Quando i primi monaci si sono messi in cammino in cerca
di Dio hanno scelto il deserto e l’oceano. Antonio abate si inoltrò nel deserto
d’Egitto, i monaci irlandesi sulle isole sperdute nel mare. Perché proprio così
lontano, perché in tanta solitudine?
Percorro cinquecento chilometri di deserto sahariano, tra
Dakhla e Laayoune. Soltanto al termine del viaggio scorso qualcuna delle famose
dune di sabbia che sempre immaginiamo quando pensiamo al Sahara. Sembrano messe
lì per qualche raro turista in cerca della foto con le impronte lasciate sulla
sabbia. Il deserto che ho attraversato è altro, roccioso, duro, fatto di sassi
e pietrisco, con radi cespugli di cui solo i dromedari sanno nutrirsi.
Era così il deserto nel quale il Spirito Santo spinse
Gesù per essere tentato, rocce e sassi. Perché andare in questa nudità? La
spiritualità del deserto – e con essa quella della Quaresima – conosce una
ricchissima elaborazione simbolica e dottrinale. Camminando in questo tratto
occidentale del Sahara, più ventoso che caldo, mi sento prosciugare l’anima,
così come mi si prosciuga il corpo. Non c’è un albero sotto il quale ripararmi,
non una cavità nella quale nascondermi. Non c’è connessione wi-fi che mi
permette di navigare da una notizia all’altra o di lasciarmi distrarre da video
piacevoli, condurre docilmente da un influencer all’altro. Ma non ci sono
neppure i grandi magazzini nei quali perdersi per lo shopping… Sei
terribilmente solo, con il silenzio attorno. Non siamo abituati.
Gesù è rimasto da solo per quaranta giorni, un’eternità.
Saranno stati proprio quaranta? Non si tratta di un numero simbolico? Sì, è
anche un numero simbolico, che ricorda i quarant’anni del popolo di Dio nel
deserto, i quaranta giorni di Mosè sul monte Oreb, i quaranta giorni di viaggio
del profeta Elia… Rimangono comunque un’eternità. Chi ha il coraggio di
inoltrarsi in tanta solitudine? Perché la Chiesa ogni anno ci ripropone la
medesima avventura?
Semplicemente perché ne abbiamo bisogno. Abbiamo bisogno
di ritrovare noi stessi, al di là delle maschere, di come gli altri vorremmo
che fossimo, dei condizionamenti a cui siamo sottoposti dal nostro mondo
consumista, arrivista, superficiale. Abbiamo bisogno di uno spazio per
conoscere chi siamo veramente. Siamo “polvere”, come ci è stato detto quanto ci
è stata imposta la cenere in testa all’inizio della Quaresima? Sì, siamo stati
plasmati col fango della terra. Ma su quest’argilla è stato alitato lo spirito di
Dio. Nel “deserto” possiamo riscoprirci “figli di Dio, santi per vocazione”,
come scriveva Paolo (un influencer che possiamo ascoltare…) ai cristiani di
Roma (cf. 1, 7). Anche il popolo d’Israele scoprì nel deserto la propria
identità e la propria vocazione, anche Mosè, anche Elia, anche Gesù…
Possiamo scoprire chi siamo veramente, qual è la nostra
“missione”, il progetto della nostra vita, perché in questo “deserto” non siamo
soli. Se riusciamo a fermarci, a entrare nel silenzio, potremmo ascoltare la
voce di colui che ci ha plasmati, che ci ha chiamati. Ti sedurrò, ti condurrò nel
deserto, ripete ancora Dio, e lì parlerò al suo cuore (cf. Osea 2, 16).
In questi giorni ho la fortuna di essere nel deserto del
Sahara. Ma per avviare questo dialogo con Dio, nel silenzio e nella verità, non
è necessario venire qui. Anche in una città caotica si può entrare nel segreto
nel cuore e lì iniziare il colloquio per conoscere la nostra miseria e la
nostra grandezza e la misericordia e l’immenso amore di Dio.
Da vero molto profondo
RispondiEliminaGrazie Fabio!! Un grande sono per questo cammino di Quaresima.
RispondiEliminaGrazie per la condivisione.
RispondiEliminaGrazie p. Fabio! Veramente molto edificante! Grazie! E … buon (santo) viaggio!
RispondiEliminaGrazie Fabio per questa bella condivisione. Con l'augurio di scoprire e vivere il proprio deserto per arrivare alla verità, all'essenziale di ognuno. Buona Quaresima!
RispondiEliminaGrazie per condivisione Padre. Veramente profondo.
RispondiEliminaÈ un'esperienza molto particolare e rara. Quasi 'spaventa'. Mi immagino che nella solitudine si tocca il proprio 'interno'. Da raccomandare? Grazie, Fabio.
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