sabato 31 ottobre 2015

Festa di tutti i santi con apa Pafnunzio


Apa Pafnunzio e la contraddizione dell’apostolo Paolo

Jan Tillmans, OMI, Trois Rivières
Era giunto all’apex della Lettera ai Romani: “Chi mai potrà separarci dall’amore di Cristo?”. Lungo la giornata continuava a ripetere l’interrogativo vibrante e sentiva crescere in sé l’amore di Gesù e avvampare la stessa passione che aveva acceso il cuore dell’Apostolo. L’enumerazione di quanto invano avrebbe potuto tentare di separare da Cristo era ben dettagliata nella Lettera: la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada, la morte, la vita, gli angeli, i principati, il presente, l’avvenire, le potenze, l’altezza, la profondità… Non v’era creatura alcuna o circostanza particolare che mai avrebbe potuto separarlo dall'amore di Dio, manifestato in Cristo Gesù.
Apa Pafnunzio, guardandosi attorno e ripensando alla vita nel deserto, si compiacque nell’aggiungere altri possibili impedimenti alla lista già ampia dell’Apostolo e ulteriori circostanze ancora che si sarebbero potute interporre tra lui e Cristo. Nessuna barriera gli sembrava così alta e resistente da opporsi alla forza  possente dell’amore di Cristo e alla passione che tale amore aveva acceso nel suo cuore, nessun nemico gli si presentava talmente ardito da riuscire a strapparlo dalla forza conquistatrice di Cristo. A notte, ripeteva ancora: “Chi mai potrà separarci dall’amore di Cristo?”. S’addormento con questa certezza in cuore.
Quando al mattino seguente riprese la lettura della Lettera paolina, rimase sconcertato. Come mai l’Apostolo, che appena prima s’era detto incapace di venir separato dall’amore di Cristo, si contraddiceva in maniera così palese dichiarandosi pronto a separarsi da Cristo? Se niente e nessuno poteva separarlo, perché adesso lui stesso se ne separava? Apa Pfnunzio lesse e rilesse il contesto. Era chiaro. Davanti ai fratelli d’Israele senza Cristo, Paolo era disposto a lasciare Cristo per farsi senza Cristo, “uno” con loro e come loro: ebreo con gli ebrei, così come era disposto a farsi greco con i greci. Da dove gli veniva la forza e l’audacia per abbandonare Cristo? L’amore lo spingeva, proprio l’amore di Cristo, quel legame stretto con Lui, che con Lui l’aveva reso una sola cosa: “Il mio vivere è Cristo”. Condivideva i suoi stessi sentimenti, di Lui che non si tenne stretta la sua divinità, ma ne spogliò per farsi senza Dio con noi che tali eravamo, per farsi peccato con noi peccatori. Mosso dallo stesso amore, Paolo ripercorreva lo stesso cammino del suo Signore. Non solo: dimentico di sé e del proprio dono, metteva il luce il positivo del popolo d’Israele, fino ad elencare ben nove doni da esso posseduti.
Apa Pafnunzio s’affretto ad andare incontro ai carovanieri che stavano accampandosi nei pressi della sua cella. Poiché niente più lo separava dall’amore di Cristo, se ne separò per entrare nudo e povero nella vita di quegli uomini di fatica. Solo così avrebbe potuto accoglierli e far emergere da quei cuori duri i doni che Dio vi aveva deposto. Ne sarebbe scaturita una luce nascosta, che lui stesso avrebbe accolto con gioia, lasciandosi illuminare da loro. Solo allora avrebbe potuto far emergere anche dal suo cuore il tesoro nascosto e condividerlo.


venerdì 30 ottobre 2015

Soffia forte il vento dello Spirito



“È il più bel ritiro nella mia vita, e oggi è stato il giorno più bella della mia vita”. Così un Oblato di “una certa età”, prima in privato poi nel momento comune di condivisone con tutti. Di una certa età, quindi di ritiri ne avrà ben fatti… Ma in questi giorni c’è proprio una grazia speciale, ed essendo una “grazia” non dipende dai fattori esterni, tanto meno dal mio povero francese, è soltanto una grazia e la grazia non è grazia se la si merita.
Si è così concluso il terzo ritiro della terza settimana in Canada, ogni volta cinque giorni dominati da una profonda gioia. A questo terzo ritiro – Ottawa, Casa Deschâtelets – erano presenti in poco più di trenta, compresi dieci laici associati agli Oblati.: una bella comunità di vita.
Le valutazioni scritte sono sempre entusiaste: “Siamo stati immerso nel carisma oblato”. “Interiorità”. “Un ritiro come piace a me”. “Un insegnamento nuovo”. “Molto concreto”.

Intanto sul sito della Provincia si può leggere il seguente articolo e si possono trovare i video con le meditazioni www.omi-qc-on.com:

LES VENTS FORTS ONT PROBABLEMENT BALAYÉ BIEN DES CHOSES

Les vents forts ont fait le ménage sur le sol et dans les arbres, ces dernières heures. L'hiver peut s'installer!

Les «vents de l'Esprit» ont probablement, eux aussi, balayés certains doutes, craintes, ignorances, idées préconçues, peurs, questionnements, etc. dans la tête et le coeur des dizaines et des dizaines de participants oblats et participants/es laïcs, lors de la retraite animée par Fabio Ciardi, OMI. La fin de la retraite oblate a eu lieu hier, à midi, à la Maison Deschâtelets, à Ottawa. Les échos ont été récurrents partout où la retraite fut donnée: Trois-Rivières, Richelieu et enfin Ottawa: une retraite inoubliable, une retraite exceptionnelle! Elle a permis de découvrir ou redécouvrir les débuts de la fondation de la Congrégation des Missionnaires oblats - son ascension jusqu'à nos jours - mais également qu'est-ce qu'un missionnaire, qu'est-ce qu'un engagement laïc et quel est ce vent qui pousse dans le dos pour aller toujours plus loin, toujours plus haut au coeur de la vie, au coeur des gens? Saint Eugène de Mazenod et ses différents élans. Les vents ont ouvert de nouvelles fenêtres et aérés nos «intérieurs»!

Lundi, vous pourrez, sur le site oblat: www.omi-qc-on.com, écouter la dernière partie de cette retraite qui a ouvert de nouvelles portes, de nouvelles fenêtres intérieures et aussi réécouter toute la retraite au besoin. À suivre et partagez celle-ci avec votre entourage. 




giovedì 29 ottobre 2015

Un ritiro importante nella mia vita



Mi sono giunti brevi messaggi scritti di valutazione dei due ritiri a Trois Rivières e a Richelieu. Sembrano tutti molto positivi. Si vede che Dio opera. Ne riporto solo alcuni:

- L’atmosfera di pace, di raccoglimento, di distensione mi hanno fatto bene all’anima. Sono stato riportato alla realtà interiore, avvertendo un invito a vivere di più e meglio. Un riposo in Dio: lasciarsi lavorare interiormente dal suo amore. Mi ha dato un nuovo slancio.
- Ho scoperto un po’ di più la persona del Fondatore. È la prima volta che trovo la tematica così equilibrata e convincente.
- È stata una autentica preparazione al 200° anniversario della Congregazione.
- È la prima volta che sento parlare degli Oblati in maniera così concreta.
- È la prima volta che sento parlare così bene di Eugenio e del suo progetto di comunità. Mi ha fatto conoscere e amare Eugenio e i suoi scritti.
- Ci ha rivelato il cammino verso la santità attraverso momenti precisi della vita del fondatore.
- Un ritiro molto importante nella mia vita.
- Per me si  trattato di un tema nuovo: vogliamo camminate insieme verso la santità e aiutarci gli uni gli altri.
- Una visione davvero nuova sulla comunità e sulle esigenze apostoliche della santificazione.
- Abbiamo visto aspetti nuovi di sant’Eugenio: il suo desiderio di formare una comunità; una visione nuovissima della nostra santificazione attraverso la comunità  e nel nostro lavoro missionario…
- Il tempo è passato in un soffio. Ci è stata fatta vedere la vita oblata e il nostro ministero in un modo nuovo.

mercoledì 28 ottobre 2015

Jan Tillemans: La vetrata è una finestra sul cielo


Continuo a leggere i pensieri di Jan Tillemans, l’Oblato artista delle vetrate della basilica di Trois Rivères.

- La vetrata è diversa da un quadro, da una pittura che ha profondità, prospettiva. Non è un ornamento che si può colloca dappertutto... No, la vetrata è un arte architettonica. Fa parte della parete, la continua. È come un tappeto appeso. Una parete a mosaico. Le vetrate devono far cantare le pareti. L’uso dei colori è ritmo, canto. Si tratta solo di colori. Volti, mani, vestiti, tutto ha bisogno di integrarsi nell’insieme. Se ho bisogno di rosso, farò una testa rossa, se il ritmo domanda il verde, farò la testa verde. Bisogna guardare le vetrate a distanza. Vedere l’insieme, la composizione, come un mosaico di colori, un ritmo continuo.
- Il vetro è un materiale "mistico". La vetrata è il colore illuminato dal sole, il grande luminare di Dio. Noi, maestri vetrai, noi siamo i "pittori della luce".

- Nell’arte, niente è facile. Dobbiamo tentare e ritentare. Provate mille e una volta per arrivare a qualcosa… Basta lavorare come artigiano. Se hai raggiunto l'arte, tanto meglio bene, hai avuto fortuna. Si tratta di una sorta di grazia.
- Sono ispirato soprattutto dalla Bibbia. Perché la parola di Dio è inesauribile. Se viene presentata con amore e sincerità, mi dico che sarà sempre nuovo e che piacerà alle persone.
- La vetrata dovrebbe riflettere la verità del cielo, per così dire. Evoca il mondo dell'aldilà. In fondo, il maestro vetraio vuole attirare il cielo nella sua vetrata. Una vetrata è una finestra sul cielo.
- Una vetrata la si guarda, non la si spiega... Ognuno la contempla secondo la sua sensibilità.
(Una volta, per spiegare una sua opera a qualcuno che gliene chiedeva il significato, si pose al piano e prese a suonare. Poi disse: “Hai capito? Te l’ho appena spiegato”)


Ho intravisto la Chiesa del futuro


Domenica sono stato a messa nella chiesa del Sacro Cuore, situata al centro dell’Università di Ottawa. Proprio davanti ad essa un'altra chiesa degli Oblati, ma per la lingua inglese. Ci sono altre chiese e parrocchie oblate qui a Ottawa per i gruppi francesi e per quelli inglese, ma anche per i polacchi, gli ispano, i tedeschi, gli italiani... 
Il parroco, Pierre-Olivier Tremblay, è giovane, così come il viceparroco (ci sono anche Oblati giovani in Canada!), ma soprattutto sono giovani le famiglie che partecipavano alla messa. Non molte, ma molto vive, diverse di colore. Una trentina di bambini, dopo l’inizio della messa, sono andati insieme per la catechesi e sono tornati al momento dell’offertorio per raccontarci cosa avevano fatto nel frattempo. Hanno poi continuato a seguire la messa con tutti. Al momento del Padre nostro sono tornati nuovamente attorno all’altare per pregare insieme. Nel pomeriggio un’altra messa, questa volta soprattutto per i giovani, la maggior parte universitari.
Bastano due messe a domenica, qui come in tutte le parrocchie, perché ormai i cristiani che vanno a messa sono pochissimi, il 3-5 %, nel Québec, contro il 90% degli anni Sessanta. 

Forse sarà così la Chiesa del futuro, almeno in questo Nord del mondo: comunità piccole, vive, affiatate, che vivono il Vangelo nella gioia e nella semplicità, come i primi cristiani descritti da un ignoto Padre della Chiesa del II secolo , nella famosa lettera indirizzata a un certo Diogneto: “I cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti”, eppure “si propongono una forma di vita meravigliosa e, come tutti hanno ammesso, incredibile… Adempiono tutti i doveri dei cittadini… Osservano le leggi stabilite ma, con il loro modo di vivere, sono al di sopra delle leggi… Insomma, per parlar chiaro, i cristiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo… i cristiani li vediamo abitare nel mondo, ma la loro pietà è invisibile… sono loro a sostenere il mondo”.
Proprio come ci voleva Gesù: sale che si scioglie per insaporire, luce che splende per illuminare…


lunedì 26 ottobre 2015

Ottawa, città giardino

Svegliarsi al mattino e vedere la finestra infiammata dal fuoco degli alberi nel loro ultimo impeto di luce autunnale.





























Quanto sono grandi, Signore, 
le tue opere! 
Tutto hai fatto con saggezza, 
la terra è piena delle tue creature. (Sal 104, 24)









Cammino lungo i sentieri infiniti del fiume Rideau  in una natura incantata.

Ottawa, città giardino.

domenica 25 ottobre 2015

Padre Jan Tillemans, pittore della luce


 

Sono quasi 350 le vetrate incastonate sulla grande piramide della basilica di Notre-Dame de la Madeleine. Ogni giorno mi sono fermato ad ammirarle, con calma, una per una. Sono nate per avviare alla contemplazione: “Una vetrata è una finestra sul cielo, evoca il mondo dell’aldilà. Lo stesso vetro della vetrata è una materia mistica che riveste tutte le sfumature e le tutte le tonalità seguendo il grado o l’angolazione della luminosità della luce”. Sono parole di p. Jan Tillemans, l’Oblato che ha dedicato otto anni al compimento di questa straordinaria opera d’arte.


Nato esattamente un secolo fa in Olanda in una famiglia di artisti, aveva iniziato i suoi studi in questo campo, ma quando entrò in noviziato gli fu chiesto di lasciare tutto e di non eseguire neppure uno schizzo. Una volta diventato sacerdote poté riprendere gli studi all’Accademia delle belle arti ad Amsterdam e Maastricht, per otto anni, primo prete a sedersi su quei banchi. Aveva già realizzato varie vetrate in Olanda, quando il superiore generale gli chiese se era disposto a intraprendere la grande opera per il nuovo santuario che si stava costruendo in Canada.

Arrivò al Cap nel 1956 e vi rimase un anno a studiare l’architettura della chiesa, le variazioni di luce del cielo nel volgere delle stagioni, ad abbozzare disegni… Poi tornò in Olanda dove lavorò a lungo in uno dei più importanti atelier, facendo arrivare le lastre di vetro dalla Cecoslovacchia e dalla Germania.


“Le vetrate – diceva – sono un mosaico di vetro antico che soltanto la luce deve far cantare… Nelle mie vetrate occorre vedere tutto in maniera simbolica… Una vetrata la si guarda, non la si spiega; ognuno la contempla con la sua sensibilità”.
E da contemplare c’è davvero tanto: storie della Bibbia, di Maria, del Canada e del santuario, santi e virtù, angeli e rosario… Vi ho passato delle ore a contemplare. “Le vetrate – diceva p. Jan – devono far cantare i muri. L’impiego dei colori è ritmo, canto. Occorre guardare le vetrate a distanza come una musica di colori. È tutto questione di colori: volti, mani, vesti, tutto deve integrarsi nell’insieme. Siamo pittori della luce”.
Era consapevole di aver lasciato un’opera che sarebbe rimasta: “Se, almeno una volta nella vita, si arriva a fare qualcosa che vale veramente la pena, allora non si  vissuto invano”.  


sabato 24 ottobre 2015

Non è famiglia senza la Madre



La seconda settimana di ritiro è terminata.
Anche se dico sempre le stesse cose il risultato non è mai scontato. Ogni volta è una nuova avventura, un nuovo dono di sé. La buona riuscita non dipende da quel che si dice, è sempre il frutto di una grazia di Dio, e se tale resta sempre un dono che non si può pretendere, ma piuttosto impetrare.
Più di cinquanta erano davanti a me, nella sala piena di luce, con una grande vetrata che si apre sul parco dai mille colori. Una ventina, infermi, hanno seguito dalle loro stanze attraverso la radio. Tutti molto anziani. Proprio per questo occorreva un dono speciale.
L’hanno sentito speciale. Sembra che il ritiro sia risultato originale, inatteso, espresso in maniera personale, semplice, diretta, al punto da toccare profondamente, un autentico passo in avanti nel cammino  spirituale – tutte cose dette da loro in assemblea. “Tra i tanti ritiri che abbiamo fatto nella nostra vita, questo lo ricorderemo a lungo”. Perché non mi monti la testa, mi smontano dicendo: “È evidente che sia andato così: sei italiano!” Già, noi italiani siamo fatti così…
Gli Oblati che hanno studiato o lavorato a Roma
Il ritiro è terminato con Maria. Non poteva mancare, visto che il tema era la comunità. Può esserci una famiglia senza una madre? Può esserci una comunità oblata senza Maria?
Il nome di Maria è ormai «il nostro nome di famiglia». Nella Chiesa, a dire di sant’Eugenio, siamo un “nuovo corpo apostolico”, costituito da Maria, scelto da Lei, che “cammina sotto le sue insegne, sotto la sua bandiera”. Siamo “un corpo che ha Maria per Madre e che lotta contro l’impero del demonio e per il regno di Cristo”, “la troupe d’élite di Maria”. Lei si è scelta la sua troupe d’élite perché ha bisogno di un pugno di uomini all’avanguardia, specializzati, “i ministri di misericordia di Maria verso il popolo”.
Siamo “la diletta famiglia della Santissima Vergine”, davvero “dobbiamo considerarla sempre come Madre”. “La Vergine Immacolata, la Santa Madre di Dio, la nostra più in particolare.  È meraviglioso!”.
Sant’Eugenio contempla Maria come “Madre della missione”, “Madre di misericordia”, “Scala di misericordia”, “Nuova Eva”, “Corredentrice”, “Madre delle anime”, “Madre spirituale di una moltitudine innumerevole di figli di Dio”, “1a grande nemica dell’impero del demonio”, “Dispensatrice di grazie”…


Richelieu, la parabola di una vita



3 aprile 1930. Gli Oblati acquistano un grande terreno per costruire una nuova casa di formazione. I giovani che chiedono di diventare missionari sono sempre più numerosi. 

Nel gennaio 1931 arrivano i venti primi scolastici. Nel 1935 nella nuova casa ci sono già 175 Oblati. Nel 1942 arrivano i novizi, che raggiungo il numero di 87. La casa di Richelieu, sulla riva dell’omonimo fiume, conosce i momenti più gloriosi. Nasce una tipografia, una panetteria, una sartoria… Da qui partono missionari per il mondo intero.

Oggi la casa vede ritornare tanti dei giovani di allora, anziani, ammalati, per l’ultima tappa della loro vita. Attualmente sono 75, età media 87 anni. Vive qui l’Oblato più anziano della Congregazione, 101 anni. Con loro anche 25 Gesuiti nella medesima situazione.
Questa la parabola della casa di Richelieu, simile a tanti altre. Come la parabola della vita. Come gli alberi attorno che lasciano esplodere i colori dell’ultimo guizzo di vita, per poi rendere alla terra le foglie: un canto all’amore di Dio, che dà la vita e la riprende.


giovedì 22 ottobre 2015

Più grandi i peccati, più grande la misericordia


Guidando la liturgia penitenziale, nella comunità di Richelieu, ho letto alcuni brani di sant’Eugenio nei quali trasmette la sua esperienza di peccato e di grazia:

- Signore, fa risplendere su di me un raggio della tua luce così che io possa conoscermi così come sono davanti a te. Mio Dio, più mi ricordo dei miei peccati, mi ricordo della tua misericordia, perché tu sei il mio Dio!

- Cristo è quel Dio misericordioso venuto in mezzo a noi a chiamare i peccatori. A loro rivolge le sue parole più tenere. Corre dietro a loro, li serra al suo cuore, li porta sulle sue spalle.

- Nessuno scoraggiamento quando cadiamo in qualche difetto. Riconoscerlo subito, senza darsene pena, e ricorrere a Dio per poi tornare nella pace. Sempre così, ogni volta che cadiamo, fosse anche cento volte al giorno.

- Ho ancora davanti il mio passato. Ma tu, mio ​​Salvatore, dimenticalo e ricordati soltanto della tua misericordia.

Al termine della liturgia penitenziale c'è stata una esplosione di gioia incontenibile. I 60 Oblati anziani presenti nella cappella hanno impiegato una quindicina di minuti per salutarti, scambiarsi l'abbraccio di pace, darsi la mano, Uno spettacolo commovente!


mercoledì 21 ottobre 2015

Il fiore che parla



Lunedì 19 ottobre. Da Québec a Richelieu. Un viaggio di cinque ore e mezzo lungo il fiume San Lorenzo e il fiume Richelieu. Uno spettacolo indescrivibile, di rara bellezza. Boschi, colline lontane tinte di rosso, il fiume che scorre lento, piccoli villaggi disseminati lungo la strada, perduti nella vegetazione, vasti campi coltivati, fattorie. I tappeti di foglie si sono inspessiti, gli alberi rimangono comunque colorati, a forti tinte, come la tavolozza d’un pittore. Sinfonia di colori.
Spazi infiniti e una grande calma. Pare d’essere in un altro mondo.
Oggi un anziano missionario mi ha raccontato che andava lungo il fiume, si sedeva sul prato e si fermava a guardare un fiore, il suo colore cangiante col muoversi del sole, col soffio del vento. Più che guardarlo lo ascoltava. Il fiore gli parlava.
Anch’io una mattina, la settimana scorsa, ero andato nel parco di Notre-Dame du Cap per recitare il rosario e non ho potuto farlo. Gli alberi mi parlavano ad alta voce, più con i loro colori che il loro stormire. Era troppo bello vederli, sentirli. Alcuni parevano stanchi: le foglie gialle erano diventate così tenui da pare quasi bianche. Altri gridavano di gioia con il loro rosso di fuoco. Tutti cantavano la grandezza di Dio e lo lodavano. Occorre solo dare tempo all’ascolto e lasciarsi coinvolgere e condividere.


Cosa rimane alla fine?



Québec, domenica 18 ottobre. Vento diaccio e nevischio, ma non rinuncio ad una passeggiata in centro città. Vorrei vedere la tomba del cardinale oblato Villeneuve. Si deve a lui l’inizio degli studi archivistici su sant’Eugenio che lentamente l’hanno portato alla beatificazione. La cattedrale è molto bella e raccolta, luminosa. La cripta è tuttavia chiusa e non posso salutare Villeneuve. In compenso posso pregare un attimo sulla bellissima tomba di Laval, il primo vescovo del Nord America, che aveva una diocesi comprendente gli attuali Canada e Stati Uniti. È stato beatificato da Giovanni Paolo II.

Sono andato in cerca di un’altra tomba, quella di p. Lelièvre, appena costruita come un grande mausoleo, ma anch’essa, domenica pomeriggio, è chiusa. Leggo allora ancora qualcosa dell’apostolo del Sacro Cuore e degli operai.
Lo criticavano perché diceva sempre le stesse cose. E lui: “Interessante! Da quando confesso, ho sempre sentito gli stessi peccati. Cambiate i vostri peccati, e cambierò i miei Vangeli”.
Un giorno, alla fine della direzione spirituale, un uomo si sente dire: “Prega forte, perché soffro terribilmente, terribilmente. – Lei è tormentato? come? – Il Sacro Cuore mi tormenta costantemente per avere anime. Sono tormentato giorno e notte, è una sete insaziabile. – Padre, io sono pronto a pregare, ma se è il Sacro Cuore che lo vuole, credo il tormento andrà aumentando sempre più. – Hai ragione. Se te lo dico, non è per lamentarmi... Un giorno, si sa, tutto scomparirà, e non rimarrà che Lui. Come saremo felici allora!”.