lunedì 30 novembre 2015

Avvento, trepida attesa


«Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri» (Mc 1, 3).

Sono rivolte a me queste parole. Il Signore viene e devo essere pronto ad accoglierlo. Ogni giorno lo prego: “Vieni, Signore Gesù”. Ed egli risponde: “Sì, verrò presto” (cf. Ap 22, 17.20). Sta alla porta a bussa, chiede di entrare in casa (cf. Ap 3, 20). Non posso lasciarlo fuori della mia vita.
L’invito ad accogliere il Signore che viene, è di Giovanni il Battista. Era rivolto agli Ebrei del suo tempo. A loro chiedeva di confessare i propri peccati e di convertirsi, di cambiare vita. Egli era certo che l’avvento del Messia sarebbe stato imminente. Il popolo, che pure l’attendeva da secoli, l’avrebbe riconosciuto, avrebbe ascoltato le sue parole, l’avrebbe seguito? Giovanni sapeva che per accoglierlo occorreva prepararsi, per questo il pressante invito:

«Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri»

Queste parole sono rivolte a me perché Gesù continua a venire ogni giorno. Ogni giorno bussa alla mia porta e anche per me, come per gli Ebrei del tempo del Battista, non è facile riconoscerlo. Allora, contrariamente alle comuni aspettative, si presentò come un umile carpentiere proveniente da Nazaret, villaggio oscuro. Oggi si presenta sotto le spoglie di un emigrato, di un disoccupato, in quelle del datore di lavoro, della compagna di scuola, dei familiari, anche in persone nelle quali il volto del Signore non sempre appare in tutta la sua luminosità, anzi, a volte sembra nascosto. La sua voce sottile, che invita al perdono, ad offrire fiducia e amicizia, a non conformarsi a scelte contrarie al Vangelo, è sovente sopraffatta da altre voci che istigano all’odio, al tornaconto personale, alla corruzione.
Di qui la metafora delle strade tortuose e impervie, che richiamano gli ostacoli che si  frappongono alla venuta di Dio nella nostra vita di ogni giorno. Non vale la pena elencare le meschinità, gli egoismi, i peccati che albergano nel cuore e ci rendono ciechi alla sua presenza e sordi alla sua voce. Ognuno di noi, se sincero, sa quali sono le barriere che gli impediscono l’incontro con Gesù, con la sua parola, con le persone con le quali egli si identifica. Ecco allora l’invito della Parola di vita che oggi è rivolto proprio a me:

«Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri»

Raddrizzare quel giudizio che mi porta a condannare l’altro, a non parlargli più, per arrivare invece a comprenderlo, ad amarlo, a mettermi a suo servizio. Raddrizzare il comportamento storto, che mi fa tradire un’amicizia, mi fa essere violento, aggirare le leggi civili, per convertirmi invece in una persona pronta a sopportare anche l’ingiustizia pur di salvare un rapporto, a rimetterci di persona pur di far crescere la fraternità nel mio ambiente.
È una parola dura e forte, quella che ci viene proposta questo mese, ma anche una parola liberatoria, che può cambiare la mia vita, aprirmi all’incontro con Gesù, in modo che venga a vivere in me, e sia lui ad agire e ad amare in me.
Questa parola, se vissuta, può molto di più ancora: può far nascere Gesù in mezzo a noi, nella comunità cristiana, in famiglia, nei gruppi nei quali operiamo. Giovanni la rivolse a tutto il popolo: e Dio “venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1, 14), in mezzo al suo popolo.
Per questo vogliamo aiutandoci gli uni gli altri a raddrizzare i sentieri dei nostri rapporti, a eliminare ogni stortura che può esserci tra di noi, a vivere la misericordia a cui questo anno santo ci invita. Diventeremo così, insieme, la casa, la famiglia capace di accogliere Dio.
Sarà Natale: Gesù troverà la strada aperta e potrà rimanere in mezzo a noi.


domenica 29 novembre 2015

Gratitudine per la vita



È ancora presto quando salgo sulla metropolitana, quasi deserta. Mi siedo, alzo lo sguardo. Sul vetro davanti a me una scritta tracciata con lo spray da uno dei solidi vandali. Una frase volgare, in inglese, che suggerisce cosa farne della vita. No. Della mia vita voglio farne ben altro. Un pensiero di commiserazione per il giovane che ha scritto quelle parole; che vita povera sta conducendo e che futuro oscuro. 
Che vita bella ho io invece alle spalle. È il mio compleanno. Mai come adesso sono consapevole di aver ricevuto in dono la vita, il più grande dei talenti. Mi verrà chiesto come l’avrò fatto fruttare. Che vita bella mi si apre davanti. Sono sazio di gratitudine.
Sarà un caso che la mia vita sia iniziata il giorno in cui inizia la novena dell'Immacolata?

sabato 28 novembre 2015

All'inizio già si scorge la fine

Il linguaggio simbolico del Vangelo della prima domenica di Avvento – i segni terribili nel cielo, gli sconvolgimenti tellurici e i maremoti – somiglia al linguaggio apocalittico, realistico, che ogni giorno ci assale minaccioso dai mezzi di comunicazioni: disastri ambientali e biogenetici, stragi, violenze, corruzioni, soprusi, inganni…
Se il Vangelo rende consapevoli che il mondo ci crolla addosso, che i problemi sono più grandi di noi, non è per gettarci nella disperazione, ma per darci speranza. Ed ecco l’annuncio di gioia: sollevate la testa dalla vostra miseria, la vostra liberazione è vicina. Non è un sogno, non un’illusione. La liberazione ha un nome, un volto concreto, quello di Gesù, il suo nome, Colui che viene con potenza.
Presto, a Natale, lo contempleremo avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia. Non è soltanto un bambino che ispira tenerezza o una dolce poesia. È il Dio-con-noi, onnipotente, capace di prendere in mano la storia grande dei popoli e delle nazioni, e quella piccola mia, della mia famiglia, del mio quartiere…
All’inizio dell’anno liturgico la Chiesa già ci fa scorgere la fine. Dev’essere così. Non si intraprende un viaggio senza una meta. Senza sapere dove andare la vita è un vagabondaggio cieco e inconcludente. Si lavora, si gioca, si studia, si lotta in un vortice sempre più intenso. Ma per che cosa? Verso dove stiamo andando? C’è una meta? Ciò di cui abbiamo maggiormente biso­gno è il senso.Oggi, proprio all’inizio dell’anno liturgico, simbolo di un nuovo inizio del nostro camminare, Gesù ce lo dice chiaramente: la vita ha una direzione, va verso di Lui che vieni. Vivere ha senso perché ha un “senso”, una direzio­ne. Anche il bambino impara a camminare sicuro se vede braccia amiche che lo aspettano spalancate. Guarda a quelle non ai propri piedini incerti. È come quando si deve disegnare una linea dal punto A al punto B. Perché sia di­ritta devo guardare il punto B, non la mano che traccia la riga, altrimenti mi smarrisco in geroglifici che deviano in percorsi perduti.Valicare le traversie della vita sicuri di giungere al fine? Sì se lo sguardo è puntato alla meta. Ho una certezza che mi dà pace: so che vado incontro al Signore che mi viene incontro.

venerdì 27 novembre 2015

Persecuzioni: ma che razza di promessa... / 7

Jan Tillemans, OMI
Trois Rivières


D’accordo, una promessa straordinaria: il cento per uno.
http://fabiociardi.blogspot.it/2015/11/il-cento-per-uno-che-promessa-5-e-che.html
http://fabiociardi.blogspot.it/2015/11/non-vi-prometto-cento-padri-che.html

In mezzo alle promesse ci sono tuttavia anche le persecuzioni: “cento volte tanto… insieme a persecuzioni”. Anche questa è una promessa? Forse è semplicemente una costatazione. Attesta che, pur nella gioia di ricevere il centuplo in una comunità con la quale si può condividere tutto, che dà sicurezza, che accompagna nel cammino, siamo pur sempre… in cammino. Dobbiamo ancora affrontare prove e difficoltà. La meta non è ancora raggiunta, ci sta davanti; soltanto alla fine entreremo nella pienezza della gioia.

Ma leggendo attentamente quell’accenno alle persecuzioni forse possiamo considerarlo anche una promessa. E se Gesù davvero ci promettesse di acconsentire a condividere la sua passione e la sua croce? Non a caso la promessa del centuplo si colloca in mezzo agli annunci della sua passione e morte, quando chiede ai discepoli di seguirlo prendendo su di sé la propria croce, con lui e come lui. Non c’è discepolo da più del maestro: «se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15, 20).

È proprio una grande promessa, quella di prenderci con sé nel suo cammino di morte e di vita, di concederci il dono di stargli accanto, di essere come lui. Può sembrare una pazzia, eppure i martiri l’hanno fatta questa pazzia e si sentivano onorati di poter dare la vita con lui, come lui. «Io cerco colui che è morto per noi, voglio colui che per noi è risorto. (…) Lasciate che io imiti la passione del mio Dio», scriveva Ignazio di Antiochia ai Romani mentre andando verso la loro città per essere dato in pasto ai leoni.
È così che si invera l’autentico lasciare tutto “a causa mia e a causa del vangelo”. Sì, proprio lasciare tutto, anche la vita, ma per lui, per donarla a lui così come lui ha donato la vita a noi. Così, condividendo la prova e la persecuzione, fino a morire per lui e per il vangelo, si riceve ben altro che il centuplo quaggiù, si riceve “la vita eterna” lassù.


giovedì 26 novembre 2015

Santi nascosti

Jan Tillemans, OMI, Trois Rivières

Sono stato all’ospedale a trovare un amico operato al cuore. Nel letto accanto un ragazzo malformato, incapace di muoversi, di parlare, bisognoso di tutto. Ha vent’anni anche se lo sviluppo si è arrestato dieci anni fa. Mi impressiona la mamma, bellissima, sembra più giovane della sua età. Si porta il figlio tra le braccia, lo accarezza. Una tenerezza commovente. È da vent’anni che gli è accanto, lo accudisce, lo nutre, lo lava, gli parla senza averne risposta… “Come fa?, mi viene da mormorare. Ma è una santa”.

La moglie del mio amico, che mi ha sentito, mi dice: “Ce ne sono tanti di santi. Santi nascosti, che donano la vita in silenzio, con un amore puro”. Mi racconta di un’altra mamma che da giorni sta nella sala d’aspetto dell'ospedale. Il figlio, appena laureato, il primo giorno di lavoro ha avuto un incidente ed è in coma. “Ma cosa fa qui, signora? – le ripetono i medici. Vada pure a casa, la chiamiamo noi se c’è qualche miglioramento. Tanto lei non può entrare in rianimazione”. “Come posso andare a casa – si confida con la moglie del mio amico. Devo stare qui. E se aprisse gli occhi? E se mi chiamasse?”.

Quanti sono i santi nascosti, le anonime persone che ogni giorno conducono una vita eroica, che non fa cronaca e che pure tiene viva la nostra umanità?


mercoledì 25 novembre 2015

Paola Mastrocola che mi fa sorridere


Tra le mie piccole abitudini c’è il giornale della domenica, sempre Il Sole 24 ore. È una piacevole consuetudine uscire sull’Aurelia, a metà mattinata, proseguire per via Madonna del riposo, sentire i profumi della pasticceria, salutare il fioraio pakistano sempre sorridente e indaffarato al negozio sul marciapiede, giocare con i due euro e mezzo in tasca, sbirciare la mercanzia esposta all’edicola e decidersi immancabilmente per il solito giornale.
A casa sfoglio con calma il Domenicale. Ad attendermi c’è sempre il direttore, in prima pagina, che mi porta in giro per l’Italia alla ricerca del positivo. Poi l’immancabile Ravasi che, a differenza degli altri articoli, difficilmente si arresta a presentare un solo libro, preferendo un arcipelago di titoli. Vado alla scoperta della sorpresa che mi riserva la seconda pagina, che ogni porta mi fa spaziare in qualche angolo di mondo. E avanti, con letture, che mi metto da parte lungo la settimana.
Quando sono all’estero niente rito… A ci pensa sempre qualcuno, premuroso, che mi manda il Domenicale via e-mail o mi compra il giornale. Al ritorno ho le copie impilate in paziente attesa.
Una volta al mese mi delizio delle “Paginette” di Paola Mastrocola. Genere letterario: chiacchierate tra amici. Non ho letto nessuno dei suoi libri. Mi piacerebbe conoscerla. Ha otto anni meno di me (o io otto più di lei, non fa differenza), eppure sembriamo coetanei. Non per aspetto fisico (lei sembra molto più giovane), ma per idee, o meglio per comuni percezioni della realtà, ricordi d’infanzia, giudizio sui comportamenti sociali, sensibilità direi. Mi sembra una compagna di scuola! Con quel ché di complicità. La penso sempre come lei. Mi ritrovo come lei a rivivere piccoli gesti di tempi andati, a provare qualche innocente nostalgia, ad arricciare il naso davanti a comportamenti di dubbio barbo, a sognare ad occhi aperti, a sperare… Mi trovo sempre a sorridere quando la leggo. Auguri Paola! E grazie della condivisione dei tuoi pensieri e del modo garbato.


martedì 24 novembre 2015

Non bisogna essere troppo bravi...



… Dunque nessuna paura, nessun timore nemmeno per i 
peccati fatti: sono stati l'occasione di Dio per mostrarmi la sua misericordia.
Così mi scrive un amico dall’ospedale, in attesa di un intervento al cuore. E continua:
Il Signore permette che cadano nel peccato o nella prostrazione anime sinceramente innamorate di Lui, per mostrargli la ricchezza del Suo amore, la potenza e la signoria della Sua bontà e misericordia. Non che non bisogna curarsi di vivere tutte le Sue parole e beatitudini senza stancarsi ogni giorno, ma ad essere troppo bravi, perfetti, spirituali ci si dimentica di un cuore, il Suo, che ama raccoglierci quando sentiamo di non essere più niente, campioni senza valore, vuoto a perdere finché non siamo pronti ad accoccolarci in lui. 

D'altra parte mi sembra che Gesù abbia detto che è venuto per i peccatori e non per i giusti... ("e io sono il primo di tutti i peccatori", affermava l'apostolo Paolo). 
Una buona preparazione all’Anno santo della Misericordia.


lunedì 23 novembre 2015

A Monreale con sant'Eugenio


“Una parola su Monreale, una piccola cittadina a pochi chilometri da Palermo, arcivescovado con una cattedrale che conserva le reliquie del nostro santo re Ludovico che fu imbalsamato qui coi procedimenti degli antichi. Ci sono anche le tombe di Guglielmo il Buono e di Guglielmo il Malo e un gigantesco ritratto in mosaico di Nostro Signore”. Così sant’Eugenio nel 1802.

Venerdì scorso, nella mia fugace visita a Palermo, l’ho seguito a Monreale. Allora era un giovane ventenne ad aveva interessi ben diversi dai miei. Io ho dedicato il mio poco tempo alla visita alla cattedrale, rimanendo incantato dai mosaici, uno dei capolavori in assoluto dell’arte. 


Lui, dopo le quattro righe che ho appena riportato, molti anni più tardi, scrivendo i suoi ricordi, dedica pagine e pagine dei suoi ricordi alla festa dell’8 settembre, ai fuochi d’artificio, alla serata danzante, ai rinfreschi e alla famosa processione. Si ricorda soprattutto della principessa Maria Amelia, che le era accanto a veder passare la processione: “Era stato invitato il re ed erano presenti anche le tre figliole, allora più o meno della mia età; di esse oggi due sono morte: Maria Antonietta, regina di Spagna e Maria Cristina, destinata al duca de Berry e divenuta poi regina di Sardegna; la sola sopravvissuta è Maria Amelia, moglie di Luigi Filippo, re di Francia. Quest’ultima aveva esattamente la mia età. Eravamo vicini quando vedemmo sfilare la processione”.


domenica 22 novembre 2015

La Santuzza del Monte Pellegrino




Nel mio viaggio lampo a Palermo ho trovato il tempo di salire, per la prima volta sul Monte Pellegrino, al santuario di santa Rosalia. Un grotta grande, dove dopo secoli, fu trovato il corpo della giovane che aveva lasciato la corte regale per la solitudine della contemplazione, la promessa di nozze terrene per le nozze celesti.



Una vita, quella di santa Rosalia, di cui si conosce poco, se non quel suo ritirarsi sola sulla montagna, come Gesù, per vivere in preghiera, in un periodo, all’inizio del secondo millennio, quando il monachesimo e l’eremitismo conobbero un grande risveglio.
Aria di santuario, si respira al santuario!
Anche i luoghi si impregnano di divino.


sabato 21 novembre 2015

Cristo Re, modello per la politica e per la Chiesa

Vetrate di Jan Pillemans, OMI
Trois Rivuères


Regni e imperi si edificano con guerre e carneficine. In questi giorni come allora.
Non così il regno di Cristo. Gesù lo conquista non uccidendo, ma dando la vita.
I regni di quag­giù si mantengono con il potere, il suo con il servizio.
Quelli di quaggiù non possono fare a meno dell’arroganza, della superbia.
Il suo si fonda sull’umiltà, sull’ambizione all’ultimo posto; un regno nel quale chi vuole diventare grande si deve fare servitore, e chi vuole essere il primo schiavo di tutti.

Non potrebbe il regno “di quaggiù” ispirarsi al Regno di Dio, dove c’è più gioia nel dare che nel ricevere, dove si ama l’altro come se stesso, dove il piccolo, il povero, il disoccupato, l’ammalato è collocato al primo po­sto?
I “ministri” potrebbero diventare quello che dice il loro nome, servitori del popolo. La politica, dal capo dello Stato all’ultimo amministra­tore comunale, potrebbe aspirare a farsi sempre più attenta alle necessità di ogni singolo cittadino, a mettere da parte il proprio interesse, a promuovere il bene comune con creatività e intel­ligenza. Così l’economia, la finanza.
Perché pensare – ed è un’eresia – che il vangelo riguar­di soltanto il mondo spirituale? Perché rifiutare la sua incidenza nell’ambito sociale, politico, economico?

Non diversamente per la Chiesa, segno del Regno dei cieli: né fasto né autoritarismo, né pretese né ingerenze politiche, nella consapevolezza che la sua identità non è modellata sui regni “di questo mondo”, ma sulla regalità di Cristo, fatta «di verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, di amore e di pace» (Prefazio). Papa Francesco insegna.




venerdì 20 novembre 2015

Misilmeri, comunità viva

I giovani di 25-20 anni fa
19 novembre. Sono arrivato a Misilmeri da poche ore e già incontro un numeroso gruppo della nostra gente raccolta nel salone parrocchiale. Ci sono i giovani di 25 anni fa e le persone che in questi anni essi hanno coinvolto nel medesimo ideale missionario. Ora è una bella comunità. Alcuni hanno partecipato alle missioni degli Oblati in varie parti d’Italia, altri sono andati per periodi di volontariato all’estero. Soprattutto sono un gruppo di vita. Si riconoscono nell’ideale missionario di sant’Eugenio ed hanno un forte senso di appartenenza. È stato facile per me parlare del carisma oblato.

È un modello di quelle comunità cristiane alle quali continuo a pensare in questo periodo, le sole che, in questo contesto di secolarizzazione e di indifferenza verso la religione, saranno in grado di mantenere vivo l’ideale cristiano, di vivere il Vangelo, di lievitare in maniera silenziosa la società.


Intanto continuo a guardarmi attorno, in questa Conca d’oro. Una regione agricola di grande varietà e ricchezza: olivi, agrumeti, kaki, mandorli… un giardino non molto dissimile da quello piantato da Dio nell’Eden.
Questa sera cena di beneficenza per raccogliere soldi per le missioni. Sono disponibili soltanto 270 posti, ma molto più numerose sono state le domande di partecipazioni purtroppo respinte. Una cena degna della cucina siciliana, anzi palermitana, ma soprattutto un’altra occasione per condividere progetti, raccontare esperienze, vedere videoclip sulle nostre missioni nel mondo, rinsaldare i vincoli di amicizia e di unità.


giovedì 19 novembre 2015

A Misilmeri, villaggio dell'Emiro, per festeggiare l'MGC


L’emiro Giafar II, a cavallo del primo e secondo millennio, costruì una torre “saracena” sulla collina, lungo l’antica strada romana che da Palermo portava ad Agrigento. Attorno sorse un borgo che prese nome Misilmeri, dall’arabo Menzel-el-Emire, villaggio dell’Emiro. Oppure, più verosimilmente il nome arabo, leggermente diverso, indicava la ricchezza delle acque che scendevano dai monti Peloritano che circondano il luogo. Nel 1068, cinquant’anni dopo la morte dell’emiro, i Normanni di Ruggero d’Altavilla sconfissero gli Arabi, attorno alla torre costruirono il Castello e già in basso la prima chiesa cristiana. Nel 1540 il barone Francesco Del Bosco fondò l’attuale Misilmeri.


Due, anzi tre le storie memorabili: l’orto botanico più grande d’Europa fondato dal principe della Cattolica alla fine del 1600 (non ne rimane niente); l’immancabile Giuseppe Garibaldi che qui fondò il primo Comitato pronto a governare l’Italia, raccolse le forze antiborboniche e partì per sferrare l’attacco definitivo contro Palermo; e… senti senti… Sant’Eugenio de Mazenod vi si recò, con la corte di Palermo, a seguito del Re Ferdinando II, appassionato delle corse dei cavalli.
Le gare a Palermo per la festa di santa Rosalia non saziarono il Re. Così, leggiamo nel racconto di sant’Eugenio:

Il principe di Trabìa, suo scudiero maggiore, ne fece fare ben quattro [corse di cavalli] per quattro domeniche consecutive sulla strada di Monreale. Il re e l’intera corte furono invitati a pranzo mentre gli altri presero parte ai rinfreschi.
Il turno del principe della Cattolica venne il giorno della Santa Croce, festa principale di Misilmeri, feudo di famiglia, con invito per il re alla corsa dei cavalli e a pranzo: anche noi fummo invitati alla festa e ai rinfreschi che l’accompagnano sempre.


Dopo l’emiro Giafar II, Ruggero d’Altavilla, il barone Francesco Del Bosco, Giuseppe Garibaldi e Sant’Eugenio de Mazenod, ora tocca a me visitare Misilmeri.
Ma prima di me è arrivato il Movimento Giovanile Costruire, ispirato alla spiritualità degli Oblati, presente a Misilmeri dal 1989. Iniziò Iliana con un’amica, poi altre amiche e il gruppo di allargò mettendosi a servizio della parrocchia. Il MGC di Misilmeri ha poi iniziato a partecipare alle varie iniziative di carattere nazionale e zonale, nonché a diverse missioni giovanili e popolari in Sicilia, Calabria, Puglia. Ha promosso numerose iniziative di solidarietà per le missioni dell'Uruguay e del Senegal. Ha promosso e collaborato alla realizzazione della missione popolare parrocchiale del 2007 e a quella giovanile cittadina del 2010.
Così, sono venuto per celebrare il 25° della sua presenza.

mercoledì 18 novembre 2015

Non vi prometto cento padri: che promessa! /6



Gesù ha promesso dunque cento volte tanto a chi lascia tutto per lui e per il vangelo.
Vedi http://fabiociardi.blogspot.it/2015/11/il-cento-per-uno-che-promessa-5-e-che.html
Nelle sue parole si può tuttavia notare una asimmetria.
All’elenco di ciò che si lascia corrisponde perfettamente ciò che si riceve, centuplicato, ad eccezione del padre. Mentre a chi lascia fratelli o sorelle o madre se ne promettono cento altri, non si dice niente riguardo al padre. Non si promettono cento padri. 
Allora non si riceve niente? Nessuna promessa a chi lascia il padre? 
La più grande di tutte, la stessa già fatta a tutti i suoi discepoli. Non dà cento padri, ne dà uno solo… ma che padre! “il” Padre, quello celeste.
Come per Francesco d’Assisi: “Non più padre Pietro Bernardone, ma Padre nostro che sei nei cieli”. E nel Padre celeste Francesco ritrovò finalmente anche padre Pietro Bernardone…


martedì 17 novembre 2015

Un brivido di infinito amore

Dall’inverno scorso ho iniziato a seguirla attraverso il Suo blog…
Oggi, leggendo le parole sulla Infinita Misericordia,
sulla Gioia Eterna,
sulla Salvezza voluta dal Signore,
grazie al Dono di Gesù tra gli Uomini…
ho provato un brivido di Infinito Amore nel mio cuore…
la Certezza e Fiducia in Quel che ci aspetta e…
camminare qui in terra è volgere a Quella Meta…
come la chiama Lei alla Casa!

Ogni giorno notizie di eccidi, vendette, guerre…
Per non parlare di corruzione, violenza…
Su questo triste quotidiano fioriscono anche
“brividi di Infinito Amore”,
come ho letto in questa e-mail che mi è arrivata oggi.


lunedì 16 novembre 2015

La misericordia che tocca i cuori


Mi è arrivato un biglietto dalla Germania:

Mentre sto rileggendo il suo commento alla Parola di Vita vorrei scriverle cosa mi sta muovendo interiormente in questo momento: l’amore infinito di Dio per me / per noi / per ciascun uomo in tutta la sua miseria, così come è, anche nella sua peccaminosità.
Gesù è morto per noi tutti, per tutti gli uomini, e in questo suo morire ci ha donati – con sé – al Padre, colui che poi lo ha resuscitato dai morti. Così Gesù è risorto.
Per mezzo di questa redenzione Dio vuole donarci la vita eterna.
Lo farà, se noi diciamo di sì a questa vita eterna che viene da Lui. Sarà Lui a darci la grazia – soprattutto nell’ora della morte.
Le chiederei di pregare per me per una buona morte.
La felicità di un eterno essere con Dio non ci possiamo neanche immaginare.
Grazie!
Ursula Knümann

L’infinito amore di Dio misericordioso infonde la speranza della salvezza, della risurrezione, della pienezza della vita eterna.
Non solo, ma muove anche a comunicare l’esperienza di gioia e di speranza che infonde il pensiero di tale infinito amore di misericordia.


domenica 15 novembre 2015

L'oasi di Padre Liuzzo



Aggiungi didascalia
Animatore infaticabile, talent scout, scrittore, missionario, professore, organizzatore… Ma soprattutto fondatore di un piccolo istituto secolare missionario, le COMI, laiche disseminate nella vita d’ogni giorno, “missionarie dell’idea missionaria”. È naturalmente padre Gaetano Liuzzo, di cui ieri abbiamo ricordato l’anniversario della morte. È sempre festa quando ricordiamo p. Liuzzo.
Per le COMI aveva inventato l’oasi, luogo temporaneo nel quale esse si radunano regolarmente in piccoli nuclei. Così lo descriveva (stando alla testimonianza che ha lasciato scritta una delle prime fedeli COMI, Enrica):

Un’oasi è un agognato luogo di riposo che si incontra in pieno deserto. È dunque, un posto che dà ristoro, rigenera le forze del viandante, rinvigorisce il desiderio della mèta da raggiungere; produce benessere generale: vitalità, silenzio, pace, e letizia corroborante! Per voi figlie mie, il mondo in cui vivete appieno, è il vostro deserto quotidiano; e l’oasi è, per ciascuna di voi, il luogo concreto della rivelazione della vostra consacrazione e del vostro carisma; e dove ambedue si rendono tangibili.
Ma, al tempo stesso, rende concretamente visibile la vita che circola fra di voi, ed insieme rende viva e palpabile la vita di ciascuna sorella… luogo dove si può sperimentare la fraternità, la comunione che nasce da relazioni spirituali profonde e cresce nella misura del dono di Dio, la gioia dell’appartenenza reciproca, che, tutto condivide, porta, sopporta... luogo dove si rigenerano e si rafforzano, approfondendole, anche tutte le dimensioni della vostra vita consacrata, missionaria-profetica, per… ripartire di nuovo, ristorate umanamente e spiritualmente, «inviate» da Lui, sotto le sembianze di Maria.

Mi sembra un luogo ideale per ogni gruppo di cristiani che voglia crescere nella comunione e rigenerare una società alla luce del Vangelo.

sabato 14 novembre 2015

Tutto passa, tutto resta

Jan Tillemans, OMI, Trois Rivières
Il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cie­li saranno sconvolte.

Che parole misteriose! Misteriose come la fine del mondo. Parlava della distruzione di Gerusalem­me? I Romani non lasciarono pietra su pietra. La città santa era il cuore del mondo, colpirlo era come colpire il mondo intero, la sua fine è simbolo di ogni fine. Parlava della mia fine? Arri­verà anche per me il momento nel quale si spegnerà il sole, ver­ranno meno la luna e le stelle e tutto precipiterà nel nulla. Per me tutto avrà fine.
Quante cose belle disseminate lungo il mio cammino: per­sone e affetti, lavoro e riposo, momenti di luce e di intensa gio­ia, oggetti e paesaggi, città d’arte e tramonti dorati… Tutto ciò mi attira, è dono di Dio e l’accolgo con gioia e gratitudine.

Ogni cosa avrà fine? Qualcosa rimane. 
Se è vero che pas­sano i cieli e la terra, è altrettanto vero che la Parola rimane.
Rimane la Parola che seminata in me, quella che mi è data da compiere giorno per giorno, attraverso la quale Dio si fa vita della mia vita. Se tutto è attuato alla luce del vangelo, se tutto diventa “Parola”, allora il vissuto non passerà, come non passano le parole di Gesù. Egli vive in eterno e io vivrò in eterno con Lui. Non sarà la fine, ma un nuovo inizio.
E tutto il resto? Se passano i cieli e la terra passeranno anche persone e affetti, lavoro e riposo, momenti di luce e di intensa gioia, oggetti e paesaggi, città d’arte e tramonti dorati…? O for­se resteranno? Resteranno se vissuti alla luce del vangelo, per amore. Tutto passa, l’amore non passa, come non passano le parole di Gesù che sono amore e solo amore, come non passa tutto ciò che è frutto della parola vissuta e da essa permeato d’amore.

venerdì 13 novembre 2015

Eucaristia, pane quotidiano per i peccatori

Nonna Caterina
In questi giorni papa Francesco ha detto che l’Eucarestia non è premio per i buoni ma forza per i peccatori.
Mi è tornata in mente una lettera di sant’Eugenio de Mazenod, alla nonna materna, Caterina Elisabetta Joannis, in occasione dell’onomastico, il 3 dicembre 1810:

Che errore credere che per disporsi degnamente a questa partecipazione frequente occorra inerpicarsi in una solitudine inaccessibile e lasciare agli altri la cura degli affari temporali. I primi cristiani, istruiti dalla bocca stessa del Salvatore e degli Apostoli, non la pensavano così, loro che comunicavano tutti i giorni, nonostante le preoccupazioni e i piccoli difetti che san Paolo e i Santi Padri rimproverano loro.
È un altro errore nel quale oggi si cade troppo facilmente. Ci si immagina, cioè, che occorre essere perfetti per comunicarsi frequentemente. La perfezione l’acquisteremo in cielo. Il solo e unico modo per avvicinarvisi, quaggiù, è comunicarsi spesso. Questa è la dottrina del Santo Concilio di Trento, che insegna che il divin Sacramento è un rimedio per guarirci dalle nostre mancanze quotidiane. (…)
Avviciniamoci più spesso che possiamo al Sacramento nel quale l’amore del nostro Salvatore si è donato fino all’estremo per noi. Ricordiamoci il suo comando. Ringraziamolo mille volte per avercelo donato.

Vedendolo sotto le specie del pane, dovremmo riconoscere che questo simbolo esige da noi che ci nutriamo frequentemente, che la nostra anima, per sostenersi, ha bisogno di tornarvi spesso, come il nostro corpo, per non venir meno, non si contenta di mangiare una volta ogni tanto. (“Écrits oblats”, 14, 194-196)

giovedì 12 novembre 2015

Quattro santi sono con noi… da 65 anni


Oggi è il giorno di festa della dedicazione della nostra cappella della casa generalizia a Roma.
Fu consacrata il 10 novembre 1950 e decretato che la celebrazione della dedicazione fosse celebrata il 12 novembre.
Nel Codex historicus della casa si legge (in francese):

10 novembre 1950
Tutti i preparativi sono stati fatti, in questi giorni, per la consacrazione della cappella. Ieri sera, il vescovo Capoferri, cerimoniere del Vicariato, ha verificato le reliquie presso l'altare maggiore, che ha chiuso e sigillato in scatola d'argento preparata ad hoc. La cerimonia si è svolta nel grande salone trasformato in oratorio. La teca contenente le reliquie dei martiri Stefano primo papa e Pancrazio, e dei santi confessori Carlo Borromeo e Alfonso Liguori, è stata poi esposta sull'altare preparato in fondo alla stanza (…).

La cerimonia di consacrazione è stata officiata dal vescovo Traglia, Arcivescovo titolare di Cesarea e vicario di Roma, con tutta la solennità prescritta dal Pontificale Romano, sotto la direzione del grande maestro di cerimonie monsignor Capoferri e con l'assistenza di alcuni Padri della casa e diversi Scolastici, che hanno eseguito anche il canto liturgico.
La cerimonia è iniziata presso l'oratorio, è continuato fino alla porta della cappella, nel parco con la processione delle reliquie e, infine, all'interno della cappella, per l'unzione delle dodici croci murali, i due alfabeti tracciati sul pavimento e la consacrazione dell'altare.
Tutto si è svolto nel più perfetto ordine; i presenti hanno seguito la cerimonia con grande attenzione e devozione. Erano presenti anche gli architetti Soli e Salini e l’ingegnere Di Fausto. Una volta terminata la cerimonia, mons Cooray, arcivescovo di Colombo, ha detto che la messa presso l'altare consacrato.

Dunque dal 10 novembre 1950 in via Aurelia 290 abitano con noi santo Stefano, san Pancrazio, san Carlo Borromeo, sant’Alfonso de Liguori. Da allora si sono aggiunge le reliquie dei santi e beati Oblati: Eugenio de Mazenod, Giuseppe Gérard, Giuseppe Cebula, i martiri spagnoli. Siamo in buona compagnia!

mercoledì 11 novembre 2015

Anche San Martino viveva la parola di vita di novembre

Oggi mi è arrivato un commento alla Parola di vita di novembre:
«Mi è particolarmente piaciuto il tuo commento alla PdV di novembre per la sua, diciamo, plasticità, immediatezza, vicinanza... "Il Padre dall'eterno  con la sua famiglia ", "sogno di Dio,  che "non si dà per vinto", "non smette di sognare"… Mi pare che arrivi al cuore. Come pure il "farla nostra" e un po' tutto il testo. Grazie!
Speriamo che la vita della "parola" rimanga sempre vigorosa, con tutti gli effetti… E  non manchino mai  le relative esperienze».

La lettura di Sulplicio Severo di oggi su san Martino mi ha fatto capire che anche il santo aveva fatto proprio il sogno di Dio, l’unità: «Martino previde molto tempo prima il giorno della sua morte… Nel frattempo un caso di particolare gravità lo chiamò a visitare la diocesi di Candes. I chierici di quella chiesa non andavano d'accordo tra loro e Martino, ben sapendo che ben poco gli restava da vivere, desiderando di ristabilire la pace, non ricusò di mettersi in viaggio per una così nobile causa. Pensava infatti che se fosse riuscito a rimettere l'armonia in quella chiesa avrebbe degnamente coronato la sua vita tutta orientata sulla via del bene. Si trattenne quindi per qualche tempo in quel villaggio o chiesa dove si era recato finché la pace non fu ristabilita».
Ha una sola preoccupazione, riportare la pace, l’armonia, l’unità. Anche lui ha vissuto la parola di vita di novembre…


martedì 10 novembre 2015

Il cento per uno: che promessa! /5 (e che investimento!)


Jan Tillemans, OMI, Trois Rivières

«Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: "Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?"» (Mc 10, 17). Quanta impazienza da parte di questo “tale”: corre per avere subito una risposta all’impellente desiderio di salvezza. Quanta pazienza da parte di Gesù che si vede sbarrare il cammino verso Gerusalemme. Come sempre egli è pronto a mettere da parte i suoi progetti per accogliere chi vuole incontrarlo e darli ascolto. Inizia il dialogo perché quel tale possa esprimersi fino in fondo. Ne emerge un uomo buono verso il quale Gesù prova una grande simpatia. Lo guarda con intensità, penetrando nel profondo del suo cuore. Come sarà stato lo sguardo di Gesù, come sarà stato vedersi guardare da lui? Un amore attraverso il quale passa tutto l’amore di un Dio: «fissatolo, lo amò». L’ha amato e atteso da tutta l’eternità; finalmente è giunto il tempo nel quale può guardarlo negli occhi e fargli sentire quanto lo ama.
Un amore esigente, quello di Gesù: dà tutto e chiede tutto: «Và, vendi quello che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi». Poteva esserci un amore di predizione più grande di quello che chiama a seguire Gesù? Sono tanti i modi per seguirlo. Il modo che Dio da tutta l’eternità aveva pensato per quella persona corsa incontro a Gesù era quello che lasciare tutto e darlo ai poveri. Ne avrebbe avuto in cambio «un tesoro in cielo». Poteva aspettarsi promessa più appagante? Non avrebbe dovuto attendere il tempo di salire al cielo: il tesoro l’avrebbe ricevuto subito: seguire Gesù, stare con lui, il tesoro stesso.
La ricchezza è un fardello troppo pesante, impedisce di spiccare il volo. Se ne andò triste. Triste rimase anche Gesù, deluso del rifiuto dell’offerta d’amore. Un velo di tristezza si posa su tutti i discepoli. E cala il silenzio.
Pietro allora prende la parola, quasi a rincuorare il Maestro: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Un’affermazione semplice, offerta con sincerità. Una costatazione, senza pretesa. Nonostante tutto, sembra dire, noi ti abbiamo seguito. Non avevamo tanti beni come questo che se ne appena andato, non eravamo ricchi, semplici pescatori, eppure quel poco che avevamo, barca e lavoro, casa e famiglia, l’abbiamo lasciato per seguirti. Quello sguardo intenso d’amore lo hai rivolto anche a noi, abbiamo sentito che ci amavi, personalmente, e che ci chiamavi. Non abbiamo potuto resistere al suo stuardo, al tuo amore, alla tua chiamata.  
«Gesù gli rispose: "In verità vi dico: non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna» (10, 28-30).
Quando mai Gesù si è lasciato vincere in generosità? Il tesoro promesso all’uomo che se n’è andato è lo stesso che è riservato a chiunque è chiamato a lasciare tutto per seguirlo. Adesso non parla più, come prima di un tesori “in cielo”. Il tesoro lo si può sperimentare già da ora. Vale cento volte più di quanto si è donato. Che banca quella del Signore: l’interesse del cento per uno! Che affare, che promessa… In più ce n’è anche per l’eternità. In mezzo rimangono le persecuzioni: ne parliamo un’altra volta.


lunedì 9 novembre 2015

La Parola di vita novembre 2015 letta da Redi Maghenzani

Giallo e rosso canadese
La Parola di vita novembre 2015 letta da Redi Maghenzani:
https://www.youtube.com/watch?v=EZ3rmk7H4Ws&feature=em-uploademail
Nel frattempo giungono brevi messaggi di commenti:

- In modo particolare mi ha riempito il cuore leggere una frase che è stato un po’ la mia seconda “parola di vita,” quella che mi ero scelta da me: “serve per costruire l’unità, è il meglio in vista dell’unità?” prima di ogni scelta o decisione. Mi ha salvato. Allora grazie di cuore e l’assicurazione della preghiera e appunto, dell’unità.

- Grazie per la Parola del mese, veramente un dono capitale!

- Un grande, bel dono!

domenica 8 novembre 2015

In preparazione dell'Anno della misericordia con sant'Eugenio



15 Marzo 1846. Sant’Eugenio ha passato momenti particolarmente intensi di adorazione davanti al Santissimo Sacramento. Nel diario annota: «Il pensiero dei miei peccati avrebbe dovuto spaventarmi invece, in questi momenti preziosi, mi sembra che la misericordia del mio Salvatore assorba ogni paura, ogni terrore e che nel mio cuore ci sia posto solo per la fiducia e per l’amore. È il sentimento che provo ogni volta che sto col santo sacramento».



È uno dei tanti testi su sant’Eugenio uomo e missionario della misericordia che oggi ho letto ai laici oblati di Firenze. Una sessantina di persone, tutte coppie giovani. Nel frattempo i bambini svolgevano un altro programma tutto per loro. Poi insieme alla messa e a pranzo…
Abbiamo così iniziato a prepararci all’Anno Santo della Misericordia.
Porzione di Chiesa viva. Ridà speranza.