martedì 30 novembre 2010

Dialogo interreligioso

Sulla rivista brasiliana “Mundo e Miss­ao” è apparsa, in due puntate, una lunga intervista che vi era stata rivolta a luglio, dal direttore, Pedro Facci, durante il mio viaggio in Brasile. Mi è arrivato un commento da un non meglio conosciuto Diacono Nicola Angelo Di Stefano, dalla città di Pindamonhangaba, nello stato di Sao Paulo: “Esprimo tutta la mia gioia e gratitudine per l’articolo “Un missionario speciale”. Confesso che leggendolo mi sono commosso per la maniera realista, umile e rispettosa nell’affrontare il dialogo interreligioso. Era l’atteggiamento che aveva Gesù e che deve essere anche la nostra. Niente proselitismo e tanto meno fanatismo, che non posta a nulla, anzi crea barriere e decide più che mai. Ringrazio per questa visione illuminata su come deve essere il dialogo con le altre religioni”.

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Una opportunità per ricominciare di nuovo

Passeggio per il mercato, nel vecchio centro di Ottawa. È appena nevicato e il freddo è pungente. Quattro giovani, avvolti in cappotti pesanti, modulano le armonie dei primi canti di Natale. È la vigilia della prima domenica di Avvento e già è aria di festa, con un senso indefinito di aspettativa. Dall’Italia mi giungono alcuni sms a ricordarmi che ---. Ho ricevuto più e-mail del solito con gli auguri per questo periodo. In questi giorni mi sono visto mettere in mano opuscoli agili con le indicazioni di percorso per la preparazione al Natale. Mai come quest’anno l’Avvento si fa sentire come il momento propizio nel quale qualcosa di nuovo può accadere.
È sempre stato così, l’Avvento, inizio dell’anno liturgico. Ma forse adesso sentiamo il bisogno di cambiamento e che ci sia concessa una opportunità per ricominciare di nuovo. È forse la pesantezza della situazione politica, l’incertezza dell’economica, la sfiducia nelle istituzioni, l’insicurezza sociale, i nostri stessi fallimenti personali e le inconsistenze, con il senso di frustrazione che tutto ciò porta con sé, a farci desiderare la chance per una innovazione.
In questo Avvento gli interrogativi: cosa cambiare, come, perché, da dove iniziare…, lasciano il posto ad una certezza, e quindi alla speranza, alla gioia: il Signore viene, viene davvero, viene ancora, e con lui tutto può cambiare, tutto può ricominciare. Non è vero che non c’è niente di nuovo sotto il sole e che quello che è avvenuto avverrà ancora. L’Avvento ci apre gli occhi sul più stupefacente degli accadimenti: Dio l’Eterno entra nel tempo, l’Impassibile si fa storia, l’Altissimo si fa piccolo. Se tale impossibile evento è stato possibile, si è avvenuta la più grande delle novità mai immaginabile, ogni altra innovazione è possibile. Anche nella mia vita, anche attorno a me. È il miracolo del Natale.

domenica 28 novembre 2010

Charlotte, Nord Carolina

Volo sul broccato
candido di nubi stese
fino all’orizzonte.
Il sole vi disegna
linee d’ombra delicate,
arabeschi.
Ed ecco, silenziosa,
s’apre Charlotte,
isola blu fiorita nel deserto.

Gli Oblati, costruttori della Chiesa!

Oblati di ieri e di oggi

La mia permanenza a Ottawa termina là dove è tutto è iniziato nella metà dell’Ottocento: la cattedrale, costruita dagli Oblati per uno di loro, p. Guigues, divenuto primo vescovo della città. Una chiesa in stile gotico, ricca di decorazioni e colori, un caldo contrasto con il biancore della neve e il freddo. In questi giorni ho incontrato Oblati giovani, anziani, di mezza età. Ho avuto colloqui e colloqui… Ho ritrovato un vecchio amico che tanti anni fa andai a visitare nel Nord, tra gli indiani. Ora guida la più grande comunità oblata in Ottawa (50 persone!) e guida il cammino spirituale di tante persone. La gloriosa storia del passato continua nel presente. È una storia dura, quella di oggi, in una società scristianizzata e anticlericale. Ma forse quando gli Oblati arrivarono la situazione non era più facile. A ogni generazione una nuova opportunità.

sabato 27 novembre 2010

Neve!

L’università Saint Paul mi ha aperto le porte della sua straordinaria biblioteca (vedi foto). Guida di eccezione Dale Schlitt omi, ex rettore. Attualmente il rettore dell’università degli Oblati, che ha le sue origini nel 1848, è una signora. Nella biblioteca un piccolo museo con i lasciti di p. Antonio Ostan, oblato italiano che ha lavorato tanti anni nel Nord con gli autoctoni, porta in un mondo che non è più.
Questa notte è arrivata la neve: l’avevo sentita nell’aria. Poteva il Canada lasciarmi partire senza questo dono?

venerdì 26 novembre 2010

Quando il Vangelo correva sulle canoe

Il Vangelo correva sulle canoe

Il sole, pallido e freddo, si è intravisto appena nel cielo grigio, quasi annuncio della neve ormai imminente. Il viaggio a Richelieu è stato comunque particolarmente bello: i boschi con gli alberi nudi, intirizziti dal freddo, le fattorie e i campi ghiacciati, i piccoli villaggi con le case allineate lungo la strada, rigorosamente separate e ognuna diversissima dall’altra, i fiumi, i laghi, l’attraversamento della charmante Montréal.
A Richelieu, modestissimo villaggio, la grande casa degli Oblati. Una volta era animata da decine e decine di novizi e studenti di teologia, oggi raccoglie più di 70 di quei oggi Oblati fattisi anziani e ammalati. E' la parabola della vita. Con loro anche 35 Gesuiti, nelle stesse condizioni. Nel caso Oblati e Gesuiti non avessero collaborato da giovani, hanno una nuova opportunità adesso che sono anziani e ammalati.
Molti di più, 400, gli Oblati sepolti nel cimitero, un grande prato in mezzo al parco, con le lapidi distese direttamente sul terreno, umili e silenziose, dominate soltanto da un grande crocifisso. Affido la mia missione ai due superiori generali sepolti proprio sotto la croce: Lèo Deschâtelets e Fernand Jetté.
Il motivo del viaggio: incontrare p. Alexandre Taché, un Oblato che ha fatto storia e che da un anno si trova in quella casa, in una carrozzella che il suo solito fare signorile trasforma in trono. Tra l’altro è una colonna della rivista “Vie Oblate Life” che dal Canada dovrò portare a Roma.
Al ritorno passo da Sant’Ilaire, il luogo di arrivo dei primi Oblati venuti in Canada nel 1841. La chiesa è sempre bella, ai piedi della collina, con davanti il fiume Richelieu. Mi basta socchiudere gli occhi e vedo gli Oblati, pochi anni dopo, ripartire con le canoe, assieme alle Suore Grigie, per un viaggio di due-tre mesi, su fiumi e laghi, fino a quella che oggi è Winnipeg, presto divenuto nuovo punto di partenza per annunciare il vangelo in tutto l’Ovest. Ancora alla fine dell’Ottocento e agli inizi del Novecento, gli scolastici di Ottawa, durante l’estate si esercitavano a vogare con le canoe sul fiume, proprio dietro la casa dove mi trovo adesso, per quando sarebbero dovuti partire una volta diventati missionari…

giovedì 25 novembre 2010

Canada, primo amore

È già inverno a Ottawa. Il freddo è pungente, sotto un cielo limpido, inondato di sole. Ieri sera sono arrivato quando era già buio, ma dopo cena non ho resistito al desiderio di passeggiare sul sentiero dietro casa, lungo il fiume e di ripercorre le strade del quartiere, quasi per riappropriarmi di un luogo amato. Torno dopo 20 anni e ritrovo la stessa natura calma e serena, le stesse villette di una volta. Niente è cambiato. Soltanto nel campus dell’università trovo qualcosa di nuovo: un edificio con un centinaio di appartamenti per gli studenti, la biblioteca ampliata, la libreria… L’università degli Oblati cresce, ma purtroppo sta scomparendo la facoltà di teologia e l’istituto di missiologia. Seminaristi, religiosi e religiose venivano da tutto il Canada. In un Paese sempre più secolarizza e dichiaratamente ostile al cristianesimo, oggi non ci sono più vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa. Il grande seminario tenuto dagli Oblati, nel quale ho vissuto tre mesi, è stato appena chiuso e sarà ristrutturato per accogliere studenti di altre facoltà. Ci sono ancora studenti dall’estero e alcuni laici che vengono per la teologia, ma sembra non ci sia futuro. È il volto sofferente della Chiesa, una morte che domanda una nuova risurrezione.Trent’anni fa la mia prima visita in Canada segnava l’inizio del mio girovagare per il mondo. Il primo amore non si scorda mai. Ne fui conquistato a prima vista e vi sono tornato più volte. Ho rivisitato gli Archivi Deschâtelets, un monumento alla storia degli Oblati nel Canada. Qui ho lavorato al Dizionario dei Valori Oblati, un’opera ormai tradotta in cinque lingue. Sono qui per prendere nelle mie mani un’eredità preziosa e per dare continuità alla vita.

martedì 23 novembre 2010

Philadelphia

Philadelphia fu fondata alla fine del 1600 da William Penn che, da buon Quacchero, avendo conosciuto la persecuzione, voleva una colonia dove ognuno potesse esercitare in libertà il proprio culto. Il senso di tolleranza si espresse prima di tutto in buone relazioni con le tribù locali degli Amerindiani. La chiamò Filadelfia perché voleva che fosse espressione dell’amore fraterno.
Ho passato la notte e la mattinata in città, grazie all’interessamento del sindaco… che ieri sera ha fatto sospendere il volo per Ottawa a causa di un uragano che si era abbattuto su quella città. Mi ha dato così la possibilità di stare un po’ di più qui… Non tutti i mali vengono per nuocere…

domenica 21 novembre 2010

Cristo Re

Nella missione di San José in Texas mi ha colpito questo dipinto di Cristo in croce con la corona… di spine o regale? Forse è la stessa cosa. Così Gesù è re! Così ci ha guadagnati al suo regno.

sabato 20 novembre 2010

Renata Borlone e la concretezza dell’amore


Questa mattina ho giurato, davanti al giudice e al notaio del tribunale ecclesiastico della diocesi di Fiesole, di aver compiuto il mio lavoro in coscienza e con rettitudine. Ho infatti consegnato il giudizio sugli scritti di Renata Borlone che ho preparato in vista del processo di beatificazione.
Presto sarà pubblicata la sua Autobiografia: la si legge come un romanzo. Alla fine si rimane convinti che la sua “avventura”, scritta con parole essenziali, incisive, senza enfasi, è stata guidata dallo Spirito Santo; se ne rimane coinvolti.
Da tutti i suoi scritti la prima nota che mi ha colpito è stata è quella di una vita interamente tutta intrisa d’amore: «La nostra vita deve somigliare a quella di Gesù: arrivare ad amare come Lui ha fatto» (1990); «Ho compreso di dover amare il prossimo, come mai avevo fatto, così come ci ha insegnato Gesù» (1989). «Un piccolo atto di Carità vale più di qualsiasi altra cosa al mondo» (1972).
Renata non parla mai di un “prossimo” generico, ma sempre di persone concrete a cui darsi con altrettante concretezza, puntando «sullo sviluppo di tutte le nostre potenze, non sull’inibizione (non fare questo o quello)», sicura che penserà poi Dio, eventualmente alla “potatura”, «a rendere sempre più puro il nostro amore per gli altri, a non permettere la confusione se noi ci lasciamo lavorare» (1976).
Si tratta di un amore che si dirige alla persona così com’è, «che sa andare al di là dei limiti dell’altro… che sa dare anche la vita» (1974); un amore che dona senza nulla pretendere: «So che la natura giustamente reclama la sua parte, eppure al di fuori di questo non c’è vera gioia, perché la nostra gioia è nell’Amore di Dio, e Dio ci ha amati per primo! Lo stesso dobbiamo fare anche noi» (1965).
Si tratta di un amore concreto, fatto di accoglienza di ragazze in difficoltà, di giovani spesso senza avvenire, drogati, dalla condotta immorale che ritrovano la forza di cominciare una vita nuova; di aiuti di tipo logistico, economico, di sostegno morale e spirituale, fino ad interessarsi di onorari notarili, imposte di registro, lavori di restauro, allacciamenti all’acquedotto, problemi di arredamento, di illuminazione, di discariche, e altro ancora...
Non è mai filantropia. Ciò che spinge a tale amore concreto è la fede nella presenza di Gesù nel prossimo: «Gesù che si è potuto beneficare nel prossimo è certamente contento!» (1980). È così che «gli atti d’amore, che rivelano l’Amore più grande, resteranno per sempre fissi in Cielo» (1990); la carità «è l’unica cosa che resta e che ha veramente valore» (1966).
Di qui la comprensione di come deve essere compiuto un atto d’amore: «Amare vuol dire donare, e non si può donare se non ciò che si perde, come ha fatto Gesù, che per “riguadagnarci” ha perso la certezza d’essere figlio di Dio (“Dio mio…”)» (1972). Per questo «… quel che conta quando parliamo non è tanto quello che diciamo, ma l’amore con cui lo diciamo. A volte quello che colpisce le anime è il più modesto atto di carità fatto magari con enorme fatica» (1967).

venerdì 19 novembre 2010

Ripartiamo contenti

L’Assemblea provinciale degli Oblati italiani appena conclusa, è stata una esperienza di comunione vissuta nella semplicità e nella fraternità che ci ha aiutato a individuare le piste per rispondere in maniera sempre più adeguata alle urgenze della Chiesa e della società a cui siamo inviati in forza della nostra vocazione missionaria. La presenta di rappresentanti dal Senegal, Uruguay, Romania e dalla comunità di Lourdes hanno dilatato l’orizzonte al di là dell’Italia, tenendo viva la tensione missionaria. La presenza di Oblati della Provincia spagnola, ha reso ancora più consapevoli dell’imminenza dell’unificazione tra Italia e Spagna, facendoci pregustare la ricchezza di tale evento. Ugualmente determinante la presenza di laici e consacrate legati al carisma oblato che ci hanno fatto sperimentare, ancora una volta, il valore e la bellezza della Famiglia oblata in tutte le sue componenti. Il clima di preghiera hanno costituito la base per il lavoro di discernimento e di proposta di orientamenti per il progetto apostolico. Ripartiamo tutti più contenti, uniti, una sola famiglia, con il Signore tra noi. Con tanta speranza…

mercoledì 17 novembre 2010

Un futuro per la missione

Un lungo volo e sono nuovamente a Roma. Un salto per partecipare all’Assemblea degli Oblati Italiani. Vi partecipano 57 missionari Oblati, in rappresentanza delle 22 comunità presenti in Italia e delle missioni che dipendono dalla Provincia Italia: il Senegal, l’Uruguay e la Romania. Presenti anche 3 Oblati dalla Spagna, 2 consacrate, una rappresentanza di 7 laici e giovani che condividono il carisma missionario degli Oblati. Ci stiamo muovendo attorno ad alcuni punti specifici: il progetto apostolico dei Missionari Omi italiani nei prossimi anni; un aggiornamento sul 35° Capitolo generale degli Omi, conclusosi lo scorso 8 ottobre; il cammino di unificazione della Provincia oblata italiana con la Provincia oblata di Spagna. Ma soprattutto un’occasione privilegiata d’incontro tra fratelli e sorelle animati dalla stessa passione per Cristo e per la Chiesa.

lunedì 15 novembre 2010

Perché non cominciare da noi stessi?

Una giovane famiglia di amici della Slovacchia decide di dedicare parte della loro vita in un progetto sociale ed educativo in Brasile, portandosi dietro i bambini piccoli. Li ho incontrati in Agosto in Brasile. Lei è stata mia alunna. Ci raccontano la loro storia.

Pavol: Ciao tutti. Siamo Maja e Pavol. Una famiglia giovane, con due figli Ludovit (5anni) e Matej (3 anni) e veniamo dalla Slovacchia, un paese nel cuore dell'Europa. Siamo arrivati qui 3 mesi fa. E' poco, ma anche tanto, poiché restiamo qui per un anno, è già passato ¼ della nostra permanenza.
Ancora durante il nostro viaggio di nozze ci dicevamo uno l'altro il desiderio spendere un periodo, come famiglia, ad una delle “Mariapoli permanenti” del Movimento dei focolari, per esperimentare nella vita più fortemente la realtà di una forza divina che muove i cuori delle persone: la Persona di Gesù nel proprio cuore e in mezzo dei abitanti. Ma non volevamo “scegliere” noi in quale Mariapoli andare, e quando ma abbiamo “detto” il nostro desiderio a Dio e se Lui, nel suo disegno per la nostra famiglia, lo vede utile, ci avrebbe fatto capire dove, come, quando anche se non sarà tutto facile, anzi.
Quasi 2 anni fa, ci e venuta un idea, di passare un periodo proprio qui. La prima reazione di mia mamma è stata: “… e non potevate scegliere una cittadella più vicina?” Appunto, perché così lontano? Perché fare i salti mortali per passare un pezzetto di vita in un altro continente? Con una cultura così diversa? Imparare un altra lingua? Lasciare che i bambini frequentino la scuola elementare con i ragazzi a quali non si capiscono? Senza sapere in quale casa avremmo abitato, se ci saremmo abituati al clima… Ce la faremo a sopravvivere economicamente? Allora perché andare a rischiare la vita in tutte le direzioni? Già la preparazione non è stata facile... e allora?

Maja: Se dicessimo che siamo venuti qui per aiutare, non sarebbe giusto. Se dicessimo che siamo venuti qui per diminuire la povertà attraverso progetti sociali, non sarebbe vero. Se dicessimo che volevamo conoscere il Brasile, sarebbe sempre poco. Se dicessimo che siamo venuti qui qui per arricchirci sarebbe una delusione. Se fosse per compiere azioni buone..., sarebbe sempre insufficiente per una decisione così grande. Siamo qui non per sperimentare nella prima persona la vita di una vera famiglia, non solo di sangue, ma universale, per ché crediamo che è possibile volersi bene, sentirsi a casa lì dove c’è l'amore reciproco. “La casa” sono i rapporti, non le mura.

Pavol: Con tanti non ci conoscevamo… allora che famiglia? Famiglia è lì dove uno pensa e vive per l'altro. Per esperimentare sulla nostra pelle che anche se ci sono diversità di culture, e anche grandi, come pure incomprensioni, modi di pensare e di esprimersi diversi, è ugualmente possibile creare e vivere una famiglia più grande. Sperimentare in piccolo, con la propria vita, che sognare di un mondo più bello, più giusto, più unito non è un utopia, ma potrebbe essere già una realtà. Siamo all’inizio, ma già possiamo già dire che, anche se non è facile, con l'aiuto dai fratelli e delle sorelle ce la facciamo. Non si può vivere isolati. Non saremmo mai felici da soli. O si vive insieme con il vicino, o non si fa niente.

Maja: Nella cosa dove abitiamo abbiamo scoperto un problema con l'acqua. Questo problema potrebbe creare tensione, perché succede spesso. Bisogna fare di tutto per risolverlo. D'altra parte siamo molto grati perché questa difficoltà diventa una “scusa” per creare un nuovo, più forte rapporto con chi ha la manutenzione l'acqua. Senza questo problema non avremmo scoperto la bellezza di questa persona, e il dono che essa è per noi.
Ai nostri figli a collazione piace la marmellata. A volte la compravamo, ma per noi era cara. Un giorno, in un negozio, tenevo in mano la marmellata e mi dicevo: Gesù é cara. Ma tu sai quanto piace ai nostri... Quel giorno arriva una mia vicina e mi dice: Cosa dici se andiamo insieme a raccogliere more, sai quanto buona marmellata si può fare? Che gioia!!! Un centuplo di Gesù. Centuplo perché non solo per la marmellata che ho fatto a sera, e ne c'era tanta, ma anche per la conoscenza con la persona che mi ha invitato. Un altro dono grande.

Pavol: Tante volte, come famiglia abbiamo, bisogno di usare la macchina, non ce l'abbiamo. Stiamo già pregando Gesù per una che potrebbe servire anche per la famiglia che verrà dopo di noi. Un giorno Maja parla con un altro abitante del luogo, un nostro amico di questa Mariapoli: Vado a prendere i bambini dalla scuola. E lui: Avete la macchina? Ne abbiamo dieci, risponde Maja, ogni giorno una diversa. Quando andiamo a chiedere ai vari vicini di apprestarci la macchina (non è sempre facile), sperimentiamo sempre mettere in comunione la nostra necessità non è più una umiliazione ma un dono per gli altri. Chi dà riceve. Abbiamo visto che quando abbiamo dato, abbiamo ricevuto non centuplo ma mille volte di più... e si dà di nuovo.

Maja: Un giorno ho preparato un dolce per una persona che pensavo sarebbe rimasta contenta… Entro due giorni mi sono arrivate 5 torte di seguito....
Un altro giorno abbiamo ricevuto le uova. Ne avevamo già tante a casa, ma un dono è sempre un dono. Le riceviamo ugualmente, perché non dobbiamo tenerle per forza in casa nostra. Forse le riceviamo per donarle qualche altra persona, ed essere noi gli strumenti per dare a chi ha bisogno...

Pavol: Esperimentiamo che non vogliamo essere persone che sfrutta questa Mariapoli, ma piuttosto con-costruttori, dai quali dipende l'atmosfera nella città. Non riusciamo sempre a farcela, viene la stanchezza, l’incomprensione di un altra lingua, la nostalgia… Chiaro che dobbiamo inculturarci, ma è altrettanto chiaro che i nostri vicini, in questa cittadella, cercano di tutto per capirci, per darci il “cielo”... in una vita di amore reciproco. Quando non abbiamo il coraggio di andare avanti…. c'è il fratello che ci dice una parola o manda una borsa con delle banane per dirci: Vi voglio bene, andiamo avanti, ce la facciamo... Oppure capita che siamo anche noi un dono per gli altri, con una parola, un aiuto concreto o soltanto col far vedere che ricominciare sempre ad amare.

Maja: Abbiamo visto che tutto è un DONO, più è difficile da accettare, più è bello; più sembra una cosa contro senso più è gioioso; più la cosa è complicata, più diventa vera e semplice... Vale la pena a provare in prima persona che cercando di amare veramente e sinceramente, ci si sente amati e felice. Cosi è possibile un mondo più bello... Chi dà, riceve. Dà di nuovo e riceve di nuovo, finché non si arriva alla piena felicità di tutti. C'è tanto da fare affinché il mondo cambi, ma perché non cominciare da noi stessi a cambiare?

domenica 14 novembre 2010

Testimonianze di tempi duri e gloriosi


Le numerose bande di indiani, dai nomi difficile e della lingue le più diverse, che abitavano nella grandi praterie del Texas vivendo di caccia, si sentivano sempre più minacciati. Dal Sud, dal Messico, salivano gli spagnoli che li decimavano con le loro malattie. Dal nord scendevano i Comanche, guerrieri feroci che li attaccavano, insieme agli Apache.
Unica via di sopravvivenza era quella di entrare nei villaggi della missione che alla fine del 1700 i Francescani cominciarono a stabilire in questa religione come nella Louisiana, nella California…
Sono andato a visitare quelle attorno a San Antonio assieme a Bob Writer, professore di storia della Chiesa in Texas. La prima era quella che poi è diventata il famoso forte Alamo della battaglia per l’indipendenza dal Messico. Ne seguono altre, a poco più di un’ora di cammino l’una dall’altra, vicine tra di loro per potersi meglio difendere dagli attacchi di Comanche e Apache.
Le missioni consistevano in un grande quadrilatero formato da mura robuste alle quali, nella parte interna, erano addossate le case degli indiani. In uno dei quattro lati la chiesa, il convento, i granai… Tutto attorno, fuori le mura, i ranch con le irrigazioni, le coltivazioni – una novità per popoli che mai avevano lavorato la terra – l’allevamento di bestiame… Due, tre soldati, mandati in distaccamento dalla Spagna, assicuravano l’ordine e istruivano gli indiani a combattere contro gli assalti nemici. Centro economico e civile, la missione era soprattutto centro religioso: scuola, preghiera, canti…
Quando ormai i tempi erano cambianti, il Texas era diventata Repubblica e poi parte degli Stati Uniti, le missioni si sciolsero, i Francescani si ritirarono… Era ormai il tempo di passare la mano agli Oblati.
Di quei tempi rimangono le mura di cinta, le chiese, i ruderi dei conventi. Testimonianza di tempi duri e gloriosi. Monumenti nazionali, che pure continuano ad essere chiese parrocchiali e luoghi di vita cristiana.

sabato 13 novembre 2010

TGIF

“Thank God It's Friday”. Questa sera mi sono goduto questa espressione divenuta famosa in America negli anni ’70: Grazie a Dio è venerdì. Ho passeggiato per un’ora lungo via Alamo, ricca di piccoli e grandi locali affollatissimi. I giovani chiacchierano parcheggiati sul marciapiedi, dinoccolati sulle panchine. Un vento gagliardo annuncia l’arrivo dell’autunno. Le foglie ancora verdi non se ne curano, si ostinano a rimanere caparbiamente attaccate agli alberi arruffati. Gli uomini devono rassegnarsi a tenere il cappello in mano, per non vederselo portar via. Dall’alto della torre Smith-Young una gigantesca bandiera americana tutta spiegata al vento, infonde sicurezza. Si avverte quel senso di festa che fa pregustare il riposo del fine settimana. Soltanto la cattedrale di rito scozzese non si lascia andare a quel tocco di rilassatezza che si avverte nell’aria; si mantiene severa e austera nell’impassibile biancore di tempio greco. Pur nella sua freddezza riesce a farmi arrivare al cuore il messaggio scolpito sull’architrave della porta, in latino: “Spes mea in Dio est”. Mi ricorda il nome vero del “fine settimana”: è il giorno del Signore.

venerdì 12 novembre 2010

Internazionali per un mondo internazionale

Più di 100 anni fa, alle porte della città di San Antonio, gli Oblati costruirono la loro prima casa di formazione. Oggi in quello stesso luogo 15 giovani Oblati si preparano per diventare missionari. Vengono dagli Stati Uniti, ma anche dal Messico, Canada, Haiti, Zambia. Un gruppo internazionale che rispecchia il mondo americano e che può rispendere alle nuove esigenza di spiritualità e pienezza di vita.

giovedì 11 novembre 2010

Senza passato non c’è futuro

Continuo a ricevere e-mail nelle quali mi si chiede che sto facendo in giro per il mondo. La risposta è semplice, mi sto preparando al nuovo lavoro. Forse possiamo leggere insieme l'editoriale del numero di Ottobre di "Missioni OMI"

Ancora due numeri e poi la Rivista passerà in altre mani. Non sarò più il direttore di Missioni OMI, ma sarò comunque un… direttore. Sono stato infatti nominato “Direttore delle ricerche e degli studi oblati”. Ha a che fare questo con la nostra rivista e i suoi lettori? Penso proprio di sì. Provo a spiegarlo.
Sono ormai passati 150 anni dalla morte di sant’Eugenio de Mazenod, il Fondatore dei Missionari Oblati. L’opera missionaria, a cui egli aveva dato vita, si era ormai diffusa in quattro continenti. La grazia propulsiva delle origini non sarebbe più venuta meno e presto avrebbe spinto i missionari nel mondo intero. Ancora oggi gli Oblati continuano ad annunciare il Vangelo e a riunire le genti attorno a Cristo Gesù. Il Capitolo generale della Congregazione, appena concluso, è stata una ulteriore conferma della vitalità di questo grande albero che sant’Eugenio ha piantato nel 1816 e che ora ha esteso i suoi rami nelle più diverse nazioni. Se è vero che la vitalità di un albero dipende dalle sue radici ciò vale anche per una Famiglia religiosa. Gli Oblati, come ogni altro gruppo sociale, lavorano con impegno, su tanti fronti, ma a un certo momento viene inevitabile la domanda: perché lavoriamo, il metodo è quello più adeguato, stiamo andando nella direzione giusta? Per non dire degli interrogativi più “metafisici” che possono sorgere: chi siamo noi nella Chiesa, qual è lo scopo della nostra vita? È allora che si sente il bisogno di tornare alle origini, di andare alla radice, di ritrovare l’ispirazione iniziale e insieme si sente il bisogno di far fiorire nel mondo oggi l’idealità iniziale con nuova creatività. Guai a perdere le proprie radici, ne sarebbe a rischio la propria identità!
In questo momento della storia degli Oblati c’è bisogno di una nuova generazione di studiosi e di ricercatori, soprattutto in Asia, Africa e Sud America, per creare nuove e rinnovate espressioni della missione oblata in una Chiesa postconciliare.
Per questo la necessità di un servizio che coordini le diverse iniziative di studio e di ricerca già esistenti e che promuova la collaborazione e l’interscambio nel mondo globalizzato degli Oblati. Ci sono poi tanti istituti secolari e religiosi, come pure tanti laici, che hanno le loro radici nel carisma oblato; anche quelli occorrerà coinvolgere in un comune progetto carismatico e missionario. Sarà questo il mio compito. E chissà che qualche lettore della rivista non senta la vocazione allo studio e alla ricerca in questo campo.

Ma il tema delle radici vale un po’ per tutti. Una componente fondamentale per la salute e l’unità di qualsiasi famiglia è quella di saper raccontare la storia dei genitori, dei nonni, dei bisnonni, degli zii. Si è orfani e soli, senza una storia da raccontare, senza una piccola “epopea familiare” di cui sentirsi parte ed eredi. Ancora di più tutto ciò vale per il nostro essere cristiani. Ogni domenica celebriamo il “memoriale” della cena del Signore, un autentico ritorno alle radici della nostra vita: riviviamo il mistero della morte di Gesù e della sua risurrezione, ne siamo coinvolti, ne diventiamo protagonisti, co-attori. Ogni giorno dovremmo prendere in mano il Vangelo e leggere anche soltanto poche righe, quanto basta per riprendere contatto con le radici, con la Radice, la Vigna, di cui noi siamo i tralci. Come essere cristiani senza andare alle fonti della nostra fede? Non rischiamo di perdere la nostra identità?
L’ottobre missionario ci ricorda che non si può annunciare Cristo se non si è radicati in lui, se in noi non sale la sua linfa di vita. Allora… in profondità nel nostro humus vitale!

Dallas, città della “Bible belt”

Avevo letto che Dallas si trova nella “Bible belt”, quella particolare fascia dell’America che costituisce appunto una “cintura biblica”. Nella mia ignoranza pensavo che il nome dato a questa regione fosse dovuto al fatto che vi si nutre un particolare amore per la Bibbia e la si vive intensamente. Mentre viaggiavo verso la città mi è crollato il bel castello che mi ero costruito. Mi dicono che “Bible belt” è sinonimo di zona con maggioranza protestante. Perché, mi viene da pensare, la Bibbia è esclusiva dei Protestanti? Seconda delusione: “Bible belt” in pratica significa che in questa zona c’è un pullulare di chiese e comunità di ogni genere. Come, la Bibbia invece che unire divide? Terza delusione: “Bible belt” indica anche che qui si pratica una lettura letteralista e fondamentalista della Bibbia. Conseguenza di questa terza accezione di “Bible belt”: adesso questa regione è la più atea degli Stati Uniti. Lo credo bene, come fa uno che conosce anche appena la storia e la scienza e che legge la Bibbia in maniera letterale a non ritenere questa un libro antistorico e antiscientifico? Ne ho avuto la riprova ieri sera al telegiornale, quando hanno intervistato alcuni pastori protestanti atei. “Non posso più credere all’arca di Noè, ha detto uno di loro, quindi la Bibbia non può essere vera”. Continuano il loro ministero di pastori perché non hanno altro lavoro… La lettura fondamentalista si ostina a rimanere alla superficie del testo, senza che esso diventi un cammino per un autentico incontro con la Parola di Dio e un’esperienza profonda con lui. È una lettura miope, fatta da soli, senza il grande respiro di tutta la Chiesa.
Sta per essere pubblicata l’esortazione apostolica di Benedetto XVI sulla Parola di Dio nella vita della Chiesa. La leggeremo d’un fiato e ci spingerà a rileggere con rinnovata passione la Bibbia, per scoprirvi Dio e il suo messaggio di salvezza, per entrare in un dialogo sempre più profondo con lui, per vivere la nostra comune figliolanza.

lunedì 8 novembre 2010

Chissà se sarò mai un povero parroco di campagna...

Vicino a Nixon un altro villaggio di campagna: Smily, 450 abitanti. Entrambi “quattro case e un campanil”. O meglio, i “campanili” sono più di una decina, quasi più le chiese delle case; accanto a quella cattolica, la chiesa metodista, battista e altre delle più varie denominazioni. Oltre alla divisione delle Chiese mi ha impressionato vedere a Nixon la divisione dei cimiteri, uno per quelli di lingua “inglese” e uno per i “latino americani”; nemmeno da morti si può vivere insieme! Ma a messa ho visto una bella comunità unita, che ha ormai superato queste divisioni e si prega un po’ in inglese un po’ in spagnolo, in un simpatico miscuglio. E quando la comunità mangia, nella sala parrocchiale, non mangia né inglese né spagnolo, ma mangia semplicemente il tacchino ripieno che gli uomini di Nixon hanno cucinato durante la notte nel più grande barbecue del Texas che sembra una locomotiva. Tutti uniformati dalla maglietta parrocchiale con la scritta “Al servizio di Gesù Cristo” e tutti al lavoro per tirar su un po’ di soldi per la chiesa… Smily, con la sua gente allegra e i campi silenziosi mi ha lasciato il segno. Chissà se sarò mai un povero parroco di campagna…

domenica 7 novembre 2010

Basilico salvia e rosmarino

“Basilico salvia e rosmarino”. Così p. Alfonso Gioppato intitolerà il libro che scriverà sulla sua vita… se mai lo scriverà. Italia, Ciad, Canada, Zambia, Texas… ovunque è andato, nel suo lungo peregrinare missionario, ha sempre piantato queste tre piante, indispensabili per ogni buona cucina italiana. Perché ovunque va p. Alfonso rallegra ogni comunità oblata con la sua squisita arte culinaria (il parroco di Eagle Pass usava il rosmarino di p. Alfonso per aspergere con l’acqua benedetta!). Ora è giunto agli estremi confini del mondo, Nixon, uno sperduto paesino del Texas, dove oggi sono venuto a trovarlo. Per prima cosa ho raccolto il rosmarino, piantato proprio all’ingresso della chiesa, perché potesse prepararmi le costolette di agnello. Con il suo buon umore e la sua cordialità è la gioia della gente e degli Oblati di San Antonio che va a trovare ogni settimana. Vive qui solo, in una casetta prefabbricata, praticamente una baracca, come la maggior parte della sua gente.
Nixon ha 100 anni, fondata da un omonimo membro del parlamento che ha portato qui la ferrovia. 2000 abitanti, per la maggior parte immigrati dal Messico, forse tanti illegali. Una sola industria - carne di pollo - che impiega un centinaio di persone. Poi allevamento di bestiame che pascola all’aperto nei ranch disseminati su distese di terre a perdita d’occhio. Grande, tutto è grande in Texas. La vita, in questa cittadina sperduta, sembra piuttosto magra, a vedere il tenore delle case di legno e i mercatini domestici sui prati davanti casa. Eppure tutti affogano nel verde, nello spazio, su strada larghissime tra i campi, nel più grande silenzio… L’auto è assolutamente indispensabile, altrimenti si sarebbe persi. Un’America non molto nota, che pure ha un suo fascino.

sabato 6 novembre 2010

Bibbia stella polare della storia. E di ogni uomo

Una riflessione di Fabio Ciardi ricorda il ruolo imprescindibile della Sacra Scrittura nel dipanarsi dei destini dell’umanità, e non solo dal punto di vista religioso: ogni ricerca del bello, del vero o del bene deve prima o poi fare i conti con il Libro

Recensione di Maurizio Schoepflin sul libro "La storia di Dio e la mia": "Avvenire" 6 novembre  2010 p. 25.

«Che mondo sarebbe senza la Bibbia?». Non vorrei apparire irriverente iniziando la recensione di questo bel volume con lo scimmiottare un ben noto slogan pubblicitario. Ma la domanda è legittima e la risposta obbligata: diciamo pure che il mondo, il nostro mondo non esisterebbe neppure. Una volta tolto il Libro Sacro, scomparirebbe l’intera storia dell’umanità, almeno come essa è venuta sviluppandosi lungo i secoli fino a oggi. «La Bibbia – scrive Fabio Ciardi, missionario oblato di Maria Immacolata e docente presso il Claretianum – è il punto di riferimento imprescindibile della nostra cultura, la stella polare a cui si sono orientati tutti, credenti e non credenti, quando hanno cercato il bello, il vero e il bene, magari anche per respingerne la guida e vagare altrove». Dunque, non v’è alcun dubbio circa il fatto che la Sacra Scrittura occupi il posto centrale nella millenaria vicenda della civiltà occidentale; ma essa non è soltanto il "grande codice dell’umanità": nella Bibbia – afferma ancora Ciardi – «trovo la storia di Dio e anche la mia». Ecco un punto decisivo. Nella Scrittura si svolge uno straordinario dialogo: il Padre parla con i figli e i figli parlano con il Padre, perché una sola è lingua che li accomuna. Tale dialogo conosce il punto più alto e la realizzazione definitiva in Gesù Cristo, il Verbo fatto carne, il comunicatore perfetto che ha rivelato pienamente Dio all’uomo. Scrive a questo riguardo l’autore: «Le parole della Bibbia m’incantano. Ma la Bibbia svela qualcosa che va al di là delle parole, svela una persona: Gesù. Il cristianesimo non è soltanto o primariamente un ideale, un’etica, un sistema organico di verità; è la persona di Gesù e l’adesione a lui».

Frutto di un ciclo di conferenze tenute a Cuba, il libro è diviso in tre capitoli che mettono in luce l’iniziativa di Dio che si rivolge all’uomo, la risposta di questi alla sollecitazione divina e, infine, la feconda relazione che viene a instaurarsi tra il Signore e l’umanità sulla base della Parola custodita proprio nella Sacra Scrittura. Giovanni Crisostomo racconta che, ai suoi tempi, a Costantinopoli c’erano donne e ragazzi che portavano legato al collo il libro dei Vangeli per averlo sempre con sé. Usanza davvero suggestiva che ci fa comprendere quanto grande sia sempre stato l’attaccamento dei credenti alla Parola di Dio. Oggi, una tale usanza forse farebbe sorridere, ma la vicinanza del Libro Sacro all’uomo è più profonda di quanto si possa immaginare. Ha affermato Elias Canetti: «Anche se non la leggi, tu sei nella Bibbia».

La croce oblata passa di casa in casa

L’associazione dei laici associati agli Oblati è stata fondata, qui a San Antonio, nel 1955. Da allora questo gruppo di persone che segue e condivide con amore la vita degli Oblati si incontra con regolarità per pregare insieme, approfondire la nostra spiritualità e trovare sempre nuovi modi per collego rare con gli Oblati. Questa mattina sono stato con loro. Ciò che più mi ha colpito è il passaggio da una famiglia a un’altra della croce dell’Oblato che iniziato l’associazione in questa regione e che è morto pochi anni fa. Per questo mese la croce oblata rimane nella famiglia di Rosa e Mick Cantu, la prossima settimana sarà un’altra famiglia ad averla nella propria casa, strumento di preghiera, segno della comunione con i membri dell’associazione e gli Oblati. Il Crocifisso è ancora legame di unità. Domani, sabato, sarà la volta dei giovani: in 250 si riuniranno qui nella grotta dell’Immacolata, provenienti da varie parrocchie oblate del Texas. Così la vita continua…