domenica 31 luglio 2016

Parola di vita di agosto


Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli” (Mt 23, 8)
È ormai da più di 70 anni che si vive la Parola di vita. Questo foglietto arriva tra le nostre mani. Ne leggiamo il commento, ma ciò che vorremmo rimanesse è la frase proposta, una parola della Scrittura, spesso di Gesù. La “Parola di vita” non è una semplice meditazione, ma in essa è Gesù che ci parla, ci invita a vivere, portandoci sempre ad amare, a fare della nostra vita un dono.
È una “invenzione” di Chiara Lubich, che così ne ha raccontato l’origine: «Avevo fame di verità, di qui lo studio della filosofia. Anzi di più: come molti altri giovani cercavo la verità e credevo di trovarla nello studio. Ma ecco una delle grandi idee dei primi giorni dell’inizio del Movimento, subito comunicata alle mie compagne: “A che cercare la verità quand’essa vive incarnata in Gesù, uomo-Dio? Se la verità ci attrae, lasciamo tutto, cerchiamo Lui e seguiamo Lui”. Così abbiamo fatto».
Presero in mano il Vangelo e iniziarono a leggerlo parola per parola. Lo trovarono tutto nuovo. «Ogni parola di Gesù era un fascio di luce incandescente: tutto divino! (…) Le sue parole sono uniche, eterne (…), affascinanti, scritte con divina scultoreità, (…) erano parole di vita, da tradursi in vita, parole universali nello spazio e nel tempo». Le scoprirono non ferme al passato, non un semplice ricordo, ma parole che Egli continuava a rivolgere a noi, come a ciascun uomo di ogni tempo e latitudine.

Gesù però è veramente il nostro Maestro?
Siamo attorniati da tante proposte di vita, da tanti maestri di pensiero, alcuni aberranti, che inducono addirittura alla violenza; altri invece sono retti e illuminati. Eppure le parole di Gesù possiedono una profondità e una capacità di coinvolgerci che altre parole, siano esse di filosofi, di politici, di poeti, non hanno. Sono “parole di vita”, si possono vivere e danno la pienezza della vita, comunicano la vita stessa di Dio.
Ogni mese ne prendiamo una in rilievo, così, lentamente il Vangelo penetra nel nostro animo, ci trasforma, ci fa acquistare il pensiero stesso di Gesù, rendendoci capaci di rispondere alle situazioni più diverse. Gesù si fa nostro Maestro.
A volte possiamo leggerla insieme. Vorremmo che fosse Gesù stesso, il Risorto, vivo in mezzo a quanti sono riuniti nel suo nome, a spiegarcela, attualizzarla, suggerirci come metterla in pratica.
Ma la grande novità della “Parola di vita” sta nel fatto che possiamo condividere le esperienze, le grazie nate dal viverla, così come Chiara spiega riferendosi a quanto accadeva agli inizi, che dura tuttora: «Si sentiva il dovere di comunicare agli altri quanto si sperimentava, anche perché si era consci che donando l’esperienza rimaneva, ad edificazione della nostra vita interiore, mentre non donando lentamente l’anima si impoveriva. La parola era dunque vissuta con intensità durante tutto il giorno e i risultati venivano comunicati non solo fra noi, ma con le persone che si aggiungevano al primo gruppo. (…) Quando la si viveva, non era più l’io o il noi che viveva, ma la parola in me, la parola nel gruppo. E questa era rivoluzione cristiana con tutte le sue conseguenze».

Così può essere oggi anche per noi.

sabato 30 luglio 2016

Accumulare tesori e arricchirsi presso Dio



Abbiamo bisogno del pane quotidiano – Gesù ci ha insegnato a chiederlo –, del vestito e di tutto quanto occorre per il nostro vivere.
Ci ha insegnato a lavorare per il nostro sostentamento. Non condanna il possesso dei beni: ci sono necessari nel cammino della vita.
Ciò che condanna è la cupidigia, la bramosia del possesso, il potere, l’arroganza, il senso di superiorità legati alla ricchezza, il far dipendere la vita dall’avere. “Sono ricco, quindi sono al sicuro, autosufficiente, non ho bisogno di nessuno, forse neppure di Dio”.
Questa è la stoltezza: arricchire “per sé”, dimenticando che i beni sono un mezzo e non un fine. È come perdere di vista la meta del viaggio.
Non è un viaggio, la nostra vita? Siamo ospiti e pellegrini su questa terra, senza possedere qui un’abitazione permanente. Se dimentichiamo dove stiamo andando, le tappe del viaggio prendono il posto della meta, facciamo incetta di beni, ci abbarbichiamo nelle vanità, in ciò che passa come fosse eterno, con l’illusione che l’accumulo sazi la vita.


Sorella nostra morte corporale ci fa la verità e ci aiuta a diventare Saggi, insegnandoci a valutare i beni della terra per quello che sono: un sostegno per il viaggio verso il cielo. Tutto si relativizza e prende il giusto posto. E il primo posto lo prende il Regno di Dio: “Cercate prima di tutto il suo Regno e il resto vi sarà dato in sovrappiù”. È questo l’arricchire “per Dio”: far tesoro delle sue parole, cercarlo, tendere verso di lui.
Cosa sarebbe il nostro vivere senza la morte? Un girovagare incerto, senza scopo, senza progetto, senza meta: fumo e vanità. La nostra società non vuol sentirne parlare, cerca di esorcizzarla, di nasconderla, di dimenticarla, e con ciò perde il senso della vita.
Invece è lì, sorella, amica, a sussurrarci che il nostro cammino, a volte difficoltoso, angusto, si spalancherà su un orizzonte sconfinato: la città celeste, la nostra patria, i cieli nuovi e la terra nuova, il Paradiso, Dio e con lui Maria e gli angeli e i santi e tutti quelli che abbiamo amato...

Perché parliamo così poco del cielo?
Ancora un poco, un poco soltanto, e saremo lì, per l’incontro con l’Amore. Pensiamo alle cose di lassù, cerchiamo le cose di lassù e sapremo usarli bene anche quelle di quaggiù, che Dio ci dona per il nostro viaggio.


venerdì 29 luglio 2016

Sgozzato come agnello innocente sull'altare





Parto da Aix mentre nella chiesa della Missione si celebra la via crucis per ricordare l’uccisione di padre Jacques Hamel, sgozzato come un agnello sull’altare a Rouen.
L’arcivescovo di Aix, ha indetto un momento di preghiera, scrivendo a tutti:


La violenza terrorista tocca ancora una volta il nostro Paese. È stata presa di mira una nostra comunità di fede, nel momento in cui si trovava in preghiera. Orrore e dolore si alternano dentro di noi. L’innocenza è ancora bersagliata. La croce è al centro del mistero cristiano. Ad essa guardiamo, in comunione con tutti i giovani radunati a Cracovia. Colpiti in pieno cuore, continueremo a operare per la libertà e la pace, uniti specialmente ai nostri fratelli e sorelle cristiani d’Oriente, che vivono ogni giorno queste persecuzioni.


giovedì 28 luglio 2016

Un ritiro tra Aix, Firenze e Galilea



In questi giorni abbiamo vissuto un ritiro originale, itinerante, tra le vie di Aix e di Marsiglia, ripercorrendo l’esperienza carismatica di sant’Eugenio. Idealmente siamo stati anche a Firenze, perché quel carisma, da Aix, è stato trapiantato alla Santissima Annunziata.
Agli inizi dell’anno 1948 padre Gaetano Liuzzo viene nominato ufficialmente Direttore nazionale dell’Associazione Missionaria di Maria Immacolata A.M.M.I.
Il 25 gennaio 1948 il padre Generale, Leo Deschâtelets, aveva scritto una lettera in cui rilanciava l’Associazione missionaria degli Oblati “come il prolungamento della nostra Congregazione tra i fedeli”, al punto che “i suoi membri divengono gli apostoli ausiliari dei Missionari Oblati; essi fanno, in qualche modo, parte della famiglia religiosa... Gli associati sono i nostri cooperatori; bisogna dunque formarli alla nostra spiritualità… dar loro l’amore, la passione delle anime che infiamma il cuore di nostro Signore e che deve infiammare l’anima di ogni apostolo”.
P. Gaetano Liuzzo fu nominato direttore dell’Associazione missionaria in Italia. Durante le visite ai gruppi AMMI, il Padre coglieva sempre più chiaramente l’urgenza e la necessità di organizzare al meglio possibile la vita di questi laici-oblati. “La circolare del Padre Generale sull’AMMI – ricordava padre Liuzzo –  mi faceva pensare alla possibilità di avviare nell’AMMI qualcosa che... arieggiasse, in forma moderna, ciò che erano i Terzi Ordini per gli antichi Istituti... cioè un ‘movimento’ tra le ‘zelatrici’ che le rendesse più ‘figlie’ della Congregazione soprattutto con un più vivo spirito oblato che ne esprimesse e favorisse particolarmente la missionarietà. Ed ecco, inattesa, una doppia... voce esterna: due gruppetti di giovani ‘zelatrici’, tra loro distanti e sconosciuti, mi dicono: ‘Vogliamo essere come gli Oblati’. Un segno del Cielo!?”.

Al ritiro delle “zelatrici, che si tenne a Firenze, dal 18 al 22 agosto 1951, si presentano trentasei ragazze. Già il primo giorno il desiderio di alcune giovani si fece esplicita domanda, scritta su un foglietto: “Padre, come fare per diventare perfettamente sorelle degli Oblati e vivere più strettamente la loro spiritualità?”. “Risposi – continua il Padre nel suo racconto – : ‘diventare in pieno oblate in veste secolare’. Anzi diventare ‘Sorelle’ degli OMI (donde il primo nome di Sorelle Oblate)”
Al termine del ritiro, il 22 agosto 1951, festa del Cuore Immacolato di Maria, nella basilica della SS. Annunziata, davanti alla celebre immagine del Duecento, ricordando e continuando il “Sì” di Maria, alcune delle trentasei giovani formulano la loro consacrazione con le parole che il Padre aveva appena redatto. Erano nate le COMI.
Il 22 agosto 1951 e Firenze, scriverà Padre Gaetano molti anni più tardi, “sono la data e il luogo ‘teologico’ della nascita dell’Istituto con un proprio carisma che è la prima irradiazione in Italia del carisma oblato tra i laici. Nasceva il ‘piccolo incendio’ ed era incendio ‘mariano’. Gloria a Dio che lo ha ispirato e voluto… La storia mostrerà che era un progetto profetico, ispirato da Dio”.
Firenze e Aix hanno tuttavia radici ancora più profonde, risalgono alla chiamata stessa che Gesù rivolse a uomini e donne, sulla strade di Galilea, duemila anni fa. Il nostro ritiro ci ha così riportato alle vere origini…


mercoledì 27 luglio 2016

Sala di fondazione, 200 anni dopo



Torno sempre con gioia là dove tutto è iniziato.
Eccomi di nuovo in quella stanza dove il 25 gennaio 1816 si riunirono i primi missionari per iniziare la vita di comunità: era sala comunitaria, sala da pranzo, dormitorio… Vi si respirano ancora i sogni degli inizi…

«Siamo in sei, scriveva in quei giorni sant’Eugenio. La nostra comunità è davvero fervorosa; in diocesi non ci sono preti migliori».
«Viviamo in comunità con una regola soave, che stabilisce i nostri doveri e dà grandissimo valore ad ogni piccola azione. Regna fra noi lo spirito della carità e della più perfetta fraternità. Abbiamo l’ambizione di conquistare anime a Gesù Cristo».
«Formiamo una famiglia, i cui membri vogliono avere un cuore solo ed un’anima sola».
«Tra noi missionari siamo quel che dobbiamo essere, abbiamo cioè un cuore solo, un’anima sola, un solo pensiero: è straordinario! Le nostre consolazioni, come le nostre fatiche, non hanno uguali».


martedì 26 luglio 2016

A Notre-Dame de la Garde, santuario oblato


È sempre bello tornare, come ho fatto ieri, nel nostro santuario della Madonna della Guardia a Marsiglia.
Un bel fumetto ne racconta la storia.
In cima alla collina che domina la città di Marsiglia, dal XIII secolo sorgeva una cappella dedicata alla Madonna della Guardia. Nel 1524 vi fu costruito un forte militare che inglobò l'oratorio rimasto, tuttavia, luogo di culto, fino ai primi anni della Rivoluzione francese. Nel 1802, la cappella fu riaperta al pubblico e nel 1823 il nuovo vescovo, Fortuné de Mazenod, zio di sant’Eugenio, ne affidò il servizio agli Oblati.
L’11 settembre 1853, Sant’Eugenio, dopo avere precedentemente ottenuto il permesso dal Presidente della Repubblica, poi divenuto l’Imperatore Napoleone III, poté abbattere la vecchia cappella e porre la prima pietra di quello che oggi è il grande santuario di Marsiglia. Da lì, per un secolo, sono partiti i missionari per tutto il mondo. Gli Oblati rimasero cappellani fino all’espulsione dei religiosi dalla Francia nel 1903. La comunità, sempre numerosa, si prendeva cura anche di carceri, ospedali, missioni popolari…
Sant’Eugenio scrisse una lettera alla sorella rendendola partecipe della gioia della posa della prima pietra:

Non si potrà mai rendere appieno la bellezza dello spettacolo: i giornali ne hanno dato un'idea molto imperfetta. Dalla chiesa di San Giuseppe, dove siamo partiti in processione, fino alla cima della montagna, la folla era così fitta che non c’era posto neppure per uno spillo. Che spettacolo la collina invasa da un’innumerevole moltitudine, che, con tanta gioia dipinta sui volti, cantava con trasporto inni e cantici, inchinandosi profondamente e inginocchiandosi al passaggio del vescovo, che benediceva commosso questa folla di cristiani, accorsi da ogni parte per contribuire al trionfo di Maria!
Come descrivere il colpo d’occhio dalla cima del Forte, dove avevamo collocato la statua della Vergine Maria perché tutti la vedessero. Al momento di dare la benedizione del Santissimo Sacramento, quando ho alzato le mani al cielo per invocare la Santissima Trinità, subito l’innumerevole moltitudine, composta da almeno centomila persone, dalla cima della montagna fino alla parte inferiore della città, si è prostrata in unanime adorazione, rispondendo all’invocazione per ricevere la benedizione. La benedizione ha raggiunto la città e i dintorni: tutti gli occhi erano rivolti al sacro monte per partecipare alla celebrazione che neppure il vento ha disturbato: si è infatti calmato al momento in cui partiva la processione, quasi a dimostrare la potenza della grande Regina del Cielo.
Non sarete sorpresi se vi dico che dopo non ero affatto stanco. Non mi trattenevo dalla gioia e mi sentivo venti anni più giovane. Ah! è stato bellissimo!


lunedì 25 luglio 2016

Gli Oblati hanno delle sorelle


Può darsi che quando nasce una sorellina, il fratello non ne voglia sapere. La cosa non lo riguarda, tutt’al più riguarda i genitori. L’accetti o non l’accetti la sorellina è là e non possiamo farci niente.
La stessa cosa con le COMI (Cooperatrici Oblate Missionarie dell'Immacolata). Sono nate, ci sono. Sono proprio sorelle degli Oblati. E da ben oltre 60 anni! Può darsi che qualche Oblato consigli le ragazze, che si rivolgono a lui per un discernimento vocazionale, a non andare con le COMI perché non le riconosce come sorelle. Ci sono lo stesso e sono ugualmente sorelle, indipendentemente dal fatto che le si accetti oppure no, che le si accolga nel lavoro pastorale oppure no. Certo non sono gemelle, e anche se lo fossero avrebbero un carattere diverso, sarebbero sempre donne e non uomini, penserebbero con la loro testa… È consentito litigare come hanno sempre fatto fratelli e sorelle. Non per questo non si vorrebbero un bene da matti e si lascerebbero fare a pezzi l’uno per l’altra e viceversa.
La loro Regola afferma che esse sono “il volto femminile degli Oblati”. È la loro Regola si dirà, ma nella nostra non c’è scritto che gli Oblati hanno anche un volto femminile. Si dà il caso che la loro Regola ha ricevuto l’approvazione pontificia, come la nostra; il Papa annuncia il lieto evento: agli Oblati è nata una sorellina… e manda loro la foto! «L’Istituto COMI ha la sua origine dalla spiritualità e dagli insegnamenti di sant’Eugenio de Mazenod… pertanto, fanno proprio il carisma oblato e lo incarnano secondo la caratteristica femminile e secolare della loro specifica vocazione… La COMI collabora particolarmente con i missionari OMI in tutti i campi consoni allo spirito e alle attività di un Istituto secolare» (n. 2, 8)
Da pochi giorni è stato pubblicato un documento ecclesiale, Iuvenescit Ecclesia, nel quale si invitano i vescovi e tutti i cristiani a riconoscere i carismi che lo Spirito Santo ha suscitato nella Chiesa, senza aver chiesto loro il permesso: sono pregati vivamente di prenderne atto, di accoglierli con gratitudine e di offrire loro lo spazio dovuto.
Dal carisma di un fondatore possono nascere tante espressioni carismatiche: «I doni carismatici nella loro pratica possono generare affinità, prossimità e parentele spirituali attraverso le quali il patrimonio carismatico, a partire dalla persona del fondatore, viene partecipato ed approfondito, dando vita a vere e proprie famiglie spirituali. Le aggregazioni ecclesiali, nelle loro diverse forme, si presentano come doni carismatici condivisi» (n. 16). Con le COMI gli Oblati formano una vera e propria famiglia spirituale.
Niente da fare, in casa occorre per forza aggiungere un lettino e mettere una sedia in più a tavola…
Che gioia vedere le nostre Sorelle pregare sulla tomba di sant’Eugenio, riconoscendo come loro padre il nostro padre.

domenica 24 luglio 2016

24 luglio 1944: 5 Oblati fucilati



Il 24 luglio 1944 cinque Oblati, attivi nella Resistenza, i padri Christian Gilbert e Albert Lucien Joseph Piat, i fratelli Jean-Marie Cluny e Joachim Nio, lo scolastico Lucien Perrier, furono uccisi dai soldati tedeschi nello Scolasticato di La Brosse-Montceaux (Francia). Tutta la comunità fu poi deportata nei campi di concentramento di Compiègne e Péronne.

Oggi facciamo memoria di eroi nascosti, nell’ombra. Si tratta di religiosi uccisi da nazisti furiosi, coscienti che stavano perdendo la partita e che la paura indusse a una cieca repressione. È stato un crimine disperato. Hanno sparato sulla libertà. Avevano paura della libertà. Sì, questi religiosi furono dei resistenti nell’ombra. Volevano rimanere religiosi del silenzio. Non sognavano né sfilate vittoriose né solenni decorazioni. Volevano solo essere custodi della pace, pane quotidiano del loro ministero. Ma la tragedia di un paese schiavo, li ha costretti a sacrificare la vita; hanno scelto di essere l’anello discreto di una catena, che doveva salvaguardare la dignità umana nella sconfitta del razzismo e della violenza. Raggiunta la liberazione, sognavano solo le missioni estere e la testimonianza cristiana. Umilmente, come degli apostoli nell’ombra. Il sacrificio fa parte della missione degli Apostoli, i cristiani lo sanno. Non c’è Chiesa senza martiri.
È difficile per noi, in questa pace estiva, condividere l’angoscia di uomini umili e fedeli davanti all’insurrezione necessaria per guardare il cielo, finalmente degni e liberi.
La resistenza è molto più di una reazione difensiva, è l’affermazione di una coscienza libera nella trascendenza. Sì, se il chicco di grano non cade in terra, non c’è raccolto abbondante.

Ne facciamo memoria, nella meditazione e nella preghiera, per dire oggi a chi dimentica che il rischio e il sacrificio fanno parte della vita e sono spesso – e sempre – il prezzo da pagare perché viva la libertà e sopravviva la speranza. (Gérard Defois, arcivescovo di Sens, La Brosse Montceaux, 24 luglio 2014, In memoria dei caduti Oblati)

sabato 23 luglio 2016

Insegnaci a pregare


Tutti i popoli, tutte le religioni hanno cercato e trovato una via per entrare in comunione con Dio. La grandezza di una civiltà si misura dal suo modo di pregare e dalle sue preghiere. Ogni grande maestro ha insegnato a pregare.
Anche Gesù pregava. Basterebbe questo per convincerci del valore e della grandezza della preghiera: il Figlio di Dio pregava!
Si alzava presto al mattino, passava le notti in preghiera, si ritirava in solitudine...
I discepoli non lo sentivano pregare, ma lo vedevano pregare.
Erano incantati dal suo silenzio, dal suo raccoglimento, dalla luce che brillava sul suo volto. Avrebbero voluto penetrare nel suo mondo, così diverso da quello nel quale vivevano e nel quale lo vedevano tornare deciso, luminoso, sicuro.
Quale era il suo segreto?
«Signore, insegnaci a pregare». Glielo chiediamo con loro perché non sappiamo pregare. È un’arte la preghiera, vero?
Gesù, tu che la conosci, svelacela, rendicene partecipi, introduci anche noi nel tuo mondo di cielo.

C’è una porta d’entrata: l’immensa fiducia in Dio dal quale sappiamo di essere amati. Se chiediamo, lui dona; se cerchiamo, si fa trovare; se bussiamo, ci apre. È un padre pieno di affetto. Mi aspetta sempre, mi è sempre vicino, mi accoglie sempre. Posso andare sempre da lui, senza mai spazientirlo.
Una volta entrato, basta chiamarlo per nome: “Padre”.
Così si rivolgeva Gesù a lui.
Così ci rivolgiamo noi a lui, spinti da quello Spirito che al Padre chiediamo.
Possiamo dire «Padre» solo se egli mette questa parola sulle nostre labbra. Possiamo dire «Padre» solo se il Figlio ci fa pregare con sé, facendoci figli veri come lui.
Dopo averlo chiamato per nome, eccoci con lui. Pregare è entrare nella casa paterna, in casa nostra, e stare lì, per condividere i sogni, le necessità, le difficoltà.
C’è poi una porta d’uscita: lo sguardo nuovo su quanti ci stanno attorno. Se abbiamo fatto l’esperienza della paternità di Dio, riconosciamo gli altri nostri fratelli e sorelle. Gesù ci ha insegnato a pregare con i verbi al plurale: donaci il pane, perdona i nostri peccati, non ci indurre in tentazione.
Anche quando sono solo in casa con il Padre, a tu per tu nella più profonda intimità, sono sempre in unità con tutti gli uomini e le donne del mondo e prego con loro e per loro, anche quando non sanno di avere un padre, di essere figlie e figli di Dio.


venerdì 22 luglio 2016

Preghiera di sant'Eugenio de Mazenod


Pregando con le COMI nella terra di sant'Eugenio, risuonano bene le sue parole:

Mio Signore, mio Dio, mio amore,
fa’ ch’io t’ami.
Non chiedo altro: so bene che tutto è qui.
Dammi il tuo amore!
Vorrei amarti quanto tu ami te stesso.

Mio Dio, è deciso per ora e per tutta la vita:
soltanto tu sarai l’unico obiettivo
al quale tenderanno tutti i miei affetti e le mie azioni.
Piacerti, agire per la tua gloria,
sarà la mia occupazione quotidiana
l’occupazione di tutti gl’istanti della mia vita.
Voglio vivere solo per te,
voglio amare te solo e tutto il resto in te e per te.
Tu sei tutto per me,
per me tu prendi il posto di tutto il resto,
Dio, mio amore e mio tutto!

Deus mens et omnia. 

giovedì 21 luglio 2016

Apa Pafnunzio e il mantello di Elia


Mentre Elia veniva rapito in cielo su un carro di fuoco, il suo mantello cadde ai piedi di Eliseo. Il profeta non era riuscito a distaccare da sé il fedele discepolo, che lo aveva seguito di tappa in tappa fin oltre il Giordano, attraversato a piedi asciutti dopo che le sue acque erano state percosse con il mantello.
Eliseo lo raccolse e se lo pose sulle spalle: lo spirito di Elia passava su di lui e lo avvolse penetrandolo.
Ogni volta che apa Pafnunzio recitava il racconto, si sentiva rapito al cielo come il profeta, avvolto dal suo carisma come il suo discepolo. Gli ardeva il cuore dello stesso zelo per il Signore, provava il medesimo desiderio di incontrarlo faccia a faccia e di percorrere la terra a ristabilire la sua giustizia. Teneva stretto l’invisibile santo mantello, lo stesso che avvolgeva ogni monaco del deserto. Glielo aveva consegnato apa Giovanni quando, giovane, si era posto alla sua scuola. Adesso era vecchio, ma l’eredità ricevuto tant’anni prima non s’era invecchiata, l’aveva custodita intatta.

Ogni volta che ripeteva il racconto del mantello di Elia, da qualche tempo accanto all’esultanza s’affacciava timido un pensiero, un lieve turbamento: a chi avrebbe trasmesso il mantello ricevuto?
Stava per essere rapito anche lui in cielo, anche se non sarebbe venuto un carro di fuoco a prenderlo. Non aveva alcun discepolo a cui consegnare la propria eredità. Non che si sentisse destinatario di un suo carisma personale. Egli era soltanto un povero, piccolo, semplice uomo, nascosto in un deserto sperduto. Avrebbe semplicemente voluto trasmettere quanto aveva ricevuto a sua volta, ma non aveva un discepolo. Tanti erano venuto a chiedere consiglio: “Padre, dimmi una parola”. Ognuno aveva felicemente seguito la propria strada, nessuno era rimasto a condividere il suo cammino. Nella laura aveva tanti fratelli, ben sette; tutti fratelli, fratelli cari, carissimi; nessuno suo figlio, nessun suo discepolo. Un monaco sterile. Lo avrebbero sepolto con il suo mantello indosso.
Lo invase un senso di stanchezza.
Se ne dispiacque, perché si rese conto che era soltanto un meschino ripiegamento su se stesso. Cacciò il pensiero e riprese a recitare il racconto: “Elia fu rapito… un carro di fuoco… Eliseo raccolse il mantello che era caduto”.
Il mantello era caduto? Elia non l’aveva dunque consegnato, gli era semplicemente caduto. Qualcun altro l’aveva fatto cadere ai piedi di Eliseo.
“E il mio mantello?”, si domandò apa Pafnunzio. Un Altro avrebbe pensato a farlo cadere su qualcuno, anche se lui non sapeva chi fosse. Non era suo lo spirito profetico, era di Dio e Dio avrebbe avuto continuato a trasmetterlo.

mercoledì 20 luglio 2016

Ad Aix con le COMI



Forse non ci sono mai state tante donne nel convento di Aix come in questi giorni. Nel 1700 c’erano la Cermelitane, all’inizio del 1800 il convento era diventato un pensionato per ragazze, ma il numero, delle une come delle altre, era sempre limitato. Oggi ci sono 32 COMI. Fa una certa impressione vedere, dopo 200 anni di presenza Oblata, la casa invasa da tante donne. È anche casa loro: si definiscono “il volto femminile degli Oblati”.


Un programma di 10 giorni in tre fasi: convegno di verifica biennale, ritiro, consiglio d’Istituto.
Perché ad Aix? Perché anche loro vogliono tornare alle fonti dell’ispirazione carismatica. E io che ci faccio? Si dà il caso che io sia l’assistente, addirittura di nomina pontificia… L’assistente, come dice la parola, è una persona che assiste; difatti mi godo lo spettacolo…
Oggi mi ha colpito un appello di p. Liuzzo, che ha tradotto al femminile il carisma oblato: “Impegnatevi ad essere, con ardore, tempio dello Spirito Santo, sua dimora prediletta, il suo piccolo giardino ammantato di fiori e di frutti come desidera Gesù”. Mi pare di essere in un piccolo cenacolo pentecostale…


martedì 19 luglio 2016

Contemplare con stupore il creato



Il passa parola di oggi mi invitava a “Contemplare con stupore il creato”.
Era facile, sorvolando il mar Mediterraneo.
Mi ha attirato soprattutto questa isola rocciosa e deserta.

Una volta atterrato, la strada dall’aeroporto a Aix è ancora una contemplazione con lago, pini, rocce rosse…

Giunto in città sembra più difficile contemplare con stupore il creato.
Eppure basta un cortile con dei rampicanti. Ma anche un ciuffo d’erba che spunta sul ciglio della strada.
Forse occorrono occhi semplici…


lunedì 18 luglio 2016

Gerusalemme, città indivisibile



Ho letto in un soffio un thriller ambientato a Gerusalemme: Il custode dell’acqua, di Franco Scaglia (premio Campiello 2002); il primo di una fortunata quadrilogia che ha come protagonista, un padre francescano, p. Matteo, ricalcato sullo storico padre Piccirillo, il famoso archeologo del monte Nebo, che ha scoperto i mosaici… Il libro di Franco Scaglia, morto appena un anno fa, introduce dentro la problematica di Gerusalemme. 

Mi è piaciuta, tra le tante, una frase che il vecchio bibliotecario del convento della Flagellazione rivolge al protagonista: “Matteo, non è possibile una spartizione politica di Gerusalemme… Gerusalemme è un simbolo e i simboli sono per loro natura indivisibili. Rappresentano un’identità, e un’identità scissa conduce alla follia”.

domenica 17 luglio 2016

Meno male che c'è Apa Pafnunzio


A seguito del post su apa Pafnunzio che diceva menzogne,
mi è arrivato il seguente messaggio:

Ho letto e riletto quanto, alcuni giorni fa raccontavi di apa Pafnunzio, riguardo le sue menzogne. Mi sono un po' rivisto in questo personaggio che non conosco abbastanza bene.
Mi capita ogni giorno, prima di recitare l'ufficio delle lodi mattutine, pregare con il "Ti adoro mio Dio....", preghiera tradizionale  insegnatami da bambino dalla mia mamma, in cui in poche parole c'è tutto. Quando arrivo alla frase “ti amo con tutto il cuore”, mi fermo qualche attimo e mi dico: "Beh, non proprio ami Dio con tutto il cuore, forse con mezzo cuore, e forse neanche con un quarto di cuore. Mi sembra, appunto, di mentire e ne provo vergogna! Per non parlare poi quando, alla fine della messa quotidiana, mi fermo in chiesa per ringraziare Gesù eucarestia per il dono del suo corpo e sangue e... anche lì, parole, parole, promesse, richieste…. Così anziché essere contento, dell'incontro con Lui, esco da chiesa triste e scontento.
Meno male che c'è Apa Pafnunzio, ossia, qualcuno che ha già fatto esperienza a cui Dio ha dato una "dritta" da seguire in questi momenti di "menzogna".


Sempre riguardo ad apa Pafnnzio che pronunciava menzogne, ecco un altro messaggio:
Ho divorato questo racconto, padre Fabio, perché lo sentivo tanto mio... E allora un pensiero, un proposito: andare a riprendere quel tuo libro e tornare a meditarlo... Ho sete di Dio.

Mi è giunto anche un sms:
In vacanza ho con me il libro I detti di apa Pafnunzio. Bellissimo e utilissimo per vivere la vita di preghiera..."

Dalla Repubblica Ceca:
Le devo confessare una cosa “grave”: mi sono innamorata in apa Pafnunzio…
Mi concede, per favore, di tradurre queste bellissime storie nella mia lingua nativa (ceco)? La Repubblica Ceca, ritenuta uno dei paesi più atei in Europa, sembra offrirgli un buon deserto da abitare…




sabato 16 luglio 2016

Una sola è la cosa di cui c’è bisogno


Quante cose belle sa fare Marta. Proprio una gran signora: fa gli onori di casa, cucina, prepara la tavola... Pratica l’ospitalità in grande stile, come si conviene in Oriente e a un ospite di riguardo.
Fa tante cose per Gesù, al punto che si lascia prendere da esse piuttosto che dall’ospite. Si preoccupa delle troppe cose da fare per lui e non si preoccupa di lui.
Come è facile anche per noi impegnarci a parlare di Gesù, a lavorare per il suo Regno, a dedicarci alle tante opere buone, da non aver poi il tempo di stare con lui, di parlare con lui, soprattutto di ascoltarlo. Lavoriamo per l’ospite e lo lasciamo solo. Ci si disperde nelle tante cose che dobbiamo fare per Gesù e ci dimentichiamo di Gesù.

Maria invece non lo dimentica. A una donna, allora, non era consentito farsi discepola di un rabbi e neppure di stare con gli uomini, nella stanza loro riservata. Ma davanti a Gesù ogni convenzione sociale è superata. La ricerca di lui, l’amore per lui, il desiderio di lui le fa bruciare ogni ostacolo. Si è messa nella posizione giusta, ai suoi piedi, intenta ad ascoltarlo, modello perfetto del discepolo che pende dalla bocca del maestro e vive per il maestro. 
Marta presa dalle molte cose, Maria presa da una sola: Gesù. 
È quest’ultima a praticare la vera ospitalità, lei che lo accoglie come egli vuole essere accolto. Per lui è più importante dare che ricevere. Cerca persone aperte, disponibili, pronte a farsi suoi discepoli, che sappiano accogliere la sua parola, che sappiano stare con lui, gratuitamente.

«Di una cosa sola c’è bisogno». Già, per che cosa mi sto dando da fare? Faccio la cosa giusta? Dio è sempre al primo posto, sempre davanti a me? Do spazio alla sua parola perché mi penetri, mi inabiti e sia essa a operare in me? Meglio fare di meno e stare un po’ più con lui, assimilare la sua parola, dargli il tempo perché possa donarsi e darmi il tempo per accoglierlo. 
Si può anche fare tanto, ma senza distrazioni, avendo Dio costantemente presente, accanto, lavorando non soltanto per lui, ma soprattutto con lui.


venerdì 15 luglio 2016

Festival delle Letterature, la parola e la bellezza




In uno scenario unico al mondo, ieri sera si è conclusa la XV edizione del Festival delle Letterature. La basilica di Massenzio è tornata ad essere luogo d’incontro, spazio pubblico culturale, secondo la sua antica vocazione.
Una serata tutta al femminile, con le scrittrici Cristina Comencini e Chiara Valerio che leggano leggono testi inediti ispirati all’opera e alla persona di Natalia Ginzburg nel giorno del suo anniversario. Un’attrice, Piera degli Esposti, a riproposto alcune pagine della Ginzburg.
Mi hanno toccato molto le testimonianze, i racconti di scrittura, a cominciare dall’Israeliana Dorit Rabinyan.





La magia della parola incanta.
Sono stato preso soprattutto dall’ambiente, dalla regia, dalle luci, le musiche. Una grande raffinatezza nella conduzione della serata: lineare, essenziale, curata nei particolari.
La bellezza della parola domanda di essere pronunciata e accolta da uno scenario altrettanto bello.
L’estetica non è un orpello della verità, ma la sua epifania. 

giovedì 14 luglio 2016

Sentirsi dire: Ti voglio bene


Un vecchio missionario dell’Amazzonia ieri mi ha scritto:

Stamattina, nell'Eucarestia, chiedevo a Gesù:
"Ma come fai a cambiarmi in te? Cosa mi dici?". 
Mi pare d'aver sentito immediata la sua risposta:
"Ti voglio bene".
M'ha preso una gioia immensa, come non mai.


mercoledì 13 luglio 2016

Misericordia e giustizia in Montini




Il Notiziario dell’Istituto Paolo VI è sempre ricco di sorprese, come l’ultimo, di giugno 2016, che riporta un inedito sulla Misericordia, probabilmente del tempo nel quale Montini era alla Segreteria di Stato.

Non basta dire: Dio è Amore, Dio ha amato il mondo; bisogna aggiungere: Dio è Misericordia, Dio ha amato un mondo colpevole. Non figli, non semplici creature, ma ribelli, ma ingrati, ma perduti Suoi esseri ha amato. Esseri che non erano degni, né utili, né piacevoli, né in sé, né a Lui buoni.
E quelli più lontani e più miseri, quelli più avversi e più cattivi, quelli ha amato.
Né quest’amore è stato prodigioso solo in sé e per l’intima felicità di Dio; ma lo è stato anche per gli esseri immeritevoli che ne sono l’oggetto inesplicabile. È stato un amore salvatore.
Dio amando il peccatore dà esempio di somma indulgenza, salvandolo di pari esigenza. Si piega sul male la misericordia, ma non perché resti tale e perché sia vinta la giustizia, ma piuttosto perché la giustizia sia ricomposta nei suoi diritti ed abbia la sua rivendicazione. Dio ama il cattivo non perché tale, ma per fame un buono; e mentre spinge la tolleranza fino a cancellare le conseguenze fatali del peccato, restaura l’assolutezza della legge morale riconducendo in essa il peccatore.

Questo singolare rapporto della misericordia con la giustizia è uno dei problemi più profondi e più chiaramente risoluti dal cristianesimo. A nessuno vien nemmeno fatto di pensare che la misericordia di Dio, annunciata come si deve, e svelata nella sua sorgente e nel suo termine, ch’è l’Amore, sia corriva col male e indebolisca la forza dell’imperativo morale; ma piuttosto è a tutti palese ch’essa, ed essa sola, è capace di ricuperare il bene perduto, di ripagare nel bene il male compiuto e di generare nuove forze di giustizia e di santità.

martedì 12 luglio 2016

Eugenio de Mazenod, un racconto

Fedele come un saggio storico, avvincente come un romanzo.



La vita appassionante e ricca di “colpi di scena” di Eugenio de Mazenod (1782-1861), fondatore degli Oblati di Maria Immacolata. Nel Sud di una Francia sconvolta dall’ascesa di Napoleone, la prigionia di Pio VII e la crisi della Chiesa cattolica vive un percorso esistenziale travagliato: il divorzio dei genitori, il sogno di una carriera brillante, di una moglie bella e ricca, e le delusioni, la noia e la costante insoddisfazione. Fino all’inaspettato incontro con Cristo che, a 27 anni, ne sconvolge la vita e la spalanca su orizzonti nuovi e appaganti. Come in un film, Fabio Ciardi ripercorre quindici anni, i più critici, della sua vita.

Così si legge nella presentazione del nuovo libro su sant'Eugenio.