martedì 30 giugno 2015

Il Congresso con il vento in poppa / 3



Il miracolo è avvenuto: tutto il mondo connesso e in dialogo!
La prima giornata del Congresso sul Carisma oblato in contesto ci ha dilatato su tutti i continenti.
A Roma abbiamo vissuto la mattinata a livello “locale”: nella sala della casa generalizia eravamo presenti dall’Irlanda, Inghilterra, Francia, Spagna, Italia, oltre all’internazionalità (36 Paesi) che caratterizza la nostra comunità. 50 persone, per iniziare a condividere idee, progetti ed esperienze. 
Particolarmente luminosa la relazione su come i nostri numerosi beati servi di Dio e venerabili sono espressione vivente della ricchezza del carisma: ognuno ne mette in evidenza aspetti particolari, arricchendoli con il loro vissuto. La presentazione della comunità di Aix, che ha la grazia di tenere viva l’esperienza delle origini, è stato un altro momento forte, che ha mostrato anche il valore dei luoghi di fondazione.
Ma il bello è arrivato nel pomeriggio quando tutti gli otto punti, nei vari continenti, si sono collegati: una conversazione da Roma, una dal Sud Africa, una dagli Stati Uniti, seguite dal dialogo che è rimbalzato da un lato all’altro del mondo in maniera ordinata e arricchente, dove è emersa la grande varietà di sensibilità culturali. Volti noti e volti nuovi che si conoscono e si riconoscono. 
A questi si aggiungono quanti hanno seguito in streaming.
Una festa. Il mondo in casa. Un dono dal cielo.
Domani l'avventura continua.


lunedì 29 giugno 2015

Il carisma del Fondatore diventa carisma dell’Istituto / 2


A Città del Messico, per il Congresso sul carisma oblato in contesto, affluiranno persone dal Brasile, Uruguay, Cuba, Guatemala… A Kinshasa andranno dal Senegal, Cameroun, Angola, Mozambico… Tutti in movimento…

Per l'occasione la città di Roma ha organizzato i fuochi d'artificio a Castel Sant'Angelo, in sincronia con la musica!

Il Congresso, dalle 14 alle 17, potrà essere seguito live via streaming all’indirizzo
Per avere la password si può chiedere a

All’inizio spiegherò il passaggio dal carisma del fondatore al carisma dell’istituto

Con la morte del fondatore si adempie la parabola evangelica del chicco di grano che deve cadere in terra e morire per portare frutto: è la fine di un’esperienza e nello stesso tempo l’inizio di una nuova fecondità. Sembra di sentir riecheggiare le parole di Gesù: «È bene che io me ne vada, altrimenti non potrà venire a voi lo Spirito» (cf. Gv 16, 7); «Farete cose più grandi di me» (cf. Gv 14, 12). Sembra quasi che perché il carisma possa sprigionare tutta la sua creatività sia necessario il dono estremo della vita da parte del fondatore. Soltanto l’intera storia dell’istituto, con le nuove molteplici opere, l’esperienza dei suoi santi, le inculturazioni in ambienti e situazioni sempre nuove, renderà ragione della densità, ricchezza e potenzialità racchiuse nel carisma iniziale.
Quel dono infatti, una volta trasmesso, domanda di essere “vissuto”, “custodito”, “approfondito” e “sviluppato”. Ognuno di questi verbi meriterebbe un approfondimento. “Vivere”, perché il carisma, prima di essere oggetto di studio, è una realtà viva e dinamica, come lo è lo Spirito che lo dona alla Chiesa, e quindi va attuato, occorre lasciarsi guidare da esso. “Custodire”, perché non ne siamo i padroni: è un dono oggettivo che abbiamo ricevuto, e che dovremo a nostra volta trasmette. “Approfondire”, perché ha sempre cose nuove da dire, soprattutto nei differenti contesti culturali e storici in cui esso si incarna. In tal modo lo Spirito che ha illuminato e animato il fondatore si diffonde adesso su tutta la famiglia da lui nata: il “carisma del fondatore” diventa il “carisma dell’istituto”, quasi rifrazione collettiva del carisma del fondatore, sviluppato dalla vita, dall’esperienza, dagli apporti personali di quanti lo Spirito continua a chiamare: il seme diventa albero.
A mano a mano che l’albero cresce, le nuove generazioni non dovranno mai dimenticare le radici. Anche questo è messaggio evangelico. Subito dopo la sua morte e risurrezione Gesù dà infatti un importante appuntamento ai suoi discepoli: li incontrerà di nuovo in Galilea (cf. Mt 28, 10). Perché da Gerusalemme devono scendere in Galilea per incontrare il Signore risorto? Perché là tutto era incominciato e da là essi debbono ripartire, imparare di nuovo a seguirlo, anche se ora in modo nuovo: Gesù dopo la risurrezione non è più come prima, non lo si può più seguire lungo le strade della Galilea, ha superato le barriere del tempo e dello spazio rendendosi presente nel cuore dei discepoli, ovunque essi siano. Egli vive ormai nella dimensione dello Spirito, ed è ad ognuno più intimo che mai.
Anche sant’Eugenio ci dà il suo “appuntamento in Galilea” – ad Aix!, alle origini carismatiche, perché quella sua prima irrepetibile esperienza, da cui tutto ebbe inizio, rimane paradigmatica per i secoli, per ogni generazione. Sempre dovremo tornare alla piccola-grande storia degli inizi in cui tutto è racchiuso, come in un seme fecondo.

Pur nelle mutazioni storiche e culturali, la vita dell’istituto esprime e attualizza l’esperienza che lo Spirito ha dato di compiere al fondatore: vi è una sostanziale continuità tra carisma del fondatore e carisma dell’istituto.

domenica 28 giugno 2015

Pietro e Paolo, ai Romani diletti da Dio e santi per vocazione

Casa in Via Lata a Roma

Catene della prigionia di Paolo a Roma

Santi Pietro e Paolo, patroni della città di Roma. Il 29 giugno la città è in festa. Corrotta, con mafia capitale, degradata, sporca. Dov’è “La grande bellezza”?
Non doveva essere molto dissimile la situazione 2000 anni fa quando vi giunsero Pietro e Paolo.
Secondo gli Atti degli Apostoli, il giorno di Pentecoste a Gerusalemme c’erano “stranieri di Roma”. Saranno stati loro, di ritorno in patria, a portare il primo annuncio cristiano. A Corinto Paolo trovò Aquila e Priscilla, una coppia di cristiani espulsi da Roma dall’imperatore Claudio. Da allora, ai cristiani della Macedonia e della Paolo, Paolo cominciò a dire: “devo vedere anche Roma”, un desiderio confermato da Gesù stesso, quando a Gerusalemme, di notte, gli apparve e gli disse: “Coraggio!… è necessario che tu mi renda testimonianza anche a Roma”.

Casa di san Paolo alla Regola
Poi l’avventuroso viaggio con i naufragio a Malta e infine le ultime tappe che è sempre bello rileggere: “Approdammo a Siracusa, dove rimanemmo tre giorni e di qui, costeggiando, giungemmo a Reggio. Il giorno seguente si levò lo scirocco e così l'indomani arrivammo a Pozzuoli. Qui trovammo alcuni fratelli, i quali ci invitarono a restare con loro una settimana. Partimmo quindi alla volta di Roma. I fratelli di là, avendo avuto notizie di noi, ci vennero incontro fino al Foro di Appio e alle Tre Taverne. Paolo, al vederli, rese grazie a Dio e prese coraggio. Arrivati a Roma, fu concesso a Paolo di abitare per suo conto con un soldato di guardia”.
Dove prese casa nel luogo dove oggi sorge la chiesa di san Paolo alla Regola o in via Lata? Fin lì arrivò Onesimo, lo schiavo fuggitivo, dopo averlo “cercato con premura”.
Anche Pietro è venuto a Roma? Lo attesa alla fine del II secolo Gaio: “io posso mostrarti i trofei degli apostoli [Pietro e Paolo]. Se vorrai recarti nel Vaticano o sulla via di Ostia, troverai i trofei di coloro che fondarono questa Chiesa [di Roma]”. Già nel 96 Clemente Romano parla di Pietro e Paolo che “dopo aver sofferto per gelosia molti oltraggi e tormenti, divennero fra noi bellissimo esempio”. Fra noi: erano quindi a Roma.
Se approdassero oggi a Roma… scriverebbero ancora, come scrisse Paolo nella sua più famosa lettera “A quanti sono in Roma diletti da Dio e santi per vocazione”. Come allora si dichiarerebbero, come scrive ancora Paolo, “pronto a predicare il vangelo anche a voi di Roma”.


sabato 27 giugno 2015

Congresso sul carisma oblato in contesto / 1


Il grande Congresso sul carisma oblato in contesto sta per iniziare. In tutto il mondo fervono gli ultimi preparativi. Non soltanto gli otto punti, nei diversi continenti, saranno collegati e dialogheranno tra di loro, ma l’intero evento potrà essere seguito live via streaming.
A Manila, nelle Filippine, saranno 40 partecipanti. Circa 15 relatori e rappresentanti degli Oblati dalla Thailandia-Laos, Australia, Giappone, Indonesia, Vietnam e Filippine. Presenti anche studenti Oblati, tecnici, segreteria e personale di coordinamento.
In Colombo, Sri Lanka, iniziano la sera del 29 con un'ora di preghiera. Il numero di partecipanti – dal Pakistan, Bangladesh, India, Sri Lanka – sarà 35: un Oblato vescovo, un gruppo di laici associati, Oblati rappresentanti dei diversi campi di apostolato, rappresentanti delle Suore della Santa Famiglia, un professore universitario che collabora nelle missioni e nella formazione oblate.

Cosa faremo in questi quattro giorni di Congresso?
Lo spiegherò all’inizio:

Vuoi conoscere la potenza racchiusa in un seme? Mettilo nel terreno e lascia che l’albero cresca. Vuoi conoscere un carisma in tutte le sue espressioni? Lascia che si espanda nel tempo e nello spazio, che penetri nei contesti più vari, che si adatti alle diverse culture. Esso germoglia e cresce grazie al terreno, all’acqua, all’aria, alle cure di chi lo coltiva.

Per conoscere il carisma sant’Eugenio de Mazenod non basta guardare alle prime missioni predicate in Francia nell’Ottocento, neppure agli inizi delle prime missioni da lui avviate in nel Regno Unito e in Irlanda, in Canada, Ceylon e Sud Africa. Per misurarne le potenzialità occorre conoscere ministeri a cui generazioni di Oblati si sono dedicati e ai quali sant’Eugenio non avrebbe mai pensato; popoli e nazioni evangelizzati di cui egli non sapeva neppure l’esistenza; missionari, padri e fratelli, che hanno vissuto la santità in maniera eroica, fino al martirio; laici che, vivendo la spiritualità oblata, si sono dedicati alla missione della congregazione con la stessa passione dei consacrati.
Il carisma, grazie alla creatività apostolica e alla santità di tanti Oblati, grazie all’incontro con nuove culture e alla risposta a nuove sfide, grazie all’accoglienza di nuovi impulsi ecclesiali, ha potuto svilupparsi, arricchirsi, esprimere in sempre nuove modalità. Tutto questo ha garantito la sua vitalità e la sua costante crescita.
A duecento anni dalla sua nascita vogliamo interrogarci sul cammino percorso dagli Oblati nell’attuazione storica del carisma donato dallo Spirito alla Chiesa attraverso sant’Eugenio de Mazenod. Potremo così conoscere la grande varietà di espressioni che esso ha assunto nei tempi diversi e nei luoghi diversi. È un bilancio doveroso per rendere testimonianza all’azione dello Spirito e alla generosa risposta di tanti nostri fratelli. È un momento di riflessione per interrogarci sulle condizioni necessarie perché quel seme iniziale continui a portare frutto e l’albero cresca ancora gettando nuovi rami. Per questo un Congresso sul Carisma oblato in contesto.

venerdì 26 giugno 2015

Il pianto dei bambini.


Il giorno precedente era cominciato alle tre del mattino ed era terminato a notte fonda, dopo un lungo viaggio. Nel pomeriggio, complice la stanchezza e il caldo, mi sono addormentato profondamente. Mi sveglia il pianto di un bambino che correre e poi si ferma, forse è arrivato a casa. Continua a singhiozzare, disperato… Faccio fatica a rendermi conto di dove sono. So soltanto che quel pianto mi è familiare, lo riconosco, è il solito pianto di un bambino. 
Lentamente riprendo coscienza: sono a Kinshasa. 
Immediata la sorpresa. Non mi ero reso conto che quel bambino era un africano. Avevo sentito semplicemente il pianto di un bambino, uguale al pianto di tutti i bambini, indipendentemente dalla lingua che parlano o balbettano, dal colore della pelle, dalla cultura… 
Quando un bambino piange, piange e basta. Piange come piange un bambino.


giovedì 25 giugno 2015

Democrazia, speranza e bellezza ad Haiti



La discussione di una tesi dottorale è sempre un evento che suscita interesse. Ancora di più quando il tema è così avvincente come quello trattato da Wedner Bérard, Oblato Haiti, che ha studiato il problema della democrazia nel suo Paese: “La democrazia, sfida etica per la politica in Haiti”. Essendo stato tre volte ad Haiti non potevo mancare l’appuntamento di questa mattina all’Accademia Alfonsia di Roma.
Un Paese povero, dove un milione di persone non ha accesso all’acqua potabile, dove l’analfabetismo è imperante, le disuguaglianze sociali e la corruzione invasive, l’apatia scoraggiante. Un Paese con una storia drammatica, che ha pagato a caro prezzo l’essere stato la seconda nazione a raggiungere l’indipendenza nelle Americhe dopo gli Stati Uniti e la prima tra i Paesi neri.
Un Paese giovane (la metà della popolazione ha meno di 25 anni) che ha grandi risorse umane: lo spirito di unità, la compassione, l’ospitalità, la forza della speranza.

Dopo aver analizzato storia e situazione attuale, dopo aver proposto suggerimenti e prospettive, Wedner conclude: “L’uomo haitiano costituisce il capitale da valorizzare. Se si è battuto per l’indipendenza nel 1804, è riuscito a liberarsi dell’occupazione americana, può adesso vincere la sfida democratica. Da solo sarà impotente davanti all’enormità delle sfide democratiche, tuttavia l’avvenire e il destino dipendono dalle volontà umane di tutta la nazione. La lotta contro il sottosviluppo, l’impunità, l’analfabetismo è ancora lontano dal suo successo e appare sempre più difficile. Ma una collettività che lavora insieme per il proprio bene può raggiungere i traguardi più ardui”.


Non posso non tornare col pensiero al mio primo viaggio in Haiti nel 2003. Rimasi impressionato dalla miseria e soprattutto dalla mancanza di bellezza. Cercai a lungo qualcosa di bello, che potesse dare speranza. “Basterà assuefare l’occhio e saprò scorgere qualcosa di bello – scrivevo nel diario –. Ma oggi Port-au-Prince non me le vuole mostrare, me le tiene nascoste”. Finalmente:
D’improvviso, nel silenzio del mattino, sento cantare uno spiritual melodioso da una voce bellissima. Seguo la voce e scorgo finalmente una donna tra i piloni di cemento di una villa in costruzione. Quando si accorge della mia presenza mi sorride, continua a cantare e accenna le movenze di una danza, accompagnandosi col battito delle mani, quasi un invito a partecipare alla sua gioia. Lascio che termini e le rivolgo la parola. È la guardiana della villa la cui costruzione è stata interrotta da tempo. In quello scheletro di cemento, con i ferri rugginosi che spuntano da tutte le parti, ha messo insieme alcuni mattoni e ha costruito un piccolo riparo. Là dentro sei figli stanno ancora dormendo. Lei è fuori con alcune pentole, tra la polvere del cemento, per iniziare la giornata. Ci sarà da andare a prendere l’acqua, chissà quanto distante, da procurare il cibo, da cucinare, da lavare… Ha in dosso due stracci vecchi. Sul volto si riconosce ancora una bellezza ormai bruciata dagli stenti. E canta, da sola, nel primo sole del mattino. E sorride, e danza...
“È questa la sua casa?”, le domando. “No, abito qui come custode, non ho una casa mia. Ma forse riesco a mettere da parte qualcosa e potrò costruire una stanzetta tutta per noi”. Ricordo un proverbio di Haiti: “La speranza fa vivere”. Ho trovato qualcosa di bello!... Ho trovato qualcosa di bello ad Haiti, la sua gente!



mercoledì 24 giugno 2015

Nipotini vietnamiti




Sono arrivati i nipotini vietnamiti, due gemelli di un anno.
Ad attenderli due coppie di cugini gemelli.
La tradizione di famiglia continua.
E' un dono di Dio, che accogliamo con gioia e gratitudine.
Auguri ai genitori coraggiosi.

martedì 23 giugno 2015

Parola di vita, parola da vivere

La Parola di Vita continua a suscitare vita. Forse vale davvero la pena provarla a vivere.
Riguardo ai commenti ecco ancora alcuni commenti: ringrazio per l’incoraggiamento…

Nel fare meditazione, poco fa, iniziando come sempre da un momento sulla Parola di vita, mi sono accorto di una grossa omissione (o gaffe !) che - propter aetatem !- ho anche subito "accettato"... E così, anche se dopo una bella - e perduta! - occasione, ti dico solo via mail il mio sincero grazie per il tuo commento alla Parola di Vita, che risulta utile e gradito. Di più, sentiamo che sulla sinfonia di fondo, inaugurata da Chiara, ha le sue modulazioni che aiutano l'anima ad aprirsi su sfumature dell'amore di per sé senza numero. Penso che non ti manchino i consensi e ti auguro di poter continuare con sempre maggior frutto ad "avvicinare" all'esperienza cristiana, a "rievangelizzare" la vita, secondo il DNA dell'Ideale.

Grazie per la parola di vita! Mi pare di essere interpellato in modo particolare da quel “non è più lei a guidare, è piuttosto... il lavoro che ha preso il primo posto”. Mi pare d’essere stato attirato alla conversione, ad una maggiore attenzione al pregare, allo studiare, incontrare l’altro, celebrare, accogliere il visitatore... (Chi fa questo qui e ora?), e quindi di essere portato a vivere con attenzione l’attimo presente.



lunedì 22 giugno 2015

Volti d'Africa




Sono passati appena 20 giorni da quando sono tornato dal Congo e mi sembra lontanissimo...
Vicinissimi, impressi nel cuore, sono invece i molti volti delle persone incontrate...




















domenica 21 giugno 2015

La Scuola Abbà nella casa di Chiara


La Scuola Abbà oggi ha terminato il suo anno accademico nella casa di Chiara. Non potevamo pensare conclusione migliore. Nella sua cappella, dove abbiamo celebrato l’Eucaristia, Eli Folonari, focolarina che ha vissuto con lei oltre 50, ci ha nuovamente raccontato dell’importanza del luogo:
“Quando l’architetto Marabotto ha progettato la casa di Chiara, ha disegnato il suo studio attiguo alla cappella, messa al centro, al primo piano, perché anche materialmente fosse al cuore della vita di Chiara. Non soltanto lo studio, ma tutto ruota attorno alla cappella, la sala da pranzo, la biblioteca… Chiara approvò subito il progetto.
Nel diario del 14 febbraio 1971, quando entrava nella nuova casa, così scriveva: “Ti ringrazio, mio Dio, di questa casetta che, attraverso il Movimento, m’hai donato. Qui, anche fisicamente, vivendoci, gira e rigira si è sempre accanto a te; e questo facilita il pensarti… Tu mi dai la grazia dell’intimità con te”.
Quando Chiara doveva scrivere il tema dell’anno o preparare discorsi importanti, la porta che immetteva nella cappella era sempre aperta: la sua scrivania era proprio davanti al tabernacolo, all’altare. La porta rimaneva invece chiusa quando si celebrava la messa, si faceva la visita o si dicevano insieme le preghiere della sera.
Successivamente la disposizione dello studio è cambiata rispetto all’inizio. Allora qualche volta ho visto Chiara in cappella, mentre scriveva stando seduta sul banco, oppure mentre passeggiava, pensando, preparandosi forse per qualche discorso.

Quando c’era qualche incontro o quando andava a parlare, chiamava noi di casa o altri che aveva attorno: entravamo in cappella, davanti a Gesù eucaristia, e chiedeva lo Spirito Santo. Non chiedeva qualcosa di particolare, chiedeva che lo Spirito Santo la guidasse, la illuminasse, che le facesse dire quello che doveva dire. Quando poi tornava dagli incontri diceva: “Sento una gioia”, soprattutto dopo il Collegamento – la conversazione telefonica che la metteva in collegamento con tutto il Movimento diffuso nel mondo – perché avvertiva di creare tra tutti l’unità, il testamento di Gesù realizzato su ampia scala.
Anche durante l’ultima malattia il suo rapporto con Gesù Eucaristia non è mai venuto meno. Quando in casa si muoveva a fatica, con le flebo, passando vicino alla cappella si affacciava sulla porta e diceva semplicemente: “Ciao, Gesù”.
Il suo cammino si è concluso proprio con Gesù Eucaristia”.



sabato 20 giugno 2015

Sul lago di Galilea


Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella bar­ca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cusci­no, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?» (Mc 4, 35-41)
La domanda che si ponevano i discepoli è la stessa che riecheggia di generazione in generazione, fino a noi.
Chi è Gesù? Lo scopriamo giorno per giorno, cogliendo sempre nuovi aspetti del suo vol­to, che non ci stancheremo mai di cercare. Oggi mostra il volto del Signore del cielo e della terra, che domina sul caos, come all’inizio della creazione, e ricrea l’armonia del cosmo, i cieli nuovi e la terra nuova.
La grande tempesta di quella notte è come lo sconvolgimento che prima o poi ci piomba addosso, il dramma imprevisto che si abbatte sulla nostra famiglia, la violenza che dilaga nelle nostre strade, il conflitto che insanguina i popoli… Quante tragedie piccole e grandi, che non ci saremmo aspettati, si consumano attorno a noi o ci toccano in prima persona e vengono ad agita­re il cuore lasciandoci nella paura!
A volte ci sentiamo lasciati soli, impotenti, in balia di eventi tristi, più grandi di noi.
Perché Dio non parla? Perché non risponde? Quante volte dalla no­stra povera umanità si alza il grido: «Non ti importa che siamo perduti?».
Sappiamo quanto una persona amata che ci è accanto, pur senza parlare, possa farci sentire la sua vicinanza rassicurante e infondere forza e sicurezza. Invece il silenzio di Dio spesso lo interpretiamo come assenza. Confondiamo i mali da cui siano attanagliati con la sua impotenza e con il fallimento del suo pro­getto d’amore. Eppure degli è nella stessa nostra barca, condivide l’agitarsi delle onde, il pericolo del naufragio.
Se Lui c’è, cosa allora ci manca? La fede! Abbiamo paura di quanto ci accade perché non abbiamo fede in lui.
Chi è dunque costui? Sarà capace di trasformare il caos in armonia? Di far sorgere il bene dal male? Di riportare la pace, di ricreare un mondo nuovo? Perché dubito, se ha vinto venti e mare? È il Signore dell’universo e della storia.
Lo sento vicino, fedele, forte, onnipotente…
Credo e non ho più paura di nulla.
Tu sei con noi,
sei sempre con noi,
anche quando non ti sentiamo,
anche quando tu sembri dormire,
anche quando ci assalgono angosce e paure.
Chi potrà mai separarci da te?
Non le tempeste e le prove della vita,
non i venti contrari dei mali,
non lo scandalo del dolore e della morte.
Niente potrà mai separarci da te,
presenza amorosa e premurosa.
Donaci soltanto la fede in te,
mostraci il tuo volto,
e saremo salvi.


venerdì 19 giugno 2015

Pasquale Foresi: La centralità dell'amore reciproco / 5

La tomba di don Foresi,
sotto quella di Chiara e di Foco
Personalissimi, il rapporto con Dio e la sequela di Gesù per Foresi non appaiono mai avulsi dal rapporto altrettanto personale con gli altri. Non soltanto amore di Dio e amore del prossimo si integrano reciprocamente, come ha messo in luce Gesù stesso rispondendo alla domanda su quale fosse il più grande dei comandamenti. Più ancora essi sono unificati nel “comandamento nuovo” dell’amore reciproco che li sintetizza e li trascende portandoli alla loro fonte, l’amore trinitario dove l’Uno è trino e i Tre sono Uno. «Questo precetto comporta la nostra elevazione a figli di Dio, comporta la nostra assunzione nella vita trinitaria. (…) Il mio legame con il prossimo, la mia necessità del prossimo, appaiono sempre più chiaramente: da solo non potrò attuare il comandamento tipicamente cristiano; soltanto nella comunità potrò viverlo e realizzarlo nella sua compiutezza» (p. 44).
«Gesù – spiega Foresi – esige che il nostro amore sia comunitario, non solo un amore mio personale verso Dio o un amore mio personale verso il prossimo, perché il mio amore verso il prossimo non arriverà alla sua pienezza, non arriverà alla sua completezza, fin tanto che questo amore non sarà reciproco. (…) Non possiamo andare a Dio da soli» e gli altri non sono «semplici mezzi per la  nostra santificazione» (p. 51).
Il rapporto personale con Dio, fondamentale, si risolve, poiché Dio è Amore e relazione d’amore, nel rapporto comunitario, di Chiesa. Di qui la rilettura dell’immagine giovannea della vite e i tranci e quella paolina del corpo di Cristo. A questo punto, con accenno sobrio e pertinente, Foresi non può fare a meno di annotare che «il Movimento dei Focolari è una delle espressioni di questa riscoperta della vita comunitaria cristiana che la Chiesa va facendo in questo secolo» (p. 55).
Universalità e radicalità della proposta cristiana; coesistenza della dimensione personale e comunitaria del messaggio evangelico. Sono soltanto due delle ricchissime tematiche che percorrono questo breve ma essenziale libro.
Il libro Colloqui è un libro che rimarrà, destinato a diventare un classico della spiritualità.


giovedì 18 giugno 2015

Pasquale Foresi: La vocazione, uno sguardo d’amore di Dio / 4

“Grazie per ciò che stai pubblicando ogni giorno sul tuo blog su don Foresi.
Queste perle di alta spiritualità non si possono lasciare inosservate.

"Gracias, Fabio. Veo al Foresi vivo por medio tuyo. Sigue con este maravilloso blog. Rodrigo Ortiz ofm en Medellín"

Questi messaggi, arrivatomi stamane, mi incoraggiano a pubblicare ancora un paio di post sull’argomento, partendo dal capitolo del libro intitolato “La chiamata a seguire Gesù”, dove viene sviluppata la dimensione di reciprocità tra la persona e Dio.

La vocazione, definita come «uno sguardo d’amore di Dio» (p. 65), è infatti «una chiamata personale fra Gesù e un’anima». Foresi, sapendo che comunemente si parla di vocazione alla vita religiosa o al sacerdozio, tiene qui a precisare che la vocazione «non è una chiamata fra un’organizzazione e l’anima». Indirizzandosi in particolare a giovani focolarini non ha paura a dire loro: «Se avete veramente la vocazione al focolare, voi non avete la vocazione al focolare, ma la vocazione a Gesù» (p. 72). Potremmo continuare a declinare: non è una vocazione al sacerdozio, a tale istituto religioso, ma anche al matrimonio… La vocazione è l’invito a seguire Gesù: si segue lui non una istituzione.

Anche qui, come quando aveva parlato dell’amore di Dio, don Foresi accenna alla reciprocità: «Gesù nella vocazione vuole l’adesione volontaria e personale di ciascuno» (79). Il rapporto è sempre intero personale. A un Dio che si dà tutto non si può rispondere con meno di tutto.

A questo punto il libro indulge a una descrizione della reciprocità d’amore che raggiunge tratti di profondo lirismo: «Pensate all’intreccio di amore e di volontà divina e umana che avviene con la vocazione: essa dura per tutta l’eternità, perché Dio è l’eternità e quindi è un amore continuato e profondo che vivrà nei secoli». Si conseguenza la vocazione «è un’adesione che deve durare tutta la vita, è un sì continuo che si deve dire a Dio mentre Dio lo ripete per tutta l’eternità» (p. 70).

La vocazione di don Foresi è davvero ormai fissa nell'eternità! Il funerale oggi è stato un momento di contemplazione.


mercoledì 17 giugno 2015

Pasquale Foresi: il rapporto di Gesù non è con milioni di persone, è con ciascuno di noi / 3


Pasquale Foresi compone in unità le più varie antitesi della vita cristiana, quali dentro e fuori (contemplazione e azione, preghiera e lavoro…), alto e basso (divino e umano, soprannaturale e naturale…), personale e comunitario, amore di Dio e amore del prossimo… Tali contrapposizioni non vengono affrontate direttamente nel libro dei Colloqui, appaiono di riflesso, nella positiva visione unificata della vita cristiana. Rilevo soltanto il rapporto tra “personale” e “comunitario”.
Nel primo capitolo, parlando dell’amore di Dio, Foresi mostra come esso sia unico e irrepetibile per ogni persona: «Dio ci ha guardato personalmente» (p. 10); il rapporto di Gesù non è «con milioni di persone, è di Gesù con ciascuno di noi». Quando diciamo “Dio ci ama” non dobbiamo quindi pensare che divide il suo amore tra tante persone, e quindi a noi ne tocchi una parte soltanto: «la verità è che il suo amore è infinito per ciascuno. Non c’è nessuno che possa dire: Dio mi ama un po’ meno degli altri. Perché Dio ama di amore infinito, completo, ciascuno» (p. 11). L’intero capitolo è un inno all’amore di Dio per ognuno. La sua lettura infonde, tra l’altro, una profonda fiducia, porta veramente a credere all’amore di Dio. Mette in cuore la certezza di essere amato come l’unico, in maniera esclusiva, anche con le nostre debolezze, con tutti i nostri peccati, anzi allora più che mai… Foresi arriva a dire, nella forma colloquiale che qui si addice: «Vorrei che tutti fossimo sempre contenti, proprio perché Dio ci vuole bene: Dio ci ama, sia che siamo buoni, sia che siamo “cattivi”» (p. 13). Ma se è così ecco che anche il nostro rapporto con lui deve essere personale (cf. p. 10), e il tu per Tu si approfondisce e si intensifica giungendo ad una vera intimità.
Il rapporto è sempre intero personale. A un Dio che si dà tutto non si può rispondere con meno di tutto. A un Dio che si dà da sempre e per sempre, non si può rispondere “a tempo”, ma per sempre. «È veramente terribile pensare all’amore di Dio: Dio ti ama dall’eternità. Tu non lo puoi amare per qualche mese o per qualche anno. Se Dio si dona a te totalmente, tu devi donarti a lui totalmente» (p. 73).


martedì 16 giugno 2015

Pasquale Foresi: Per una santità di popolo / 2


Pasquale Foresi, teologo e pensatore colto, sa mettersi alla portata di tutti. Essenziale, va al cuore del messaggio cristiano.
Centrale, nel suo pensiero, il senso della universalità della vocazione cristiana e della sua radicalità. Lungo la storia della Chiesa è ricorrente una duplice tentazione. La prima è restringere la cerchia di quelli che sono chiamati a vivere il Vangelo in tutta la sua integrità. I laici sono i primi ad essere “esentati” da certe pagine evangeliche, forse proprio quelle che Gesù dettava alle “folle”, a “tutti”. Giovanni Crisostomo rivendicava già per ogni laico il contatto costante con la Scrittura. Parlando al suo popolo così si esprimeva: «Alcuni di voi dicono: “Io non sono un monaco” (...). Ma è qui che vi sbagliate, perché credete che la Scrittura riguarda solo i monaci, mentre essa è ancor più necessaria a voi fedeli che siete in mezzo al mondo». Foresi, come il Crisostomo, aiuta a prendere coscienza che le parole del Vangelo sono rivolte «a tutti, ai laici e ai sacerdoti, ai coniugati e alle vergini» (p. 14). «Il cristiano - scrive ancora - ha la vocazione caratteristica a vivere di Dio, ad essere di un altro mondo. Questa vocazione cristiana non è riservata a pochi, né ad un Movimento particolare della Chiesa: è fatta per tutti. Tutti, nella varietà delle diverse vocazioni, devono riscoprire Dio, riscegliere Dio in ogni giorno, in ogni ora, in ogni atto della loro vita» (p. 26). La scelta di Dio, leggiamo più avanti, si esplicherà in molte mansioni: «uno resterà a casa, si sposerà, un altro entrerà in monastero, ci sarà chi diventerà sacerdote, o chi rimarrà nel mondo a lavorare in un determinato settore. Ma tutto questo è secondario. Ciò che è necessario è l’atto totale d’amore a Dio, l’atto fondamentale della vita cristiana. E bisogna sempre rinnovarlo, bisogna sempre ricordarsi della donazione totale di noi stessi a Dio» (p. 98).
Inoltre Foresi aiuta a prendere coscienza della radicalità chiesta a tutti nel vivere il Vangelo. La vita cristiana è una vita esigente. Il capitolo su “La scelta di Dio” si apre con il brano del Vangelo di Luca dove Gesù chiede di “odiare” padre, madre, moglie, figli, fratelli, sorelle, la propria vita e di prendere la croce per seguirlo. Il commento non addolcisce per niente le parole di Gesù: «Anche nella vita familiare – leggiamo – occorre premettere l’adesione totale a Gesù. Non è un invito, un consiglio, che si può seguire o no: è una condizione per essere suoi discepoli» (p. 18). Si fa notare che anche il distacco dalle ricchezze è richiesto a tutti, come uno dei cardini dell’insegnamento di Gesù, «ed è uno dei punti nel quale il nostro cristianesimo lascia maggiormente a desiderare» (p. 20). Gesù «esige il distacco dei beni», così come richiede che «l’amore a lui sia assolutamente sopra l’amore che portiamo a noi stessi» (p. 77). Senza questa radicalità evangelica «rimarremo rachitici nella vita spirituale, ci fermeremo necessariamente, divenendo oggetto di derisione da parte di chi ci osserva». E qui Foresi non ha paura a mettere il dito nella piaga: «Diciamoci la verità, quante volte noi cristiani appariamo deformi anche nella nostra umanità, quasi sembrino avere un equilibrio più armonico quelli che non hanno impostato la loro vita su principi soprannaturali? Ciò dipende dal fatto che il nostro cristianesimo è un cristianesimo incompleto» (p. 22-23). L’obiettivo del libro è quello di presentare un cristianesimo integrale, capace di formare non delle “anime” cristiane, ma persone intere, pienamente realizzate anche nella propria umanità.


lunedì 15 giugno 2015

Pasquale Foresi: Conversando sulla vita cristiana / 1


Pasquale Foresi è partito per il cielo.
Qualche mia nota di lettura su un suo capolavoro: 

La preghiera «è il momento nel quale si esce da tutta una realtà contingente che ci affatica e ci addolora, per essere a contatto con lui, per trovare lui, per vivere nella nostra casa… finalmente torniamo a casa, nel nostro vero mondo, il mondo della Trinità».
Sono parole di Pasquale Foresi che mi sono tornate alla mente leggendo il suo ultimo libro, Dio ci chiama. Conversazioni sulla vita cristiana. Ho gustato una conversazione al giorno, negandomi esplicitamente il piacere di tracannare il libro tutto d’un fiato, avrei rischiato l’ubriacatura. Sono pagine che vanno centellinate come quando si beve un vino pregiato, invecchiato con cura, per assaporarne il gusto fino in fondo. Mi hanno astratto dal vortice della vita quotidiana trasportandomi, come per magia, in un’altra dimensione, nel mondo del divino: mi hanno riportato a casa! Ma non mi hanno distratto dal lavoro e dalla trama dei rapporti con quanti mi circondano. Al contrario, hanno insaporito il quotidiano facendomelo ritrovare “casa”.
Foresi ti parla. Non scrive, conversa. Ma senza disperdersi in lungaggini, come inviterebbe a fare la conversazione. Sempre essenziale, com’è nel suo stile, senza tuttavia diventare asciutto. Anzi è caldo, convincente, come si conviene in una conversazione. I suoi “Colloqui” non sono una finzione letteraria, ma una reale serie di tematiche indirizzate a un pubblico vero. Più che scritte sembrano trascritte da una registrazione, tanto sono dirette e immediate. Leggendole hai l’impressione di essere lì, davanti a lui. Non leggi, ascolti.
Quella della conversazione è una forma di comunicazione che uomini illustri hanno fatto propria. Basti pensare alle Collationes di Giovanni Cassiano, agli Entretiens di Francesco di Sales o a quelli di Vincenzo de’ Paoli. Questi grandi si intrattenevano familiarmente con i discepoli e offrivano consigli, indicazioni, insegnamenti concreti sulla vita spirituale. La racconta dei loro “intrattenimenti” sono divenuti dei classici della spiritualità cristiana.
Foresi non si intrattiene con monaci come Cassiano, o con suore come Sales, o con preti come de’ Paoli, ma con laici. È uno dei segni dei tempi, di quei tempi nuovi nei quali la santità non è più appannaggio di pochi, ma vocazione delle masse. Il Vangelo dilaga nella vita di ogni giorno e torna ad essere, come agli inizi del cristianesimo, il libro di ogni cristiano.

Che si tratti di conversazioni “evangeliche” balza immediatamente all’evidenza dal modo di citare le Scritture. A differenza dei libri scritti, pieni di cf. seguiti da una infinita serie di cifre del tipo Es 33, 20-23, Mc 10, 21, 1 Gv 4, 16…, in un libro parlato i testi della Bibbia sono riportati per intero. Si leggono integralmente i versetti 20, 21, 22, 23 del capitolo 33 del libro dell’Esodo, il versetto 21 del capitolo 10 del Vangelo di Marco, il versetto 16 del quarto capitolo della prima lettera di Giovanni… (sono esattamente i testi della prima conversazione su “Dio è Amore”). Nell’antichità si faceva proprio così. Si conosceva la Bibbia a memoria e la si citava distesamente. Da quando Robert Stephanus nel 1500 operò la divisione della Bibbia in versetti, oltre che in capitoli, si è preso a rimandare al testo biblico mediante le referenze, col rischio che esso sia semplicemente supposto. Chi va, di fatto, a consultare tutte le referenze indicate (e più sono e più il lavoro sembra acquistare carattere di erudizione). Le “conversazioni” di Foresi sono così una lettura sapienziale della Parola di Dio. I brani scelti non vengono soffocati da esegesi minuziose e pesanti o da quel tipo di “lectio divina”, oggi tanto in voga, che a volte è talmente esauriente da non lasciare al lettore la pur minima possibilità di un suo apporto personale. Il commento qui è chiaro, discreto, lascia intuire, suggerisce e poi si ritira fermandosi alla soglia del mistero, dove il lettore è invitato ad entrare con atto personale e libero. Si è coinvolti nella conversazione e soprattutto ci si deve decidere. La Parola di Dio è un appello che domanda una risposta.
Il metodo di Foresi è diventato quasi una rarità. Dovrebbe fare scuola in modo da riappropriarci veramente del testo sacro così da lasciarlo fluire sulle labbra e nella mente e nel cuore. «La Sacra Scrittura – egli scrive – prende tutto l’essere umano, arriva a nutrirlo, sia nella sua parte più spirituale (quella che riguarda la nostra unione con Dio, l’apice dell’anima nostra), sia nell’intelligenza. Di più, la parola di Dio, la Sacra Scrittura, ricompone in certo modo quell’armonia fra anima e corpo intaccata dal peccato originale (…). Ci fa avanzare nella vita spirituale, ci fa avanzare in tutta la costruzione cristiana, edifica il cristianesimo, edifica Cristo e, edificando Cristo, porta all’eredità eterna» (p. 35-36).

domenica 14 giugno 2015

Il mondo ha bisogno delle Marte


Da Colonia, in Germania, un gruppo della parola di vita mi scrive:
La settimana scorso, durante il nostro incontro di nucleo, abbiamo letto l'attuale parola di vita. Tutti siamo rimasti colpiti dalla immedesimazione con la quale tu ci dai una nuova prospettiva sul fare di Marta. Anche noi nella nostra vita di famiglia, di lavoro ed altri impegni spesso siamo occupati da tanti compiti. Facilmente dimentichiamo l'essenziale: accogliere le parole di Gesù e viverle.
Il tuo commento ci ha aiutato molto di rimetterci in un atteggiamento di ascolto. Ci ha invitato di riorientare tutte le nostre attività verso la Sua Volontà. GRAZIE!
Una di noi, Elisabeth, sta per andare in pensione. È presidente del Sozialdienst Katholischer Frauen, un’associazione dalla chiesa cattolica in Germania. Questa fase del trapasso per lei non è sempre facile. In questi giorni ha dovuto per esempio condurre la sua ultima assemblea dei soci. Per lei è stato doloroso di vedere come nei 30 anni scorsi lei tante volte ha dovuto fare la parte dalla Marta e non ha potuto essere Maria. Si è chiesto: Ma che cosa vale il lavoro di Marta, se non rimane più tempo e energia per vivere i rapporti come Maria lo fa? In quel momento si è ricordata del tuo commento: che il mondo ha bisogno delle Marte, che anche lei dà un contributo importantissimo per la società di oggi. E lei è stata molto più tranquilla. Un grazie particolare quindi da lei.
Siamo uniti con te nel desiderio di metterci totalmente a disposizione di Dio
Steffi, Beate, Marlene, Anita, Elisabeth e Katharina

sabato 13 giugno 2015

Marta, Marta, perché ti affanni?

Anche questa mattina mi è arrivata una mail riguardante la parola di vita, assieme a una foto del gruppo che la legge e – sorpresa! – un brevissimo video dove ognuno mi saluta e mi ringrazia…

Oggi abbiamo fatto l'incontro con il gruppo della parola di vita. Abbiamo potuto riflettere su questo brano del Vangelo. Le dico la verità, è uno degli episodi che non mi piaceva tanto. Mi sembrava che Marta facesse la sua parte, mentre Gesù dice che Maria ha scelto una cosa migliore... Qualcosa che non mi andava... ma in questi giorni meditando questa parola, sto scoprendo sempre di più l'amore di Gesù verso Marta, come anche lei sottolinea.
Poi abbiamo letto insieme un'esperienza che lei ha messo sul blog. Eravamo tutti così contenti!
Anch'io cerco di mettere in pratica questa parola, mi aiuta tantissimo! Quando sento che sono agitata per qualcosa penso che Gesù mi chiama e mi dice “Lindi, Lindi perché ti affanni...?”

Ma torniamo a Marta: allora, cosa stava facendo quella sera? Mi arriva in proposito un’altra e-mail:


La tua risposta alla domanda, che non avrà mai una vera risposta su che cosa stesse facendo Marta quella sera, mi ha regalato una risata di gusto che mi porta a vivere con gioia questa mattinata. Come donna penso che non sia un problema ignorare ciò che Marta stesse facendo. A Gesù importava riportare Marta a svolgere con amore ciò che stava facendo e poter gustare anche lei la pace che Maria stava provando ai piedi del Rabbi, anticipando la gioia del paradiso.

venerdì 12 giugno 2015

Che faceva Marta quella sera? Prospettiva androcentrica

Il commento alla parola di vita: croce e delizia.
Cosa faceva quella sera a casa Marta, per dover rimproverare la sorella che non la aiutava? Non la aiutava a fare cosa? È appunto questo l’interrogativo che mi pone una lettrice, scrivendomi:
  
L’ermeneutica biblica femminile, negli ultimi 30 anni ha cercato di fare un mutamento nell’immaginario collettivo, togliendo la prospettiva androcentrica che si è infilata nelle interpretazione bibliche. Un caso paradigmatico è quello di Marta. Marta non faceva affatto da mangiare. La prospettiva androcentrica colloca sempre la donna in faccende di casa: pulire o cucinare. Forse Marta si affannava per un’altra realtà.
Siccome il testo non dice che stava lavorando in casa (cucinare, pulire) non è necessario fomentare l’immaginario collettivo in questa direzione. Alcune autrici affermano che, essendo probabilmente Marta e Maria discepole del Maestro, Marta si stava affannando per altre cose, non precisamente per preparare il pranzo. Come donna trovo nel commento alla parola di vita una tipica interpretazione androcentrica.

In effetti sono un uomo, e per quanto mi sforzi di offrire una lettura abbastanza oggettiva dei testi biblici, la precomprensione androcentrica me la porto dietro comunque.
In ogni caso la domanda rimane. Cosa stava facendo Marta?

Ho preso l’ultimo commento ai Vangeli, scritto da quattro donne: I Vangeli tradotti e commentanti da quattro bibliste, Ancora, Milano 2015, nella speranza di non trovare una interpretazione androcentrica. Il Vangelo di Luca, da cui è tratta la Parola di vita di giugno, è tradotto e commentato da Rosanna Vigili (licenziata in Scienze bibliche al Pontificio Istituto biblico di Roma e docente di Esegesi presso l’Istituto Teologico Marchigiano), che è anche la curatrice dell’intera opera, un bel libro di 1694 pagine (55 euro).
A p. 1004ss Rosanna Vigili scrive che Marta “si comporta similmente al buon samaritano nel farsi prossimo al pellegrino Gesù che, stanco del cammino, avrà avuto bisogno di riparo e ristoro”. Parla quindi della accoglienza “solare” e della “cordialità di una donna di paese verso i forestieri”. Ricorda poi quali fossero le consuetudini del tempo riguardo all’accoglienza (il verbo greco ypodéchomai dice proprio che Marta praticò l’accoglienza). Questa comprendeva, come primo gesto, prendere l’acqua e lavare il forestiero, a cominciare dai piedi: era un servizio sempre fatto da donne. Dopo il bagno si prendeva una tunica con cui sostituire gli abiti sudati e sporchi. Terzo si preparava il pranzo.
Probabilmente sono questi i servizi di cui si preoccupa e si affanna Marta e di cui ella parla a Gesù, facendogli presente che la sorella Maria non la aiuta e chiedendogli di invitarla a non lasciarla sola in questi lavori. Se invece era intenta ad altre occupazioni, quali sarebbero potute essere? Sinceramente non so immaginarle, come non sa immaginarle Rosanna Vigili.
“Una volta soddisfatti i dovuti tributi, allora, ci si poteva sedere ad ascoltare l’ospite – continua Rosanna Vigili … Maria glissa su tutto quello che c’è da fare prima e inizia con la fine: si mette subito a sedere per sapere di quello sconosciuto. Il suo gesto è, pertanto, fuori luogo e contro le regole tradizionali. Ma al profano potrebbe risultare anche neghittoso e comodo, come se Maria fosse la sorella viziata che non aveva voglia di far niente”.
Poco da fare, Maria ha scelto la parte buona. Marta si sarà adeguata e quella sera Gesù e compagni si accontentarono di pane e olive.
E grazie alla lettrice, che mi costringe a ripensare costantemente...