sabato 31 dicembre 2022

Anno nuovo, vita nuova

“Anno nuovo, vita nuova”. Sappiamo che difficilmente sarà così, eppure ogni anno ce lo auguriamo. Perché sogniamo sempre qualcosa di più bello, di più autentico. Il cammino quotidiano non è né semplice né facile. È normale scoraggiarsi, stancarsi, smarrire la strada. A volte sorge il dubbio: ma vale la pena proseguire? La tentazione è quella di mollare, oppure semplicemente di rassegnarsi al tran tran quotidiano: si fa quel che si può. I rapporti in famiglia si logorano, lo studio si trascina, il lavoro non ha più creatività, ci si limita al minimo indispensabile… Ma è vita questa? Dove sono finite la luce, la gioia, l’entusiasmo di quando abbiamo iniziato il matrimonio, intrapreso gli studi, avviato un lavoro? E se ci venisse offerta la possibilità di un nuovo inizio? Sarebbe davvero bello.

Gesù la dà data ai suoi discepoli. Dopo la resurrezione fa loro sapere che li avrebbe attesi in Galilea. Li convoca nel luogo dove tutto era iniziato nella luce, nella gioia, nell’entusiasmo. Adesso gli Undici sono “tristi e delusi”, consapevoli della loro fragilità: hanno rinnegato il Maestro, lo hanno tradito, abbandonato… Come sono lontani gli inizi. Tutto un fallimento. Ed egli offre loro l’opportunità di ricominciare, non come se nulla fosse accaduto, ma proprio perché tutto è accaduto. Con una promessa: “Sarò con voi, ogni giorno, tutti i giorni”. Anche a noi offre la stessa opportunità, non soltanto all’inizio di ogni anno, ma ogni giorno. Ogni risveglio è un dono non dovuto, la vita che rinasce, una nuova opportunità. E non si riparte mai da zero, perché ogni giorno si arricchisce del bagaglio del giorno precedente, siano esperienze positive o negative, ferite, fallimenti o successi… Non rinnego niente del mio passato, mi insegna tanto: ora guardo avanti, con fiducia. Ed offro anche a chi mi è vicino la possibilità di ricominciare, gli do fiducia. Si può ricominciare. Si può sempre ricominciare.

 

 

 

venerdì 30 dicembre 2022

Condividere il cammino

Sì, mi pare di aver tenuto una bella lezione. Ma non è questo che conta. Il convegno di giovani religiose e religiose che si è tenuto questi giorni a Loppiano aveva un titolo preciso: “Più dell’aria che respiri. Preghiera e vita interiore”. Ma alcuni non sapevano neppure quale fosse il tema dell’incontro, erano attratti, come tutti, dall’idea di condividere la propria esperienza con giovani di altri carismi. Il tema della preghiera è stato in effetti l’occasione per una profonda condivisione sull’idea e pratica di preghiera nei diversi Istituti.

La cosa più bella è stato proprio la condivisione di vita, pregare insieme, la scoperta di essere tanto diversi e insieme uniti in uno stesso cammino. Anche il mio parlare aveva senso perché condivisione di una esperienza di vita.

giovedì 29 dicembre 2022

In questi giorni

Una ulteriore narrazione del Natale di Gesù è quella dell’autore della Lettera agli Ebrei. Al pari di quella di Paolo non vi sono riferimenti a circostanze storiche o ambientali. La lettera, a cominciare alla prima riga, offre piuttosto una riflessione sulla missione che il Padre affida al Figlio.

Paolo parlava della “pienezza del tempo”, la Lettera agli Ebrei di “questi giorni” che, preceduti dai “tempi antichi”, indicano il momento della completa manifestazione di Dio, la pienezza dei tempi appunto: «Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo» (1, 1-2).

Secondo il Vangelo di Giovanni tra il Padre e il Figlio vi è un dialogo costante: il Padre lo ama e gli manifesta tutto quello che fa (5, 20), si conoscono (10, 15), sono una cosa sola (10, 30), l’uno nell’altro (14, 11). La Lettera agli Ebrei ricorda che il Padre dice: “Figlio mio sei tu, oggi ti ho generato” (5, 5), e il Figlio risponde: “Abbà, Padre”. Questo da tutta l’eternità e per tutta l’eternità.

Adesso avviene qualcosa di nuovo.

Se nei tempi passati Dio si era già rivolto all’umanità attraverso i suoi profeti, adesso, “ultimamente”, vuole indirizzare ad essa la sua parola direttamente, senza intermediari. Decide di mandare sulla terra la sua Parola, quella che pronuncia da tutta l’eternità e per tutto l’eternità, il Verbo, il Figlio suo. La Parola, che nel seno della Santissima Trinità è rivolta verso il Padre, adesso si gira e di rivolge verso di noi. Gesù è la Parola del Padre diretta a noi, senza più mediazione, al punto che – come dirà Giovanni – le sue parole non sono sue, ma del Padre che lo ha mandato (Gv 14, 24).

Natale è  parola di Dio per noi. È “la Parola”, il Verbo del Padre dice a noi, che viene tra di noi e fa udire la voce del Padre, rivela in pienezza chi è Dio e ci porta Dio e in Dio.

Per far risuonare tra noi la voce di Dio, la Parola di Dio prende un corpo, si fa uomo, è Gesù. L’autore della Lettera agli Ebrei lo sente proclamare: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Allora ho detto: “Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà”» (10, 5.7). Sono le prime parole pronunciare da Gesù venendo sulla terra.

I tempi antichi sono definitivamente terminati, erano una preparazione a “questi giorni”. Sugli altari venivano immolati sacrifici di animali, a significare la volontà di dare a Dio il meglio di quanto si possedeva. Nei tempi nuovi non c’è più bisogno di vittime da bruciare in olocausto perché il loro profumo salga al cielo. Adesso c’è finalmente la possibilità di un’offerta vera, piena, degna di Dio. Il Figlio ha un corpo con il quale può donarsi al Padre. Il sacrificio gradito a Dio è il compimento della sua volontà.

Tutto ciò “in questi giorni”. Natale non un evento chiuso nel passato, è evento di oggi, di “questi giorni”.

 

mercoledì 28 dicembre 2022

Alla 81ma generazione

In questo periodo natalizio la liturgia ci fa leggere la prima lettera di Giovanni, che si apre con la grande testimonianza: "Quello che abbiamo visto, udito, toccato riguardo alla Vita, lo annunciamo a noi…".

Anche san Paolo, all’inizio della prima lettera ai Corinti, scrive: “Vi ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto”.

Vengono alle mente le parole del salmo 145: “Una generazione narra all’altra…”. Più diffusamente il salmo 71: “Ciò che abbiamo udito e conosciuto e i nostri padri ci hanno raccontato non lo terremo nascosto ai nostri figli, raccontando alla generazione futura le azioni gloriose e potenti del Signore e le meraviglie che egli ha compiuto. Ha stabilito un insegnamento in Giacobbe, ha posto una legge in Israele, che ha comandato ai nostri padri di far conoscere ai loro figli, perché la conosca la generazione futura, i figli che nasceranno. Essi poi si alzeranno a raccontarlo ai loro figli…”.

La testimonianza di Gesù ha attraversato i secoli giungendo fino a noi. Non si trasmette con i libri, ma con la vita, e passa di generazione in generazione. Se oggi noi crediamo è perché la fede ci è stata trasmessa da chi l'ha vissuta e ricevuta a sua volta. Ha attraversato 80 generazioni (supponendo che una generazione copra 25 anni). 

A noi trasmetterla alla 81ma generazione.

martedì 27 dicembre 2022

Nuovi personaggi per il presepe

 

Sono stato a vedere i 100 presepi sotto il colonnato di san Pietro. Alcuni classici, alcuni moderni, alcuni composti da autentici artisti, alcuni da bambini delle scuole… C’è anche un presepe in un bus dell’ATAC e uno nel camion dei pompieri… Ogni tanto qualcuno aggiunge un nuovo personaggio.

Stranamente tra i personaggi del presepe mancano quelli che la liturgia ha messo da sempre. Il giorno dopo Natale mette accanto a Gesù Bambino il primo martire, Stefano, modello di ogni discepolo, pronto a dare la vita come l’ha data Gesù. Il secondo giorno mette nel presepe san Giovanni evangelista, modello del discepolo amato e che ama. Il terzo giorno i bambini di Betlemme uccisi da Erode, a ricordare che per testimoniare che anche i bambini possono testimoniare Gesù.

Per l’anno prossimo vediamo di trovare un artigiano che prepara questi nuovi personaggi, da mettere nel presepe giorno dopo giorno, mentre intanto i Magi avanzano un passo alla volta verso Gesù Bambino.









lunedì 26 dicembre 2022

Concerti di Natale


 


Ogni sera a Roma c’è uno o più concerti di Natale. Me ne sono goduto uno bellissimo, all’Ara Coeli, reso più bello ancora dalla chiesa, un autentico capolavoro al quale non ci si abitua mai, tutta illuminata a festa…



Il secondo è stato ugualmente bello, anche questa volta soprattutto per il luogo, o meglio gli spettatori: un centro per disabili.



La mattina del Natale sono tornato in questo centro, per celebrare la messa con tutte le persone qui ricoverate – è infatti un centro femminile. Alcune sono sulle balconate della chiesa, costruita 100 anni fa senza barriere architettoniche, in modo che tutti i piani possano avervi accetto; altre sono a letto nei reparti.

Spesso sento che li chiamano “infelici”. Forse lo sono i loro familiari. Mai viste persone più felici di loro: vivono radicati nel presente, senza ansietà per il futuro, senza inseguire come noi sogni effimeri e irraggiungibili. Sanno godere di una visita, di un gioco, di una festa, di un fiore, di un dolce, assaporano tutto, momento per momento. E ti ricolmano d’affetto disinteressato.

Che bel Natale!

 

domenica 25 dicembre 2022

Il "mirabile scambio" del Natale

Maria lo avvolge di fasce. Un gesto materno, pieno di tenerezza e d’amore. Un gesto preparato fin da quando aveva saputo di essere in attesa di un bambino. Come ogni mamma avrà preparato i panni. “Mancano panni e fuoco”, cantiamo a Natale col sublime Tu scendi dalle stelle. Lo concediamo alla poesia, ma i genitori di Gesù, per quanto poveri, non erano né impreparati alla nascita, né sprovvisti dell’essenziale. L’angelo lo aveva annunciato come «Figlio dell’Altissimo», ma sarebbe pur stato un bambino e come ogni bambino avrebbe avuto bisogno di tutto. Mistero di Dio che si fa uomo nella fragilità di un bambino che deve essere avvolto in fasce per proteggerlo dal freddo.

In quel gesto di Maria i Padri della Chiesa hanno visto significato l’umanità che avvolge la divinità, la Madre che riveste d’umanità la divinità del Figlio di Dio, vero Dio e vero uomo.

La tradizione vi ha visto un ulteriore segno. Quel gesto della Madre prelude a quello di altre donne che lo avvolgeranno in un altro panno, dopo la tua morte. Maria lo depone in una mangiatoia, le donne del Calvario in un sepolcro. Nell’iconografia orientale della Natività la culla è più simile a una bara, le fasce ad un cadavere come quello di Lazzaro che viene fuori dalla tomba, la grotta alle spalle del neonato, nera, è la cavità di una tomba. Nascita e morte del Salvatore sono gli estremi di un unico mistero: l’amore che si incarna e che dà la vita: si è fatto uomo, avvolto dalla nostra miseria, dal nostro peccato, dalla nostra morte.


Nello stesso momento appare un altro avvenimento, di segno opposto: la gloria del Signore avvolge di luce i pastori. Dalla casa di Betlemme l’evangelista sposta il suo sguardo verso i pastori, accampato fuori città, nella campagna. La tradizione indica, a pochi chilometri da Betlemme, il “campo dei pastori”, dove nella notte venivano vegliate le pecore.

I pastori, persone semplici, abitualmente non sapevano né leggere né scrivere, vivevano ai margini dei villaggi, sono scartati e temuti, ritenuti impuri. Sono gli ultimi. L’angelo si rivolge proprio a loro per il grande annuncio: “Vi è nato un Salvatore”. Sono subito avvolti di luce, trasfiguri e ritrovano la dignità regale di figli di Dio.

Un gesto materno riveste di panni Gesù. Un gesto paterno di tenerezza e d’amore, pensato fin dall’inizio dei tempi, e prima ancora, da tutta l’eternità, riveste di luce i pastori. L’umanità è divinizzata. L’uomo accoglie Dio ed è trasformato in Dio. Divino e umano, Cielo e terra si abbracciano. È il “mirabile scambio” cantato dai nostri antichi Padri: l’uomo, in Maria, dà a Dio la sua umanità e Dio, in Gesù, dà all’uomo la sua divinità. Il Figlio di Dio si fa uomo per fare dell’uomo il figlio di Dio, avvolto di gloria. Scende su questa nostra terra e ci innalzi nel suo Cielo. Spegne la tua luce, si rende opaco, nasconde la sua gloria celeste nella piccolezza di un comune bambino e accende i poveri pastori, noi poveri, del divino.

 

sabato 24 dicembre 2022

Natale: come i bambini

Cosa dire a Natale? Nei mille auguri che abbiamo ricevuto è già detto tutto.

Ho ricevuto come regalo un libriccino di sant’Annibale Maria di Francia con preghiere a santa Teresa di Gesù Bambino. Nella introduzione scrive: «Seguendo l’esempio di santa Teresina dobbiamo diventare come bambini che hanno bisogno di latte e di carezze; dobbiamo fare come fanno i bambini con le loro madri, così dobbiamo fare noi con Gesù. I bambini stringono la veste delle loro madri, si gettano al collo e la baciano ad ogni istante, le accarezzano con le loro manine, si fanno forti di ciò che hanno le loro madri; se poi vogliono alcuna cosa sanno dire tante tenere parole fin quando strappano alla mamma i favori che domandano. Così dobbiamo fare col Signore che è padre e madre. Per esser belli innanzi agli occhi di Dio e di Maria dobbiamo farci piccoli come i fanciulli, essere semplici di cuore, poveri di spirito, distaccati da tutti».

Tra le tante preghiere che il santo compone ce n’è una ispirata alla piccola via di santa Teresa di Lisieux, “per ridiventare bambini”. O meglio sono 25 preghiere: prima enuncia una caratteristica del bambino, poi fa la preghiera a Gesù Bambino per avere quella caratteristica: sono preghiere dolcissime, di intensa fiducia... Tralascio le preghiere a Gesù Bambino – ognuno può elaborarle da sé – e trascrivo le 25 caratteristiche del bambino:

1. I bambini credono tutto
2. I bambini non conservano rancore
3. I bambini fanno e pensano ciò che loro si dice di fare e pensare
4. I bambini amano i genitori e i fratelli
5. I bambini non si preoccupano delle cose del mondo
6. I bambini parlano con semplicità
7. I bambini dimenticano le ingiurie
8. I bambini gioiscono se si fanno loro dei doni e si affezionano subito a chi glieli fa
9. I bambini, se sono assaliti, fuggono in braccio al padre e alla madre
10. I bambini piangono se non vedono i genitori
11. I bambini piangono e ridono con i genitori che piangono e che ridono
12. I bambini vogliono stare sempre con i genitori e andare dove essi vanno
13. I bambini imitano tutte le azioni dei loro genitori
14. I bambini apprendono il linguaggio paterno
15. I bambini sono innocenti dell’innocenza battesimale
16. I bambini non sanno nulla delle malizie del mondo
17. I bambini non giudicano male
18. I bambini non parlano mane di alcuno
19. I bambini dormono in braccio alla madre
20. I bambini non sono ambiziosi
21. I bambini, se nono richiamati, subito si correggono
22. I bambini non sono ostinati e cedono facilmente al volere dei loro genitori
23. I bambini sono sempre adornati di una bellezza e grazia infantile che attira ad amarli
24. I bambini apprendono le preghiere insegnate loro dai genitori, e le recitano bene mattina e sera
25. I bambini baciano con affetto i loro genitori e vogliono i loro baci e le loro carezze.

venerdì 23 dicembre 2022

Un Presepe da Fast Food

Una amica che vive negli Stati Uniti mi racconta di un presepe… e di come stare attenti per scoprire il presepe nei posti più impensati.

In viaggio dalla Pennsylvania a New York, mi sono fermata in un’area di servizio e lì mi aspettava questo Presepe. Non particolarmente artistico o armonioso, perso tra ketchup, bustine di sale, cannucce e tovaglioli; annichilito dal distributore di bevande. Neppure la foto scattata di corsa gli rende particolarmente giustizia. Eppure non sono riuscita a dimenticarlo.

È il Presepe del mio Natale 2022. Posizionato con coraggio da uno dei dipendenti, in un luogo non sacro, con un rotolo di sacchi di spazzatura a fargli da scudo: era lì. Era lì a ricordarmi e a ricordare che Natale è la festa di Gesù e non delle mille luci o delle centinaia di armoniose creazioni che lo hanno sloggiato. È la festa di un Dio bambino, che si è mescolato tra tutti, senza pretendere bellezza o ranghi, ma è diventato uno di noi, uno da fast food, uno che sa ancora parlare al cuore, nella fila per gli hamburger e le patatine.

Che questo Natale ci dia la gioia e lo stupore di scoprire la Sua presenza lì dove non ci aspetteremmo; lì dove il Sacro si è fatto spazio sorprendendoci, anche tra gli emblemi imponenti della globalizzazione. Merry Christmas.

giovedì 22 dicembre 2022

Il Natale di Apa Pafnunzio

Auguriamoci davvero di saper "tenere tra le braccia" con tenerezza Gesù bambino in questo Natale. Tenere - Tenerezza... chissà se l'etimologia è la stessa? - Che tenera immagine! Che bel sogno. - Ho letto il tuo scritto e ho vissuto un momento di profonda serenità e pace. - Mi unisco alla gioia di quanti hanno partecipato a questa esperienza, al loro stupore e alla loro incontenibile voglia di raccontarla, riflesso dello stupore dei pastori e del coro degli angeli che lodano Dio... - Saper accogliere Gesù tra le nostre braccia con la delicatezza che Lui desidera e saperlo contemplare, perché fissando il nostro sguardo sulla sua umiltà, possiamo essere trasformati in Lui.

Sono soltanto alcune risposte al blog sul Natale di santa Francesca Romana: http://fabiociardi.blogspot.com/2022/12/il-natale-di-santa-francesca-romana.html

Ancora: - È proprio vero, quante volte non ci accorgiamo nemmeno di avere Gesù fra le braccia o di averlo di fronte a noi! - Questa esperienza mi è arrivata al cuore!! vorrei vivere profondamente l'invito di Gesù Bambino a saperlo tenere in miglior modo... "guardandolo" fissamente. - Mi sono commossa con la visione di Francesca Romana ed un po' identificata. - Con questa mia nuova nipotina di 8 mesi ogni volta che la prendo in braccio e la guardo per ore penso a Gesù che per noi si è fatto così. - Chiediamo la grazia di saperlo "tenere in miglior modo" - Immagino, con i tempi che viviamo, il piccolo Gesù ricorra nelle braccia della Mamma e ci resta! Prego che così non sia! - Anch'io voglio tenere Gesù stretto, stretto nel mio cuore. - Non distogliere lo sguardo e custodire la presenza di Gesù in noi e fra noi!! - Mi sono commossa con la visione di Francesca Romana ed un po' identificata... - È veramente il natale che tutti noi vorremmo, tenere Gesù stretto al petto, con noi e in noi, contemplarlo per poi ridarlo all'umanità... - Con lo sguardo fisso su Gesù, che non vogliamo mai lasciare. - Si è il Natale che tutti vorremmo vivere. Con Gesù senza perderlo mai di vista! - Grazie Padre Fabio per questo dono che apre il cuore e il mistero di questo Natale, per me, per noi oggi: “tenerLo stretto…non lasciando mai di guardarLo fissamente”… Ci provo, ci credo. - Che io possa rivivere, almeno in parte, la stupenda esperienza di Santa Francesca Romana! - Veramente bella questa storia! Un Natale che può finalmente essere così semplice e così vero!

Ho raccontato di santa Francesca Romana, ma quanti altri santi e sante hanno avuto l’esperienza di abbracciare Gesù Bambino. Basta pensare a san Francesco d'Assisi, a sant’Antonio da Padova. Ma prima di loro ad apa Pafnunzio, di cui ricordo il “Sogno di Natale”:

Sognò di trovarsi nella grotta di Betlemme, dove s’era recato assieme ai pastori, chiamato dalla voce dell’angelo. Trovò, come gli era stato annunciato, la madre che stava allattando il bambino. Quando ebbe terminato, ella si guardò attorno, in cerca di un angoletto dove adagiarlo, ma non trovò spazio che fosse adatto, fin quando posò lo sguardo su di lui. Apa Pafnunzio vide rivolgere su di sé lo sguardo della vergine madre. Gli bastò quello sguardo per sentire il cuore svuotarsi d’ogni vanità.
Si ritrovò bambino.
Fu pervaso da un fuoco d’amore.
Si ritrovò grande, dilatato all’infinito.
Maria gli si accostò e adagiò il figlio sul suo cuore.

mercoledì 21 dicembre 2022

Natale per strada

Nei giorni attorno a Natale è d’obbligo passeggiare per le vie della nostra città.
Per godere le luci di festa e i negozi con i regali preziosi.
Per vedere i presepi che parlano sempre di gioia e bontà, quello storico sulle scalinate di Trinità dei Monti, quello popolare sotto il portico di sant’Eustachio, quelli oleografici e pur sempre belli nelle chiese parrocchiali, quello maestoso di Piazza san Pietro.
Per ascoltare un coro romano che si esibisce gratuitamente in piazza san Silvestro o i canti e i suoni degli artisti di strada col cappello per terra.
Ma soprattutto per vedere la gente, lo spettacolo più bello che Roma offre sempre con generosità e larghezza.
È proprio per questa gente, per questa città, che ancora si compie il mistero del Natale: l’uomo accoglie Dio ed è trasformato in Dio.
Divino e umano, Cielo e terra si abbracciano.
L’uomo dà a Dio la sua umanità e Dio dà all’uomo la sua divinità.

Figlio di Dio, ti fai uomo per fare dell’uomo il figlio di Dio.
Scendi su questa nostra terra e ci innalzi nel tuo Cielo.
Spegni la tua luce e ti rendi opaco,
nascondi la tua gloria celeste nella piccolezza di un comune bambino
e accendi noi del divino.
Scendi ancora tra noi
in questa nostra notte
di paura e di speranza.
Torni a brillare la tua luce
e illumini le tenebre
della violenza e della solitudine.
Portaci il Cielo sulla terra
e trasfigura in Cielo la nostra terra.

(Natale 2014)

 

 

martedì 20 dicembre 2022

Il Natale di santa Francesca Romana

Ho terminato il corso sulla storia della vita consacrata che ho dato all’Internoviziato dei Castelli Romani, ad Albano: 50 novizi e novizie appartenenti a diversi Istituti religiosi. L’ultima lezione questa mattina, per le vie di Roma. Siamo andati alla scoperta dei luoghi di santa Francesca Romana e della sua fondazione delle Oblate. Un itinerario appassionante, che ci ha portato a Tor de’ Specchi, dove ha iniziato l’esperienza con le Oblate, casa Ponziani dove ha vissuto tutta la vita con il marito e la sua famiglia, la chiesa di santa Maria in Cappella dove curava gli ammalati. Un luogo più bello dell’altro dal punto di vista artistico, storico, spirituale…

Tra le tante cose abbiamo ricordato alcune delle visioni avute dalla santa riguardanti non soltanto il Natale, ma proprio il suo rapporto personale con Gesù. Le Visiones XII, XIII, XIV, ecc., raccontano della sua dolce e gioiosa intimità con Gesù Bambino: la Madonna glielo dà in braccio e lei se lo tiene stretto, lo culla, lo riscalda avvolgendolo nel suo manto, gioca con lui…

In uno di questi momenti chiede a Maria di lasciargli ancora un po’ Gesù in braccio. Ma mentre parla con la Madonna Gesù si nasconde, “facendola molto spasimare”, finché riapparsole nelle braccia della Madre, così le dice: “O anima poveretta, che da me sei stata eletta a godermi in tanta festa, eccomi a te di nuovo, ma sappimi tenere in miglior modo”, e “tornando egli fra le braccia, Francesca se lo tenne stretto al petto con la precauzione più accurata, non lasciando mai di guardarlo fissamente fino al termine della visione”.

È il Natale che tutti vorremmo vivere.



 

lunedì 19 dicembre 2022

Ecco io vengo, un corpo mi hai dato

 

Il Verbo, Parola di Dio, aderisce in pieno al desiderio del Padre che avendo amato il mondo vuol mandarvi il Figlio, e viene come suo profeta: il Padre “ha parlato a noi per mezzo del Figlio”.

Per far risuonare tra noi la voce di Dio, il Verbo eterno prende un corpo ed entra nel tempo e nella nostra storia. La Parola di Dio si fa uomo, è Gesù. L’autore della Lettera agli Ebrei lo sente proclamare: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Allora ho detto: “Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà”» (10, 5.7). Sono le prime parole pronunciare da Gesù venendo sulla terra.

Non è una rivelazione astratta. Qui c'è un corpo, che dà concretezza alla persona.

Quando nel Natale del 2011 tornai da uno dei miei viaggi in India, trovai il presepe tradizionale già pronto. Accanto alla capanna vi è però un elemento nuovo: un bellissimo vangelo aperto, con una preziosa miniatura.

Avevo appena visto con quanta cura in India si veneravano le Scritture sacre, libri  portatori di parole di salvezza, spesso ritenuti rivelati. I Veda trasmettono una sapienza eterna, ricevuta per rilevazione e per tradizione, oggetto di contemplazione dei veggenti e dei vati. Il Tipitaka del mondo buddhista possiede una grande sacralità. Grande venerazione anche per il Granth, libro sacro dei Sikh, così come per il Purvos per il Giainismo, il Corano per i Musulmani. Gli stessi cristiani indiani nelle chiese da una parte dell’altare pongono il tabernacolo, dall’altra la teca per la Bibbia.

Guardando il presepe e il Vangelo accanto alla culla, vidi con chiarezza che il Vangelo non è semplicemente un libro sacro. Non siamo la religione del Libro, come abitualmente si dice, ma di una Persona. Gesù è la Parola che Dio Padre pronuncia da tutta l’eternità e che si fa parola umana, bambino. La sua dottrina e la sua persona, la sua opera e il suo insegnamento sono inseparabili. Attraverso le sue parole egli si rende continuamente presente nella sua Chiesa, rinasce, e continua a parlare a uomo e donna di ogni tempo.

 

domenica 18 dicembre 2022

Ancora sul Natale secondo Paolo

Nello stesso periodo in cui scrive la lettera ai Galati, anno 54-55, Paolo torna a mostrare il mistero della venuta del Signore sulla terra legandolo ancora strettamente con la sua morte e risurrezione. Nella Lettera di Filippesi riprende e adatta un inno della comunità cristiana, quindi ancora più antico, secondo il quale Gesù Cristo «non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo la condizione di servo, divenendo simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (2, 6-8).

La discesa consiste nell’abbandonare la sua gloria e divenire uomo tra gli uomini, in un abbassamento progressivo che lo porta a morire, anzi – e questa sembra proprio una aggiunta di Paolo al precedente inno – a morire sulla croce, il supplizio riservato agli schiavi: non si era abbassato fino a diventare “servo”? La sua “condizione di Dio” si eclissa per assumere fino in fondo la realtà umana e essere accanto a ogni uomo nella sua condizione di miseria, di limite, di peccato: ekénosen, svuotò se stesso. Il “Natale” è l’atto dello svuotamento che Gesù fa di se stesso, la sua kénosis. Non un Dio che scende sulla terra con potenza, con la luce abbagliante della sua maestà, ma nel nascondimento, nel silenzio, nell’umiltà nel suo significato originario di humus, del farsi terra. Un Dio che entra nella realtà umana e la percorre tutta, fino in fondo, in una immedesimazione tale che gli fa scordare la sua divinità.

La divinità rimane, ma nascosta, completamente impastata di terra, di umano, per niente appariscente. Ma c’è, come la vita è presente nel chicco di grano che muore sotterra, secondo la più breve e la più bella parabola di Gesù, riferita proprio a lui stesso in questo mistero di kénosis, di abbassamento, fino a essere sotterrato.

La vita divina, la divinità rimane in questo uomo che prende la forma del servo e che muore. È sempre il Figlio di Dio che prende “carne”, altrimenti morirebbe e basta, senza avere in sé la capacità di dare la vita nuova. Se scende nelle profondità oscure della nostra storia è per farla risorgere con lui, per trasformarla con la presenza salvifica della sua divinità.

Al momento discendete succede dunque quello ascendente, quando brilla di nuovo la luce della trascendenza eclissata nella morte in croce. Il servo torna ad essere Kyrios, “Signore”, entra nuovamente nella sua gloria: «Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome», così che tutti i popoli e tutte le lingue proclamino: «Gesù Cristo è Signore» (2, 9.14).

Discesa e ascesa, Natale e Pasqua, sono inseparabili.

 

sabato 17 dicembre 2022

La prima narrazione del Natale


Il primo a narrare il Natale di Gesù è stato l’apostolo Paolo. Ne scrive attorno all’anno 55, ben prima di Luca e Matteo, che composero i loro vangeli dopo il 70. Nella lettera ai Galati leggiamo: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli» (4, 4-5). Nella sua narrazione non ci sono né angeli, né stelle, né pastori, e neppure indicazioni di luoghi o circostanze storiche.

In che anno ci troviamo? In quale regione della terra? A queste domande risponderà l’evangelista Luca. A Paolo interessa una precisa coordinata storica: è giunta la pienezza (in greco: “il riempimento”) del tempo. È il tempo di Dio, quello da lui preparato da tutti i secoli. I tempi precedenti era quelli dell’attesa, ora inizia il tempo nuovo, definitivo, il tempo della salvezza. La pienezza del tempo indica il cuore della storia umana: Gesù è il centro della storia, tutto il creato trova in lui il suo senso e la sua più profonda unità.

La Chiesa, afferma il Concilio Vaticano II, «crede anche di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana… Al di là di tutto ciò che muta stanno realtà immutabili; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli» (Gaudium et spes, 11)

Secondo l’originale greco quel «nato da donna» dovrebbe essere tradotto con «divenuto da donna». Questa parola a noi richiama il prologo del Vangelo di Giovanni dove, all’essere del Figlio, si contrappore il divenire di tutte le cose, anche il divenire della sua nascita nella storia, l’assunzione della natura umana: il Figlio di Dio diviene figlio dell’uomo, perché generato da una donna. Gesù nasce da vero uomo, come ogni uomo, nel concepimento, nel parto, ed ha bisogno di cure, di attenzioni, di tenerezza, di amore. Ha una madre, anche se Paolo non è interessato al suo nome e alla sua storia. All’Apostolo preme mettere in luce la piena umanità del Figlio di Dio. Generato dal Padre da tutta l’eternità e per tutta l’eternità, è generato nel tempo da una donna, assumendo la carne, ossia un corpo in tutta la fragilità umana. Dio, scrive ancora Paolo, ha mandato «il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato» (Rm 8, 3), ed entra in un mondo e in una storia segnati dal male, dal dolore, dalle miserie umane, dalla precarietà dell’esistenza e dall’incertezza del presente. Il libro di Giobbe aveva parlato proprio della precarietà dell’uomo nato da donna: «L’uomo, nato da donna, ha vita breve e piena d’inquietudine; come un fiore spunta e avvizzisce, fugge come l’ombra e mai si ferma» (14, 1-2).

Gesù è carne della nostra carne, uomo come noi, ha fame, ha sete, si stanca, prova paura e angoscia, così come sa godere delle gioie effimere che la creazione e la convivenza umana gli offrono: la contemplazione della natura, la festa, l’amicizia… Dio, in lui, potrà amare con il cuore. Potrà conoscere anche la morte.

Paolo non dice in quale luogo è nato il Figlio di Dio, ma ci fa conoscere che è «nato sotto la Legge»: è un ebreo, sottoposto alla legislazione mosaica. Se il Figlio di Dio per nascere uomo ha bisogno di una donna, ha bisogno anche di un padre “legale”, che gli permetta di nascere sotto una legge. Ancora una volta all’apostolo non interessa il nome del padre, interessa che permetta a Gesù di inserisci nella linea dinastica del popolo ebraico: «nato dal seme di Davide secondo la carne», come afferma nella lettera ai Romani 1, 3.

Infine Paolo indica la finalità del Natale di Gesù: “perché noi ricevessimo l’adozione a figli”. Lo ripetiamo nel Credo: «Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo».

 

venerdì 16 dicembre 2022

Che bei volti!


Sarei tentato di riportare gli appunti dell’incontro che ho tenuto questa mattina con 30 giovani di 13 nazioni (via zoom), ma sono le solite cose. Solo che ho parlato un’ora soltanto. Le altre due ore sono state tutte di dialogo e questo è troppo bello. “Sono stati contentissimi e hanno commentato super positivamente questo momento con te – così mi scrivono gli organizzatori. Anche quelli che si definiscono agnostici erano commossi e interessatissimi”.

Ma la cose più bella… è la foto con loro… a distanza!

giovedì 15 dicembre 2022

Il primo racconto del Natale

Il primo a narrare il Natale di Gesù è stato l’apostolo Paolo. Ne scrive attorno all’anno 55, ben prima di Luca e Matteo, che composero i loro vangeli dopo il 70. Nella lettera ai Galati leggiamo: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli» (4, 4-5). Nella sua narrazione non ci sono né angeli, né stelle, né pastori, e neppure indicazioni di luoghi o circostanze storiche.

In che anno ci troviamo? In quale regione della terra? A queste domande risponderà l’evangelista Luca. A Paolo interessa una precisa coordinata storica: è giunta la pienezza (in greco: “il riempimento”) del tempo. È il tempo di Dio, quello da lui preparato da tutti i secoli. I tempi precedenti era quelli dell’attesa, ora inizia il tempo nuovo, definitivo, il tempo della salvezza. La pienezza del tempo indica il cuore della storia umana: Gesù è il centro della storia, tutto il creato trova in lui il suo senso e la sua più profonda unità.

La Chiesa, afferma il Concilio Vaticano II, «crede anche di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana… Al di là di tutto ciò che muta stanno realtà immutabili; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli» (Gaudium et spes, 11)

Secondo l’originale greco quel «nato da donna» dovrebbe essere tradotto con «divenuto da donna». Questa parola a noi richiama il prologo del Vangelo di Giovanni dove, all’essere del Figlio, si contrappore il divenire di tutte le cose, anche il divenire della sua nascita nella storia, l’assunzione della natura umana: il Figlio di Dio diviene figlio dell’uomo, perché generato da una donna. Gesù nasce da vero uomo, come ogni uomo, nel concepimento, nel parto, ed ha bisogno di cure, di attenzioni, di tenerezza, di amore. Ha una madre, anche se Paolo non è interessato al suo nome e alla sua storia. All’Apostolo preme mettere in luce la piena umanità del Figlio di Dio. Generato dal Padre da tutta l’eternità e per tutta l’eternità, è generato nel tempo da una donna, assumendo la carne, ossia un corpo in tutta la fragilità umana. Dio, scrive ancora Paolo, ha mandato «il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato» (Rm 8, 3), ed entra in un mondo e in una storia segnati dal male, dal dolore, dalle miserie umane, dalla precarietà dell’esistenza e dall’incertezza del presente. Il libro di Giobbe aveva parlato proprio della precarietà dell’uomo nato da donna: «L’uomo, nato da donna, ha vita breve e piena d’inquietudine; come un fiore spunta e avvizzisce, fugge come l’ombra e mai si ferma» (14, 1-2).

Gesù è carne della nostra carne, uomo come noi, ha fame, ha sete, si stanca, prova paura e angoscia, così come sa godere delle gioie effimere che la creazione e la convivenza umana gli offrono: la contemplazione della natura, la festa, l’amicizia… Dio, in lui, potrà amare con il cuore. Potrà conoscere anche la morte.

Paolo non dice in quale luogo è nato il Figlio di Dio, ma ci fa conoscere che è «nato sotto la Legge»: è un ebreo, sottoposto alla legislazione mosaica. Se il Figlio di Dio per nascere uomo ha bisogno di una donna, ha bisogno anche di un padre “legale”, che gli permetta di nascere sotto una legge. Ancora una volta all’apostolo non interessa il nome del padre, interessa che permetta a Gesù di inserisci nella linea dinastica del popolo ebraico: «nato dal seme di Davide secondo la carne», come afferma nella lettera ai Romani 1, 3.

Infine Paolo indica la finalità del Natale di Gesù: “perché noi ricevessimo l’adozione a figli”. Lo ripetiamo nel Credo: «Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo».

Nella Lettera a Tito, troviamo un altro annuncio del Natale nel quale non viene più in evidenza la concretezza e la debolezza della “carne”, dell’umanità di Gesù, ma la luce che emana da questo straordinario evento di grazia: «È apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini» (Tt 2,11), «la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini» (Tt 3,4).

Di nuovo, come in Giovanni, appare l’iniziativa dell’amore di Dio che ha tanto amato il mondo da mandare suo Figlio. La “bontà” di Dio nel testo greco della lettera a Tito, è detta philanthrōpia. La Volgata latina traduce, in maniera significativa, con humanitas: il nostro Dio è “umano”! Ama per davvero. E manda suo Figlio “che porta la salvezza a tutti gli uomini”.

Possiamo iniziare con gioia la nostra novena di Natale.

 

mercoledì 14 dicembre 2022

Siamo nelle mani di Maria

 


Questi giorni ho parlato delle mani di Dio. Ecco che mi arriva questo messaggio:

Oggi hanno dimesso papà dopo 15 gg nel reparto di medicina d’urgenza. Ci aiuterà l’assistenza a domicilio per flebo, medicazioni, etc. Tante incertezze e sospensioni... Prima di rientrare sono passata nella cappella dell’ospedale per dire a Maria: “Sono tua”. E mi ha colpito l’immagine che ho trovato... Tu ci avevi detto che Dio ci tiene per mano, ma lì ho trovato anche la Madre che ci tiene per tutte e due le mani!! E non ci molla! “Ci tira su” a guardare oltre, in alto! Allora avanti con coraggio. In Dio nostra Roccia.

martedì 13 dicembre 2022

Rivolto verso di noi

A differenza di Matteo e di Luca, Giovanni non racconta la nascita di Gesù. Più che la storia cerca il senso della storia. L’origine di Gesù si perde in Dio: “In principio era il Verbo”: siamo trasportati nell’eternità, prima del tempo e della storia. Quel verbo “era”, ripetuto con forza per quattro volte lungo le prime righe del Prologo del Vangelo, dice la natura del Verbo: egli semplicemente “è”, è Dio.

Da quell’essere e da quella eternità, scaturiscono e tempo e storia: «tutto è stato fatto per mezzo di lui… il mondo è stato fatto per mezzo di lui» (1, 3.10). Nell’eternità c’è l’essere, lo “stare”, la durata senza fine, il rapporto d’amore senza ombra. Il Verbo “è”, da sempre e per sempre, saldo come roccia. Nel tempo c’è il farsi, il divenire, l’accadere, nella caducità delle cose e nell’incertezza dei rapporti: tutto “diventa”, tutto “viene fatto”, effimero ed evanescente: «Il principio era il Verbo… e il Verbo era Dio… Tutto è stato fatto per mezzo di lui…» (1, 3).

Dio ama la sua fragile creatura e si rivolge al Figlio amato perché dia consistenza all’effimero e lo porti con sé nell’eternità. «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3, 16).

Il Verbo, proprio perché costantemente rivolto verso il Padre, non può non accogliere e condividere la sua proposta. Nel suo infinito amore cambia posizione: non più rivolto verso il Padre, adesso si rivolge verso di noi. Noi diventiamo l’oggetto della sua attenzione, della sua cura, del suo amore. Lascia il Cielo per venire sulla terra: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (1, 14).

Il Natale del Cielo si fa Natale in terra.

domenica 11 dicembre 2022

La preghiera al Padre

Che spettacolo! Una sala con 300 persone in “ritiro”. 81 di loro fanno i voti o le promesse, temporanei o perpetui. Sono collegati in streaming più di 1000 punti di ascolto. 10 traduzioni… Parlo della preghiera di Gesù al Padre e della nostra preghiera. 

Pregare il Padre. E chi altri dovremmo pregare dopo che Gesù ci ha detto: “Quando pregate, dite: Padre” (Lc 11, 2)? «Quando preghi – leggiamo ancora nel Vangelo di Matteo –, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto…» (Mt 6, 6). Rivolgersi al Padre è l’attitudine, la preghiera per eccellenza del cristiano. Gesù ci dà come padre il suo Padre, come rivela a Maria Maddalena subito dopo la resurrezione: «Salgo al Padre mio e Padre vostro…» (Gv 20, 17). Abbiamo ricevuto anche lo Spirito di Dio perché per mezzo suo possiamo gridare “Abbà! Padre!», come ricorda Paolo ai Galati (4, 6) e ai Romani (8, 15). La preghiera cristiana è sempre trinitaria: per Cristo, nello Spirito, al Padre.

Ogni sua preghiera inizia con la pa­rola “Padre”, un’invocazione che, nei racconti evangelici, Gesù impiega 19 volte: è dunque la nota distintiva della sua preghiera. Sappiamo che i Vangeli, scritti in greco, usano la parola Patér, la stessa che abbiamo in latino. Tuttavia Marco, unico tra gli evangelisti, riferendo la preghiera di Gesù nell’Orto degli Ulivi, riporta il termine originario, in aramaico: Abbà (14, 36). Sappiamo anche che questa parola esprime il rapporto filiale, affettuoso e familiare del bambino con il proprio padre, e indica il tipico rapporto che Gesù, il Figlio, ha con il suo Padre del Cielo.

Lo testimonia chiaramente il Vangelo di Giovanni quando Gesù afferma ripetutamente che il Padre lo ama (Gv 3, 35; 5, 20; 10, 17; 15, 9). Gesù e il Padre si conoscono (10, 15), sono una cosa sola (10, 30), sono l’uno nell’altro (14, 11). Gesù non è quindi mai solo, «perché il Padre è con me» (16, 32). E Gesù risponde all’amore del Padre con lo stesso amore, facendo pienamente la sua volontà: «Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato» (14, 31). Gesù pregava perché aveva bisogno di coltivare il rapporto del Padre per comprendere il senso e la modalità della missione che gli aveva affidato, per attingere la forza che lo avrebbe sostenuto nel compimento della sua opera, per trovare la luce che avrebbe espresso nelle sue parole. 

Chissà con quali parole o con quali silenzi si esprimeva Gesù nella sua preghiera al Padre. Qua e là, lungo i Vangeli, affiorano espressioni che squarciano il mistero e ne lasciano intravedere uno spiraglio.

Cominciamo dalla prima parola che pronuncia entrando nel mondo: «Ecco, io vengo […] per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10, 7). Le sue prime parole sono una preghiera. Si avverte la gioia e lo slancio dell’obbedienza al Padre: “Eccomi, manda me!”. Eppure all’ultimo momento, Gesù rimane col fiato sospeso, sembra sul punto di ritirare la propria offerta: «Allontana da me questo calice – dove “calice” sta per “volontà di Dio” –… Lo spirito è pronto, ma la carne è debole» (Mc 14, 36.38).  Lo slancio iniziale è sempre generosissimo, senza il minimo ripensamento: “Ecco, io vengo… per fare, o Dio, la tua volontà”. Per Gesù giunge il tempo di “forti grida e lacrime” (Eb 5, 7-8), e «cominciò ad avere paura e smarrimento» (Mc 14, 33): «Sono triste da morire» (Mc 14, 34). Ha addirittura bisogno di un angelo che venga dal cielo a rincuorarlo (Lc 22, 43-44)! Eppure continua il suo cammino e rimane coerente con il progetto abbracciato, anche se sembra assurdo: «però non quello che voglio io, ma quello che vuoi tu» (Mc 14, 36; Mt 26, 39; Lc 22, 42); «Che posso dire? Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora!» (Gv 12, 27). Egli procede fermo nella prima parola data: “Ecco, io vengo… per fare, o Dio, la tua volontà”. La compie veramente, nonostante tutto. Mostra la serietà della sua preghiera al Padre. Per questo anche a noi spiega quanto sia esigente la preghiera rivolta al Padre: «Non chi dice Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli ma chi fa la volontà del Padre mio…» (Mt 7, 21). 

Un’altra preghiera di Gesù ci insegna come pregare: «In quel tempo – leg­giamo nel Vangelo di Matteo – Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra» (Mt 11, 25-26). Alla risurrezione di Lazzaro «alzò gli occhi e disse: “Padre, ti ringrazio…”» (Gv 11, 41; cf. 12, 27). La preghiera di Gesù al Padre è benedizione e ringraziamento.

L’avevano capito di primi cristiani che così pregavano: «Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo» (Ef 1, 3; 2 Cor 1, 3). Nella Lettera ai Colossesi troviamo l’invito al ringraziamento: «Ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce» (1, 12). Anche nella preghiera liturgica ripetiamo: “Benedetto sei tu Signore, Dio dell’universo. Dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane, questo vino…”. Sarà dunque questa anche la nostra preghiera: lode e ringraziamento al Padre per l’amore che ha per noi.

La più grande preghiera al Padre è quella che Gesù rivolge al termine dell’ultima cena, quella che chiamiamo “preghiera sacerdotale”, la “preghiera per l’unità”. In essa manifesta il rapporto di conoscenza e di amore che ha con il Padre e nel quale “tutti” siamo chiamati a entrare. Ogni giorno prestiamo le nostre labbra a Gesù, a Gesù in mezzo a noi, perché egli continui a rivolgere questa preghiera al Padre. Soprattutto vorremmo vivere in modo che tutta la nostra vita fosse una preghiera per l’unità.

Il Vangelo di Luca riposta due preghiere di Gesù in croce. La prima: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (23, 34). Gesù non dà personalmente il perdono ai suoi crocifissori, lo chiede al Padre. Intercede per loro pregando: “Padre, perdona loro…”. Si fa portavoce dell’umanità peccatrice. Si fa vicino ai peccatori, li com-prende (li prende dentro di sé!). Sono per lui le parole di Isaia: «portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli» (53, 12). Arriva addirittura a scusare i suoi crocifissori, “perché non sanno quello che fanno”. È il culmine dell’amore. 

Perdona e insegna a perdonare. Nella preghiera del “Padre nostro”, ci fa ripetere ogni giorno che dobbiamo perdonare come a noi è perdonato (Lc 11, 4), ci invita ad essere «misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso», a non condannare, a perdonare per essere perdonati (Lc 6, 37). Anche noi possiamo pregare il Padre per questa nostra povera umanità di cui conosciamo le malvagità, le atrocità: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno». 

L’ultima preghiera che Gesù rivolge al Padre: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23, 46). Si avverte l’eco del salmo 31: «In te, Signore, mi sono rifugiato, / mai sarò deluso (…) / Perché mia roccia e mia fortezza tu sei (…) / Alle tue mani affido il mio spirito (…) / i miei giorni sono nelle tue mani» (v. 2.6.15). Gesù si affida nelle “mani” del Padre: mani forti che sanno proteggere e difendere; mani dolci, materne, che sanno accogliere, accarezzare… Si abbandona con fiducia all’amore del Padre e a lui si “consegna”. Gli affida il proprio “spirito”, ciò che ha di più prezioso, ciò che lo rende pienamente se stesso, il tutto di sé. 

Le parole del salmo 31 erano la preghiera che le madri ebree insegnavano a figli prima di addormentarsi. Anche a Gesù deve averla insegnata sua madre, Maria, e anche lui, prima di “addormentarsi” sulla croce, la recita per l’ultima volta. Gesù muore come un bambino che si addormenta tra le braccia del padre. Dov’è ora Gesù? Nelle mani del Padre. Il Padre lo guarda e in lui vede ognuno di noi: siamo con lui nelle sue mani. 

Ogni sera ci addormentiamo anche noi con questa preghiera. Vorremmo che fosse anche la nostra ultima preghiera.


sabato 10 dicembre 2022

Parole di speranza


 

Abbiamo l’influenza, il raffreddore, il Covid. Siamo in piena crisi energetica e ambientale. Una guerra terribile sta distruggendo l’Ucraina. Per non parlare delle tante altre guerre di cui parliamo poco perché ci toccano di meno. La libertà in Iran è strangolata...


Incurante di tutto ciò in questa terza domenica di Avvento la Chiesa proclama parole che sembrano quasi una bestemmia:

Rallegrati, esulta, canta con gioia e con giubilo.

Coraggio, non temere!

Giubilo, felicità perenne, gioia e felicità.

Fuggiranno tristezza e pianto.


È Isaia che lancia una manciata di parole straordinariamente positive. Sembra proprio una persona fuori della storia. Eppure anche lui ha visto la corruzione del suo stato, la guerra, la deportazione del suo popolo… Ma non si arrende e continua a sperare e a lasciare messaggi di speranza.


È quello che forse dovremo fare anche noi. Non per ingenuità, ma perché crediamo nell’amore di Dio che ancora viene a visitarci…