domenica 29 aprile 2018

29 anni fa suor Benedicta


Non sono come Daniele l’uomo dei sogni. Tuttavia stanotte ho sognato una suora Francescana dei poveri, serena, sorridente, alla quale da anni non avevo più pensato: sr. Benedicta. Che strano, mi sono detto svegliandomi, perché l’ho sognata? Forse perché ieri era l’anniversario della beatificazione della loro fondatrice, Francesca Schervier? Ho telefonato alle suore e mi hanno sorpreso dicendomi che domani è l’anniversario della morte di sr. Benedicta, la suora belga che ci ha accolto quando nel 1972 gli Oblati sono passati nella loro casa a Vermicino. È venuta in sogno a ricordarmi il suo anniversario. Le suore mi hanno anche detto che io ero stato al suo funerale, nel 1989, una circostanza che avevo completamente rimosso dalla mia memoria (è un fatto automatico, alla mia età).

Sono andato a vedere le mie carte e ho trovato non soltanto una pagina di diario, ma anche quanto dissi all’omelia.
Forse sr. Benedicta mi è apparsa in sogno perché la ricordi a voce alta.

3 maggio 1989
Sono in volo, di ritorno da Liegi dove sono stato a dare l’ultimo addio a Suor Benedicta. È stata un po’ una pazzia prendere l’aereo e volare a Bruxelles ieri pomeriggio per tornare subito oggi, Ma Suor Benedicta si meritava questo e altro. (…) Ho presieduto la liturgia e ho accompagnato Suor Benedicta nel cimitero delle suore che si trova, autentico giardino d’incanto, nel loro splendido parco. È stata una cerimonia bella e semplice. I parenti erano radiosi, contentissimi della mia andata e delle parole che ho detto alla Messa. (…)
Subito dopo pranzo mi sono fatto accompagnare dalla nipote, Clara, fino ad Aachen, dove ho potuto pregare per la prima volta sulla tomba di Madre Francesca. (…)

3 aprile 1989 nella casa madre di Aachen
Liegi, 3 maggio 1989 – Note per l’omelia

Oggi è per me una gioia e un onore grande poter presiedere a nome di tutti i miei fratelli Oblati questa liturgia eucaristica nella quale ringraziamo Dio per il dono che ha fatto a tutti noi di Suor Benedicta, e ridoniamo a lui e al suo amore misericordioso questa nostra sorella.
Suor Benedicta ci ha aperto la casa di Vermicino, ma soprattutto ci ha aperto il proprio cuore. Ci ha seguiti con un’attenzione delicata, come nell’ammirazione di un’opera di Dio. Ha creduto con convinzione che la nostra avventura iniziata a Marino e la vostra iniziata a Vermicino erano guidate dallo Spirito e che, provvidenzialmente, pur nella distinzione, erano chiamate a progredire nell’unità.
A 75 anni l’abbiamo vista ricominciare ancora a dedicarsi ai lavori più umili a servizio della nostra comunità. Avrebbe voluto consumare la sua vita tra di noi, fino all’ultimo, nella gioia della dedizione ai futuri sacerdoti.
L’abbiamo vista passare tempi prolungati in silenziosa preghiera nella nostra cappella, in autentica contemplazione. Una volta, in confessione, mi ha candidamente confidato che ormai viveva in un continuo raccoglimento, in una continua comunione con Dio, costantemente alla sua presenza, più in cielo che in terra.
Sempre sorridente, sempre nella gioia, espressione della perfetta letizia francescana. Un’anima piena di poesia, con la freschezza e l’incanto di una bambina, capace di meravigliarsi e di cogliere il bello e il bene in tutto e in tutti, quasi cogliesse ogni cosa come dono, direttamente dalla mano di Dio.
Ha dato vita a tante opere, in Belgio, in Italia, in Africa, ma non ha mai fatto pesare il suo servizio. Ha saputo animare, incoraggiare, infondere fiducia. Forte e coraggiosa. Chi potrà mai togliere dal nostro animo 1'esempio che ci ha lasciato partendo, con i suoi 72 anni, per fondare la missione del Senegai, che ha poi continuato a servire per tre anni? Piena di audacia umile e discreta, ricca di iniziative, inventiva nello zelo, si è sempre nascosta dietro il suo sorriso e il ridere cristallino e allegro, come per schermirsi e non essere presa troppo in considerazione.
Per noi. rimane l’immagine più viva di Madre Francesca, una sua figlia perfetta. L’albero buono piantato da Madre Francesca continua a dare frutti buoni. Ne dia ancora tanti, a gloria di Dio e per il servizio dei poveri.
Ringraziamo il Signore per Suor Benedicta e per tutto il bene che ha operato attraverso di lei.
Preghiamo per Suor Benedicta, perché veda il volto di Dio e sia accolta con pienezza nel gaudio del suo Signore.
Preghiamo Suor Benedicta, che continui ad amarci e ad aiutarci perché anche noi, ricchi di frutti, possiamo raggiungerla in Paradiso.


sabato 28 aprile 2018

Immanenza reciproca


Rimanete in me e io in voi... Io sono la vite, voi i tralci. Chi rima­ne in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. (Gv 15, 1-8)


Per sette volte Gesù, nel brano della vite e dei tralci, ripete la parola “rimanere”. In altri momenti in­vita a camminare con lui, oggi chiede di rimanere in lui. È l’offerta e la richiesta della più piena comunione, di un’adesione sincera alla sua parola e al suo volere. Esprime il desiderio di rimanere con noi, in maniera permanente e definitiva, per sem­pre. È venuto per questo, per stare con noi.

Gli importiamo così tanto? Se fossimo consapevoli del suo im­menso amore e del suo struggente desiderio di intimità con noi! Era presente fin dal principio, da quando scese nel giardino dell’Eden per passeggiare con Adamo ed Eva: gli piaceva stare con loro. Li aveva creati a sua immagine e somiglianza per intrat­tenere con loro un rapporto personale. Da quando si nascosero, allontanandosi da lui, non è stato più tranquillo, perseguendo con tenacia il suo anelito di sempre: stare con la sua creatura. Fi­no a quando, finalmente, ha posto la sua dimora in mezzo a noi.

L’iniziativa e la priorità sono sempre sue: «Io in voi». Ma che amore sarebbe se non fosse contraccambiato? Il suo venire in noi è carico di desiderio di risposta: «voi in me», nella recipro­cità della perfetta unità, simile e in continuità con quella che c’è tra lui e il Padre.

Possibile che Dio abbia bisogno di essere amato? Forse è l’effetto del suo essere Trinità, dove l’amore va e viene. Tutto ciò che esce dalle sue mani – l’umanità per prima – ha questa im­pronta trinitaria ed esige lo stesso andare e tornare dell’amore. La pressante e reiterata richiesta di rimanere in lui, nella sua pa­rola, nel suo amore, più che un comando è l’espressione di que­sto suo desiderio di amore: ci ama sinceramente e sinceramente domanda di essere riamato. Si è plasmato un cuore di carne per conoscere l’amore anche nella sua dimensione umana: ha bisogno di essere amato da noi.

La sua parte l’hai fatta, tutta, e continua a farla. Ha amato ed è rimasto con noi.
Ama e rimane con noi anche quando ci ribel­liamo, ci nascondiamo, fuggiamo da lui.
Ora tocca a noi amarlo e rimanere nel suo amore.
Lavoro arduo, che domanda il pieno affidamento nelle mani del Padre, perché estirpi dal cuore il male, il superfluo.



venerdì 27 aprile 2018

Eugenio de Mazenod battezza due musulmani



Il normale lavoro negli Archivi mi porta sempre a delle sorprese inaspettate, come quella del Vescovo de Mazenod che la notte di Pasqua battezza due musulmani.
Nell’Ordo della diocesi di Marsiglia del 1844, al giorno Sabato Santo 6 aprile 1844, Eugenio de Mazenod annota: “Battesimo di due Infedeli”.
Nella Encyclopèdie théologique del Migne, nel t. 33, Dictionnaire des conversions, p. 942, si racconta la conversione di un certo Mohammad, discendente di Mahomet, preparato al battesimo da p. Tempier (il primo compagno di sant’Eugenio e vicario generale della diocesi) e battezzato a Marsiglia nel 1844.
Sul giornale “L’Ami de la Réligion et du Roi” (Paris), t. 120, p. 168-94, si legge il racconto del battesimo, di cui si è servito Migne per il dizionario. Ecco il testo, trascritto da p. Thiel il 5 gennaio 1942:

Nella cattedrale di Marsiglia il Giovedì santo si è tenuta una cerimonia particolare. Dopo la benedizione del fonte battesimale il vescovo, secondo l’usanza tradizionale di questo giorno, ha chiamato i catecumeni adulti che erano stati preparati per ricevere il battesimo. Furono presentate due persone. Il primo era un giovane di 22 anni, nativo del Marocco. Si chiamava Mohammed.
Il secondo catecumeno, di circa 12 anni, si chiamava Damba. Era stato portato dal Senegal in qualità di domestico dal sig. Ronelle, arrivato a Marsiglia da circa 18 mesi. Questi aveva affidato al sacerdote Perret, professore del seminario minore, l’istruzione del piccolo infedele che ha presto risposto alla grazia divina. (…)
Mohammed si è presentato col suo padrino (…).
Damba era accompagnato dal suo protettore il sig. Ronelle, che ha fatto da padrino, mentre la signora Rousselle faceva da madrina.
L’emozione di Mons. de Mazenod al momento del battesimo ha edificato i numerosi testimoni.


giovedì 26 aprile 2018

Una musulmana parla di Maria ai cristiani


Al convegno cristiano-musulmano che si è svolto a Castelgandolfo (16-22 aprile 2018) abbiamo parlato insieme di Maria, un cristiano e una musulmana.
Ho riportato in sintesi sul blog il mio intervento:

Adesso sintetizzo l’intervento della teologa musulmana iraniana Shahrzad Houshmand.

Oh Maria, in verità Dio ti ha eletta, ti ha purificata, ti ha eletta su tutte le donne dei modi” (Corano, 3,42).
Il nome di Maria appare per ben 34 volte nel Corano. La sua figura è sublime. È l’unica persona che nel Corano ha il titolo di moharrar, libera e liberata.
Maria è il fiore mistico, cresciuto sotto la diretta attenzione del suo Signore, è Nabat, nabatan hasana, Il fiore bellissimo: è Dio che la fa germogliare, di germoglio buono” (3,37).
Maria è vergine, e suo figlio è isa ibn Mariam: Gesù figlio di Maria.
Maria, è santa, devota, pura, immacolata, Qanitan, seddiqa.
Maria sceglie la luce, Dio, sempre. La parola usata dal corano è makanan sharqiyyan, un luogo in oriente, dove sorge il sole, la luce.

Maria sente la voce degli angeli, è in dialogo con loro: “Quando gli angeli dissero: O Maria, ecco che Dio ti annuncia un verbo, da parte sua: il suo nome è l’unto, Messia, Gesù figlio di Maria, illustre nella vita presente e nella futura, in culla parlerà alle genti, e nell’età matura. Essa disse: Come potrò avere un figlio quando nessun uomo mi ha toccata? Disse (l’angelo): Cosi sia, Dio crea ciò che Egli vuole e gli insegnerà il libro e la sapienza e la Thora e il vangelo” (3,44-47)
Maria non solo dialoga con gli angeli, ma è esempio sublime se non unico di come ricevere, incontrare, accogliere in sé, nell’anima e nel corpo, lo Spirito di Dio ruhon minh, e vedere faccia a faccia lo Spirito Santo, trasformato per lei in una forma umana perfetta (19,17).


Maria è sola, addolorata. Il corano non parla di Giuseppe al momento della prova grandissima del parto. In una società che non accetta in nessun modo una ragazza che partorisce senza marito, lei in profonda solitudine si rifugia sotto un albero secco e morto! Il Corano racconta la solitudine e il dolore enorme che Maria incontra e accetta; ricorda il suo grido: “ebbe le doglie accanto al piede di una palma morta, jiz’innikhla, e disse: fossi morta prima di questo e fossi dimenticata!” (19,23).
Ma questo dolore, non rimane tale. Anzi si trasforma radicalmente in gioia. Il Corano dice “allora la chiamò da sotto di lei, non affliggerti. Il signore ha posto sotto di te sariyyan. Scuoti verso di te il tronco della palma, rinverdirà e farà cadere su di te datteri freschi e maturi, mangia e bevi e il tuo occhio si rallegri” (19,26).
Sariyyan è una fontana d’acqua pura che scorre in silenzio e nella notte. La stessa parola nella forma verbale asra, viene usata nel corano per il viaggio mistico notturno del profeta Mohammad, dalla Mecca a Gerusalemme e da Gerusalemme al cielo, per poi fare ritorno nella stessa notte.
Maria, non solo offre il verbo di Dio al mondo, ma ora lei ha sotto di sé sariyyan e con la sua fede, scuotendo un albero secco e morto, lo fa risuscitare. Maria è l’esempio perfetto del fedele, cerca la luce, la accoglie sempre, non in un modo passivo, ma sempre attivo.

Maria è la madre di Gesù Cristo, isa massih, colui che nel Corano è Verbo di Dio, un Suo Spirito, Benedetto dovunque sia, il prossimo a Dio Muqarrab, Servo di Dio, il profeta di Dio, Colui che fa miracoli, dà la vista ai ciechi, crea dalla forma di un uccello un uccello vivo, risuscita i morti, Colui che dopo la misteriosa morte viene innalzato presso Dio. Gesù nel Corano quasi sempre viene presentato come isa ibni maryam, Gesu figlio di Maria.

Maria esempio da seguire, da musulmani, cristiani e tutti coloro che cercano un esempio perfetto di fede e di verità (66,19).
Ma perché Maria è esempio? Il corano lo spiega:
Maria è modello da seguire, non solo perché Dio arsala ha mandato verso di lei il Suo Spirito, non solo perché ha incontrato la potenza di Dio, Alqa ilayha, non solo perché Dio ha soffiato e insufflato in lei il Suo stesso Spirito nafakhna fihe min ruhena, ma anche perché, lei, è l’esempio sublime di Sapienza e unità!
Maria ha confermato le parole di Dio e i Suoi libri. L’anima di Maria, abbraccia tutti, come una meravigliosa madre.
Mohammad rasul allah e habib allah pure ci fa leggere nel Corano questo concetto della pluralità infinita delle parole di Dio: “Disse: Se il mare si facesse inchiostro per scrivere le parole del Signore, certo il mare sarebbe esaurito, prima che fossero esaurite le parole del Signore, e perfino se ne aggiungessimo uno eguale” (18,109).
Maria è Capace di Dio! È il nostro comune perfetto esempio da seguire, ieri, oggi e domani: Madre della sapienza e dell’unità.

Oggi, noi musulmani di diverse scuole teologiche, (sunniti, sciiti, kharijiti, alaviti) siamo stati invitati dai nostri fratelli e sorelle di un Movimento che ama chiamarsi: Opera di Maria! Maria, per loro è esempio sublime da seguire, e anche per noi musulmani. Forse sarebbe il tempo, di usare la parola NOI, noi credenti in Dio, creatore dei cieli e della terra, noi che amiamo Dio e cerchiamo di servirlo nei prossimi.

Quale è la via di Dio? e cosa ci chiede radicalmente il profeta Mohammad nel Corano?
Due versetti paralleli, ce lo spiegano:
“Io non vi chiedo nient’altro come ricompensa, tranne una cosa sola: Amore verso il prossimo. (42,23).
“Io non vi chiedo nient’altro come ricompensa, ma solo che qualcuno voglia scegliere la Via del Signore” (25,57).
Allora: La via del Signore è: amare il prossimo.

Oggi, radunati qui insieme, mandiamo dei segni di speranza, verso un mondo che soffre divisioni, indifferenze, ingiustizie e terribili guerre.
Creiamo un NOI di credenti di tante scuole dell’islam e del cristianesimo, fiori differenti di un unico giardino, come amava chiamarci Chiara. come Maria, il nostro comune e sublime esempio di fede, capace di accogliere le parole di Dio, accogliamoci gli uni gli altri, per poter poi accogliere l’umanità, amata da Dio.
Questa è la Via di Dio: amare il prossimo, il nostro prossimo umano, una sola famiglia umana, un Noi di musulmani e cristiani, un noi di credenti, che operano e cooperano per l’unità della famiglia umana, creata e amata da Dio.

mercoledì 25 aprile 2018

Santità nascosta: Maria Chiara Damato



Nel parlatorio del monastero delle Clarisse ad Albano trovo un pieghevole con la narrazione di quanto sia viva una loro suora morta 70 anni fa: molte persone vengono a visitare la tomba (anche papa Francesco), altri scrivono per avere reliquie, nella cassetta per le preghiere che è in chiesa vengono lasciati tanti bigliettini per richieste di grazie.
Sono andato allora a riprendere in mano un libro che avevo scritto 20 anni fa su di lei, la serva di Dio Maria Chiara Damato (Il fascino del chiostro. Maria Chiara Damato, Città Nuova, Roma 1998. L’anno successivo un altro libretto: La “perfetta letizia” di Maria Chiara Damato, Albano 1999).

Buoni si nasce, santi si diventascrivevo nell’introduzione –. Vincenzina era una bambina buona. Ma ce ne sono tante di bambine buone! Come avrà fatto a diventare santa? (e di santi ce ne sono pochi, almeno canonizzati).
Forse ci aspettiamo di vederla compiere prodigi e miracoli, o almeno ricevere qualche grazia mistica particolare, così comuni nella vita dei santi. Niente di tutto ciò. Delusione! Possiamo chiudere il libro prima ancora di leggerlo perché sicuramente non troveremo una di quelle belle vite avventurose che ci lasciano col fiato sospeso.

Oppure tiriamo un sospiro di sollievo perché, se anche nella nostra vita non ci sono miracoli ed eventi straordinari, possiamo consolarci: non per questo ci è preclusa la strada alla santità. «La santità a noi richiesta – affermava infatti Paolo VI – non è quella dei miracoli, cioè dei fenomeni straordinari, ma quella della volontà buona e ferma che, in ogni vicenda ordinaria della vita comune, cerca la rettitudine logica della ricerca della volontà di Dio».

Vincenza Damato è una ragazza come tante che, agli inizi del 1900, vive a Barletta, in una tranquilla cittadina del Sud, in provincia di Bari. A 19 anni va ad Albano Laziale, sulle colline vicino a Roma, per chiudersi in un monastero di clausura. Vi uscirà solo per morire, a 39 anni.


Poi, verso la fine del libro mi domando: 

Come ha fatto sr. Maria Chiara a diventare santa?
A lei lo Spirito aveva suggerito di esprimere il suo amore per lo Sposo nel conformarsi pienamente a lui. La sua preghiera era esplicita: “Gesù mio Diletto, che io divenga una viva tua copia, che i tuoi lineamenti si riversino in me”.
Il suo rapporto con Gesù è stato un rapporto sponsale: Lui era lo Sposo, lei la sposa, nella reciprocità dell’amore e del dono. Se lo ha seguito fin sulla croce è perché la sposa segue la sorte dello Sposo. Alla fine della vita aveva riconosciuto che il Padre celeste si era “compiaciuto donarmi il Suo Santissimo figlio per Sposo; vuol farmi diventare una viva copia di Lui mediante la sofferenza”.
Ha amato come lui ha amato. Di qui il suo amore per la Sorelle del monastero, il servizio premuroso per ognuna di esse, a cominciare dalle più piccole, il suo impegno generoso per l’edificazione della fraternità...
Ha fatto propri gli interessi di lui. Di qui il desiderio appassionato di farsi vittima con lui per cooperare alla salvezza dell’umanità dai volti concreti: quelli della sorella protestante, dei peccatori, dei poveri, dei popoli in guerra. Di qui la volontà di contribuire alla santità delle persone consacrate, dei sacerdoti, dei missionari...

Ma il culmine della sua conformazione a Gesù suor Maria Chiara l’ha forse raggiunto quando anche lei, come lo Sposo suo, si è sentita sola e abbandonata da tutti.
Il chiostro l’aveva affascinata. Quando parlava del monastero lo definiva “il mio paradiso”. Ma la sua vocazione ultima non era il chiostro. Il monastero era solo un mezzo per giungere a Dio. L’unico ideale doveva essere Dio. Per questo Dio, nell’ultimo periodo della sua vita, le chiede di perdere ciò che aveva di più caro, il monastero appunto, per l’Unico necessario.
È la prova più grande della sua vita. La malattia la strappa dal convento e la porta di ospedale in ospedale.
Dio le toglie il chiostro, il monastero, il coro, le Sorelle, la Madre perché possa essere degna sposa del Figlio suo, consumata con lui fino ad essere trasformata in lui. Nell’accettazione, per amore, della volontà di Dio che le si manifesta in maniera così inattesa, troviamo il perché della santità di suor Maria Chiara. Il dolore, aveva scritto alla sorella, era per lei “la via più certa e vantaggiosa per divenire alter Christus”.
La santità di sr. Maria Chiara è stata l’unica santità possibile, la piena conformazione a Cristo Gesù, fino ad essere come lui, immolata sulla croce per l’umanità intera. È la santità possibile per tutti, anche se il modo di seguire Gesù e di essere simili a lui non sarà lo stesso di quello di suor Maria Chiara. Lei lo ha seguito come le veniva suggerito dallo Spirito Santo. Il chiostro è stato il luogo della sua santità, ma non era quello la sua santità. Alla fine Dio l’ha strappata dal chiostro per mostrarci che è indifferente il luogo o la condizione. Deve restare solo Dio.
L’importante è saper rispondere con generosità agli inviti che lo Spirito rivolge a ciascuno. Per vie diversi, tutti siamo chiamati alla stessa metà.

Mi pare che anche le Clarisse di oggi, ad Albano, continuino in quella meravigliosa avventura.




martedì 24 aprile 2018

Paradiso '49: Madre di Dio

La scoperta della bellezza di Maria, tutta “Parola di Dio” e “Madre di Dio”

Alle sei di quel meriggio d’estate, il sole è ancora alto. Entrando nella chiesetta di Tonadico, per un attimo l’ambiente le sembra scuro per il contrasto con la luminosità che fuori l’aveva avvolta. Chiara si siede sui banchi di destra, davanti all’altare della Madonna. Lentamente la penombra si dirada e la statua della Vergine, avvolta nel manto azzurro, le mani giunte in raccoglimento, le appare in tutta la sua bellezza.
Prima di avviarsi verso la chiesa ha giocato con le amiche, sono giovani. «Proviamo a indovinare cosa ci farà comprendere questa sera lo Sposo, nel nostro viaggio di nozze in Paradiso», si sono dette, sicure che la fantasia di Dio sarebbe stata più ardita della loro e contente anche di essere smentite. Sono appena passati due giorni da quanto il Cielo sembra essersi aperto per mostrare prima il Padre, poi il Verbo. «Ora sarà la volta dello Spirito Santo», prevedono.
Le compagne sono sedute accanto a lei nel banco. Chiara ha fatto loro una proposta un po’ originale: non pensate a nulla, annientate ogni pensiero affinché sia il Signore stesso a illuminare. Chiara non lo sa, ma in maniera semplice e intuitiva sta mettendo in atto un’antichissima “tecnica” della spiritualità dell’Oriente cristiano, che per accedere alla luce esige di mettere a tacere i sensi.
Nel silenzio della chiesa, ancora una volta, si dischiude una luce di Cielo. È Chiara stessa a raccontarlo, nella lettera del 19 luglio 1949 indirizzata a Igino Giordani: «Allora guardai sopra di me, dove stava una bella statua della Mamma, e compresi come Ella fosse soltanto Parola di Dio e La vidi bella oltre ogni dire: tutta vestita della Parola di Dio che è la Bellezza del Padre, segreta custode dello Spirito in sé. E, appena l’amai, mi amò e mi mostrò con chiarezza di Cielo tutta la sua bellezza: Madre di Dio!».
Maria la “Tuttabella”, come da sempre è stata cantata. Se il Verbo è lo splendore del Padre, la sua bellezza, Maria, interamente rivestita della Parola di Dio, riflette lo stesso splendore, la stessa bellezza del Verbo. L’idea di Maria tutta Parola non è completamente nuova. Andrea di Creta (+ c. 740) scrive ad esempio di lei come di un «libro vivente in cui la parola spirituale è stata silenziosamente inscritta dalla viva penna dello Spirito». Un teologo medievale, Ruperto di Deutz, afferma che la Parola di Dio è raccolta in Maria, «nel cui grembo Dio ha convogliato tutto l’insieme delle Scritture, ogni sua parola».
Vedendola tutta sostanziata di Parola, riflesso della bellezza del Figlio, il Padre se ne innamora e fa scendere su di lei la sua Parola eterna: Maria diventa la Madre del Verbo fatto carne e la sua bellezza raggiunge il più alto splendore. «Dio – scriverà Chiara più tardi, il 9 luglio 1950 –, non poteva scendere nel peccato e allora inventa Maria che, riassumendo in Sé tutta la bellezza del creato, “inganna” Dio e Lo attira sulla terra».
Agli occhi di Chiara Maria non è più la giovinetta di Nazareth, la più bella creatura del mondo, ma la Madre di Dio, fatta da Dio grande come Dio, tale da poterlo contenere; contenuta nella Trinità e contenente in sé la Trinità.
Ancora una volta le previsioni fatte prima di entrare in chiesa vengono smentite. Erano sicure, seguendo una logica umana, che dopo il Padre e il Figlio si sarebbe manifestato lo Spirito Santo. Lo Spirito, da gran signore, ha invece fatto posto a Maria, la sua sposa, «per chiuderla poi, con la sua manifestazione – scrive Chiara con audacia –, quarta nella Trinità». Con altrettanta audacia san Massimiliano Kolbe afferma che Maria «inserita nell’amore della Santissima Trinità, diviene fin dal primo istante dell’esistenza, per sempre, in eterno, il complemento della Santissima Trinità».
Quarta nella Trinità, precisa Chiara, non quarta della Trinità. Non c’è una “quaternità” nella santissima Trinità. Da quando Gesù è salito al cielo con la sua umanità è tuttavia avvenuto qualcosa di nuovo nella Trinità: la sua carne, che è carne di Maria, si è ormai inserita nel mistero stesso della Trinità. Dopo di lui è poi salita, in anima e corpo, anche Maria: con lei la Trinità accoglie in sé la creazione intera, di cui Maria è come la sintesi e l’espressione. L’iconografia, fin dalle prime basiliche mariane, ha ritratto nelle absidi la Madre seduta accanto al Figlio, attorniata dalle altre due divine Persone e da tutti e tre incoronata Regina. È la vocazione finale – espressa plasticamente – di ogni cristiano, di cui Maria è segno e anticipazione, come ricorda la Lettera agli Efesini: Dio «ci ha fatti sedere nel cielo in Cristo Gesù» (2, 6).
Quando escono di chiesa, il cielo è d’un azzurro mai visto. «Allora compresi – racconta ancora Chiara –: il cielo contiene il sole! Maria contiene Iddio! Iddio L’amò tanto da farLa Madre sua ed il suo Amore Lo rimpicciolì di fronte a Lei!». (continua / 5)


Gustare il Paradiso ’49

«Sempre in Lei era la Parola. Così deve esser dell’Anima nostra: vivere sempre con la Parola: tutta concentrata e solo concentrata sulla Parola».

La grandezza di Maria è essere la Madre del Verbo, che è la Parola di Dio: ha accolto e vissuto la Parola. È la strada per quanti vogliono essere un’altra piccola Maria: vivere la Parola di Dio, essere unicamente Parola di Dio. Soltanto così potremo sedere anche noi nei cieli, abbracciati dalla Trinità.

lunedì 23 aprile 2018

Il cenacolo, luogo dell’invio



Secondo il vangelo di Matteo Gesù, al termine dell’ultima cena, avrebbe detto ai discepoli: «Vi precederò in Galilea». Lo stesso diranno gli angeli e Gesù stesso alle donne dopo la resurrezione. E in Galilea, sempre secondo Matteo, Gesù salì al cielo, da un monte alto. Prima di partire diede agli apostoli il mandato: «Andate in tutto il mondo, annunciate la buona novella a ogni creatura».
Anche gli altri evangelisti ricordano il mandato missionario di Gesù, al momento dell’ascensione.

Giovanni invece lo colloca nel cenacolo, durante l’ultima cena: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi».
Anche per Marco Gesù avrebbe dato il mandato di annunciare a tutti il Vangelo nel cenacolo, ma dopo la risurrezione. Marco racconto che Gesù apparve agli Undici mentre erano a tavola e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura».

Il cenacolo non è dunque soltanto il luogo dell’intimità con Gesù, ma anche il luogo dell’invio nel mondo.
La missione di Gesù è ora la nostra missione. Manda noi come il Pa­dre ha mandato lui. 
La sua opera è compiuta, inizia la nostra.
Ce la faremo?
Matteo, assieme al mandato, riferisce un’altra determinante parola del Signore: «Io sarò sempre con voi, fino alla fine dei tempi». Se non ci fosse lui tra noi e con noi, come potremmo parlare di lui?
La sua non è una visita fugace, un’apparizione, ma una presenza stabile. C’è sempre, ogni giorno, per sempre. Una presenza attiva e operante, che rimette i peccati, dà la pace, ricompone l’unità, infonde lo Spirito che crea sempre cose nuove, rende partecipi della tua risurrezione.
Possiamo farcela, ma solo se c'è Lui.


domenica 22 aprile 2018

Il battesimo? è solo l'inizio



Con le due di oggi sono arrivato al numero 17 e 18, tanti sono i nipoti che ho battezzato.
Ma non sono numeri, sono figlie e figli di Dio!

Al battesimo non si parla mai ai bambini, ma ai grandi presenti. Così ho fatto oggi.
Anche perché il battesimo non è un evento circoscritto al momento in cui viene conferito, dura tutta la vita!
Come quando il bambino nasce: è solo l’inizio, il bello viene dopo. Occorre tirarlo su, nutrirlo, vestirlo, mandarlo al nido, alla scuola, riempirlo di coccole, rimproverarlo quando è il momento, essergli vicino nei momenti difficili...
Per crescere ha bisogno non soltanto dei genitori, ma di tutta la famiglia, nonni, zii, cugini e poi insegnati, amici…
E quando finisce la formazione, la crescita? Ci vuole una vita intera.


Non è così anche per la vita nuova che nasce col battesimo? 
La fede in quel bambino è un seme piccolo piccolo, bisogna coltivare, far crescere: il catechismo, la preghiera, l’esempio, la prima comunione e poi la seconda, la terza, la cresima e avanti avanti. Quanto lavoro perché quella fede divenga adulta, consapevole, matura, capace di trasmettere a sua volta il dono della fede.
E di quante persone c’è bisogno perché quel bambino, quella bambina diventino cristiani autentici? Ci vuole tutta la famiglia, la comunità parrocchiale, la Chiesa intera.
La vita è la vita, quella umana e quella divina.

Auguri Emma e Silvia… e tutti gli altri 16 nipoti!


sabato 21 aprile 2018

Il buon pastore: Conosciuti e amati



«Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore co­noscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore» (Gv 10, 11-18).
Conosciuti e amati
Tu ci conosci, a uno a uno, e con ognuno di noi hai un rapporto personale. Sai la nostra storia, i sogni segreti, le prove e i do­lori, le gioie intime. Tutto il contrario di quando ci si riferisce, in modo dispregiativo, a un “branco di pecore”, dove i singoli sono anonimi e amorfi.
Nel tuo gregge ogni persona è unica, ha un inestimabile valore, costituisce il bene più prezioso che tu possiedi, al punto che per ognuno sei pronto a dare la vita, tanto ti siamo cari.

Mi conosci come nessuno mi conosce, mi penetri come nessuno può farlo. Mi conosci in un rapporto d’amore vivo e concreto. Non è soltanto un pensiero, un sentimento, ma un’azione: dai la vita per me, mi strappi dalla morte. Ti fai sbranare dal lupo rapace perché io sia salvo. Il tuo morire per me non è una fata­lità, un tragico incidente; è il frutto di una libera scelta: nessuno ti toglie la vita con violenza, la dai da te stesso, perché mi ami veramente.

Instauri in terra, con noi, quei rapporti di conoscenza e d’amore che vivi in cielo con il Padre, dove la conoscenza, l’amore, la ge­nerazione sono reciproci. Di tanto in tanto nel tuo parlare apri uno squarcio di Paradiso e lasci intravedere la sovrabbondanza di vita, di essere, di amore che fa di Dio la Trinità, in un gioco di rapporti in cui ognuno conosce l’altro con una conoscenza che è dono, comunione, che fa sì che l’Altro sia e i Tre siano Uno nell’unità della conoscenza, del dono, dell’amore.
Vuoi coinvolgerci nello stesso gioco d’amore. Tu ci conosci, ci ami, ti doni e altrettanto chiedi a noi nei tuoi confronti. Scatta così la medesima dinamica che ti muove verso di noi. È la no­stra vocazione: conoscerti, sapere i tuoi sogni segreti, penetrare il tuo mistero e amarti come l’unico, possederti come il dono più prezioso, fino a dare la vita per te, nell’obbedienza alla tua parola, come tu la dai a noi nell’obbedienza al Padre.

Rivivere con te il rapporto trinitario di reciprocità che tu vivi con il Padre, fino a che si dilati e giunga a coinvolgere, a una a una, anche le altre pecore vicine e lontane, quelle nel recinto e quelle fuori dal recinto, così da diventare un solo gregge, una sola famiglia, che rispecchi, in terra, l’unità trinitaria.
I rapporti di conoscenza, di amore, di dono della vita si mol­tiplicheranno all’infinito, da persona a persona, da ognuno di noi a te, da tutti a te, al Padre, allo Spirito. Un gioco che si eternizzerà dietro a te, Pastore buono, che ci conduci nel seno della Trinità.


venerdì 20 aprile 2018

Parlare di Maria ai Musulmani




“Insieme per dare speranza Cristiani e Musulmani in cammino nel carisma dell’unità”. È il titolo del convegno di quattro giorni che si tiene a Castelgandolfo, Giovedì 16 aprile – Domenica 22 aprile.
Questa mattina, assieme a Shahrzad Houshmand, ho tenuto il tema: Maria nel cristianesimo e nell’islam.

La pittura, la musica, la poesia in duemila anni di storia del cristianesimo hanno continuato a parlare di Maria, la madre di Gesù, in maniera sempre e nuova e creativa. È una donna ebrea, appartiene dunque al popolo ebraico. È la madre del Messia, il Cristo, e dunque appartiene ai cristiani. La venerano anche gli Indù, anche i buddisti, ha un posto d’onore nel Corano.
Maria è di tutti. Lei stessa l’aveva annunciato: “Tutte le generazioni mi chiameranno beata”.
Cosa avrei dunque potuto dire in lei in pochi minuti?
Ho scelto il racconto dell’annunciazione, in comune con il Corano.


L’angelo non la saluta come ci si aspetterebbe nel mondo ebraico: Shalom, pace. La saluta dicendole: χαῖρε, rallegrati, sii nella gioia perché ti porto una grande notizia. Ma prima di dare la notizia la chiama κεχαριτωμένη, ricolma della grazia e del favore di Dio.
Dio l’ha pensata e amata da sempre e ha posto in lei la sua benevolenza e ogni bellezza. Senza che lei lo sapesse l’aveva già preparata per la missione che sta per affidarle. 

Adesso l’angelo può rivolgerle, a nome di Dio, lo straordinario annuncio: «Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo» (Lc 1, 31-32).
Maria è una donna prudente e prima di dire il suo sì chiede all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». (Lc 1, 34)
Sì, le risponde l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra» (Lc 1, 35).
La nuba era il segno della presenza di Dio. Una nube si era posata sulla tenda di Mosè e sul tempio di Salomone a indicare la presenza misteriosa di Dio in mezzo al suo popolo.
La stessa “nube” scenderà su Maria, lo Spirito Santo, la potenza dell’Altissimo. Da lei nascerà il Messia predetto, e la sua nascita non avverrà con il concorso di uomo, ma sarà Dio stesso a formare in lei un figlio.
La Potenza dell’Altissimo opera ancora una volta, come nella prima creazione, creando qualcosa di nuovo.
È possibile essere vergine e insieme madre?
«Nulla è impossibile a Dio», le dice l’angelo (Lc 1, 37).
«Allora Maria disse: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. E l’angelo partì da lei» (Lc 1, 38). Con gioia aderisce pienamente a quanto Dio le ha manifestato. Questo desidera con tutto il cuore.
È il modello per ogni cristiano, contento, come Maria, di compiere sempre e comunque la volontà di Dio, perché sa che è la cosa più bella che possa esserci per lui: l’ha pensata Dio stesso! E cosa egli può volere se non il nostro bene?


Quella parola rivolta dall’angelo a Maria, Κεχαριτωμένη, piena di grazia, è stata meditata a lungo nella tradizione cristiana. Se è piena di grazia in lei non c’è peccato e satana su di lei non ha alcun potere.
Che non sia lei, si domandano presto i Padri della Chiesa, la donna annunciata già alle origini del genere umano? Eva, la prima donna, aveva detto di no all’invito di Dio. Era stata istigata dal diavolo, che le era apparso nelle sembianze di un serpente. Fu allora che Dio rivolgendosi al serpente disse: «Porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa» (Gn 3, 15).
Qual è la donna che con la sua discendenza schiaccerà la testa al serpente, al diavolo? È Maria. Eva aveva detto di no a Dio a quanto Dio le chiedeva, Maria gli dice di sì. Allora Maria non ha niente a che fare con il peccato.
I cristiani d’Oriente l’hanno presto chiamata  Παναγία = la tutta santa  
I cristiani d’Occidente l’hanno chiamata Immacolata = senza macchia di peccato: «Tutta bella sei, Maria, / e il peccato originale / non è in te».
Anche in questo Maria è modello e anticipazione di ciò a cui tutti siamo chiamati, a diventare «santi e immacolati nella carità» (Ef 1,4).
Maria è la terra buona e feconda, priva di sassi e di rovi, che accoglie il seme della Parola e la fa fruttificare al cento per cento. Dio ha trovato in lei un cuore docile, malleabile. Tutta la sua vita è segnata dalla sottomissione amorosa alla Parola, fino a fare di lei la credente perfetta.
Maria è il modello per ogni fedele su come accogliere e vivere la Parola di Dio: è la madre del Verbo di Dio, della Parola di Dio, il suo titolo di gloria.

L’icona più bella di Maria è quella nella quale porta in braccio il figlio. Un figlio che non tiene gelosamente per sé, ma mostra e dona a tutti. Maria diventa così anche madre nostra e ci insegna come essere a nostra volta, madre dell’umanità: dando a tutti la Parola di Dio.


giovedì 19 aprile 2018

Quando si insegnava a lasciarsi guidare dallo Spirito Santo


  
Manoscritto 1853
Questa sera undicesima “Lectio brevis”. Mi sono divertito e presentare, come al solito, antichi manoscritti degli Oblati. Questa volta ho parlato dei “Direttori della formazione” al tempo del Fondatore e nella seconda metà del 1800.
Lo scopo generale dei Direttori è mantenere l'unità dello spirito e dell'unità d'azione nell'opera di formazione dei soggetti e nei ministeri della Congregazione, stabilendo regole pratiche e offrendo consigli esperti per preservare e facilitare l'effettiva applicazione dello spirito della Congregazione nelle case di formazione e nelle opere apostoliche.
Nel passato la Congregazione aveva tre soltanto tre Direttori: delle missioni parrocchiali, dei Noviziati e degli Scolasticati, degli studenti prima del noviziato.
Nell’Archivio generale si conservano alcuni di questi antichi manoscritti.

Il primo Direttorio dei novizi fu composto tra gli anni 1832 (si menziona la Medaglia miracolosa di Santa Caterina Labouré, approvata in quell’anno) e il 1835, quando compare una copia con questa data. L'autore è molto probabilmente padre Casimir Aubert, che era maestro dei novizi in quegli anni.
Ci porta ai primi 20 anni della Congregazione. Ci mostra cosa, ai tempi del Fondatore, si chiedeva ai novizi riguardo a regolamento, esercizi di pietà e devozioni. È uno dei più bei documenti sulla spiritualità oblata, praticamente ignorato.
Il primo manoscritto degli anni 1830
alla pagina nella quale si parla della
devozione allo Spirito Santo
Il primo manoscritto è una copia con la scrittura di p. Charles Bellon, databile tra il 1835 e il 1836. 

Un secondo manoscritto, copiato per il noviziato di Notre Dame de l'Osier, in prima pagina porta la data del 1853. Risale al tempo del Fondatore. Anche di questo testo non conosciamo l'autore.
Vi sono poi tre diversi manoscritti, che recano questo titolo di Directoire des Noviciats. Senza il nome dell'autore e senza data di composizione.
Questi manoscritti potrebbero essere stati usati per la stesura del Direttorio del 1876, stampato a Tours 1876, 184 p. Esso codifica le direttive e le prescrizioni tradizionali nelle nostre case di noviziato e scolasticato ed è stato composto da p. Toussaint Rambert, che, secondo padre Bernad, «aveva a sua disposizione due manoscritti dei primi maestri dei novizi (Santoni, Vincens, Richard) che ha rivisto, perfezionato e dato alle stampe» (Bibliographie O.M.I., I, p. 75-76).

Un brevissimo saggio del contenuto del primo Direttorio degli anni 1830:

Tra le adorabili Persone della Trinità, [i novizi] avranno un culto speciale per lo Spirito Santo; è infatti una delle devozioni più care alle anime interiori. Come si potrebbe camminare nella via del Signore, capire qualcosa dei segreti della vita spirituale, senza la scuola dello Spirito? È sua prerogativa santificare le anime, poiché non è solo la sorgente di tutte le grazie, ma è la grazia stessa. Sono le sue luci a illuminare lo spirito umano in ciò che riguarda la fede; sono le pure fiamme del suo amore che spengono gli ardori della concupiscenza. Ma è soprattutto quando vogliamo entrare nella vita interiore, nostra sola vita, che abbiamo bisogno di una assistenza particolare dello Spirito Santo. Solo Lui può guidarci in quel cammino che stabilisce il regno di Dio nell’anima. La purezza del cuore, lo spirito di preghiera, la fedeltà alla grazia non sono che forme diverse dell’azione dello Spirito Santo che si impossessa dell’anima. I novizi avranno perciò una speciale devozione a questa adorabile Persona della Santa Trinità; avranno un desiderio ardente che essa dimori nel loro cuore; la chiameranno con frequenti sospiri e cercheranno di ascoltare fedelmente le sue ispirazioni, rimproverandosi gravemente ogni negligenza. Saranno felici di essere da lei affascinati lasciando da parte gusti e ripugnanze della natura per far posto agli impulsi della grazia.