarantina, provenienti da Mumbai, Bangalore, Goa, New Delhi, fino all’estremo Nord, Kalimpong, ai confini con Nepal e Bhutan. Vivono così lontani gli uni dagli altri che i rari momenti nei quali possono ritrovarsi insieme sono un’esplosione di gioia. Ne sono coinvolto anch’io. Con alcuni ci conosciamo da anni, altri sono volti nuovi, occasione sempre per conoscere nuovi mondi e nuove storie.
Assieme a Judy Povilus stiamo conducendo giornate di studio, contemplazione, preghiera, intensa vita fraterna: è l’esperienza della Scuola Abbà che giunge fino ai tropici, capace di coinvolgere attivamente ognuno dei partecipanti.


Del primo gruppo che visse l’esperienza di Paradiso nel 1949, si racconta che, benché vivessero momenti di luce intensa, continuavano a condurre la vita più ordinaria, intenti alle piccole cose di ogni giorno. Così in questi giorni: lezioni, condivisioni… e sbucciare le patate, giocare con i bambini, lavare i piatti… cielo in terra e terra in cielo.


Il Movimento dei focolari è presente in India dal 1980. Chiara, dopo aver conosciuto, attraverso la Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace, il Dott. Aram, fondatore dello Shanti Ashram, ha visitato l’India due volte. Nel 2001 a Coimbatore (Tamil Nadu) ricevette il Premio “Difensore della Pace” da parte dello Shanti Ashram e del Movimento Sarvoday. Tornò poi nel 2003 quando, presso il Somaiya Vidyavihar College di Mumbai, le venne chiesto di comunicare la sua specifica vocazione all’unità e della fraternità universale. Da allora si sono susseguiti tavole rotonde, conferenze, scambi di visite e numerosi simposi, occasioni di dialogo nella costruzione di rapporti di vera fraternità col mondo indù.

lunedì 26 dicembre 2016

Notte di Natale in India, tra Goregaon e Banganga



Nella chiesa della parrocchia di Saint Thomas a Goregaon i cristiani del Kerala, di rito siro-malancarese, celebrano la messa di mezzanotte. Le centinaia e centinaia di cristiani di rito latino, che pregano in inglese, sono invece raccolte, nel grande campo sportivo accanto alla chiesa, a cielo aperto: il clima è piacevole.

Il campo è addobbato a festa, con un grande palco per la liturgia. Gli uomini rigorosamente con vestito scuro e cravatta, le donne con i sari più belli, ricchi di colori e luccicanti di fili d’orati. Le sedie sono rigorosamente allineate. Impressiona l’ordine, la partecipazione…
Prima della messa la corale per una mezz’ora esegue i canti di Natale, continuando poi ad accompagnare le liturgia.
Presiede il vescovo emerito Bosco Penha, circondato da concelebranti e ministranti, mentre un bel gruppo di giovani garantisce il servizio d’ordine.
Al termine i saluti, gli auguri, tè e dolci per tutti. Salutano anche me, illustre sconosciuto, eppure certamente un cristiano come loro, se sono a messa con loro.
Per un gruppo minoritario come quello dei cristiani è fondamentale vivere con intensità e partecipazione la festa, mentre tutto attorno la vita continua ignorando la realtà del Natale.
Fuori, sulla strada, i venditori di palloncini colorati danno l’ultimo tocco alla festa.


Il giorno di Natale termina, sempre di notte, in un altro tempio, questa volta indù. Un tempio antico, sorto mille anni fa, anche se, secondo la leggenda, sarebbe ancora molto più antico, perdendosi nei tempi mitici, quando il dio Rama, passando da quelle parti per andare in Sri Lanka a cercare la moglie rapita, ebbe sete. Il fedele scudiero scoccò una frecce che, conficcatasi a terra, aprì una sorgente d’acqua del Gange. Attorno alla piscina di Banganga (la freccia del Gange) nacque il tempio.
Giungo in questa area sacra, dopo essere sceso lungo scalinate ripide circondate da minuscoli templi. Mi trovo d’improvviso fuori dal tempo e lontano miglia miglia dalla zone più lussuosa di Mumbai che pure circonda il tempio con i suoi grattacieli. Sulle gradinate che scendono all’acqua della vasta piscina rettangolare i bambini si rincorrono giocando e gridando, mentre le donne lavano i più piccoli e puliscono l’ingresso delle minuscole abitazioni per prepararsi alla notte; una campana rintocca a distesa chiamando forse all’adorazione… Mi avvicino a un gruppo di giovani che suona il tamburo, e mi fermo a parlare con loro, che ora cantano per me le sacre melodie.

I suoni gradatamente si attutiscono e, pur presenti, lascino la sensazione di un profondo silenzio. È come essere avvolti da una presenza. Cupole e guglie s’alzano intorno a segnare un tempio diffuso che amalgama microscopici case e negozi, posati in maniera disordinata sul sentiero che circonda l’area sacra. Le porte si aprono su stanze con statue di Shiva, su letti adagiati all’entrata, su fornelli che preparano la cena.
Un grande abbraccio tra cose e persone che tutto avvolge nel sacro. È l’India.


domenica 25 dicembre 2016

Dal prof. Uppadhyaya: Baby Jesus e Baby Kryshna



Vigilia di Natale unica e irrepetibile. Andiamo a trovare il prof. Uppadhyaya nella sua casa al centro di Mumbai. Un appartamento piccolo, stracolmo di libri, sparsi ovunque. Due camere e cucina, dove vive il professore con la moglie e con il figlio sposato. In questi giorni siamo stato insieme durante il seminario interreligioso, ma visitarlo nella sua casa è un’esperienza diversa, intensa, che rinsalda ancora l’amicizia iniziata 15 anni fa.
Roberto Catalano, che mi accompagna assieme a Judith (è con noi anche Luciano, discepolo del professore), ha appena scritto sul suo blog: “A guardarlo il prof. Uppadhyaya è l’immagine del vero guru: piccolo di statura, occhi vivissimi e sguardo penetrante, capelli fluenti raccolti in una treccia che la moglie cura ogni mattina con grande amore e rispetto e, poi, la barba, bianca, spesso raccolta in un pomo che non ne diminuisce la bellezza e l’invito al rispetto. Ma, soprattutto, è quando comincia a parlare che si sente la sua statura morale, di pensiero, umano e religioso insieme. A quel punto non si vorrebbe più smettere di ascoltarlo. Non l’ho mai visto leggere, anche se ogni suo discorso è preparato con cura. Ma è quando lascia fluire quanto ha in cuore e nella mente (nella tradizione indiana i due aspetti sono una unica realtà) che il professore incanta”.
Gli chiedo cos’è un guru. “È colui che illumina la via, e mostrare la strada, che eliminare la tenebra e dà luce agli occhi per poter vedere fuori di noi e dentro di noi”. La parola ha la radice che significa luce.
E come si sceglie il proprio guru? Gli domando. “Il guru non si sceglie, è il guru che sceglie te. O piuttosto è una misteriosa, inspiegabile attrazione reciproca. Come è accaduto a Gesù con i suoi primi discepoli – continua a spiegarmi. Le ha guardati negli occhi, loro lo hanno guardato negli occhi e c’è stata l’attrattiva. La stessa che sta all’origine dell’innamoramento di un ragazzo e di una ragazza: perché proprio quella ragazza, quando ce ne sono di più belle, di più ricche? È il mistero dell’amore… In definitiva è Dio che ha scelto quelle due persone a percorrere una strada insieme come due tronchi che navigano sullo stesso fiume, uno accanto all’altro”.
Intanto la moglie Koikyla e la nuora ci offrono tè indiano con ginger e menta e tipici snacks del Gujarat: pakora fritte in nostra presenza e minuscoli dolci con diversi ingredienti. Noi, essendo Natale, gli regaliamo una statuina di Gesù Bambino, fatta dai gen 4.

Ci facciamo raccontare la loro storia di coppia. Koikyla era stata promessa a Sureshchandra Uppadhyaya quando lui aveva tre anni e lei era ancora nel seno materno. Il padre della bambina che stava per nascere aveva scritto al padre del ragazzino chiedendo se i due si potevano sposare quando avrebbero raggiunto al giusta età. Quando il momento arrivò, si videro per la prima volta, dopo tre giorni di festa dei membri della famiglia nel villaggio di origine. Alla fine si sposarono ed ora sono insieme da 62 anni. Fedeltà assoluta, armonia incredibile. Il segreto? “Non conoscendosi, non sapendo nulla l’uno dell’altro non avevamo nessuna aspettativa e quindi abbiamo dovuto cominciare tutto fra noi, proprio tutto”.
Il discorso si fa sempre più profondo pur nella semplicità e la cordialità che continua a caratterizzare le due ore che restiamo insieme.
Verso la fine gli chiedo di vedere un testo del Bhagawad-Gita in sanscrito, poi azzardo: “Perché non salmodiate un capitolo?” Koikyla allora canta tutta una parte del testo sacro indù. Ha il libro aperto, ma lo sa tutto a memoria. Canta anche la nuova; anche lei lo sa a memoria, pur non conoscendo l’antica lingua sanscrita. Si crea una atmosfera sacra.
Il prof. Uppadhyaya mi chiede se possiedo il testo del Bhagawad-Gita. “In inglese”, gli risposto. Sorride: “È come se invece di vivere con la moglie avessi soltanto una sua foto!”. Me ne offre una copia in sanscrito, anche con alcune illustrazione.
Parlando di prossimi appuntamenti, ci prega di ricordargli le date, “perché ormai sono vecchio e ho poca memoria. L’unica cosa che ricordo è Dio”.
Prima di uscire gli chiedo se posso vedere il Baby Krishna che aveva portato con sé a Roma nel 2002, quando ci eravamo conosciuti la prima volta. Passiamo così nella mini cucina dove si trova il piccolo tempio di famiglia dedicato a Krishna e ai due piccoli Krishna (sono due gemelli!). Sorpresa: il Gesù Bambino che avevamo appena regalato è già collocato accanto a Krishna! Faranno Natale insieme! Gesù non è venuto in terra proprio per entrare nelle nostre culture? “Anche questo – commenta Roberto – un momento sacro: non siamo entrati solo nella vita dei due coniugi, condividendo aspetti personali e spirituali, ma anche nel cuore della loro religiosità, del loro rapporto con la divinità”.


Nel 2002 ho raccontato la storia del nostro incontro, scrivendo un breve articolo: “Il flauto di Krishna”

Una ventina d’anni fa una piccola statua del dio Krishna, venerata da due generazioni in una famiglia indiana, espresse un desiderio: “Mi piacerebbe essere trasferita in casa del professor Upadhyàya perché lui e sua moglie mi sono fedeli devoti”. Così l’11 novembre 1986 il bambino Krishna entrò in casa del professor Upadhyàya, direttore degli studi di ricerca post-laurea in Sanscrito e Cultura indiana antica all’Università di Bombay.
Incontro il professor Upadhyàya, durante un simposio Indù-Cristiano. La barba bianchissima e folta gli arriva fino alla cintola. I capelli sono raccolti in una lunga treccia arrotolata dietro la nuca. La sua conferenza verte sul Bhàkti, l’amore puro che gli indù sono chiamati a vivere, in totale abbandono e fedele donazione a Dio. Non è una lezione teorica. Racconta semplicemente come, assieme alla moglie, vive il rapporto con il bambino-Krishna. “La statuina che è giunta a casa nostra, ci spiega, non è una semplice icona o statua o fotografia del dio Krishna: è proprio lui, è nostro figlio, un bambino vero!”.
Ogni mattina lui e la moglie vanno a porgere ossequi al loro Dio. Gli tolgono la coperta dal letto, gli cantano una dolce melodia, gli porgono davanti una piccola giara d’acqua pregandolo di volersi lavare da sé. Altre volte preferiscono lavargli loro stessi denti e viso. Prendono quindi il tè e lo servono anche a lui in una tazzina che gli sistemano su un piccolo vassoio. Gli mettono sempre accanto anche dei dolci. Puliscono con cura il pavimento della stanza del bambino Krishna, e rimettono a posto sedili, cuscini, ventagli, tendine e il bastoncino da passeggio. Quindi gli fanno il bagno, lo massaggiano con acqua aromatizzata, tiepida d’inverno e fresca d’estate. Infine lo posano su un apposito tavolo dove lo vestono e lo adornano con fogge diverse a secondo delle stagioni, per poi adagiarlo sul suo trono. E questo è soltanto l’inizio della giornata. Ci sono i pasti, il riposo pomeridiano, le visite degli amici, le feste, il riposo serale… Il tutto accompagnato da inni, nenie e dolci conversazioni (Krisgna abitualmente parla loro nel sonno). L’intera giornata ruota attorno al bambino Krishna. “Parliamo con lui – racconta il professore –, scherziamo con lui. Alle volte ci fa perdere la pazienza, allora cerchiamo anche di intimorirlo: Se non ti lasci vestire in fretta oggi non ti diamo i dolci. Oppure: Se non ti metti presto a letto viene il ladro di bambini e ti porta via nella grande borsa dove mette i bambini disobbedienti. Altre volte lo coccoliamo, gli diamo anche qualche puffetto. Insomma io e mia moglie viviamo spontaneamente senza fatica insieme con Lui ogni momento della nostra giornata. Dio è il centro della nostra vita, tutte le nostre attività sono rapportate a lui”.
Mi ha incantato la semplicità di questo grande professore, così come la sua grande fede e la profonda devozione. Mi ha ricordato quello che anch’io come cristiano sono chiamato a vivere: stare sempre alla presenza di Dio, agire costantemente in lui e per lui.
Ho quindi pensato di andare a visitare il professor Upadhyàya nella stanza d’albergo dov’è ospitato. O meglio, ho voluto andare a vedere il suo “bambino” (naturalmente se l’è portato con sé a Roma). Mi tolgo le scarpe in segno di rispetto ed entro nella stanza. Sono accolto con profonda cordialità e vengo invitato a sedermi per terra, sul tappeto, davanti al piccolo Krishna. Con mia sorpresa mi accorgo che sono due gemelli, grandi appena cinque centimetri. La signora mi mostra l’intero guardaroba del Dio. Presto dovrà preparargli un vestito nuovo perché ad agosto celebra il compleanno. Noto che il piccolo Krishna ha in mano un minuscolo flauto e mi interesso anche a questo strumento.
Nel pomeriggio, prima di riprendere i lavori del dialogo Indù-Cristiano, il professor Upadhyàya mi viene incontro eccitato: “Durante la siesta mi è apparso il piccolo Krishna e di ha detto: Sono stato contento che il tuo ospite sia venuto a farmi visita. Hai visto come si è interessato del mio flauto? Ho un messaggio per lui: Digli di essere vuoto come un flauto, in modo che attraverso di lui possa far risuonare le mie melodie”.


sabato 24 dicembre 2016

Natale in India


Ricordo un Natale a Fonjumetaw in Cameroun, un altro a Edmonton in Canada, un altro a Houston in Texas. Questa volta vivo il Natale a Mumbai in India.
Latitudini, temperature, scenari completamente diversi, eppure ovunque lo stesso mistero: Dio che si fa uno di noi e sceglie di vivere in mezzo a noi.

Un bambino come tutti gli altri, con coordinate storico-geografiche ben precise, come per ogni bambino. Un bambino vero, come tutti i bambini. Un parto come quello di ogni bambino: il dischiudersi della luce, le premure affettuose di una mamma che lo avvolge nei panni, la culla; gesti semplici, usuali, che si ripetono da millenni, niente che attiri attenzione, che sia degno di nota. Un uomo, uno dei tanti, venuto a condividere la nostra vita.

Eppure, nel silenzio di quella notte, d’improvviso accade qualcosa che non accade per nessun altro bambino: un angelo appare e il campo dei pastori si accende di luce; una moltitudine di angeli e il cielo risuona di canti. Il silenzio, l’anonimato, il nascondimento lasciano il posto all’annuncio di gioia, allo svelamento dell’evento, alla rivelazione del Messia Signore.
Non sei un bambino come gli altri; sei il Figlio di Dio. Uomo vero, in tutto come noi, ma vero Dio, l’Unico. È questo il mistero del Natale.

Nel tuo mistero il nostro mistero. Anch’io sono nato bambino come tutti, come tutti avvolto in fasce, accudito dalle premure di papà e mamma, registrato all’anagrafe… Ma non è meno vero che sono unico come te, figlio di Dio come te. Ti sei fatto come me perché io diventassi come te.
È questo il mistero del Natale. Il mistero del tuo Natale è facile a credere. Più difficile credere al nostro mistero. Eppure il tuo c’è stato perché ci fosse il mio. Sei nato alla vita di questo mondo perché noi potessimo nascere alla vita del cielo.
C’è bisogno di Natale, per ricordarci che abbiamo bisogno di salvezza e che tu sei davvero il nostro Salvatore.


Che ogni bambino sia accolto alla vita,
che abbia le cure dell’amore
e una culla su cui essere adagiato.
Che ogni uomo e ogni donna
ti accolga con l’amore di Maria e Giuseppe.
Che un angelo venga a svegliarci,
ad aprirci gli occhi,
a ricordarci ancora che oggi è nato
il nostro Salvatore,
a suscitare stupore e adorazione.
Che il canto degli angeli risuoni
su tutta la terra
e annunci un’èra nuova di pace.


venerdì 23 dicembre 2016

India giovane e giovani belli


Che età bella quella dei gen 3, l’età della vocazione: la vita comincia ad aprirsi e sono ancora puri, capaci d’incanto.
Siamo stati con alcuni di loro a raccontarci cose belle. Timidissimi all’inizio, si sono poi scatenati…
Con un’età media di 26 anni (in Italia è di 43,5) l’India è una nazione giovane, piena di speranza.


giovedì 22 dicembre 2016

La mistica del Paradiso e il bosco di Mumbai


Perché, nel nostro seminario con gli Indù, siamo partiti dalla mistica? Perché partire dalle differenze per arrivare all’Uno è quasi impossibile. Occorre collocarsi immediatamente in Dio, nell’Uno, dal quale discendono le differenze, comprensibili. Nell’Uno siamo già uno.
Sono stati giorni d’incanto, di contemplazione. Il Vangelo di oggi, con il cantico di Maria, è il migliore ringraziamento: “L’anima mia magnifica il Signore… grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente”. Chissà dove ci porteranno esperienze così forti e profonde…


Terminato l’incontro mi sono immerso nella natura, la poca rimasta tra i grattacieli e gli slam dell’immensa caotica, rumorosa, frenetica, inquinatissima città.
È un bosco a pochi passi da dove abito. Non è facile camminarvi perché non vi sono sentieri (qua non si usa passeggiare…) e la strada che l’attraversa è trafficata e pericolosa, senza marciapiede. Basta però un momento di assenza di traffico e sembra di essere in un giardino incantato. Il territorio è disseminato di fattorie per l’allevamento intensivo di mucche da latte (la loro uccisione come il consumo delle loro carni è un reato).

Un tocco di quello che doveva essere la natura di questo paese prima dell’avvento dell’industrializzazione. Ci saranno i cieli nuovi e la terra nuova… Quanto abbiamo contemplato nel seminario sulla mistica del Paradiso trasfigurerà anche questo bosco, questa città…