martedì 31 maggio 2016

Naufraghi di ieri e di oggi



Pensavo solo a stare a galla ed era difficile per il mare mosso. Per il momento non si vede nessuna nave superstite, solo l’aereo che girava basso come un cane arrabbiato e buttò giù diversi salvagente. Dopo poco ritorna una nave e si ferma in mezzo ai naufraghi, ma io e qualcun altro eravamo già lontani.
Si sperava che venissero a prenderci, ma o non avevano i mezzi o era il mare cattivo. Intanto trovai un palo e mi rincuorai con la speranza che mi facesse da remo per avvicinarmi alla nave, ma invece comandavano le onde e non c’era niente da fare. Mentre lottavo con le onde, c’era un altro isolato a pochi metri da me e mi faceva compassione perché non aveva la ciambella ed io non sapevo avvicinarmi. Cercavo di fargli coraggio dicendogli: Non si vede ancora nessuno, ma verranno a prenderci. Ma quello non dava risposta… Poco più distante c’era una zattera con quattro naufraghi attaccati ai lati ed uno, arrampicato sopra, aveva la testa senza capelli per l’età; la testa bianca contro il colore scuro del mare faceva contrasto.
Quasi tre ore di quella lotta per la vita furono lunghe, saliva un groppo alla gola, tremito, crampi, raffreddore, proprio non si respirava più. Restavano ancora pochi minuti, invocavo la Madonna di Montenero, vedevo in faccia la morte, pensavo a casa. Quando finalmente arrivarono i soccorsi: una motobarca italiana arrivata per prima fece un giro a prendere gli isolati e quando la vidi mi venne spontaneo: “Questi sono angeli!”. Alzai quel palo che tenevo in mano per farmi vedere e loro voltarono nella mia direzione. Quando furono a pochi metri mi lanciarono la fune, ma io gli diedi il bastone e mi tirarono. Mi aggrappai, mi sollevarono e mi misero sulla barca, quando piangendo gli dissi: Grazie! Gli avrei baciati come santi! Dopo me, raccolsero l’altro ed altri cinque, come erano ridotti! Vomitavano, tremavano come vagli, pure io tremavo.
Nonostante che le onde rendessero difficile il navigare, ci si sentiva sicuri come su terra ferma. Si girò intorno ai naufraghi per rincuorarli e loro gridavano che si prendessero a bordo, ma eravamo già al completo ed i marinai gli gridavano soltanto: Si ritorna, stati tranquilli, state calmi, arrivano gli altri soccorsi.
Il naufrago che mi era vicino non aveva tregua dalla paura e dal tremito, aveva gli occhi chiusi e gli arreggevo le mani e la testa e gli dicevo: Stai calmo, siamo salvi, tutto è passato, siamo vicini al porto, fra poco siamo sulla terra, ringrazia il Buon Dio. Allora ci portarono noi alla nave ausiliaria. Con tanta pazienza, causa il mare grosso, gli andarono vicino e ci aiutarono a montare sulla scaletta. Per gli altri calarono un’altra barchetta e gli misero sopra per portarli su, perché erano mezzi morti. Dopo, la motobarca ritornò al grande e santo lavoro di salvataggio…

È il racconto del naufragio di mio padre, una pagina particolarmente cara alla mia famiglia, che leggo ancora una volta nel giorno anniversario della sua morte. La nave sulla quale compiva la traversata nel Mediterraneo, fu silurata. Sabato 17 aprile 1943. Erano tempi di guerra… Come adesso… Stessi drammi. Oggi più numerosi di allora.



lunedì 30 maggio 2016

La mia Galilea




Ieri pomeriggio, camminando per le vie di Aix, mi sono ritrovato alla cattedrale. Era in corso un concerto di archi, ma la navata di destra era libera: porta dritta alla cappella del Santissimo Sacramento, sormontata da un grande affresco della trasfigurazione che mi ha sempre attratto con i suoi colori vivaci.
Non poteva esserci meta più adatta, nel giorno del Corpus Domini.
Il convegno, appena iniziato, ci aveva affidato il compito di riflettere sulla nostra “Galilea”, sul momento dell’incontro con Gesù, inizio per ognuno di noi dell’avventura che ci ha portato a seguirlo. E sono capitato lì, davanti a Gesù Eucaristia, la mia “Galilea”.

La mia Galilea è nella piccola chiesa di san Paolo, dove il babbo mi portata alla messa. Sarei potuto stare con le donne nella navata, oppure con gli uomini attorno all’altare. Ricordo che quando ero con gli uomini il babbo, durante l’elevazione, chinato su di me, sussurrava e mi suggeriva di ripetere “Signore mio e Dio mio”, la più grande confessione di fede, che da Tommaso continua a scorrere di generazione in generazione. Avrò avuto tre, quattro anni. Il sacerdote elevava l’ostia nel silenzio della chiesa inondato dal tintinnio del campanellino. Ricordo quel silenzio e quel tintinnio. Era Gesù, di nuovo sospeso tra cielo e terra, che si offriva al Padre e univa Cielo e terra. In quella sospensione d’un attimo, eppure eterna, la nostra adorazione: “Signore mio e Dio mio”. Mi sembrava un momento altissimo, misterioso. Forse era vera contemplazione.

È quella la mia Galilea, che ritrovo qui ad Aix, nella cappella del Santissimo Sacramento. Qui il Risorto mi invita a tornare, come invitava i discepoli a tornare in Galilea, per ripartire dalle origini.
Quando ormai il babbo non era più in grado di parlare, le volte che celebravo in casa per lui, all’elevazione trovava ancora la forza di ripetere: “Signore mio e Dio mio”. Domani è l’anniversario della sua partenza per il cielo, dove continua la sua preghiera.


domenica 29 maggio 2016

Sul Corso Mirabeau ad Aix


Mentre attraversavano il Corso per tornare a casa, Ninette si fermò, si sciolse dal suo braccio, e come ogni volta che aveva qualcosa di importante da dirgli, posò le mani sul bavero della giacca e lo sguardo dritto negli occhi.
«E tu, quando ti deciderai a dare il titolo di conte a una donna? Quanto ancora dovremo aspettare per una contessa de Mazenod? Zezé, sono ormai più di due anni da quando sei tornato. Non hai ancora né arte né parte. Ti barcameni tra un salotto e l’altro, ti annoi da morire, sei perennemente scontento…». Eugenio le posò delicatamente il dito sulle labbra ed ella tacque. La riprese sotto braccio e invece di continuare verso casa la guidò lungo il Corso. Camminarono in silenzio sotto gli alberi secolari del viale.

Così si legge nel racconto di sant’Eugenio che presto sarà pubblicato.
Anch’io questo pomeriggio ho passeggiato per il corso di Aix, fresco dell’aria pulita dopo la pioggia e illuminato da un sole primaverile discreto e gentile. Il mercato della domenica è diverso da quello degli altri giorni, ci sono soltanto gli artigiani e i contadini con i loro prodotti tipici: formaggi e prosciutti, pace casareccio, lavanda, saponi di Marsiglia, cappelli e sandali fatti a mano… un mondo calmo e antico, che sembra riportare indietro nel tempo. Chissà che non incontri Eugenio e sua sorella Ninette…


sabato 28 maggio 2016

Corpus Domini: Date voi stessi da mangiare




Le folle accorrono perché hanno sete di verità. Per questo Gesù parla loro del Regno di Dio.
Le folle accorrono perché vogliono essere guarite dalle loro malattie. Ed egli risana tutti.
Le folle accorrono perché hanno fame. E Gesù da loro da mangiare pane e pesci, pane e companatico. Tornano a casa sanate e sazie di verità e di cibo.

Ma più di tutto abbiamo fame e sete di te. Tutto passa. Tu solo rimani. E noi vogliamo rimanere con te, oltre la caducità delle cose, oltre la parabola bella e fugace della nostra vita sulla terra.
Godiamo delle brevi gioie che ci doni, siamo colmati ogni giorno dei tuoi doni che accogliamo con gratitudine. Ma aneliamo ad altro, più grande, più vero: alla pienezza di vita, a te.
Per questo non ci offri soltanto pane e companatico, ma anche e soprattutto ciò che in essi è raffigurato: l’Eucaristia. Ci nutri di te.
Giorno dopo giorno ci nutri del pane della vita e ti fai nostro viatico, cibo che ci sostiene nel viaggio e ci dà forza per camminare verso la meta. Ogni giorno ci assimili a te, ci fai sempre più simili a te, e il tuo cibo diventa pegno di vita eterna, della vita di Dio in noi, di noi in Dio.

Infine il comando: «Date voi stessi da mangiare», che anticipa il «fate questo in memoria di me». Vai verso le folle e le nutri di pace, di luce, di vita, invitando anche noi a fare altrettanto.
Chiedi che abbiamo per loro l’amore che tu hai per noi. Con l’Eucaristia ci fai te perché tu vuoi operare ancora, attraverso di noi, e donarti alla nostra gente. Siamo noi le tue mani, il tuo cuore, la tua bocca. Se non crediamo che ci sarà possibile compiere il tuo gesto di dono che sazia, vuol dire che non crediamo abbastanza a quanto operi in noi con l’Eucaristia.


venerdì 27 maggio 2016

Papaveri

Papaveri

Effimero appare
allarga il cuore
a vederlo.
S’incendia di rosso
intenso un istante
colora il campo
cornicia il bordo
al sentiero.

Qoèlet annuncia
il tempo che fugge
che è vano.
La vita riscatta
un atto d’amore
dà luce all’intorno
un lampo di gioia
che rimane.


giovedì 26 maggio 2016

Qoèlet non è un pessimista




Qoèlet non è un pessimista. È un realista.
Vede con lucidità che tutto è niente.
Obbliga ad andare al di là di ciò che appare, per vedere ciò che solo resta. Dio.
Noi che non siamo Dio svaniamo nella vanità di vanità, nel nulla della creatura.

Gesù Abbandonato si è fatto creatura, vanità di vanità, nulla, e ha dato realtà alla vanità, al nulla, facendolo Dio.
In lui scopriamo quanto vana sia la vanità, quanto abissale il nulla.
In lui la misericordia di Dio che ci conduce al di là del nulla, nella realtà dell’essere, della vita, dell’amore.

mercoledì 25 maggio 2016

Testimonianza su Padre Marino





Guida, padre e testimone. Ecco cosa è stato per me, nel turbine delle velleità giovanili, P. Marino. La stima che si è guadagnato sul campo ne faceva un faro indiscutibile. Senz'altro un uomo senza orpelli, asciutto, essenziale, ha saputo guidare la transizione da uno stile di vita in declino ad un altro post conciliare, aperto alla Chiesa ed ai movimenti, ad una visionarietà più centrata sui dettami evangelici che sulle tradizioni di famiglia.
La comunità di Marino è stata questo incubatore.
Mi colpisce la sua straordinaria somiglianza con la figura e l'opera di Paolo VI per la Chiesa.
Magari c'è stato da soffrire non poco perché tutto il corpo accogliesse questa sfida e l'appello all'accoglienza dello Spirito, ma ce l'ha fatta…
Vederci li, attorno a quel corpo tempio dello Spirito che è stato strumento di questo passaggio epocale insieme ad una marea di confratelli di tutte le età è stata la testimonianza più bella e silenziosa di quanto compiuto.
Pino 

martedì 24 maggio 2016

Padre Marino nel cuore di tanti


Così se n'è andata un'altra pagina della nostra storia.
Mi sembra come se cominciassero a partire alcune delle pietre fondanti dell'edificio che Dio ha costruito a partire da Marino. Ma è solo per ricostruirlo più bello e duraturo in cielo.

Rosaria: Sento un dolore nel cuore a sapere che p. Marino ci ha lasciato. È per me un carissimo familiare al quale mi sento legata anche se non lo vedevo da tanto.

Elisabetta: Voglio dirvi in breve quello ho vissuto con lui, il 21 maggio, giorno della nostra festa.
L'ho trovato stanco, provato, ma molto sereno e con il fedele rosario tra le sue mani.
Mi ha raccontato che viveva tutto con Gesù, che la vera forza è vivere ogni momento con Gesù in mezzo a noi e poi affidargli tutto, perché gli abbiamo dato la Vita e Lui sa quello che deve fare e poi... vivere anche noi il mistero pasquale di Gesù nella nostra vita e ricordarsi che nell'altro incontriamo Gesù.
Quando mi ha detto, “Sai, gli anni ci sono...”, mi sono commossa e mi sono affrettata a dirgli:
“Padre io sono qui a nome di tutte le mie sorelle, noi le diciamo il nostro GRAZIE per tutto quello che ci ha donato, le vogliamo tanto bene e preghiamo con lei”.
Lui mi ha risposto che aveva ricevuto molto dallo stare con noi e che continuava a pregare per noi. L'ho abbracciato promettendogli di chiamarlo in settimana. Lui mi ha sorriso e mi ha lasciato i saluti per TUTTE!
Ecco, pochissimi minuti ma davvero mi è sembrato di ricevere un testamento per noi..


Alfonso: Ho saputo della “partenza” del GRANDE Padre Marino Merlo – perché si tratta ancora una volta di “partenza”, ed è questa realtà appunto che ci caratterizza come missionari Oblati di Maria Immacolata.
Nella sua lunga e ricca esperienza, umana-missionaria e paterna-sacerdotale, ha svolto un prezioso ruolo di presenza, di accompagnamento, d'incoraggiamento, formando tantissime persone, uomini e donne, e trasmettendo loro la chiave necessaria perché ognuno possa discernere nella libertà la propria vocazione.
Un uomo, pronto ad accogliere e ad ascoltare, capace di comprendere e di guidare.
Un uomo, dal profondo sguardo, leggendo dentro e facendo ri-partire l'altro per andare sempre avanti e più lontano.
Un uomo, silenzioso e di poche parole, perché occorre saper dire soltanto l'essenziale per ritrovare Colui che è all'origine della nostra Essenza.
Un uomo, innamorato della Chiesa Universale e di Maria, madre delle missioni.
La sua nuova “partenza” avviene a maggio, nel mese mariano e di tante festività oblate, nell'anno della Misericordia e nel bicentenario della congregazione dei Missionari Oblati di Maria Immacolata.
Grazie GRANDE Padre Marino. Buon viaggio e buona festa in cielo.

Maria: Padre Marino a noi molto caro e vicino sempre, con la sua presenza nascosta o reale per la santa messa, il suo discreto sorriso, il suo fraterno ascolto, le sue benedizioni, la sua preghiera… Sicuramente abbiamo un altro santo che continuerà a farci da giuda... e prega per tutti noi.

lunedì 23 maggio 2016

Padre Marino maestro dei novizi


Quando nel 1965 arrivai tra gli Oblati, a Firenze, fui accolto dal superiore, padre Marino Merlo.
Quando nel 1969 giunsi a Marino Laziale per  il noviziato, mi accolse nuovamente padre Marino Merlo, che con il mio gruppo iniziava per la prima volta a svolgere il compito di maestro dei novizi.
Fu un anno straordinariamente bello e ricco. Il noviziato, che in quell’anno riapriva i battenti, era nuovo in tutti i sensi: nuova la casa, nuovo il maestro, nuovo lo spirito, nuova l'impostazione della struttura, perché erano state appena promulgate le nuove norme postconciliari Renovationis causam.
Grazie a queste norme per la prima volta i novizi potevano uscire per le loro prime esperienze pastorali. Fu così che quell’anno partecipammo alla nostra prima missione al popolo, a Vallada Agordina, nel Bellunese.
Padre Marino non era uomo della parola proclamata, non di quella scritta. Ritrovo tuttavia una bella pagina nella quale parla dell’idea di missione che c’era dietro quella prima esperienza che facemmo insieme nel 1970:

Bisogna capire anzitutto che per noi l’apostolicità non è solo sul piano operativo dell’attività, ma scaturisce dal nostro carisma. Ciò significa che una comunità di Oblati nel suo stesso esistere, nel suo vivere autentico il dono dello Spirito, annuncia Cristo, insegna “chi è Cristo”. Questo punto è molto importante perché fa capire che c’è un equilibrio da scoprire tra una vita di comunità che è tutta esperienza di questa presenza a cui Gesù ha legato la credibilità dell’annuncio stesso.
In altri termini la comunità fa un cammino di fede nello Spirito che la porta ad aprirsi alla missione di Gesù fino al suo pieno compimento: tutti uno in Cristo.

La comunità dei padri e dei novizi, quando affronta la Missione al popolo, si trasferisce all’interno di una comunità parrocchiale per vivere insieme a tutti quella conoscenza di Cristo Salvatore già sperimentata, sostenuti dalla coscienza carismatica della propria vocazione che libera dalle presunzioni e fa contare unicamente sulla grazia della missione stessa che è Cristo. Quello che si farà e quanto si dirà certo non pioverà dal cielo, ma avrà una sua radice in ciò che si è imparato dalla vita.

Al termine di ogni valutazione si comprende bene come nel Vangelo i miracoli o i discorsi di Gesù non valgono più della sua persona, ma valgono solo per la sua persona. Così il discorso che la Missione fa, avrà credibilità se i missionari renderanno testimonianza al Signore presente: “sarete miei testimoni”.
Intesa in questo modo, la missione non pretende convincere nessuno o convertire nessuno, ma vuole solo offrirsi come “test” di vita cristiana: “da questo crederanno che siete miei discepoli...”. L’obiettivo perciò che la Missione, così svolta e vissuta, intende raggiungere non vuole essere altro che quello di lasciare nella comunità parrocchiale un gruppo di persone (due o più) che vogliono mettersi in stato di missione (nel senso su detto della comunità). Tra questo gruppo di persone è importante che ci sia anche il parroco. La Missione deve coinvolgere anche lui.
La dimensione missionaria della comunità del Noviziato nel suo dinamismo ordinario si rivolge quasi prevalentemente al mondo dei giovani. L’attenzione è rivolta ai giovani prima di tutto perché la comunità del noviziato è sostanzialmente composta da giovani ed inoltre perché i giovani sono il futuro della società, sono il futuro della Chiesa e la speranza della Chiesa stessa. In questo continuo rapporto con i giovani è necessario riuscire a cogliere tutte le nuove realtà, tutte le ricchezze che le nuove generazioni portano con loro.
In questa continua attenzione che la comunità del Noviziato deve avere per cogliere tutte le dimensioni positive presenti nei giovani d’oggi, un notevole contributo è dato dai novizi. Essi sono parte di quei giovani di oggi che sono rimasti affascinati dall’incontro con Gesù; un incontro che ha cambiato completamente la loro vita. Ma nonostante questo cambiamento radicale continuano ad essere figli del nostro tempo.
Il rischio che la comunità cristiana, che la Chiesa oggi corre, è quello di perdere il rapporto con le nuove generazioni. Tale rischio è di fatto superato dai giovani stessi, da quelle nuove generazioni che sono state rinnovate dall’incontro con Cristo. Avviene così che non proprio loro — in quanto rinnovati dal Vangelo — ad essere i principali apostoli della gioventù che è lontana da Dio. Sì, i giovani apostoli dei giovani. Importa poco se sono novizi o giovani impegnati in parrocchia o in movimenti ecclesiali. Agli altri giovani, alla gente, non interessa. In loro si scorge una novità di vita che si chiama Gesù, comunicata con una carica, un’immediatezza, un linguaggio (inteso nella sua accezione più ampia) che sono la mediazione adeguata per questi tempi moderni.
L’esperienza poi dice che se partono i giovani, tutta la comunità si muove: sono i giovani che diventano gli interlocutori immediati delle famiglie, della massa.

Ho visto padre Marino, per l’ultima volta, pochi giorni fa. Sorridente come sempre. Mi ha incoraggiato come sempre.
Per me, anche adesso che è appena partito per il cielo,  rimane il "maestro” dei novizi.


domenica 22 maggio 2016

Una giornata d’oro



Una gioia non comune ha inondato la giornata del 21 maggio. Forse perché questa volta la festa di sant’Eugenio coincideva con i 200 anni della nascita degli Oblati? Oppure perché, come ha detto qualcuno, il cardinale che è stato con noi è un santo?
Abbiamo praticamente passato la mattinata in cappella, tra lodi, conferenza del card. João Braz de Aviz, messa con il rinnovo dei voti di tre giovani, un tedesco e due vietnamiti. Un momento intento di preghiera e un clima sempre più bello. Poche volte si avverte tanta pienezza di vita.


Nel pomeriggio alla parrocchia del SS Crocifisso l’ordinazione diaconale e infine a sera, nella chiesa di san Nicola ai Prefetti la lettura di alcuni brani del mio racconto di sant’Eugenio.
A quest’ultimo evento erano presente molte persone. Io stato in fondo alla chiesa e aveva davanti a me tre ragazze straniere. Durante la lettura si guardavano spesso tra di loro, annuivano, ammiccavano, sorridevano… Alla fine ho chiesto loro se erano riuscite a comprendere appieno l’italiano. “Quanto basta”, mi hanno risposto. “Quanto basta per ritrovarvi in tante delle situazioni di sant’Eugenio che ci ha interpellate personalmente”.
Sant’Eugenio sarà rimasto contento di questa giornata particolarmente bella: un dono suo a noi.


sabato 21 maggio 2016

Nella Trinità, come la Trinità



Lo sapevamo che Dio ama le sue creature e che dunque, nei loro confronti, è amore. Ma come potevamo sapere che è Amore anche in sé? Pienezza d’amore, amore talmente intenso da essere molteplice. L’unico Amore si fa Amante, Amato, Amore condiviso: Padre, Figlio, Spirito Santo.
Soltanto Gesù poteva svelarlo, lui che viene da là. Quando parla del cielo parla di casa sua. Lo fa perché vuole introdurci in quella realtà e renderci partecipi della stessa vita d’amore della Trinità.
Ma forse ci parla della sua casa, del suo cielo, della Trinità, perché vuole fare anche della nostra casa, della nostra terra, trinità.
Quello che è del Padre è del Figlio e quello che è del Figlio è dello Spirito. Tra essi tutto è comune. Così vuole che sia tra noi.
Come Gesù è generato dal Padre, così vuole che anche tra noi ci amiamo al punto da generare Gesù l’uno nell’altro.
Come in risposta d’amore Gesù vive per il Padre, così vuole che anche noi viviamo
l’uno per l’altro.

Come tra Padre e Figlio spira lo Spirito, così vuole che l’atmosfera di ogni nostro rapporto, in ogni luogo e ambiente, sia respiro d’amore.

venerdì 20 maggio 2016

Quelle parole di luce del Gesù di Bacchelli



Ho finito di leggere un romanzo capitatomi tra mano per caso, così come spesso mi capita con i libri. Di Riccardo Bacchelli. Per questo mi aveva attirato l’attenzione. E anche perché il libro è venuto alla luce con me, nel 1948.
È il racconto di uno dei due indemoniali di Gerasa liberati da Gesù. Un racconto che a mano a mano che scorrono le pagine si fa sempre più improbabile e anche un po’ astruso, soprattutto nel travaglio interiore del protagonista, a nome Imatar.
Fascinoso nel suo ricco linguaggio.
E a proposito di linguaggio mi è sembrata particolarmente profonda l’impressione provata da Imatar nell'ascoltare le parole di Gesù:


Nuova ed antica, dallo sprofondo dell’animo, sorgeva la persuasione d’avere accolto nelle parole di quell’uomo un che d’inaudito e di nuovo al mondo, da che vi si eran pronunciate parole e fino a che vi si sarebbero pronunciate. Riluttante, scandalizzata, disperata, la ragione poteva rifiutar loro l’accesso, non che l’assenso; ma esse si imponevano, non già per forza propria, ma della persona di quell’uomo Gesù, il quale colla sua presenza le rivelava nate coll’anima prima dell’origine dei tempi, e perenni, fino alla fine ed oltre, da sempre e per sempre. La ragione, al par del mondo, poteva ricusarle ed odiarle, ma doveva arrendersi a quel che v’era in esse, di là dalle parole medesime per sè stesse. (…)
La violenza di quella mansuetudine, la forza di quella pace, la rapina di quella carità, eran tali, che l’animo gridava di spavento, come davanti all’infinito e all’eterno aperti in una dolcezza di felicità senza parole. Ne rifuggiva con indignazione, ma sapeva che questo era l’irrecusabile modo di ritrovarvisi; più forte della ragione indignata, era l’acquiescenza dell’anima al mistero d’una suprema pace contenta, in cui essa anima, ritrovando sè stessa nel perdersi come nel mirifico gorgo della contemplazione, conosceva l’ultimo di sè medesima in una semplice gioia abbandonata e confidente.
Qualcosa di simile Itamar si ricordava d’aver trovato descritto nel greco contemplatore delle idee, in Platone; ma descritto; e in ciò stava l’incomparabile ed incolmabile differenza. Nel filosofo altissimo, la parola era pur sempre un velo, su cui la verità traluceva per nascosto splendore, per simboli e immagini. In questo santo di Nazaret, la parola era il corpo di luce della verità presente, che, della parola vestendosi, vi si rivelava, e rapiva lo spirito, e rinnovava l’anima. In Platone egli aveva viste le ombre sul fondo della caverna; adesso aveva visto, in Gesù e nella sua parola, la luce che le generava. Quest’uomo Gesù non diceva la verità: era la verità incarnata in innocenza di spirito, in carità d’anima, perfette e viventi. 

(R. Bacchelli, Lo sguardo di Gesù, Rizzoli, Milano 19542, p. 113-114)

giovedì 19 maggio 2016

21 maggio: festa di sant'Eugenio


21 maggio, dies natalis di sant'Eugenio de Mazenod.
La giornata si presenta ricca di appuntamenti, per terminare, a sera, con la lettura di un brano del racconto della sua vocazione. Adonella è una grande interprete. Ne dà un saggio in questo video:


Una pagina di quel racconto: 1807:

«Padre Denis, ho bisogno di parlarle». Eugenio si era recato come al solito alla chiesa dello Spirito Santo. Il sacerdote lo guardò con un leggero sorriso, chiuse il breviario e lo invitò a sedersi accanto a sé, sulla panca vicino all’altare.
«Ti ascolto, Eugenio». Eugenio si sedette, poggiò i gomiti sulle ginocchia, mise il volto tra le mani e rimase in silenzio, a lungo.
«Ti ascolto, Eugenio», ripeté padre Denis con pazienza. Le spalle del giovane iniziarono lentamente a sussultare, mentre le mani continuavano a nascondere il volto.
«Stai piangendo, vero? Come venerdì scorso in cattedrale».
«L’aveva notato, padre?».
«Non passa inosservato un giovane par tuo che in cattedrale, nel bel mezzo della celebrazione della croce, scoppia in lacrime».
«Erano lacrime di gioia. Di dolore e di gioia. Come adesso».
Dopo un altro momento di interminabile silenzio, padre Denis ripeté: «Ti ascolto, Eugenio».


Come raccontare quell’indicibile momento di dolore e di gioia? Il “canonico laico” era immancabilmente in cattedrale anche per la grande liturgia del Venerdì Santo. Il vescovo precedeva la processione portando la croce velata di viola. Ecce lignum crucis…, cantò con voce flebile, e scoperse un braccio della croce. Venite adoremus, risposero, cadendo in ginocchio, gli uomini della confraternita con la cappa bigia, il cappuccio, i ceri. Il vescovo aveva ripreso il cammino nell’altissima navata della cattedrale rischiarata dai raggi del sole, che scendevano dal rosone di fondo. Era come se quei raggi infuocati andassero dritti al cuore di Eugenio e gli illuminassero l’anima e gli svelassero, con l’evidenza della luce e della verità, il peccato che vi si annidava. Ecce lignum crucis… Il secondo braccio del Cristo fu snudato. Com’erano grandi, spalancate quelle braccia, proprio come quelle del Crocifisso dei de Mazenod; lo avvolsero, lo strinsero a sé. Al terzo annuncio il Cristo splendeva sulla sua croce di martirio e di gloria: il Salvatore. Eugenio scoppiò in pianto, incurante di quanti gli stavano attorno. […]

Tornato a casa, Eugenio si sedette allo scrittorio, volendo fissare i suoi pensieri. Ma erano troppo dolci, troppo impetuosi per poter essere messi per iscritto. Sentiva soltanto una immensa gratitudine e una pace profonda.

Signore, Principe magnanime, mi spiavi da tempo
e, senza che io lo sapessi, attendevi il momento propizio
e la fessura adatta per arrivare al cuore e penetrarvi.
Sei giunto d’improvviso, quando meno l’aspettavo.
La tua infinita misericordia si è riversata su di me
come una cascata di luce.
Dio onnipotente, mi ha usato violenza
– quale dolce violenza! degna d’un Dio misericordioso –
e mi hai attratto a te.
Sentendoti così vicino, vorrei chiederti: Perché?
Perché svelare il tuo amore proprio a me?
Non c’è un perché alla tua predilezione.
Vorrei chiederti cosa ti attendi da me.
Ma non è questo il momento,
adesso non c’è futuro:
c’è soltanto un dolce presente,
la tua presenza, e mi basta;
da sola dà già senso alla mia vita.

mercoledì 18 maggio 2016

La Parola di vita in Friulano




Sono un ragazzo di 14 anni mi chiamo Francesco e vivo in un piccolo paese della Basilicata. Le scrivo per chiederle se può inviarmi mensilmente 10 copie della "Parola di Vita". Io purtroppo riesco ad averne solo una al mese. Le spiego subito a cosa mi servono, vorrei darle ad alcuni miei compagni. Sto organizzando un'iniziativa per pregare con i giovani per i giovani e per le loro vocazioni. Amo molto le parole e le riflessioni di Chiara Lubich.

E bravo questo ragazzo della Basilicata!

A proposito di Parola di vita… per chi interessasse è tradotta anche il Friulano!


martedì 17 maggio 2016

Lo Spirito Santo, luce che illumina e si cela


Andando a Pescara mi sono fermato a Celano, tornando a Coculle.
Ma perché sono andato a Pescara?
Per festeggiare la Pentecoste con la parrocchia oblata di sant’Andrea e, per l’occasione, per raccontare dei 200 anni degli Oblati. Le due feste si sposano bene. A Gerusalemme, quando scese lo Spirito Santo, erano presente persone di una quindicina di nazioni – tante ne nominano gli Atti degli Apostoli – che si intesero tra di loro formando un unico popolo di Dio. Gli Oblati, in questi 200 anni, hanno fatto e continuano a fare un po’ lo stesso miracolo, rendendosi presenti tra un numero ben più grande di popoli e di lingue, di tutti i continenti, con lo stesso intento: formare il popolo di Dio.
Ho fatto vedere le mie foto dei molti popoli e paesi evangelizzati dagli Oblati, ma soprattutto ho parlato dello Spirito Santo che tiene viva la Chiesa e la sua missione. Se ne parla così poco.


Del Padre abbiamo tantissime cose da dire, perché Gesù ci ha parlato continuamente di lui, fino a insegnarci a pregare dicendo proprio “Padre”.
Di Gesù ne sono pieni i vangeli e non finiremmo mai di parlarne.
Ma dello Spirito Santo?
Anche il Credo ha tante cose da farci professare attorno al Padre e al Figlio, ma dello Spirito Santo crediamo proprio poche cose…

È che lo Spirito Santo non lo si vede in faccia. Si indovina la sua presenza dai frutti.
Mette sulla nostra bocca la parola “Padre”, ci fa pregare e quindi ci fa rivolgere verso il Padre, ci dirige verso di lui. Ci fa dire che Gesù è il Signore, e così ci dirige verso Gesù e ci spinge a seguirlo. Lo Spirito ci manda da Due, mette in luce loro, mentre egli rimane dietro, nascosto.
È come la luce del sole che tutto illumina: ci fa guardare la creazione che ci circonda; raramente ci voltiamo a guardare il sole che tutto illumina. Così è lo Spirito che, come luce, fa brillare le parole di Gesù, le rende vive, ce le fa vivere, ma egli sta in silenzio.
È come il cuore, che rimane nascosto, ma dà tono ed energia a tutto l’organismo; è come l’anima che tutto vivifica; è come il motore che guida e dirige la storia; è l’amore che porta ad agire, ad amare: è Dio!


lunedì 16 maggio 2016

Cocullo, un capolavoro d'arte sperduto sul monte Lupare



Sull’autostrada Roma-Pescara, all’uscita dalla lunga galleria che passa sotto i monti che fanno da spartiacque tra la Marsica e la valle del Sagittario, appare, arroccato su uno sperone del monte Lupare (tutto dire!), un paesetto incantato, solitario in mezzo alle montagne. Anche questo mi ha sempre attratto, anche se non avevo mai avuto l’opportunità di visitarlo. Questa volta, tornando da Pescara, mi sono fermato quanto basta (cioè troppo poco). C’è addirittura un casello dell’autostrada tutto per lui. In altri tempi chissà com’era raggiungibile…


All’ingresso del paese una bella fontana medievale con tre arcate gotiche. Ci accoglie sorridente una giovane mamma con il bambino: “Benvenuti a Cocullo!”. "Quanti siete in paese?", le domando. "100 persone…".
Mi racconta della sacra dei serpari che ogni anno, il primo maggio popola il paese di visitatori. Un rito ancestrale degli antichi Marsi, in onore della dea Angizia, che insegnava l’arte dei controveleni, poi convertito in rito cristiano grazie a san Domenico di Cocullo, monaco, che liberò la regione da una invasione di vipere. Il primo maggio, dunque, il santo passa per il paese e durante la processione viene addobbato con decine e decine di serpi vive che i “serpari” raccolgono con cura nei giorni precedenti…




Cammino per il paese e scopro un gioiello d’arte e storia. Nella chiesa della Madonna delle grazie affreschi trecenteschi che da soli farebbero il tesoro di un museo. Ma soprattutto le case con i portali scolpiti, la torre antica, i passaggi tra una viuzza e l’altra, le porte del paese, gli scorci delle montagne che s’aprono ad ogni curva. Un gioiello deposto sulla montagna, fuori dal mondo, dove la pietà cristiana ha lasciato capolavori d’arte e dove si può godere del gusto raffinato di un popolo sperduto sul monte Lupare…


domenica 15 maggio 2016

A Celano dal beato Tommaso



Tante volte ho attraversato l’affascinante rude Marsica per andare a Pescara. Celano, al limite della conca del Fucino, mi ha sempre attirato, nel attirato il desiderio di vedere la patria di Tommaso da Celano, il primo biografo di san Francesco.
Questa volta mi sono finalmente fermato a visitare il paese. Su questo altopiano, in mezzo alle montagne, la primavera non è ancora arrivata. Fa freddo. Non certo come quando vi arrivò san Francesco, nell’inverno tra il 1215-1216, quando vi compì un miracolo, come narra proprio il beato Tommaso da Celano, che forse lo aveva accompagnato personalmente nella sua terra.


Non c’era ancora il possente castello dei Piccolomini che domina la città. Da lontano sembra una costruzione fredda, cerebrale, ma visitandolo mostra un volto più signorile e pur sempre severo.
Nella chiesa di san Francesco, sotto una tavola che ritrae il beato di Celano con in mano la biografia da lui scritta – anche se ne ha scritte due! oltre al libro dei miracoli –, sono conservati, in un piccolo reliquiario, i suoi pochi resti.
Rileggo il Prologo della Vita Prima: “Per ordine del glorioso signor papa Gregorio, mi sono accinto a narrare diligentemente gli atti e la vita del beatissimo padre nostro Francesco. Ho cercato di farlo con ordine e devozione, scegliendo sempre come maestra e guida la verità. (…) mi sono limitato a trascrivere con fedeltà almeno quelle cose che io stesso ho raccolto dalla sua viva voce o appreso dal racconto di testimoni provati e sinceri…”.
Grazie beato Tommaso per averci lasciato l’opera più bella su san Francesco! La tua bella Celano è da te resa ancora più bella.


Lo Spirito Santo, suggeritore nascosto


“… lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”.

Come faremmo a comprendere e vivere l’insegnamento di Gesù se non ci fosse lui, lo Spirito Santo, suggeritore nascosto, forza intima? Il Vangelo sarebbe lettera morta, uno dei tanti libri di letteratura antica, magari pieno di saggezza, ma non capace di sprigionare la vita e di infuocare una vita.
Lo Spirito di Verità che Gesù ci manda a Pentecoste parla nell’intimo, dove ha preso dimora, facendo sentire la sua “voce”. O meglio, egli presta la sua voce alla parola di Gesù. è Gesù il Maestro, e lui è il ripetitore sapiente che spiega quanto egli voleva dire. Ogni volta che accostiamo il Vangelo lo illumina di nuove luci e vi fa brillare nuovi sensi e scava in profondità. È lui il pedagogo che di volta in volta suggerisce, tra le tante parole che Gesù ha detto, quella più adatta a quella circostanza: «egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».
Non ricordi, sempre dire, che questo è il momento di perdonare, come ti ha insegnato il Maestro, ora di servire, ora di donare, ora di pregare, ora di amare? Non ricordi che ti ha detto di non temere perché lui ha vinto il mondo? Non ricordi che ti ha promesso la sua pace? Non ricordi che vali più di un passero e di un fiore di campo, che pure sono amati infinitamente da Dio? Ricorda e fa credere e dà la forza per vivere.
È proprio il consolatore: ci riporta a Gesù, ci fa gustare il rapporto con lui e assaporare le sue parole. È l’Anima della sua anima, il tuo stesso Spirito. È l’Anima delle nostre anime, il nostro stesso Spirito.

Quanto poco ti conosciamo,
Spirito di Luce,
quanto poco ti siamo grati,
Spirito di consolazione.
Segreto e nascosto,
eppure presente e operante,
rimani con noi per sempre,
secondo la promessa.
Ricordaci le parole del Maestro,
insegnaci a viverle
perché rimangano spirito e vita.
«Se mi amate – ci ha detto –,
osserverete i miei comandamenti».
Insegnaci allora l’amore,
così che, mossi dall’amore,
compiamo il volere dell’Amato.
Portaci in dono il nostro Signore
e con lui portaci il Padre
e prendano in noi dimora per sempre
assieme a te, il loro Amore,
il nostro Amore.


venerdì 13 maggio 2016

I Macchiaioli e il Bramante


I Macchiaioli toscani a Roma. Una delle stazioni più belle della pittura italiana di fine Ottocento si incontra con uno dei luoghi più belli di Roma, il chiostro del Bramante.

In casi come questi non sai se fermarti ad ammirare l’opera del Bramante o quella di Fattori, Sernesi, Boldrini, Lega... È più bello in quadro o la cornice?



La mostra mi ha immerso nella natura toscana, tersa, purissima.
Come si fa a non lasciarsi incantare dal bello?


giovedì 12 maggio 2016

I semi di grano ammassati marciscono





«Convocati i frati e invocato lo Spirito Santo, Domenico disse che era sua ferma decisione di disperderli per diverse regioni sebbene fossero assai pochi (...) sapendo che i semi di grano dispersi fruttificano, mentre se sono ammassati marciscono» (P. Ferrando, Legenda sancti Dominici, n. 31).

Il principio che i semi di grano dispersi fruttificano, mentre se sono ammassati marciscono, non è valido soltanto per la missione, ma per tutto quanto possediamo. È l’invito a uscire fuori di sé e a donare…

José Damián l’ha fatto… Condividendo con me questo pensiero di sa Domenico…

mercoledì 11 maggio 2016

Maggio, mese dei fiori



A commento del blog su “Il Ben di Maggio”, mi è giunto il seguente messaggio:
“Io ricordo bene il mese di maggio con la nonna Leonella. La cucina economica, che d’inverno serviva per cucinare e scaldare la cucina, a maggio con il coperchio chiuso diventava un altarino. Vi metteva un quadro della Madonna con ai lati due vasi stracolmi di rose e alti fiori di cui era sempre ben fornito il suo giardino. Davanti a questo altarino recitava il rosario e noi nipoti dicevamo qualche ave Maria”.
Erano essenziali i due vari “stracolmi di rose”.
Maggio, mese dei fiori, soprattutto delle rose. Come non farne omaggio a Maria?


Sono stato a visitare il Roseto di Roma. Vi sono presenti tutte le varietà di rose possibili inimmaginabili. Uno spettacolo straordinario.
Lo spettacolo più bello è stato tuttavia vedere i bambini, le famiglie, gli innamorati invadere il Roseto. Erano i fiori più belli.
Penso che anche a Maria piacciano le rose, ma certamente i fiori più belli che lei gradisce siamo noi stessi…