Il Sahara. Chi
avrebbe ma pensato che sarei giunto fin qua. Ormai la permanenza sta per
concludersi.
Porto con me la
comunità oblata, tanti immigrati con i quali ho condiviso alcuni intensi
momenti di comunione, i pochi sahariani incontrati… E la vastità del deserto,
quello fatto di sassi e quello fatto di sabbia… Le città tipiche del Magreb, l’oceano
infinito…
Quanti doni ci fa
Dio!
Rileggo adesso l’inizio del libro di apa Pafnunzio che scrissi 19 anni fa quando il deserto non l'avevo mai visto…:
Non era il deserto
dalle dune di sabbia d’oro plasmate dal soffio del vento. Era un deserto duro,
sassoso, d’un’altra austera bellezza, con rocce che sfumavano dal rosa pallido
al verde azzurro, al rosso, al nero cupo. Deserto, perché landa scarsamente
abitata, inospitale.
Per uomini dalla rude
tempra come apa Pafnunzio era luogo ideale per il lungo cammino dell’ascesi. Arida
e spoglia, senza beni né comodità, quella lontana regione non consentiva
distrazione alcuna, invitava piuttosto a una separazione progressiva e radicale
da ogni attaccamento, per centrarsi su ciò che rimane. Tutto vi era messo a
tacere, perché una voce soltanto potesse essere udita e riconosciuta.
Terra privilegiata
per la lotta con Satana che faceva emergere le falsità e gli idoli bugiardi che
albergano nel cuore umano. Niente più v’era, dietro cui potersi nascondere.
Ogni anacoreta si
ritrovava nudo davanti a se stesso e davanti al Dio unico e vero. Tentazione e
prova lo conducevano alla piena conoscenza di chi egli fosse e di chi fosse
Dio.
Luogo di morte
dell’uomo vecchio, il deserto faceva riaffiorare l’immagine e la somiglianza di
Dio, la vera identità dell’uomo nuovo.
Una sola parola
udivano quelle rocce:
Conoscere me,
conoscere Te.
Io sono nulla, Tu sei tutto.
Sei Tu, Signore, l’unico mio bene.
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