giovedì 29 febbraio 2024

Il deserto fiorirà

Che impressione tornare dal deserto e trovare sotto casa un giardino tutto fiorito di margherite, annuncio di primavera…

Un altro piccolo riscontro sul mio viaggio nel Sahara, da parte di uno dei miei 25 lettori: “Il deserto si vive anche in città: c'è un libro di Carlo Carretto Il deserto in città. “Lui è con noi accompagna i nostri passi. Strade di speranza nel deserto, aprirò non sarai mai solo nelle strade della vita, va' non temere, acqua viva ti darò”.

 

mercoledì 28 febbraio 2024

Il deserto continua...


Un commento che mi è giunto al termine del mio “pellegrinaggio” nel Sahara:

“Ci si può fermare ad ammirare il deserto, ma si può anche contemplare il cielo e sentire il vento dello Spirito e pregare che il nostro deserto diventi luogo di incontro con Dio, con noi stessi, con gli altri”.

Ho lasciato il Sahara, ma spero di non lasciare il deserto.

 






martedì 27 febbraio 2024

A te viene ogni mortale

“A te che ascolti la preghiera viene ogni mortale”.

È il salmo che prego nella hall di attesa all’aeroporto di Dakhla. Vicino, nella sala della preghiera, si susseguono i musulmani che pregano insieme rivolti verso la Mecca. Gli europei che attendono l’imbarco apparentemente non pregano, forse lo fanno in cuor loro come sto facendo io. È comunque bello vedere i fedeli musulmani in preghiera, spontaneamente, insieme, un gruppo dopo l’altro, compresi poliziotti, agenti di dogana, personale di servizio, gente che non si conosce ma si riconosce nella fede comune. “A te che ascolti la preghiera, viene ogni mortale…”. Dio ascolta la preghiera espressa e quella inespressa, quella fatta di parole e quella fatta di silenzio, quella consapevole e quella inconsapevole, quella fatta di desideri, di gemiti, di attese… quella del musulmano, del cristiano, del non credente.

Così si riparte. Come gli uccelli migratori. A migliaia sono allineati sulla spiaggia, tutti orientati verso il nord, attratti da una misteriosa calamita. Attendono l’ordine di partenza, appena si calmerà per un attimo il vento impetuoso. Chi darà il via? Presto prenderanno il volo. Dio ascolta anche la loro preghiera?

Il mio aereo si alza in volo solitario verso Casablanca. Sono poche le partenze e gli arrivi su questo piccolo aeroporto. Tutto attorno si distende la città con le sue sempre nuove basse costruzioni in ocra e rosso mattone. La luna veglia ancora alta nel cielo. Chissà che Dio non ascolti anche la sua preghiera.

E tutto, come attratto da una misteriosa calamita, si orienta verso l’alto: a te viene ogni mortale.



lunedì 26 febbraio 2024

Il deserto di apa Pafnunzio

 

Il Sahara. Chi avrebbe ma pensato che sarei giunto fin qua. Ormai la permanenza sta per concludersi.

Porto con me la comunità oblata, tanti immigrati con i quali ho condiviso alcuni intensi momenti di comunione, i pochi sahariani incontrati… E la vastità del deserto, quello fatto di sassi e quello fatto di sabbia… Le città tipiche del Magreb, l’oceano infinito…

Quanti doni ci fa Dio!

Rileggo adesso l’inizio del libro di apa Pafnunzio che scrissi 19 anni fa quando il deserto non l'avevo mai visto…:

Non era il deserto dalle dune di sabbia d’oro plasmate dal soffio del vento. Era un deserto duro, sassoso, d’un’altra austera bellezza, con rocce che sfumavano dal rosa pallido al verde azzurro, al rosso, al nero cupo. Deserto, perché landa scarsamente abitata, inospitale.

Per uomini dalla rude tempra come apa Pafnunzio era luogo ideale per il lungo cammino dell’ascesi. Arida e spoglia, senza beni né comodità, quella lontana regione non consentiva distrazione alcuna, invitava piuttosto a una separazione progressiva e radicale da ogni attaccamento, per centrarsi su ciò che rimane. Tutto vi era messo a tacere, perché una voce soltanto potesse essere udita e riconosciuta.

Terra privilegiata per la lotta con Satana che faceva emergere le falsità e gli idoli bugiardi che albergano nel cuore umano. Niente più v’era, dietro cui potersi nascondere.

Ogni anacoreta si ritrovava nudo davanti a se stesso e davanti al Dio unico e vero. Tentazione e prova lo conducevano alla piena conoscenza di chi egli fosse e di chi fosse Dio.

Luogo di morte dell’uomo vecchio, il deserto faceva riaffiorare l’immagine e la somiglianza di Dio, la vera identità dell’uomo nuovo.

Una sola parola udivano quelle rocce:

Conoscere me, conoscere Te.
Io sono nulla, Tu sei tutto.
Sei Tu, Signore, l’unico mio bene.

domenica 25 febbraio 2024

La Regola: un ritmo di vita

Sì, ma io che ci sto a fare qui nel Sahara? Con mia grande sorpresa e gioia sono stato invitato a guidare gli esercizi spirituali alla comunità oblata, piccola, ma significativa, all’avanguardia.

Il recente Capitolo generale ci ha invitato a riprendere in mano le Costituzioni e Regole di cui presto celebreremo i 200 anni dall’approvazione pontificia. Il tema della nostra settimana di ritiro, appena conclusa, è stato proprio attorno alla nostra vocazione così come viene espressa nella regola. Il titolo: “Il Vangelo e la Regola”. Semplice. Un libretto preparato apposta per questa circostanza.

Ci ha aiutato a contemplare la nostra vocazione, indubbiamente la più bella che esista perché è la vocazione stessa di Gesù quando venne sulla terra… Modestamente…

La Regola: è il Vangelo letto attraverso il carisma, il  Vangelo che si attualizza oggi, per noi. 

La Regola aiuta a trovare l’armonia tra le diverse componenti della vita, preserva da una vita piatta, fatta di pezzi giustapposti e slegati fra loro. Dà così un ritmo. Tutto ha un ritmo nella vita: le stagioni, il battito del cuore… Anche la Chiesa è ritmata dall’anno liturgico. La Regola di Benedetto scandiva il tempo in tre parti uguali: preghiera, lavoro, riposo; quella oblata in momenti che si alternano tra missione, che proietta in donazione fuori della comunità, e vita in comunità, che assicura la contemplazione, lo studio, la preghiera. Vi è anche un succedersi di momenti diversi all’interno della giornata, della settimana, del mese, dell’anno (gli orari, le riunioni “regolari” di comunità, il ritiro mensile e annuale, i tempi di lavoro e di riposo…) che garantiscono un cammino ordinato e armonioso.

La Regola è un aiuto anche per rimanere fedeli al progetto di vita che ci è stato dato. Esso richiede una ascesi, il controllo di sé, il costante monitoraggio del percorso, una disciplina che ponga un argine al cambio degli umori, al calo di tono. Costituisce una guida che apre ad una esperienza sempre più ampia, sotto la guida dello Spirito. Non è fine a se stessa, ma in funzione di “uno spirito comune”, ed è questo il suo fine ultimo, costituire un corpo apostolico unito, che custodisca la medesima vocazione e che eseguisca la medesima meta, che abbia una sua chiara identità carismatica all’interno della Chiesa.

“Che vergogna avere tra le mani un codice di vita così perfetto e non capirne il senso! – annotava sant’Eugenio durante il suo ritiro del 1831. Per alcuni di noi questo codice è un libro sigillato! (…) Stimiamola questa preziosa Regola, abbiamola incessantemente sotto gli occhi e, ancora di più, nel cuore; nutriamoci abitualmente con i principi che essa afferma; agiamo, parliamo, pensiamo solo in conformità al suo spirito: Solo così saremo ciò che Dio vuole che siamo e solo così ci renderemo degni della nostra sublime vocazione… Bisogna farci penetrare dallo spirito delle nostre Regole e, per arrivarvi, bisogna farne l’oggetto delle nostre continue meditazioni. (…) Sono felice di essere stato chiamato a una perfezione così sublime, senza essere confuso dal pensiero della mia debolezza perché sono pieno di fiducia nella potenza di Colui che concede sempre la grazia di compiere i comandi che dà”.

sabato 24 febbraio 2024

Il sacrificio di Abramo... e del padre di Valerio

Padre Valerio mi ha introdotto nella tenda di pelli di cammello, mi ha portato dagli amici musulmani a celebrare il rito del tè rivestendomi con l’abito sahariano, mi ha condotto sulle dune del deserto… Ci conosciamo da tanti anni, ma nuovamente questi giorni mi ha raccontato la sua affascinante storia. Soprattutto un particolare che non sapevo.

Primo e unico maschio di una famiglia con nove femmine, il padre l’aveva mandato a studiare anche perché diventasse il capo famiglia. Quando Valerio pensò di diventare Oblato ne parlò a casa fino a tarda notte. Il giorno dopo fu convocato lo zio, la persona più importante, per sottoporre a lui la questione. “Facciamogli provare”, disse finalmente il padre, “se poi vede che non è la sua strada può tornare, questa è sempre casa sua”. “Se lo lasci andare”, disse lo zio, “l’abbiamo perduto per sempre”. Allora il padre di Valerio pronunciò la sua sentenza, piena di fede: “Abramo fu pronto a sacrificare suo figlio Isacco perché Dio glielo chiedeva. Anch’io sono pronto a sacrificare mio figlio se Dio me lo chiede”. E lo lasciò andare.

Valerio mi ha raccontato questo episodio alla vigilia della seconda settimana di Avvento, quando la liturgia ci propone, nella prima lettura, il sacrificio di Abramo. In quanti modi a ognuno di noi Dio chiede il dono del proprio “figlio”. Qualcosa a cui non pensiamo, e nei modi che non pensiamo. Soltanto allora ci accorgiamo quante cose e quante persone ci sono care. Lo sono perché Dio ce l’ha donate. Ma non sono Dio… Il sacrificio di Abramo è l’appello alla scelta incondizionata di Dio, a metterlo al primo posto, perché… perché è Dio!

In questo mondo islamico nel quale ancora mi trovo, mi sembra di capire ancora meglio questo racconto biblico. Per i musulmani la festa in ricordo del sacrificio di Abramo, Eid al-Adha, è una delle feste principali che giunge ogni anno alla fine del periodo di pellegrinaggio alla Mecca. È vissuto come momento di condivisione con i parenti e con i poveri. Poco importa se per loro ad essere immolato e risparmiamo non è stato Isacco ma Ismaele. L’atto d’obbedienza di Abramo resta lo stesso.

Abramo è padre di Ismaele e di Isacco, degli ebrei, dei cristiani, dei musulmani. Fratelli litigiosi, “fratelli coltelli” come dice il proverbio, ma sempre fratelli. In questo periodo di odio, di lotta, di guerra, possa il nostro comune padre Abramo intercedere per i suoi figli e non ci sia più spargimento di sangue, come non ci fu al momento del sacrificio, quando il figlio fu risparmiato.

Il Figlio vero invece è stato sacrificato per amore nostro, come ci ricorda la seconda lettura della domenica: Dio “non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi”. Ecco il vero intercessore: “Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi!”.

Di cosa temere allora? “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?”. Sì, diciamolo insieme: Dio è grande, se ci ha amato fino al punto da sacrificare il suo Figlio per noi, al posto nostro, perché noi diventassimo davvero suoi figli: su di lui il peccato perché noi avessimo la grazia, a lui la morte perché noi avessimo la vita.


venerdì 23 febbraio 2024

Sempre alla scoperta di Laayoune

Venerdì, le due e mezzo del pomeriggio. In tutta la città le moschee diffondono a gran voce l’invito alla preghiera, la meditazione, la preghiera. È una folla quella che si muove verso la moschea, una folla quasi esclusivamente di uomini e di ragazzi. C’è un’ora di festa incredibile. Quasi tutti sono vestiti a festa, con gli abiti tradizionali. In un attimo le moschee si riempiono. Chi arriva prima e raggiunge i primi posti acquista più meriti. 

Quando la grande sala della moschea è piena le file dei fedeli si prostrano in fila nelle grandi piazze antistanti. Alcuni si fermano più lontano. Ognuno segue in silenzio catechesi e preghiere. Mi piacerebbe prendere qualche fotografia, ma qua è molto difficile. Ci sono anche le donne, ma poche, la maggior parte rimane a pregare a casa. La sala dedicata a loro in genere è piccola e alcune si siedono nelle strade adiacenti per partecipare come possono. Uno spettacolo impressionante, un rito religioso e sociale insieme, come era una volta la messa della domenica da noi. La nostra chiesa rimane un’isoletta sperduta nell’oceano…

Nei pochi momenti liberi continuo a muovermi velocemente per i quartieri più popolari. La città è ricca di palazzi, piazze, giardini, viali. C’è anche McDonald, compimento di una promessa elettorale del sindaco! Essendo la capitale ha una capillare redi di uffici pubblici, caserme, posti di polizia, che affermano la presenza forte del Marocco. Ma a me piacciono le zone più popolari, con gli edifici antichi, belli anche se trasandati… almeno all’esterno. Quando entro in qualche casa di persone amiche, naturalmente rigorosamente tutti musulmani, rimango sorpreso dall’eleganza: maioliche, tappeti, sofà…

E i cristiani? Li trovo alla Caritas. Sono gli emigrati, spesso senza documenti, che abitano in tutta un’altra periferia, molto povera. Nelle stanze di accoglienza vengono soprattutto per un consulto medico. Vengono le giovani mamme con i bambini. Un gruppo di giovani spagnoli, mediti e farmacisti, fanno i primi controlli, danno piccoli corsi di puericultura, accompagnano all’ospedale, sbrigano le pratiche, offrono i piccoli aiuti indispensabili. Che ragazzi in gamba! Per fare del bene c’è sempre posto per tutti.




giovedì 22 febbraio 2024

Di duna in duna

A volte, durante gli esercizi spirituali, si fa una giornata di “deserto”. Ma fare una giornata di deserto nel deserto vero è tutta un’altra cosa.

Così questa mattina siamo partiti per andare nel deserto.

Alla polizia comunichiamo dove stiamo andando, nessun problema. La foschia copre l’orizzonte, ma c’è poco da vedere in questo deserto sconfinato, piatto, sassoso. Bastano pochi chilometri e all’orizzonte già si profilano le dune e comincia un altro deserto.

Per i miei amici è un mondo noto, ma per me è tutto nuovo e mi lascio affascinare dalle dune che comincio a salire lentamente, fin quando tutto intorno, fino all’ultimo orizzonte, si scorge soltanto sabbia. Una sabbia finissima, impalpabile, che lentamente mi penetra dappertutto.

Le nuvole corrono rapide nel cielo scuro, disegnando ombre fuggenti tra duna e duna con costanti cambi di scenari. 

Piano piano il sole s’impone con forza e fa sparire ogni nuvola lasciando il cielo di un azzurro limpidissimo. Il vento continua a comporre nuovi giochi con la sabbia sfuggente. Sono in un mondo diverso. Il silenzio regna sovrano, altissimo. Solo il soffio del vento, quasi un richiamo al soffio dello Spirito. Non fu lo Spirito a condurre Gesù nel deserto? E non è il deserto il luogo dell’ascolto della Voce?

Quando torno nel deserto piano e sassoso scorgo lontano una tenda, una costruzione isolata, un gregge di capre, un branco di dromedari con un pastore che le segue con il fuoristrada. È un sahariano. Ci salutiamo come ci conoscessimo da sempre. Vorrebbe che rimanessi con lui fino a tardi, fino all’ora della mungitura, in una stalla lontana… Ma sono qui per ben altro.

Pochi momenti, ma mi sembrano un’eternità. Nonostante il vento, tutto si è fermato. Un invito alla contemplazione.





mercoledì 21 febbraio 2024

Gli Oblati nel Sahara: 70 anni di storia

Laayounne, capitale del Sahara Occidentale. Un'antica oasi dove si fermavano le carovane attorno a un laghetto ricco di acqua. Oggi, su una vecchia casa, vedo una targa che dice: "Prima casa costruita a El Aaiun nell'anno 1934". Una città che non ha dunque neppure 100 anni e che conta già più di 270.000 abitanti. Adesso ha quartieri moderni e soprattutto tanti giardini curatissimi, una autentica oasi moderna.

Nei pochi momenti liberi mi piace camminare nelle strade attorno alla chiesa. Sono al sicuro, perché, a differenza di Dakhla, non c'è la camionetta della polizia, ma addirittura una garitta a ognuno dei quattro angoli della casa con i poliziotti di guardia, che poi ci seguono da lontano: sono dunque superprotetto!


Siamo nella parte antica della città, con casette ormai in decadenza, ancora con il tetto a cupola. La moschea del quartiere, che è una delle prime costruzioni assieme alla chiesa, diffonde la preghiera cinque volte al giorno, a differenza di Dakhla dove le moschee tacciono. La voce del muezzin è forte e nitida. Non ci sono altri rumori e le persone occorrono alla preghiera, soprattutto quella del mattino e della sera. Purtroppo a noi cristiani è proibito entrare nelle moschee. D'altra parte anche per i musulmani è difficile entrare nella chiesa: c'è un controllo molto severo da parte della polizia. Eppure preghiamo insieme, alla stessa ora, anche se separatamente. Noi non abbiamo gli altoparlanti, ma chissà come sarebbe contenta la gente nel sentirci cantare. Gli Oblati, solo soltanto cinque (il sesto in questi giorni è lontano), pregano e cantano meravigliosamente come fossero il coro della Sistina: una preghiera molto bella!  

Gli Oblati arrivarono nel 1954, quando il Sahara Occidentale era ancora sotto amministrazione spagnola. La loro missione era principalmente quella di assistere la popolazione cristiana del territorio. Dal punto di vista ecclesiastico, fu creata una prefettura apostolica e fu affidata a loro. Nel 1975, quando gli spagnoli dovettero lasciare il Paese, gli Oblati rimasero perché la Chiesa rimanesse. Dovettero firmare un documento che esonerava la Spagna da ogni responsabilità nei loro confronti. Erano gli anni della guerra. Il Marocco prese presto possesso del territorio. Iniziarono gli anni "di ferro", in cui gli Oblati continuavano a fare l'unica cosa che potevano fare: essere testimoni pazienti e oranti degli eventi.

Il 2 aprile 1989 p. Marcello Zago, nel resoconto della sua visita alla Missione OMI del Sahara, scriveva: "Questa missione è l'unica missione oblata dove non ci sono comunità cristiane, per questo è importante. Non sappiamo quale strada prendere, ma sappiamo che il Signore ci chiede di essere suoi testimoni qui". La visita segnò una svolta nella missione. Gli Oblati erano infatti sul punto di abbandonarla, non ne vedevano più il senso. 

La missione ricevette un nuovo impulso e molte vecchie amicizie saharawi furono ravvivate e ne nacquero di nuove. I cristiani sono esclusivamente gli immigrati provenienti dal Senegal, Costa d'Avorio, Camerun, Guinea, Burkina Faso... tanti sono in situazioni irregolari. Alla messa della domenica qui a Loayounne sono presenti una sessantina di persone.

Gli Oblati, ossia la Chiesa cattolica - il Prefetto apostolico è p. Mario -, hanno una terza chiesa, a una quarantina di chilometri da Laayounne, dove si recano ogni sabato per la messa. Ma non c'è nessun cristiano... L'ho appena visitata: bella, pulita, con un piccolo appartamento... Qualcuno vuole fare un anno di deserto? C'è posto per tutti.



 

martedì 20 febbraio 2024

Come cambia il deserto

 

Partiamo da Dakhla verso nord, alla volta di Laayoune, la capitale del Sahara Occidentale. 5000 chilometri di questo deserto infinito che, attraverso la Mauritania, scende fino al Senegal.

Quante volte ho scritto sulla spiritualità deserto, eppure il deserto non l’avevo mai visto prima di adesso. 

Percorriamo la strada asfaltata, un nastro perfetto. Qualche camion, qualche auto. Guardo attorno per tutte le sei ore di viaggio, guardo, guardo… Non c’è un albero. Siamo nel deserto, sì o no? Ma sei ore di viaggio senza un albero… Non vedo volare un uccello. Rocce, sabbia, avvallamenti, montagnole, faglie, sassi, cespugli, zone piatte, zone appena ondulate… A metà viaggio si alza un vento forte. Sull’asfalto volteggia la sabbia, l’orizzonte di vela di sabbia…

Sto attento per vedere se compare qualche dromedario. Lungo la strada si ripetono regolari i cartelli stradali triangolari con disegnato il dromedario e altri cartelli più grandi che invitano a prestare attenzione al loro passaggio. Li vedo infatti attraversare la strada, sprovveduti e sicuri di sé come fossero ancora i padroni del territorio. Lo sono stati per migliaia di anni. 

Chi non ha in mente le carovane di cammelli che attraversano i deserti, le carovane del sale. Recentemente ho letto il libro di una giornalista che racconto il suo viaggio con una di queste carovane. Tutto finito. Adesso ad attraversare il deserto sono i tir, i fuoristrada. I cammelli, li chiamavano “le navi del deserto”. Ora, penosamente, sulla strada che porta a Laayoune li vedo trasportati sui pick up, lo sguardo ancora fiero… ma hanno perduto ogni dignità.

Nel deserto: le linee elettriche, le pale eoliche, le alte antenne dei ripetitori. Un nastro trasportatore attraversa il deserto per 120 chilometri portando i minerali direttamente al porto di Marsa. Nel deserto: città che spuntano improvvise, nuove oasi con viali che Parigi neppure si sogna, tanto si sprecano gli spazi, con profusione di palme ornamentali. Attraversi la città e subito sei di nuovo in pieno deserto. Comunque da Dakhla a Laayoune di città se ne incontrano due soltanto, tutto il resto… deserto, per 500 km.

I Sahariani vivono ormai tutti in città, ma nel fine settimana amano tornare nelle loro tende o nei villaggi nascosti nel deserto, è il loro mondo. Ma vanno con i fuori strada, con le taniche dell’acqua e con le scorte del supermercato.

Allora il deserto? Non mi ci sono avventurato, ma mi pare che resti comunque il deserto, nonostante la demitizzazione. Chissà cosa vorrà dire inoltrarsi fuori della Nazionale tra queste pietraie…

A me rimane comunque il “deserto” biblico, simbolo della solitudine e dell’intimità con Dio…



lunedì 19 febbraio 2024

Ma cosa ci fanno gli Oblati nel Sahara?

È ancora buio. Fuori della porta stazione in permanenza il blindato della polizia per nostra “protezione”. Il poliziotto è solo. Gli altri sono postati ai quattro lati della casa. È il momento della prima preghiera della giornata. Lo vedo prostrarsi a terra, in direzione della Mecca, e fare la sua preghiera.

Poco dopo gli Oblati si ritrovano nella loro chiesa deserta, recitano le lodi e continuano la prolungata preghiera silenziosa.

Dio ascolta la preghiera del musulmano e del cristiano… è Padre di tutti.

Cosa ci fanno qua gli Oblati?

Hanno dato vita alla Caritas, si prendono cura dei lavoratori cristiani immigrati da tanti Paesi dell’Africa, dei carcerati, seguono il centro dei disabili, sono attivi nel dialogo con i musulmani… Fanno tante cose.

Ma cosa fanno veramente?

La chiesa di Dakhla è un piccolo gioiello architettonico. Quando sono arrivato all’aeroporto, al controllo passaporto avrei dovuto dare l’indirizzo del mio soggiorno. Mi sono trovato in difficoltà perché non l’avevo. Alla fine dopo tanto parlare, l’ufficiale mi ha gridato: Igregia! Come dire: ci voleva tanto a dirmi che sta andando alla chiesa? Non c’è bisogno di indirizzo più preciso. In tutto il Sahara del Marocco ci sono soltanto due parrocchie cristiane, una a Dakhla e una a 500 chilometri più a nord, a Laayoune, le due parrocchie tenute dalla medesima comunità oblata. Ed è un territorio grande come l’Italia.

La chiesa dunque di Dakhla. Quando sono dentro, tutto il giorno in solitario silenzio, capisco cosa ci fanno gli Oblati nel Sahara. Semplicemente tengono viva la presenza di Gesù in questa terra musulmana. Sono la Chiesa! Lo sono giuridicamente, perché p. Mario è il Prefetto apostolico, quello che qui rappresenta il Papa. Ma lo sono soprattutto perché tengono viva la presenza di Gesù. Gesù Eucaristia, nel tabernacolo, Gesù vivo tra loro, Gesù vivo nella piccola comunità cristiana fatta di poveri lavoratori stranieri… Ma è Gesù vivo! Rendono presente Gesù in questo grande Paese. “Presenza silenziosa. Una goccia di Vangelo nel mare dell’Islam” come dice p. Carlo.

Che ci faceva Gesù per trent’anni a Nazaret, in silenzio, insignificante? Era Gesù! 30 anni di nascondimento contro 3 anni di predicazione. Sono 30 anni! Ha perso tanto tempo a far niente…? No, a essere Gesù.





domenica 18 febbraio 2024

I molti volti della città

Prima di lasciare Dakhla alla volta di Laayoune, un’ultima camminata ai margini della città per cogliere altri volti di questo nuovo mondo.

Il cimitero dei cristiani e dei senza nome. in pieno deserto. Soltanto i musulmani possono essere sepolti nel cimitero, gli altri… in un campo squallido, con tombe senza nomi, senza una croce, a volte con un numero sopra una pietra. Sono i cristiani anonimi, oppure i corpi delle persone trovate in mare… Che desolazione. I poveri rimangono poveri anche da morti. Forse Dio non fa distinzione tra i morti, sono tutti figli suoi, circoncisi e non circoncisi.

Il carcere. Lo vedo soltanto da fuori. Gli Oblati vanno regolarmente a trovare i cristiani. Un carcere moderno e, grazie a un direttore intelligente, dal volto umano. Ci sono ambienti riservati alla visita dei parenti, dove i carcerati possono rimanere da soli uno o più giorni con i loro familiari. Comunque i poveri rimangono poveri anche da vivi.

Le moschee. Sono tra gli edifici più belli. Sotto i porticati di una moschea scorgo dei poveri che dormono avvolti nelle coperte, circondati da sacchi e cartoni, proprio come sotto il colonnato di san Pietro a Roma. I poveri sono uguali dappertutto.




Il porto delle barche da pesca. Non è un porto. Alla punta della penisola giungono a centinaia le barche dei pescatori. I trattori le agganciano a riva e le trascinano sul terreno sabbioso fino a luogo sicuro dove si scarica il pesce, si puliscono gli scafi, si prepara la partenza del giorno dopo. Più all’interno le baracche dei pescatori. Parlo con qualcuno che sta svuotando la barca dell’acqua depositata sul fondo. Una visione pittorica d’eccezione tutte queste barche allineate…, ma che vita dura per i pescatori, quasi tutti giovani…




Rientro a casa. Sulla porta interna, dentro l’atrio, scorgo la piccola icona in maiolica della Madonna del Marocco, ritratta come una donna di qui, con il suo bambino, come tante che vedo questi giorni. Un quadretto di nessun valore. Ma la Madonna ha un valore infinito, per cristiani e musulmani: è la madre di tutti.