domenica 30 giugno 2019

Festa a san Paolo fuori le mura



Ogni anno per la festa dei santi Pietro e Paolo vado a san Pietro, almeno per vedere l’infiorata. Quest’anno invece, per la prima volta, sono stato a san Paolo fuori le mura, sulla tomba di Paolo.
Nel parco adiacente la basilica una festa popolare in grande stile, alla “romana”, con bancarelle, giochi, musiche, porchetta, birra, le famiglie accampate nei prati....


Nella basilica la messa solenne del cardinale con il coro delle grandi solennità. E poi la processione, popolare anche questa, con tante persone che in massa seguono i monaci che portano a spalla l’urna con le catene della prigionia di san Paolo (doveva averne tante, perché altre catene sono in via Lata…). In testa, naturalmente, la banda.
Una processione devota, con canti belli e preghiere ben guidate (non per niente è organizzata dai Benedettini). L’urna è presto scippata ai monaci dalle persone che, ogni cinque minuti si alternano contente di portare la reliquia.
La tradizione resiste, ed è bella.
Ringraziamo Dio, e anche san Paolo.

sabato 29 giugno 2019

Un Vangelo che mette un po' di paura


Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme (Lc 5, 51-62).

Un vangelo difficile quello di oggi. Mette un po’ di paura.
È un brano da leggere tutto d’un fiato, senza fermarsi troppo sui particolari, per coglierne il messaggio d’insieme.
E il messaggio è davvero forte.

Ormai Gesù è deciso. Ha ben chiara la volontà del Padre su di lui: deve andare a Gerusalemme per essere “elevato in alto” – una parola elegante per qualcosa di terribile come la crocifissione – e così attirare tutti a sé, e dare a tutti la vita, quella vita che dovrà perdere, proprio per donarla a noi.
“Elevato in alto” è lo stesso verbo che Luca, negli Atti degli Apostoli, userà per l’ascensione. La metà finale di Gesù è dunque il Cielo! Ma passa per Gerusalemme, il luogo della crocifissione e della morte.

C’era appena stata la trasfigurazione, durante la quale aveva parlato con Mosè e Elia sulla sua morte. Aveva appena annunciato ai discepoli che sarebbe stato consegnato nelle mani degli uomini.
È dunque chiara la volontà del Padre su di lui. Allora non è più ammissibile alcun indugio ed egli parte deciso, senza permettere che niente e nessuno lo fermi.
“Prese la ferma decisione”. Il testo greco è di una forza impressionante: Gesù si volge verso Gerusalemme (verso la volontà del Padre, per quanto sia dura quanto la morte) e “indurisce il volto”, fa la faccia dura,  pronto a sfidare tutto e tutti pur di compiere la sua missione, costi quello che costi.

I quattro brevi episodi che seguono – il rifiuto dell’ospitalità da parte di un villaggio lungo il cammino e l’indugiare di una, due, tre persone che vogliono condividere il viaggio con lui ma pongono certe condizioni – oggi non vanno analizzati uno per uno. Dicono soltanto che Gesù ha fretta e va avanti in ogni caso, che trovi alloggio oppure no, che trovi comprensione oppure no.
Anche le risposte all’apparenza un po’ sprezzanti rivolte ai tre che vogliono seguirlo, ma che prima hanno tante cose da sistemare, non sono rivolte tanto a loro. Sono piuttosto un’occasione perché Gesù dica ad alta voce quello che sta facendo e come lo sta facendo. Non ha tempo per tergiversare: sa dove deve andare e ci va senza tante storie.
Poco dopo lo dirà chiaramente: “Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarà battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto” (Lc 12, 49-50).
E noi che stiamo lì a cincischiarci…
Sì, un vangelo difficile quello di oggi. Mette un po’ di paura.
Oppure mette un po' di coraggio anche a noi per avere più grinta...


venerdì 28 giugno 2019

O Roma felix

Nel carcere Mamertino
che vide insieme i due santi


Inizia così l’inno dei primi vespri della festa dei santi Pietro e Paolo.
Roma può dirsi davvero beata per aver avuto questi due santi.
Clemente Romano, terzo successore di Pietro, nella lettera scritta attorno al 96 parla del martirio di Pietro. Sarebbe venuto a Roma la prima volta nel 42 ed abitò nella casa di santa Pudenziana, santa Prassede, santa Prisca, case dove si radunavano le prime comunità cristiane.
Paolo vi giunse nella primavera del 61, seguendo la via Appia, come narrano gli Atti degli Apostoli. Nel primo soggiorno stessa agli arresti domiciliari in una casa in affitto in riva al Tevere, poco distante dall’Isola Tiberina, dove ora sorge la chiesa di san Paolo alla Regola. Fu poi forse anche nella casa di Prisca e Aquila.
Tutti e due tornarono a Roma più tardi per subirne il martirio, ed oggi abbiamo le loro tombe.
Ci sono santi più grandi di loro?

A Pietro Gesù stesso disse: “Beato tu, Pietro!”
E a Paolo: “Ti basta la mia grazia”.
Anche a noi ci basta la sua grazia, per renderci beati.
Felix Roma e Felices anche noi!


giovedì 27 giugno 2019

Festa del Sacro Cuore: fa miracoli!



Era un laico nel pieno della giovinezza, 27 anni, quando Eugenio de Mazenod si presentò dal suo vescovo ad Aix e gli propose di onorare in maniera speciale il Sacro Cuore di Gesù istituendo in diocesi l’adorazione eucaristica ogni primo venerdì del mese.
Poco prima era entrato a far parte di circolo di amici che padre Magy, ex gesuita, aveva raccolto a Marsiglia attorno alla statua del Sacro Cuore. Qui aveva incontrato Julie de Glandèves, che con le sue tre sorelle aveva visto il proprio padre ghigliottinato dalla Rivoluzione francese. Agli occhi di sant’Eugenio erano delle eroine perché, a rischio della vita, avevano accolto e nascosto nella loro casa un sacerdote. A loro per prime Eugenio aveva confidato il desiderio di entrare in seminario.

Con Julie intrattenne una fitta corrispondenza che mostra il comune amore per il Cuore di Gesù e per la diffusione del suo culto. Appena lei sa che Eugenio è riuscito a stabilire in Aix la pratica della devozione al Sacro Cuore gli scrive dicendogli che anche lei, spiritualmente, sarà presente nella chiesa dell’adorazione e lo invita a non scoraggiarsi se all’inizio verranno poche persone, perché «so che il Cuore di Gesù pieno di tenerezza per gli uomini, anche peccatori, fa miracoli e voi lo costaterete».
Fa miracoli! Oggi come allora.

mercoledì 26 giugno 2019

Leadership carismatica


Grazie alla cura di Tiziana Longhitano e Theo Jansen, sono appena state pubblicate, dalla Urbaniana University Press, le lezioni promosse dal Centro “Evangelii Gaudium” dell’Istituto Universitario Sophia. Leadership carismatica. Percorsi di formazione alla luce della Evangelii Gaudium.

Il tema, come da titolo, è quello dell’esercizio della leadership, della guida dinamica e creativa della comunità.
«Il libro – si legge nell’introduzione – dedica alla vita consacrata uno sguardo carismatico che aiuta a cogliere nell’oggi i segni di un progresso umano, cristiano e spirituale incarnato e attuabile. Lo stile di animazione e di leadership qui proposto offre le basi bibliche, antropologiche, interculturali e teologiche aggiornate, in vista di un discernimento personale e comunitario e di un futuro da costruire insieme, in modo profetico per e nell’umanità di oggi.

Ci sono anche una ventina di pagine mie, con le tematiche di sempre: Carismi in comunione per una evangelizzazione profetica.
Mi consola il fatto di essere in compagnia di un bel gruppo di amici "creativi" con i quali abbiamo condiviso il percorso: C.G. Andrade; G.M. Porrino; T. Longhitano; L. Abignente; G. Cicchese; T. Merletti; R. Catalano.
Buona lettura!

martedì 25 giugno 2019

Un giardino sospeso nell'aria



Il giardino che si apre sul Colosseo e sull’Aventino è uno dei più suggestivi luoghi nascosti di Roma.
Si è concluso lì, per quest’anno, il nostro itinerario di visita ai santi romani.
Lungo la stradina solitaria che si apre nel foro romano e sale verso il convento di san Bonaventura le stazioni della via Crucis edificate da san Leonardo da Porto Maurizio, che in quel convento ha vissuto ed è morto.
Un luogo di rara bellezza, di silenzio e di profonda spiritualità, ancora capace di ispirare.

Oltre a ripercorrere la vita del santo, salendo al convento abbiamo letto alcune delle sue rime popolari che commentavano il cammino della Croce e che costituivano il punto di partenza delle sue catechesi.

STAZIONE I: GESÙ Condannato a morte.
Cuor mio crudele,
Quando peccasti,
Allor gridasti;
Muoia GESÙ
Mira ch’ei langue
E tutto sangue,
Morrò ti dice
Non peccar più.


lunedì 24 giugno 2019

Il cammino della missione




La nostra comunità di via Aurelia 290 è come un grande cuore che riceve e dona.
Sabato abbiamo dato l’addio a 16 di noi che, dopo anni di studio o di lavoro, ripartono per le più diverse parti del mondo.

È una gioia e un distacco. È proprio come la vita, viene e va…
Parte, dopo sei anni, anche il superiore e la comunità si ricompone, per un nuovo avvio.
È il cammino della missione…


domenica 23 giugno 2019

Adorare Gesù Eucaristia, espressione d'amore


Tutti conosciamo sant’Eugenio de Mazenod come l’uomo della Chiesa, il missionario ardente che annuncia il Vangelo ai poveri della Provenza e che manda altri missionari nel mondo intero. Meno nota, forse, ci è la sua vita interiore, il profondo rapporto di comunione con Dio, ispirazione segreta del lavoro missionario e della amministrazione della diocesi di Marsiglia.
Oggi, festa del Corpus Domini, ascoltando l’omelia, mi sono ricordato che nel 1977 avevo preparato una antologia di scritti suoi sull’Eucaristia, poi pubblicata nel 2005.
Gesù Eucaristia lo ha seguito per tutta la vita. In ogni decisione importante Lui era presente. La stessa più grande opera che Eugenio ha lasciato, i Missionari Oblati di Maria Immacolata, sono nati, possiamo dire, ai piedi dell’Eucaristia, quando, nel giovedì santo del 1816, furono pronunziati i primi voti.
Era “alla Sua santa presenza, ai piedi del tabernacolo” che attingeva la “divina sapienza” per poter “agire solo per sua ispirazione e consiglio” nella guida della Congregazione e della Diocesi. Ed è stato lì, in Gesù Eucaristia, che il suo rapporto con Dio ha raggiunto momenti mistici.

I suoi primi scritti in merito sono lettere indirizzate alla mamma, alla sorella, alla nonna, poi catechesi rivolte ai ragazzi, dove sempre raccomanda di avvicinarsi frequentemente all’Eucaristia, perché è proprio questo l’invito di Gesù: “Prendete e mangiate….”. Sapeva di andare contro la mentalità del tempo che, per un frainteso rispetto dell’Eucaristia, invitava a starsene il più lontano possibile.
La stessa cosa, una volta diventato vescovo, raccomanda ai fedeli di Marsiglia nelle annuali lettere pastorale che scriveva in occasione della Pasqua.

Ma alla fine della vita – ed è a questo che oggi ho pensato – la sua attenzione è rivolta soprattutto all’adorazione. Il suo sogno era istituire l’adorazione perpetua in diocesi, come aveva visto che si faceva in Italia. Per questo invita i Sacramentini a venire a Marsiglia.
È come l’ultimo tocco che completa lo sforzo di Mons. de Mazenod per portare a Gesù Eucaristia tutto il popolo a lui affidato. La notte di Natale annota nel Diario: «25 dicembre 1859. Ho messo la data di oggi, quarantottesimo anniversario del grande e per me prezioso giorno della mia ordinazione sacerdotale, alla Lettera Pastorale che ho pubblicato per istituire l’Adorazione perpetua e solenne del santissimo Sacramento nella mia diocesi. Ringrazio Dio per avermi dato la possibilità di istituire questa devozione prima di morire».

Pochi giorni dopo, nell’ultima Lettera Pastorale, forse la più profonda di tutte, prima di parlare del mistero della Chiesa, manifesta a tutti i fedeli la gioia e la riconoscenza nell’averli visti riempire le chiese, giorno e notte, per l’adorazione, e aggiunge: «Non potevamo fare a meno di ammirare quanto il nostro pensiero, nell’istituzione di questa devozione, sia stato compreso, e fedelmente seguito. Così, in questa fedeltà ci piaceva riconoscere ciò che vi è di più vero e di solido nella religione della maggior parte delle nostre pecorelle. Trovavamo in esse quella intelligenza del cuore che sa penetrare, per vie sconosciute ai sapienti di questo mondo, nelle profondità dei misteri di Dio e raccogliervi i frutti che soddisfano a pieno le intime esigenze della creatura umana. (…) Lo spettacolo di cui eravamo testimoni ci commuoveva, a volte fino alle lacrime, e dicevamo a Dio con confidenza: “Sì, tu lo ricolmerai di benedizione e di grazie, questo popolo cristiano che mi hai donato e che ti adora e ti ama in tutta verità (Lettera Pastorale per la Quaresima, 16 febbraio 1860).

Cibarsi dell’Eucaristia, certamente. Ma col passare degli anni sant’Eugenio scopre la gioia di poterlo anche adorare, lodare, ringraziare… È espressione d'amore, d'intimità, il frutto del cammino di una vita.
Consiglio di riprendere in mano quel libro con i suoi pensieri.


sabato 22 giugno 2019

Un’altra processione del Corpus Domini



«Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla» (Lc 9, 11-17).

Ogni tanto, al congedo dalla Messa, mi piace ripetere le parole di Tonino Bello: «La pace è finita, andate alla Messa».
La Messa comincia quando finisce. Una volta moltiplicati i pani Gesù li dà ai discepoli «perché li distribuissero alla folla». Non è così anche per noi? Dobbiamo portare l’Eucaristia alla folla. Forse è questa la vera processione del Corpus Domini.
La processione del Corpus Domini risale a metà del 1200, in Belgio, e fu presto estesa a tutta la Chiesa grazie al miracolo di Bolsena di pochi anni più tardi. La celebriamo in mille modi. Come non ricordare l’infiorata di Genzano o di Sutri e di chissà quante altre parti d’Italia? È davvero bello portare Gesù Eucaristia per le nostre strade. Ricordo le processioni che ho fatto col Papa da san Giovanni in Laterano a Santa Maria Maggiore, lungo via Merulana…

Penso ci sarebbe bisogno anche di un’altra processione, quella che dovremmo fare ciascuno di noi al termine di ogni Messa: portare ovunque Gesù e renderlo presente a casa, nell’ambiente di lavoro, nelle istituzioni sociali, nei luoghi della nostra vita quotidiana, possiamo. Gesù non si fa eucaristia per restare in chiesa, ma per uscire per le strade, per dilatarsi sul mondo intero e lievitarlo verso i cieli nuovi e la terra nuova.
Egli ci trasforma in sé perché la nostra vita diventa sacramento della sua presenza in mezzo all’umanità. Le specie eucaristiche si prolungano nella nostra umanità. Come il pane e il vino servono perché Gesù si renda presente nell’Eucaristia, così le nostre persone servono perché egli sia in noi e cammini con noi, fino a che diventiamo noi stessi eucaristia per il mondo.
La messa comincia quando finisce.


venerdì 21 giugno 2019

In piazza Navona non si sentiva neppure un fiato


«Gli fu assegnata per predicarvi Piazza Navona e dopo di che proseguì le Missioni nella Piazza di Santa Maria in Trastevere, terminando poi nella Chiesa di S. Maria Sopra Minerva». Così, una delle prime biografie – siamo nel 1700 – di san Leonardo da Porto Maurizio. La visita al convento dove egli ha vissuto ed è morto mi ha dato l’occasione di approfondire un po’ la sua figura e il suo programma e di cogliere graziosi aneddoti come questo della predicazione delle missioni a Roma in occasione dell’anno santo del 1750.

La biografia prosegue: «Nella prima Missione di Piazza Navona il concorso fu sì numeroso, che cagionò meraviglia, e specialmente nell'ultima predica, in cui oltre le finestre, nelle quali stava tutta la Nobiltà di Roma, non solo era piena quella vastissima piazza, ma anche le strade, che alla medesima conducono; e benché 1a maggior parte non potesse per la gran lontananza udir parola alcuna di quanto dal Missionario si diceva, pure in solo vederlo sul palco compunti piangevano. Ciò, che fra le altre sole fece stupire ciascuno fu, che essendo il mese di Agosto, e Piazza Navona tutta scoperta, ed esposta ad un cocentissimo Sole, pure dalla mattina si prendevano i posti per udir più da vicino la predica; e non ostante che il Popolo di Roma sia molto delicato, pure non solo gli uomini, ma anche le donne stavano nelle ore più fervide ferme sul posto presto nella piazza, non facendo conto alcuno di tal patimento; e giunto che era il P. Leonardo sul palco, ad un suo semplice cenno era tale il silenzio, come se in quella gran piazza non vi fosse stato pur'uno fiato».

Lo stesso san Leonardo descrisse la sua gioia nel vedere il successo della predicazione: «Osservate il popolo romano con che divozione, compostezza e modestia mai più non veduta, corre alla visita delle chiese designate, o recitando preci, o cantando lodi all'Altissimo; tutti frutti del zelo impareggiabile del nostro regnante sommo Pontefice, che più di venti volte ha visitalo tutte le quattro basiliche, ed ha attiralo a sé tutti i cuori. Ah che l’anno santo del 1750 non deve dirsi anno santo, ma deve chiamarsi anno tre volte santo, anno santissimo; attesoché da che Roma è Roma non se n’è veduto altro simile, e forse non se ne vedrà mai in avvenire da’ nostri posteri».

Ci rivediamo al prossimo anno santo, nel 2025, in attesa del grande anno santo della Redenzione del 2033... a Dio piacendo.


giovedì 20 giugno 2019

Un Magnificat per la serata di Padova


Sono arrivati vari echi della serata su Maria che abbiamo tenuto lunedì a Padova.
Eccone alcuni.

Serata di profondo e commovente dialogo...
Proprio una bella e profonda meditazione

Ci ha dato una visione più grande di Maria venerata in tutte le religioni!
Maria è la nostra salvezza! 

Stamattina, non potendo esserci ieri sera, ho potuto ascoltarmi in pace tutta la registrazione dell'incontro con p. Fabio e Sharazad. Ho il cuore pieno di gratitudine per l'evento. Mentre ascoltavo mi sono sorpreso a pregare e pregare molto...
Mi canta in cuore una specie di "Magnificat", un grazie a Dio per questo momento suo cui ho potuto partecipare sia pure in differita. Dove andrà l'Islam e dove andrà il cristianesimo non lo sappiamo e non ci interessa. Non sappiamo neanche dove approderà questo bel dialogo islamico-cristiano... Ma mi pare siamo nella piena, sicura ed assoluta volontà di Dio nell'aiutarci gli uni gli altri a vivere sempre meglio la nostra religione. Dunque: "La mia anima magnifica il Signore!".


Non c'ero, ma ho ascoltato le registrazioni. Che meraviglia! Che bellissimo modo di dire Maria!
Lei, la teologa musulmana, è proprio figlia di Maria, e anche il timbro della sua voce è bellissimo.

mercoledì 19 giugno 2019

Paradiso ’49: un’esperienza che ha forgiato il Movimento dei Focolari



Un’intervista pubblicata sul sito del Movimento dei Focolari

Il numero della rivista Nuova Umanità di maggio-giugno 2019 è interamente dedicato all’esperienza mistica fatta da Chiara Lubich nell’estate del 1949 e conosciuta come “Paradiso 49”.  Abbiamo chiesto a Padre Fabio Ciardi, responsabile del centro interdisciplinare di studi “Scuola Abbà” e membro del comitato direttivo per la pubblicazione delle opere di Chiara Lubich, di spiegarcene le motivazioni.

Padre Fabio, in questo numero della rivista, accanto ad un testo inedito di Chiara Lubich che nel 1969 racconta il periodo di contemplazione spirituale vissuto venti anni prima, si dà voce a protagonisti e testimoni. Perché questa scelta?
Siamo ormai a 70 anni da quell’evento accaduto nell’estate del 1949. Meritava di essere ricordato dalla nostra rivista. Abbiamo dato la parola a Igino Giordani, Pasquale Foresi, Klaus Hemmerle, Marisa Cerini, Giuseppe Maria Zanghí, Jesús Castellano, perché sono state le persone più vicine a Chiara nel leggere e studiare i suoi scritti di quel periodo. Hanno fatto parte di quel cenacolo di studiosi, la” Scuola Abbà”, che Chiara ha voluto attorno a sé proprio per aiutarla a fare emergere la dottrina insita nell’esperienza del 1949. Nei loro scritti, per lo più inediti, che abbiamo pubblicato sulla rivista, appare con limpidezza il loro apporto di studiosi. Nello stesso tempo viene in luce la loro personale esperienza a contatto con Chiara e il suo vissuto: ne sono stati profondamente trasformati. In questo senso essi sono davvero testimoni e insieme protagonisti del Paradiso ’49. Li abbiamo scelti anche perché hanno compiuto il loro “santo viaggio” terreno e crediamo che siano in quel Paradiso al cui studio si sono tanto dedicati.

Sul periodo chiamato Paradiso ’49 per tanto tempo c’è stata molta riservatezza, solo recentemente si è iniziato a pubblicare dei testi legati a quel periodo, perché?
Perché Chiara aveva diritto a una sua intimità. È stata un’esperienza di Dio molto profonda e personale, anche se fin dall’inizio condivisa con quanti vivevano con lei. Di quanti mistici gli scritti sono stati resi pubblici prima della loro morte? Per conoscere il diario di sant’Ignazio di Loyola si sono dovuti aspettare 500 anni. Vi era inoltre il pericolo che il Paradiso ’49 fosse male interpretato. Al pari di ogni testo mistico ha bisogno di essere introdotto e più ancora di condividerne il vissuto, ricreando le medesime condizioni che ne hanno reso possibile l’evento, altrimenti rimane soltanto vana erudizione. In quegli anni vi era poi una certa diffidenza verso un Movimento così nuovo, capace di coinvolgere uomini, donne, ecclesiastici, religiosi e religiose… Tanto più che era guidato da una donna.

Quel periodo di visioni e comprensioni, è stato molto importante per Chiara Lubich e per gli sviluppi del Movimento dei Focolari allora nascente. Può dirci qualcosa di più al riguardo? E quale significato hanno oggi questi testi?
Il fatto che quegli scritti non siano stati pubblicati integralmente non ha impedito che l’esperienza in essi espressa, fosse condivisa e partecipata. Chiara Lubich si è sempre ispirata ad essi nel suo insegnamento, a volte citandoli in maniera esplicita, anche senza indicarne l’origine. Tutto il Movimento dei Focolari è stato costantemente alimentato dalla luce scaturita da quell’esperienza, anzi è stato da essa forgiato. Il Paradiso49 lo abbiamo già dentro, più di quanto non immaginiamo.
Quei testi segnano l’inizio dell’Opera di Maria in tutte le sue componenti, con le sue espressioni di vita e le iniziative sociali e culturali. Essi sono anche una profezia che domanda ancora di essere attuata, offrono una visione del progetto di Dio sull’umanità, indicano la via per la sua incarnazione. In un momento di smarrimento e di incertezza come quello che stiamo vivendo, il Paradiso’49 può aiutare a riscoprire il senso profondo della nostra vita, della vita della Chiesa, della società, del cosmo intero, e orientare verso la pienezza del suo compimento.
 a cura di Anna Lisa Innocenti

martedì 18 giugno 2019

Bella Maria, che più bella non si può



Io ho parlato di Maria ai musulmani, lei di Maria ai cristiani. Io partendo dal Vangelo di Luca, lei dal Corano. Era un po’ una gara e naturalmente l’ha vita lei, Sherhrasad, bravissima: ci ha incantati.


Un luogo più bello non si poteva immaginare, davvero degno di Maria: il chiostro delle magnolie, uno dei cinque chiostri del complesso della Basilica del Santo a Padova.

Il pubblico ancora più bello, un centinaio di persone raccolte in due dei bracci del chiostro; persone attentissime, interessate, partecipiti.


Due ore di un canto a Maria… anche con violino e arpa e con le possenti voci maschili arabe…
Penso che Maria sarà stata contenta, almeno quanto lo erano le persone presenti.


lunedì 17 giugno 2019

Maria presente tra cristiani e musulmani

Maria può essere davvero ponte tra cristiani e musulmani?
È stato il tema del dialogo con Sherhrasad a Sant’Antonio a Padova.
Un momento nel quale credo che Maria fosse davvero present tra noi.

Come ha spiegato Shehrasad, essa ha un posto d’onore nel Corano, dove
è citata molto più volte che nei Vangeli.
Ma Maria è anche una donna ebrea, appartiene dunque al popolo ebraico.
La venerano anche gli Indù, anche i buddisti.
Maria è di tutti.
Lei stessa l’aveva annunciato:
«Tutte le generazioni mi chiameranno beata».

E qual è il terreno che accomuna tutte le religioni attorno a Maria? Forse
la pietà popolare.
La pietà popolare può essere forse il comune terreno d’incontro con
l’Islam, che su Maria sviluppa una teologia che potremmo definire di tipo
narrativo. Ascoltando i racconti del Corano su di lei, si può rimanere un po’
sconcertati. Non possiamo tuttavia dimenticare che essi ricalcano a volte gli
antichi libri apocrifi cristiani. Al di là di come vengono raccontati i fatti ci
introducono in realtà vere e comuni, come la nascita verginale di Gesù o il suo
abbandono alla volontà di Dio.
«Se vuoi sapere chi è Maria, chiedilo ai teologi, se vuoi sapere come si
ama Maria, chiedilo al popolo». Così Papa Francesco in una intervista a padre
Alexandre Awi Mello.
Per fortuna ci sono teologi che hanno amato e amano Maria. Mi piacerebbe
essere uno di questi, come lo sono stati Bernardo di Chiaravalle, Luigi Maria
Grignon de Montfort, Massimiliano Kolbe.
Ma è vero che il più delle volte si va a Maria come per un istinto filiale.

Da parte mia, ho cercato di mettere in evidenza sopratutto i punti in comune
tra cristiani e musulmani:
Maria la vergine, diventata madre per opera di Dio, come in una nuova creazione,
Maria la credente: Laparola Islam significa sottomissione, abbandono, consegna totale di sé
a Dio.
Non è questo il senso della nostra fede?
I primi cristiani, prima di essere chiamati con questo nome – cristiani –
venivano designati negli Atti degli Apostoli come “i credenti”.
A Maria è rivolta la prima beatitudine dei Vangeli. Quando la parente
Elisabetta la vede giungere da lei, da pochi giorni in attesa del figlio, la proclamò
beata perché «ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc
1, 45).
Infine Maria la Madre...

domenica 16 giugno 2019

La luce nel buio



In vista del centenario della nascita di Chiara Lubich la rivista Città Nuova ripercorre alcune tappe significative della sua vita. A me ha chiesto di scrivere sugli anni 1949-1950:

Chiara Lubich arriva a Roma nel dicembre 1948, assieme ad altre tre compagne.
Una signora altolocata, Elena Hoelh, e suo marito il commendatore Alvino, le offrono un appartamento in cui vivere.
Poco tempo dopo, il 20 gennaio 1949, Chiara incontra un gruppo di parlamentari a Montecitorio e per loro stila un programma con lo scopo di «far vivere Gesù in Parlamento = farsi santi: l’uno responsabile dell’altro come di sé». Il fuoco che è venuta a portare in città non vuole soltanto ravvivare conventi e parrocchie, ha di mira la società intera, in tutte le sue componenti, a cominciare dalla politica. Roma, in quegli anni, è in pieno fermento, tesa a risorgere dalle distruzioni materiali e morali della guerra. Anche il mondo ecclesiale cerca come ridare freschezza alla vita cristiana. Sono presenti nuovi gruppi, come la Crociata della Carità di p. Leone Veuthey e il movimento Regnum Christi promosso da Beda Hernegger, che Chiara incontra e con i quali è invitata a collaborare. Le focolarine in quel periodo in tutta Italia sono appena 19 e 4 i focolarini. Un piccolo gruppo, ma possiedono un tale ardore che sembrano un esercito e non a caso vengono soprannominati “incendiari”. Dopo pochi mesi attorno a loro c’è già una comunità di oltre 3.500 persone, di tutte le vocazioni, di cui 300 a Roma. I religiosi, a cominciare da p. Raffaele Massimei, direttore del Terz’Ordine francescano, aprono le porte dei loro gruppi in tutto in Lazio, come pure in Sardegna, a Sassari dove Chiara giunge in primavera.

In mezzo a tanta diffusione di vita uno stop improvviso: le viene diagnosticato la tubercolosi. Seguendo le indicazioni del medico, torna nella sua terra e si reca nel sanatorio di Mesiano, sopra Trento. Visita accurata: perfettamente sana! Quel volto di Gesù Abbandonato si è rivelato “un fantasma”, dirà subito dopo, «ma a noi resta l’averlo amato». Rimane comunque un segnale: converrà approfittare dell’estate per prendere un momento di riposo. Il congedo dalla comunità di Roma è affidato a una lettera del giugno 1949: «Pur lontani, e chi al monte e chi al mare, una Luce ci legherà, impercettibile ai sensi ed ignota al mondo, ma cara a Dio ed all’Unità più che ogni altra cosa: la Parola di Vita. Possiamo esser uno solo al patto d’esser ognuno un altro Gesù: un’altra Parola di Dio vivente».
Ed ecco Chiara nuovamente nel suo Trentino, su a Tonadico, un paesino delle Dolomiti, nella baita, praticamente un fienile, di una focolarina, Lia Brunet. Partendo era stata colpita dal manifesto di un film intitolato In montagna ti rapirò. È proprio così: viene rapita dall’amore di Dio in un’esperienza di vita e di luce che le fa comprendere in maniera nuova le realtà del cielo e che sarà ricordata come il Paradiso ’49.
Quell’estate del 1949 volge al termine e il richiamo dell’umanità che soffre si fa sempre più forte. «Signore, dammi tutti i soli... – prega primo settembre –. Ho sentito nel mio cuore la pas­sione che invade il tuo per tutto l’abbandono in cui nuota il mondo intero».

Tornata a Roma, trova i problemi di prima: mancanza di alloggi, di lavoro, nuovi migranti, degrado materiale e morale. «Se guardo questa Roma così com’è – scrive – sento il mio Ideale lontano». A questo sguardo esteriore si sovrappone, però, la visione che le viene dalla luce brillata in estate e che le fa credere possibile la “risurrezione” di Roma e dell’umanità intera, inondate dal fiume di fuoco dell’amore di Dio. È come se la luce scendesse con Chiara nel buio del mondo.
Un segno è l’incontro con Alcide De Gasperi, allora capo del governo. La prima volta si trovano a Fregene, in un pomeriggio di riposo domenicale. Incupito per il ritardo degli aiuti americani, egli si lascia incantare dalle parole di lei e ritrova la speranza. «Il sentirsi uniti sotto le ali della Paternità divina – le scriverà più tardi – offre un senso di serenità e fiducia, anche nell’ora della tribolazione. E ora travagliata è questa…».
Nel frattempo le si fanno accanto nuovi compagni di viaggio, un vecchio e saggio religioso, p. Giovanni Battista Tomasi (1866-1954), che le sarà vicino negli anni in cui si delinea un’Opera nuova nella Chiesa, e un giovane toscano (poi sacerdote), Pasquale Foresi, al quale Chiara chiede se vuole condividere con lei la nuova divina avventura e che la accompagnerà fino alla piena maturazione dell’Opera di Maria.


sabato 15 giugno 2019

Trinità senza plagio


Lo Spirito Santo «prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà» (Gv 16, 12-15).

Interessante l’agire delle Tre divine Persone: si copiano a vicenda senza timore di plagio.
Sì, perché quello che è dell’uno è dell’altro: nessuna concorrenza, nessuna gelosia, nessuna invidia, nessuna rivalità.
Ognuno vive per l’altro, vive dell’altro, vive nell’altro. Tutto in comune, concordia piena, unanimità, gioia nel contemplare la bellezza dell'altro e ciò che egli possiede, Unità!
Mi pare ci sia qualcosa da imparare...
In questa festa della Santissima Trinità il nostro più ardente desiderio è che si esaudisca la preghiera che Gesù ci ha insegnato: “Come in cielo, così in terra”. 
E' quanto chiediamo con tutta la nostra fede con tutto l'impegno di vita.


venerdì 14 giugno 2019

Con i Santi Romani: San Leonardo da Porto Maurizio



L’ultima tappa delle nostre visite ai santi romani, per quest’anno, sarà al conventino di san Bonaventura al Palatino, per conoscere san Leonardo da Porto Maurizio.

Da lassù san Leonardo guardava il Colosseo, ormai ridotto, da secoli, a cava di marmi, pietre e travertino. Poteva starsene tranquillo mentre il monumento che testimoniava il martirio di migliaia di cristiani stava scomparendo?
Si era alla vigilia del Giubileo dell’anno 1750. Le sue prediche infuocate attiravano i romani, sempre più numerosi. Anche il papa veniva ad ascoltarlo. Era l’occasione propizia per piantare la Via Crucis nel Colosseo, dichiarandolo luogo sacro per i Martiri. Gli storici hanno poi dimostrato che nel Colosseo non furono mai martirizzati cristiani, ma la predicazione – in buona fede – di San Leonardo impedì l’ulteriore rovina del monumento.
Morì l’anno dopo, il 26 novembre, e a San Bonaventura al Palatino occorsero i soldati, per tenere indietro la folla che voleva vedere il Santo e portarne via le sue reliquie.

L’appuntamento è sabato 22 giugno, all’arco di Costantino, alle ore 16.00.

giovedì 13 giugno 2019

Beato che ama gratuitamente


Ancora una volta Gesù è a pranzo da un fariseo. Guarisce un ammalato, racconta una parabola su quelli che prendono il primo posto a tavola e poi con vergogna devono scalare per far avanzare persone più importanti, infine si rivolge a chi l’aveva invitato e gli fa un discorsetto che non sembrerebbe proprio educato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch'essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. 13 Al contrario, quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi» (Lc 14, 12-13). Critica infatti l’usanza di invitarsi reciprocamente tra benestanti, sicuri che facendo così ci si possono facilmente scambiare i favori. Se oppone ad una reciprocità chiusa su se stessa, fondata su calcoli e non sulla gratuita, sulla controparte e non sul disinteresse; per cui, “che merito ne avrete?”.
Gesù guarda chi è seduto a tavola e individua quattro tipi di persone: gli amici, i fratelli, i parenti, i vicini ricchi. A loro contrappone altri quattro tipi di persone: poveri, storpi, zoppi e ciechi. Non solo, ma per i primi tipi di persone Gesù usa la parola pranzo, per poveri, storpi, zoppi e ciechi va invece imbandito nientemeno che un banchetto. Quello che appare ancora più grave è che le ultime tre categorie di persone che bisognerebbe invitare al banchetto di per sé sono escluse dal tempio e dalla comunità di Dio. Proprio con essi Gesù entrava in comunione di tavola e proponeva la vicinanza di Dio.
Dobbiamo allora escludere dalla nostra tavola amici, fratelli, parenti e vicini? Gli studiosi della Bibbia dicono che la contrapposizione “non invitare i tuoi amici… ma invita i poveri…” è un modo di parlare orientale che dovrebbe tradursi: “non far venire sempre soltanto gli amici… ma invita piuttosto i poveri…”. Quando dunque sei con gli amici, non dimenticare gli altri, tieni il cuore e la porta aperti.

Poco più avanti Gesù racconterà un’altra parabola, quella del re che invita gli amici al banchetto di nozze, ma nessuno di loro si presenta; allora manda a chiamare proprio la seconda categoria di invitati, poveri, storpi, zoppi e ciechi e questi vengono. Dio imbandisce la sua tavola proprio per queste persone
Gesù invita ad un agire che rifletta quello di Dio che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti (cf. Mt 5, 45), a un amore disinteressato.
«Siamo circondati dalla gratuità, siamo inondati da essa – ricorda sempre il mio amico Luigino Bruni. La natura, il cielo, il sole, la pioggia, la neve, la primavera, i boschi, l’aria, l’arte, la bellezza delle città, dei palazzi e delle chiese che abitiamo senza averle costruite, l’irrompere dell’amore, la nostra stessa esistenza, un grembo materno, Dio». Perché allora in un mondo stracolmo di gratuità siamo così attaccati all’interesse, al tornaconto, al do ut des, e non sappiamo entrare nella logica del dono?
Le parole di Gesù sono un invito permanente ad aprirsi al mondo dei bisognosi, a solidarizzare con i più svantaggiati e con gli emarginati, nel gesto più umano e più fraterno, sedersi insieme a tavola, mosso da un amore che non calcola e che vuole togliere l’ineguaglianza e la discriminazione fra le persone. È l’invito a un gesto senza interessi, una attitudine permanente di condivisione e di amicizia. Non è gratis, anzi, è molto costoso.
Ed ecco scoccare la beatitudine finale: «sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti» (Lc 14, 14). Un gesto gratuito, ma non senza ricompensa. Non immediata, ancora una volta sarebbe interessata. A quando allora la ricompensa? Alla fine, alla resurrezione. Allora per adesso niente? Ma se Gesù ha anche detto che è più beato chi dona che chi riceve cf. Atti 20, 35)! Forse la prima ricompensa è proprio la gioia che ci viene quando facciamo contento chi non ha da ricambiare…


mercoledì 12 giugno 2019

Bruno Secondin, un amico in cielo


«La comunità religiosa rivela alla Chiesa la sua più profonda ragione di essere: seguire Cristo in modo libero e radicale, per goderne la Presenza, per condividere il suo cammino pasquale, per giungere attraverso Lui all’intimità col Padre. Per mettersi poi anche con lui al servizio dell’umanità intera: sì da vincolare tutti nel vero e definitivo Corpo glorioso di Cristo». È una delle tante sue affermazioni lapidarie che ho raccolto dai suoi scritti e trascritte nei miei.

Bruno Secondin, un amico. È stato il correlatore della mia tesi di dottorato. Abbiamo partecipato insieme a tanti convegni, abbiamo condiviso idee e sogni. Persona schietta, critica come lo sono i profeti, insoddisfatto perché puntava sempre oltre. Negli ultimi anni si è addolcito, la sua scienza si era trasformata tutta in sapienza.
Abbiamo avuto la gioia di rappresentare, lui gli ordini mendicanti io le congregazioni religiose, alla celebrazione del 2 novembre 2013, l'ultima presieduta da Benedetto XVI, pochi giorni prima delle sue dimissioni. Era la prima volta che lo vedevo con l’abito solenne Carmelitano e lui era la prima volta che mi vedeva con quello da Oblato.

L’ultimo incontro è stato durante i giorni del seminario organizzato dalla Congregazione della vita consacrata, a cui abbiamo partecipato insieme. Era ormai molto ammalato, ma ha seguito tutto con l’interesse di sempre, ma ha seguito tutto, a cominciare dalla mia relazione, e abbiamo potuto parlare a lungo della vita religiosa, della Chiesa, di noi stessi. Era nella pace, quasi fosse pienamente riconciliato con tutto e con tutti.
Il momento più bello vissuto con lui è stato precedentemente, dopo gli esercizi spirituali che aveva predicatio al Papa e alla Curia romana. Sono andato a trovarlo alla Traspontina e mi sono fatto raccontare l’esperienza vissuta nel guidare gli esercizi. Mi ha raccontato del suo rapporto con il Papa, di come gli aveva parlato con la consueta parresia, di come fosse rimasto colpito dalla sua umiltà e dal suo ascolto… Era colmo di una gioia profonda.
Ho ricevuto la notizia della sua morte mentre ero in India.
Un amico in cielo che mi aspetta…