martedì 31 marzo 2020

Quaresima: in viaggio con gli amici


Eccoci dunque in cammino, verso la meta, ricordando l’anelito di Paolo che condividiamo appieno: «Verremo rapiti insieme nelle nubi – abbiamo letto nel primo scritto del Nuovo Testamento –, per andare incontro al Signore in alto, e così per sempre saremo con il Signore (1 Tess 4, 17).

Questa volta in questa parola di Paolo mi ha colpito quell’insieme. Egli non corre da solo verso la meta.
Che tristezza viaggiare da soli. Si può intraprendere un viaggio per affari, per andare a trovare qualcuno…  e allora si può anche essere soli. Ma un viaggio vero, di quelli che si preparano con cura, quando la notte prima non si dorme perché eccitati all’idea della partenza, va intrapreso insieme. Il tempo passa più in fretta, ci si incoraggia, se capita di sbagliare strada ci si aiuta, si condividono le scoperte, le gioie, le difficoltà... Guai ad avventurarsi nel cammino della vita senza compagni di viaggio. Insieme è più sicuro e la meta è certa.
E se anche ci sentissimo soli, la Lettera agli Ebrei ci ricorda che siamo comunque «circondati da una moltitudine di testimoni» – coloro che dal cielo ci incoraggiano e ci sostengono avendo già raggiunto la meta – ed esorta a correre «con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (12, 1-2).
Mai come adesso che siamo costretti a restare chiusi in casa sentiamo così forte il desiderio di stare vicini. Non abbiamo mai usato i mezzi di comunicazione come adesso per condividere il comune cammino.

Mai come in questi giorni scopriamo un’altra presenza amica lungo il nostro cammino. Anche nella solitudine più dura qualcuno ci è accanto, silenzioso e fedele. L’ha promesso: “Sarà con voi sempre, fino in fondo, fino alla meta” (Mt 28, 20). La “Via”, si fa con noi Viatore. La strada la conosce bene: siamo diretti verso casa sua, là da dove egli è venuto.
“In tutti i tuoi passi pensa a lui ed egli appianerà i tuoi sentieri” (Pro 3, 6).


lunedì 30 marzo 2020

Via Crucis in tempo di Coronavirus - X stazione


X Stazione: Gesù spogliato delle vesti

Tutti e quattro i Vangeli dicono che i soldati si divisero le vesti. Non dicono che furono i soldati a spogliare Gesù.
Si spogliò da solo. Fu l’ultimo gesto, uguale al primo quando, Verbo, si fece uomo: “Pur essendo nella condizione di Dio… spogliò se stesso assumendo la condizione di servo” (Fil 2, 6-7).
L’aveva fatto anche la sera prima, nel cenacolo, quando “depose le vesti” per lavare i piedi di discepoli (Gv 13, 4).
Si spoglia, dà la vita, come buon Pastore.

La piccola e povera Albania questi giorni si è spogliata di un manipolo di medici e infermieri per rivestire l’Italia. C’è ancora chi è pronto a rinunciare a se stesso, sull’esempio di Gesù, e servire e dare la vita per l’altro.

Di quante cose dobbiamo ancora spogliarci per ritrovare la nudità di Adamo e di Eva, la semplicità di vita.
Liberarsi del superfluo, da tante sovrastrutture, inutili, che ci siamo messi addosso e appesantiscono il nostro cammino.
Liberarsi donando, come Gesù.

domenica 29 marzo 2020

Via Crucis in tempo di Coronavirus – IX stazione




Nona stazione: Gesù cade la terza volta

La pietà popolare ha immaginato tre cadute lungo il cammino verso il Calvario. Chissà, forse saranno state anche di più… Ma quel numero tre sta a significare il peso di un’oppressione enorme che schiaccia a terra Gesù.
“Egli portò i nostri peccati nel suo corpo, sul legno della croce” (1 Pt 2, 24).
“Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore” (2 Cor 5, 21).

Che pesi enormi sta caricando l’epidemia, specialmente sui più poveri, su quelli che vivono del lavoro giornaliero e che d’improvviso si trovano senza di che poter vivere. E quante cadute in depressione…

“In tutti i tuoi passi pensa a lui ed egli appianerà i tuoi sentieri” (Pro 3, 6).
Ci sei accanto, in ogni nostra caduta:
“mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra” (Sal 39, 10);
“tu mi hai preso per la mano destra.
Mi guiderai con il tuo consiglio
e poi mi accoglierai nella tua gloria” (Sal 73, 23-24).


sabato 28 marzo 2020

Come usciremo da questa tomba?


Lazzaro, vieni fuori!” (Gv 11, 1-44)

La resurrezione di Lazzaro!
Mi vengono in rilievo tre osservazioni leggendo il denso racconto di Giovanni.

1. La calma con la quale Gesù affronta la situazione. Gli fanno sapere che l’amico sta male e lui continua tranquillamente il suo lavoro e lascia passare due giorni preziosi. Poi gli ce ne vogliono altri quattro per arrivare a Betania. Troppo pardi, Signore: hai fatto passare una settimana… Sia Marta, sia Maria, sia i Giudei lo rimproverano: “Signore, se tu fossi stato qui…”; “non poteva far sì che non morisse?”.
Quante volte vorremmo piegare Dio ai nostri ritmi, alle nostre esigenze. Lui conosce i tempi meglio di noi.

2. Gesù ama davvero, con il cuore, in maniera molto umana. Davanti al dolore di Marta e Maria il Vangelo dice che si commuove, anzi, “si commosse profondamente” (ripetuto due volte!), rimane “molto turbato”, infine “scoppiò a piangere”.
Scoppiò a piangere, dakryein, in greco, l’unica volta che in tutto il Nuovo Testamento viene usata questa parola, molto diversa dal “lamento”, klaien, di Maria e dei Giudei.
Un Dio che si commuove profondamente, che rimane molto turbato, che scoppia a piangere davanti alla morte e al dolore che la morta provoca. Non è un Dio lontano, impassibile, è Dio che s’è fatto vicino e umano, capace di condivisione.
Anche noi siamo chiamati ad amare con l’intensità d’amore di Gesù.

«Adoro i fremiti di Gesù e le sue lacrime ai piedi della tomba di Lazzaro», scriveva sant’Eugenio de Mazenod riferendosi a chi gli rimproverava di essere troppo sensibile e di piangere quando gli morivano gli Oblati. «Non concepisco come possano amare Dio coloro che non sanno amare gli uomini degni di essere amati. Non penso neppure lontanamente di disconoscere o semplicemente di nascondere i miei sentimenti. Non posso fare altro che ringraziare Dio per avermi dato un’anima capace di comprendere meglio quella di Gesù Cristo, nostro Maestro. “Chi non ama non conosce Dio perché Dio è Amore”. E questo amore non è speculativo e non astrae dalla persona. Bisogna amare qui in terra per permettersi di amare Dio per il quale, nel vero senso, si amano le sue creature, tanto che l’Apostolo dice “chi infatti non ama il fratello che vede, come può amare Dio che non vede?”. Non c’è una via intermedia: “Abbiamo questo comandamento: chi ama Dio ami anche il fratello”. Si studi san Giovanni, si scruti il cuore di san Pietro e il suo amore per il divin Maestro, si approfondisca, soprattutto, ciò che sgorgava dal cuore di Gesù Cristo che amava, non solo tutti gli uomini, ma in particolare i suoi Apostoli e i suoi discepoli, e poi si abbia il coraggio di venire a predicarmi un amore speculativo, privo di sentimenti, senza affetto!».

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3. L’elemento centrale di tutto il racconto sono naturalmente le parole di Gesù: “Lazzaro, vieni fuori!”. L’invito finale: “Liberàtelo e lasciàtelo andare”, è ormai l’attestazione della liberazione da ogni legame di morte. Gesù è davvero ciò che si è proclamato: Io sono la “risurrezione e la vita”.

La domanda che mi pongo, nel mezzo della pandemia che stiamo vivendo, è: cosa accadrà quando anche noi sentiremo: “Vieni fuori?”.
Siamo come Lazzaro chiusi in casa, legati mani e piedi. Altro che quattro giorni!
Cosa faremo quando finalmente usciremo dalle nostre tombe?
Correremo all’impazzata nei centri commerciali, in pizzeria, ci daremo a consumare più di quanto possiamo permetterci, torneremo ad essere indifferenti gli uni gli altri…?
Se fosse così vorrebbe dire che non abbiamo imparato niente da questa tragedia.
Non è questa la liberazione dalla morte che Gesù ha dato a Lazzaro.

Dovremo avere imparato a stare con i nostri bambini, a prestare maggiore attenzione agli anziani, a rispettare il lavoro umile di tante persone anonime.
Dovremo avere riscoperto l’importanza dei legami familiari e di vicinato.
Dovrebbe essere caduto ogni tipo di barriera, sapendoci tutti ugualmente vulnerabili, al di là delle differenze di culture e di nazioni, come anche tra ricchi e poveri: il male comune ci fa capire il bene comune. Saremo diventati più umani, più fratelli?
Dovremo avere acquistato un maggiore senso dello Stato e dell’importanza della politica, del valore della società civile e dei suoi servizi.
Dovremo essere diventati più umili: non siamo i padroni del mondo, non possiamo sfruttare e manipolare la natura a nostro piacimento, crederci invincibili a causa della scienza e della tecnica.
Dovremo avere imparato a prendere più tempo per pregare, a fidarci di Dio. Dovrebbe essere cresciuta la nostra sete della Parola di Dio e dell’Eucaristia, della comunità cristiana riscoperta luogo della presenza di Dio tra noi.


venerdì 27 marzo 2020

Rimettiamo a fuoco la meta?


Pensavamo fosse una Quaresima come le altre. L’abbiamo immaginata, com’è in realtà, un cammino. Ma come potevamo immaginare che fosse un cammino così avventuroso?
Navighiamo a vista, giorno per giorno, senza sapere dove andremo a finire. Anzi, non camminiamo proprio, non siamo mai stati così fermi come adesso, chiusi in casa, peggio della clausura monacale.
All’improvviso ci siamo riscoperti fragili. Pensavamo che la scienza e la tecnica ci avessero resi capaci di dominare la natura e gli eventi. È bastato un esserino dal diametro 600 volte più piccolo di quello di un capello per arrestare la corsa pazza con la quale ci eravamo lanciati verso un progresso che credevamo senza limiti. Adesso tutto è bloccato.
E il nostro cammino?
Va ripensato.
Forse più che un cammino il nostro era una corsa senza una meta, un girovagare sedotti da mille attrattive che come luci lampeggianti s’accendono qua e là e ci abbacinavano.
È proprio il momento di fermarsi e chiederci dove stiamo andando, dove vogliamo andare.


Forse potremmo cominciare proprio col mettere a fuoco la meta.
Può esserci un viaggio senza una meta? Più che un viaggio sarebbe un girovagare a caso. Che squallida e povera una vita senza una meta. È la meta che dà senso al viaggio. Più essa s’annuncia bella e lontana, più accende il desiderio e fa bruciare dall’ansia di raggiungerla. Senza una meta non si parte nemmeno. E la meta deve continuare a brillare dinnanzi anche quando si è già intrapreso il cammino: è la sola che lo motiva e lo sostiene.
Forse ci siamo smarriti fermandoci alle tappe, confondendole con la meta. Ci siamo dimenticati che la nostra meta è l’incontro con Dio. Non è Lui che ci attende al termine del viaggio? «Verremo rapiti insieme nelle nubi – leggiamo nel primo scritto del Nuovo Testamento –, per andare incontro al Signore in alto, e così per sempre saremo con il Signore (1 Tess 4, 17).
Forse non lo conosciamo abbastanza e allora ci viene da pensare: che noia stare “sempre” con qualcuno che non conosciamo.
E pensare che il cammino è fatto proprio per scoprirlo, per conoscerlo, per innamorarsi di Lui.
I più vecchi di noi ricordano ancora la domanda del catechismo: “Per qual fine Dio ci ha creati?”, e la risposta, semplice semplice: “Dio ci ha creati per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e per goderlo poi nell’altra in Paradiso”.
Più lo conosciamo più lo amiamo, più lo amiamo più lo conosciamo. Allora cresce il desiderio di andare da lui e di “stare sempre con lui”. Forse sarà lui a venirci incontro, perché anche lui ha un gran desiderio di incontrarsi con noi: siamo la sua meta!
L’ultima pagina della Bibbia si conclude proprio con questa invocazione:
“Vieni!”. E Gesù risponde: “Sì, vengo presto!”. E ancora “Vieni, Signore Gesù» (Ap 22, 12.17.20).

giovedì 26 marzo 2020

Via Crucis in tempo di coronavirus – VIII stazione


Ottava stazione: Gesù incontra le donne di Gerusalemme

È Luca a raccontarci che, assieme a una grande folle, anche donne in pianto seguivano Gesù (23, 28-31). Luca è sempre attento alla presenza amorosa delle donne attorno a Gesù, discepole fedeli che lo seguono fino ai piedi della croce.
Gesù è grato di non essere lasciato solo sulla via del Calvario, ma pensa soprattutto a quella folla che lo segue, sulla quale è ormai immanente la sciagura della distruzione di Gerusalemme: non pensino a lui, pensino a cambiare vita: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli».

Quante donne piangono oggi la morte dei loro cari. Quale grande sciagura si è abbattuta su di noi con questa pandemia. Ma dobbiamo piangere tante altre morti dimenticate: i 7000 bambini falciati ogni giorno dalla fame, i 100 soldati uccisi l’altro ieri da Boko Haram in Ciad, quelli delle guerre senza fine, dei cartelli della droga, dei profughi nei deserti e nei campi di detenzione...

Se hanno trattato te così, che sei il “legno verde”, che ne sarà di noi “legno secco”? Dovremmo essere tagliati e bruciati. Che altro meritiamo nella nostra cattiveria?
Per fortuna poco dopo dirai: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (23, 34). Ci scusi, ti metti dalla nostra parte, ci difendi, nel tuo amore infinito.
Non dobbiamo fare anche a noi così con i nostri fratelli?


mercoledì 25 marzo 2020

Oggi come nel deserto di apa Pafnunzio


La diffusione del Covid-19 ha cambiato improvvisamente lo stile e i ritmi delle nostre giornate. Non più frenetiche e divise tra mille impegni, vissute nelle strade affollate e nel traffico rumoroso delle nostre città.
La nostra quotidianità per certi versi ora non è poi così diversa da quella dei Padri del deserto.

Chi erano? Monaci dei primissimi tempi dell’era cristiana che scelsero il deserto e la vita solitaria per un contatto diretto e totale con Dio, interamente dediti alla preghiera.
Testimoni di una fede cristiana vissuta nella semplicità e nella radicalità.
Ciardi raccoglie e riscrive alcuni detti che attribuisce ad apa Pafnunzio, la cui identità rimane indefinita: è il protagonista del libro, di taglio narrativo. Brevi racconti, spaccati di una vita immersa nella contemplazione e nella ricerca di Dio, scritti in una prosa raffinata e piacevole.
Pagine che offrono agli uomini e alle donne di oggi un’oasi di pace, di riflessione e di serenità nel frastuono della vita quotidiana.

Così sul sito di Città Nuova, per il quale ho raccontato brevemente il libro:


Mi stanno arrivando tanti messaggi. Eccone solo alcuni:

- Quando ho comprato il libro l'ho letto di getto ma poi ci sono ritornato per gustarlo passo passo…
- Mi hanno sempre attratta, direi... affascinata i suoi racconti di apa Pafnunzio... Questa forzata "clausura" è l'occasione per riprenderli. Grazie per avermene fatto memoria.
- Un bell'accompagnamento in questi giorni.
- Un tuffo in Dio! Dio tra noi, Dio in noi e Dio in questo dolore immane.
- Sapienza genuina! Fa tanto bene, a me.

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Si possono richiedere anche sui comuni siti di vendita di libri.

martedì 24 marzo 2020

25 marzo: Buon anno!



Sì, Buon anno, perché secondo i nostri antichi 
il nuovo anno iniziava il giorno dell’Annunciazione.
Così anche nel Granducato di Toscana, fino all’unità d’Italia.

Con l’Incarnazione del Verbo inizia davvero un’era nuova.
Di nuovo si sprigiona tutta la potenza creatrice di Dio, come ha assicurato l’angelo a Maria: “Niente è impossibile a Dio”.
È più della creazione, è Dio che viene sulla terra, che si fa uomo, uno di noi.
E trova casa nel grembo di Maria.

E l’Incarnazione continua in ognuno di noi, che si fa cristoforo, tra di noi, nella Chiesa…
In ognuno Maria, in ognuno Gesù.

Buon anno!

lunedì 23 marzo 2020

Ancora sul cieco nato


Il Papa all’Angelus ci ha invitati a rileggere con attenzione il capitolo 9 del Vangelo di Giovanni, ascoltato alla messa. L’ho fatto anch’io e davvero, come dice il Papa, si scoprono sempre cose nuove.
Mi è venuto in rilievo, ad esempio, il cammino graduale del discepolo.
Prima, alla domanda se sapeva dov’era chi lo aveva guarito, il cieco che ha riacquistato la vista, risponde: “Non lo so”. Gesù gli è andato incontro, ma lui ancora non lo conosce.
Più avanti, alla domanda “Tu, che dici di lui?”, risponde: “È un profeta”. È un passo in avanti.

A questo punto è dichiarato discepolo di Gesù: “Tu sei suo discepolo”. Questo che sulla bocca dei farisei vuole essere un insulto, è il più bel riconoscimento che l’uomo può ricevere, vuol dire che è sulla buona strada. Lo cacciano fuori: è l’esclusione da un certo mondo per entrare in un altro.

Da buon discepolo continua il cammino, fino a comprendere l’origine divina di Gesù: i farisei gli dicono che non sanno di dove sia Gesù ed egli risponde: “Proprio questo è strano, non sapete che egli è da Dio?”
Finalmente l’approdo alla piena conoscenza, espressa in una confessione di fede con la bocca e tutta la persona: “Io credo, Signore”, e gli si prostra innanzi.

Giovanni invia ognuno di noi ad avvicinarci sempre più Gesù, a conoscerlo, a entrare in comunione con lui, a vivere nel suo mondo. È un cammino che può incorrere nello scherno, nel rifiuto, nell’esclusione: “Se hanno perseguitato me…”.
Ma guadagna l’intimità con Dio, porta nella luce, per essere luce a nostra volta.

domenica 22 marzo 2020

Via Crucis al tempo del Coranavirus: VII stazione


VII Stazione: Gesù cade la seconda volta

La croce la porta ormai Simone di Cirene, eppure Gesù cade ancora una volta.
È un altro il peso che lo accascia:
“Si è caricato delle nostre sofferenze,
si è addossato i nostri dolori…
schiacciato per le nostre iniquità…
portava il peccato di molti” (Is 53, 4-5.12).

Chi si sarebbe mai aspettato che la nostra società, così sicura di sé, potesse essere messa in ginocchio in così pochi giorni, contemporaneamente in tutto il mondo. Gesù si è lasciato trascinare per terra per essere vicino a chi cade.

Quante cadute nella nostra vita! Quanti sbagli… A volte verrebbe da scoraggiarsi, da gettare la spugna e arrendersi.
Quando siamo a terra ecco che ci troviamo accanto Gesù, caduto anche lui, mai così vicino come in quel momento, che condivide la nostra caduta, il nostro sbaglio…


sabato 21 marzo 2020

Una luce che accende la luce



Gesù si trova a Gerusalemme. Ha appena celebrato la festa delle Capanne. 
“Passando vide un uomo cieco dalla nascita”. (Gv 9, 1-41)
Il cieco che Gesù vede è un mendicante che chiede l’elemosina, seduto per terra, al solito posto, da anni.
A differenza di Bartimeo - il cieco di Gerico, anche lui mendicante lungo la strada - quello di Gerusalemme è un cieco anonimo. Bartimeo, appena sente che passa Gesù, balza in piedi, comincia a gridare, a chiamarlo per nome, con insistenza, senza che nessuno riesca a trattenerlo, fino a quando riesce a ottenere che gli sia resa la vista ed è guarito.
Il cieco di Gerusalemme neppure avverte che sta passando Gesù e che non si scompone. Ma Gesù lo vede: “Passando vide un uomo cieco dalla nascita”. L’iniziativa di ridargli la vista è una iniziativa di Gesù, mosso semplicemente da compassione, nessuno glielo chiede.

Gesù “vede” una situazione di sofferenza, ha compassione, opera. 
Possiamo essere come Bartimeo e gridare verso Gesù con tutte le nostre forze perché ci guarisca, abbia misericordia di noi… Oppure possiamo essere come questo cieco anonimo, che solo per il fatto di essere una persona bisogna attira lo sguardo di Gesù e il suo amore misericordioso. Gesù, in ogni caso, ci guarda, ci ama, ci è accanto: per questo è stato mandato nel mondo.
Il Padre l’ha mandato nel mondo per essere “la luce del mondo”. 

E il cieco recupera la vita: “Io ci vedo!”. 
È commovente sentire questo povero che ripetere per tre volte “Io ci vedo!”. Diventa la sua identità: “Sono io, io ci vedo”. Quest’uomo, che non aveva nome, ora ha un nome nuovo: “Sono io che ci vedo!”. Si chiama “Ci vedo”.
Gesù non gli ha dato solo la vista fisica, gli ha aperto il cuore e l’ha inondato di una nuova luce, gli dà occhi nuovi che gli consentono di guardare Gesù e di vedere il lui il Figlio di Dio.
La sua parola definitiva è “Credo”. “Io ci vedo” diventa: io vedo chi sei veramente e credo in te.
Il suo nome nuovo da “Io ci vedo!”, diventa “Io credo”.

Gesù è luce, illumina, e accende una nuova luce: il cieco è ora luce che testimonia davanti a tutti che Gesù è un profeta, e illumina a sua volta.
Gesù continua a passare, e vede, e illumina e trasforma in luce… 
“Sono io, io ci vedo, io credo”.


venerdì 20 marzo 2020

Anche loro condividono la solitudine con noi


  
Ieri
Oggi
Due immagini, tra le tante che fissano l’esperienza di questi giorni: il Papa che va da solo a incontrare il Crocifisso miracoloso di san Marcello al Corso e quello del Vescovo di Prato che mostra la Sacra Cintola a una piazza vuota.
Sembra che il Crocifisso e Maria condividano con noi la solitudine forzata dello stare a casa, facendosi sentire più vicini che mai.

Papa Francesco va da solo nel Corso e trova il Crocifisso, che non attorniato, come di solito da tanta gente, anche lui se ne sta chiuso in casa, da solo.

È un crocifisso amato a Roma. Il primo suo “miracolo” risale al 1519 quando, nella notte del 23 maggio, un incendio distrusse la chiesa. Il mattino seguente, agli occhi della gran folla di romani accorsi sul posto, si presentò una scena di grande desolazione: il tempio sacro era ridotto in macerie ma fra le rovine ancora fumanti, appariva integro il crocifisso dell’altare maggiore, ai piedi del quale ardeva ancora una piccola lampada ad olio. Questa immagine colpì molto i fedeli tanto da spingere alcuni di loro a riunirsi ogni venerdì sera per recitare preghiere ed accendere lampade.
Tre anni dopo l’incendio, Roma venne investita da quella che gli storici della città ricordano come la “Grande Peste”, un vero flagello che portò desolazione e morte. In preda allo sconforto il pensiero andò al crocifisso miracoloso di San Marcello e forte fu il desiderio di portarlo in processione per le vie della città. Questo sentimento popolare vinse anche il divieto delle autorità, che per paura di far sviluppare ulteriormente il contagio, avevano vietato qualsiasi assembramento di persone. Il Crocifisso dunque venne prelevato dal cortile del convento dei Servi di Maria, dove era stato temporaneamente sistemato, e portato in processione per le vie di Roma verso la basilica di San Pietro. La processione durò ben 16 giorni: dal 4 al 20 Agosto del 1522. Man mano che si procedeva, la peste dava segni di netta regressione, e dunque ogni quartiere cercava di trattenere il crocifisso il più a lungo possibile. Al termine, quando rientrò in San Marcello, la peste era del tutto cessata: Roma, ancora una volta, era salva.
Nella prima domenica di Quaresima del 2000, il 12 marzo, San Giovanni Paolo II celebrò la "Giornata del perdono", con la quale il Santo Padre, a nome di tutta la Chiesa, chiese pubblicamente perdono delle colpe del passato. Lo fece abbracciando quell’immagine miracolosa del SS. Crocifisso, esposto per l’occasione sull’altare della confessione della Basilica Vaticana.


Ieri
Oggi
Il 19 marzo, al termine del rosario, il vescovo Giovanni Nerbini esce, accompagnato dal sindaco Matteo Biffoni, sul Pulpito di Donatello e mostra la Sacra Cintola di Maria alla piazza, vuota. 

Questa “ostensione” esula dal calendario canonico. Ci vuole comunque la presenza del sindaco, perché due delle tre chiavi che aprono il luogo in cui è riposta, le ha in custodia il Comune.
Abitualmente la piazza è gremita. Questa volta è solitaria.
Le parole del vescovo sono potenti:

La Sacra Cintola, stasera, è tornata a legarci in modo specialissimo, facendoci sentire tutti – più che mai – una famiglia di famiglie, un’unica grande comunità, quella dei pratesi di vecchia origine e di nuova – più o meno nuova – provenienza. Penso ai cittadini di origine cinese: il virus in poche settimane sta iniziando ad abbattere muri che quasi trent’anni di convivenza non erano riusciti a scalfire.

Abbiamo compiuto un gesto molto importante per chi ha fede: mettere consapevolmente tutta la nostra vita e la nostra storia personale e comunitaria nelle mani di Maria che sappiamo essere Madre premurosa.
Questo tempo così difficile, carico di dolore per molti, può trovare un senso e una sua dimensione provvidenziale se sapremo tornare a dare valore al significato della nostra vita e alle relazioni con gli altri.
Tutto non sarà come prima, questa esperienza dolorosa ci cambierà e ci deve cambiare nel modo in cui guardiamo ai problemi del mondo. I morti da coronavirus sono numero importante, quanta sofferenza per queste persone proviamo tutti. Intanto ho scoperto che ogni giorno nel mondo muoiono di fame 7000 bambini e ho provato un senso di grande vergogna. Non riusciamo a scandalizzarci e a provare vergogna per questi bambini colpiti non da un virus sconosciuto ma da un sistema in cui siamo tutti corresponsabili. Non ci possiamo svegliare solo quando l’acqua tocca le nostre caviglie. La barca è una. Vivere dissennatamente mette in crisi il mondo intero.
Dopo decenni di cultura dell’individualismo, della frammentazione, del privato che prevale sulla vita comune, di colpo siamo costretti a riprendere consapevolezza che non possiamo fare a meno delle relazioni con l’altro. Le relazioni costruiscono una comunità.
Molti auspicano piuttosto sbrigativamente che tutto passi in fretta perché tutto torni come prima, laddove invece ci è richiesto di guardare in avanti per costruire un futuro nuovo, una nuova comunità.
Siamo ancora nel mezzo del guado ma guardiamo avanti, alla Pasqua.

giovedì 19 marzo 2020

Via Crucis al tempo del Coronavirus: VI stazione



VI Stazione: La Veronica asciuga il volto di Gesù.

Secondo la tradizione orientale la donna che asciugò il volto a Gesù mentre saliva al Calvario, si chiamava Berenike. Qualunque fosse il suo nome la tradizione latina gliel’ha cambiato con un nome nuovo: Icona vera, Veronica.
Sì, perché il sangue, il sudore, gli sputi, la terra di cui era imbrattato il Santo Volto di Gesù hanno stampato l’immagina sul lino, ma la vera immagine di Gesù si è stampata indelebilmente nel cuore della donna: la sua identità, il suo nome, sarà per sempre Veronica, il volto vero di Gesù.

Quanti volti sfigurati negli ospedali, nelle tende improvvisate, irriconoscibili dietro la maschera dell’ossigeno. E quante mani pietose, anche se avvolte dai guanti, si posano su di loro…

“Il tuo volto, Signore, io cerco” (Sal 26, 9), “Mostraci il tuo volto e saremo salvi” (Sal 79, 20). È il desiderio di ogni cuore, vedere Dio, vedere il volto di Dio. Quando amiamo qualcuno vogliamo guardarlo in volto. E Dio possiamo vederlo? Gesù ci ha detto di sì: “Chi vede me, vede il Padre” (Gv 12, 45). E ha aggiunto: “Chi vede il fratello, vede il Signore” (Ipsissima verba). Sì, possiamo vedere il volto di Dio, nel volto sfigurato di ogni fratello. Ma occorre un cuore puro, come quello della Veronica: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5, 8).

mercoledì 18 marzo 2020

Restaurato il quadro della Madonna del Buon Consiglio



Al cancello d'ingresso sulla Via Aurelia 290, c'è un mosaico raffigurante la Madonna del Buon Consiglio. La stessa immagine la ritroviamo nella cappellina a sinistra della grande cappella, sull'altare dei voti che gli Oblati si sono portati con sé da Aix-en-Provence e che segna gli inizi della loro storia.

All’ingresso della casa vi era un’altra riproduzione della stessa immagine: una copia dell’Ottocento di quella nel famoso santuario di Genazzano, vicino a Roma.
Leone XIII, nel 1903, aggiunse alle litanie di Loreto l'invocazione "Madre del buon consiglio".

Con questo titolo Maria è stata scelta come patrona della nostra casa, ed è comprensibile, è la casa del Consiglio Generale, che ha proprio bisogno di essere ispirato nel prendere orientamenti e decisioni.
Maria può ripetere le parole della Sapienza: "A me appartiene il consiglio e la saggezza, la mia e la prudenza, la mia fortezza" (Proverbi 8, 14) e invita anche noi a fare tutto ciò che Gesù ci chiede di fare (Giovanni 2, 1-11).


Il quadro ottocentesco è stato restaurato dalla restauratrice Marta Gelsumini dello Studio “Spazio MABI” di Prato.
Adesso ha trovato una adeguata collocazione all'interno della Casa generalizia, nel corridoio che porta alla cappella.


Lo stato del quadro. Sul fronte la tavola presentava notevoli problemi strutturali dovuti al movimento naturale della materia lignea, evidenziato dal dislivello delle due tavole che la compongono. Inoltre il dipinto mostrava alterazioni cromatiche dovute all’ossidazione della vernice causata dal passare del tempo che ne ha resa difficile la lettura corretta dell’opera. Erano presenti diffusi interventi precedenti che hanno riguardato la pittura con ritocchi pittorici ormai alterati.
A luce radente la pellicola pittorica presentava sollevamenti che necessitano di fermatura.
Su tutta la superficie pittorica erano presenti fori dovuti ad un attacco di insetti xilofagi. Tale attacco appariva molto diffuso su retro della tavola.
Sulla parte posteriore inoltre due incastri a coda di rondine hanno causato ulteriore danno al legno in quanto ne hanno bloccato la naturale dilatazione e contrazione stagionale provocandone la spaccatura delle fibre.




L’intervento di restauro ha mirato ad un miglioramento strutturale del legno e un recupero della parte pittorica aiutandone la corretta rilettura dell’immagine. La prima fase ha previsto la velinatura sul fronte del dipinto per garantirne la protezione nelle varie fasi di restauro da eseguire sul retro.

Su retro
L’intervento sul retro ha riguardato la rimozione dei due incastri a coda di rondine tramite attrezzature idonee, ed un successivo reintegro ligneo mediate l’utilizzo di legno stagionato posizionato seguendo il senso delle venature delle tavole. Durante tale rimozione si è provveduto a riallineare le due tavole per migliorarne la stabilità e la corretta lettura.
È stato quindi effettuato il trattamento antitarlo sia sul retro che sul fronte del dipinto.
Infine è stata stesa una vernice protettiva idonea alla materia lignea.

Sul fronte
Stuccatura di tutti i fori presenti sulla superficie pittorica e della spaccatura centrale.
Pulitura mediante solvente controllato e successivamente con strumenti specifici per un’accurata pulitura meccanica. La pulitura ha rimosso sia la vernice alterata sia le ridipinture effettuate in un precedente restauro.
Il ritocco pittorico è stato realizzato con colori ad acquerelli e colori a vernice.
Infine è stata stesa la verniciatura finale di protezione.

Grazie, Marta!

martedì 17 marzo 2020

Via Crucis al tempo del Coranavirus - quinta stazione

V Stazione: Il Cireneo aiuta Gesù a portare la croce

Prese la croce di malavoglia: lo costrinsero (Mt 27, 32). Simone di Cirene tornava a casa dopo una mattinata di lavoro in campagna, quando i soldati si avvalsero del diritto di imporre l’angheria, il servizio gratuito.
Camminando dietro a Gesù il giogo si faceva dolce e il carico leggero (Mt 11, 30). Continuò a seguire Gesù anche dopo, divenendo suo discepolo, assieme ai figli Alessandro e Rufo.
Simone, senza che allora lo sapesse, aveva obbedito alla parola di Gesù: “Se qualcuno vuol venire dietro a me… prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16, 24). Fece sua la croce di Gesù e le sue croci si mutarono nella croce di Gesù.

Medici, infermieri, personale di servizio… Quante persone si prodigano in questi giorni per gli ammalati del virus! Alcuni costretti dalla necessità, angariati, altri con convinzione, tutti comunque mettono a rischio la propria vita. Siamo grati a questi Cirenei e preghiamo per loro.

Gesù non è da meno e prende su di sé la nostra croce. La croce “pesa di meno” scriveva Igino Giordani, “se Gesù ci fa da Cireneo”. E pesa ancora di meno se la croce la portiamo insieme: “Una croce portata da una creatura alla fine schiaccia; portata insieme da più creature con in mezzo Gesù, ovvero prendendo come Cireneo Gesù, si fa leggera: giogo soave. La scalata, fatta in cordata da molti, concordi, diviene una festa, mentre procura un’ascesa”. 
È come se Gesù ci dicesse: Non temete, dunque, perché, se siete uniti, Io sono con voi, e come Cireneo porto la vostra croce, qualsiasi essa sia.


lunedì 16 marzo 2020

L'amore al tempo del colera


Devo confessare che non ho mai letto L’amore ai tempi del colera, di Gabriel García Márquez, e non so se mai avrò occasione di leggerlo…
Ma in questi tempi di virus devastante mi viene in mente “l’amore di p. Joseph Théodore Martial Capmas al tempo del colera” a Marsiglia, morto di contagio il 10 gennaio 1831. Padre Guibert (il futuro cardinale di Parigi) lo definì subito “un vero martire della carità”. 

Sacerdote della diocesi di Montpellier, era entrato tra i Missionari Oblati nel 1828. Grande predicatore delle missioni al popolo, quando a Marsiglia scoppiò il colera si pose interamente al servizio dei “Lazzaretto” della città, entrando in quarantena con i contagiati, consapevole del rischio che correva e rimanendo vittima dell’epidemia. Il 17 gennaio, scrivendo a padre Tempier, Alla notizia della morte comunicatagli da padre Tempier, sant’Eugenio rispose il 14 gennaio 1831:

Mio caro Tempier, mi aspettavo fin troppo la triste notizia che mi comunicate con la lettera dell’11. Mi ci preparavo meglio che potevo, fin dal giorno in cui mi avevate fatto conoscere il pericolo del quale previdi l’esito, senza lasciarmi la consolazione della più tenue speranza.
Eccoci dunque privati di uno dei migliori membri, adatto a ogni genere di ministero e insieme semplice e obbediente, sempre pronto a fare il suo dovere, compiendolo bene e non avendo maggiori pretese di quelle di un bambino. Dio sia benedetto! Lo ripetiamo nelle avversità e nelle disgrazie più grandi, come nella prosperità e nei giorni di grazia.
Aumenta il mio dolore il fatto che il nostro caro defunto non abbia potuto ricevere il santo viatico. Chiedo a Dio giornalmente, alla santa Messa, di non essere privato di questa gioia al momento della morte. I medici avrebbero dovuto prevenirvi più in tempo del pericolo; l’allarme non si dà quando un uomo delira; è una lezione perché un’altra volta si stia più attenti. Tuttavia la comunione che gli fu amministrata nella notte di capodanno avrà supplito alla mancanza del santo viatico e il nostro povero infermo avrà ricevuto dalla bontà di Dio, voglio sperarlo, tutti gli aiuti soprannaturali e straordinari di cui aveva bisogno nel momento estremo.
Il Signore avrà preso in considerazione la carità per cui si industriò di ottenere il privilegio di rinchiudersi nel lazzaretto prodigando gli aiuti del suo ministero a tanti soldati colpiti dall’epidemia presa in terra d’Africa; e poi, è morto in seno alla Società, e questo è un segno di predestinazione. Non ci rimane che applicargli i suffragi cui ha diritto e per mezzo dei quali la sua anima entrerà più presto nel pieno possesso di un Dio così buono, così fedele alle sue promesse, che è stata la sua eredità e che deve essere la sua ricompensa.


domenica 15 marzo 2020

Via Crucis al tempo del Corona virus - 3, 4


 Terza stazione: Gesù cade la prima volta

La terra è humus. Per umiliare qualcuno lo si fa strisciare per terra, gli si fa mangiare la polvere della terra… Eccolo Gesù a terra, umiliato.
L’hanno umiliato con la flagellazione, la coronazione di spine, l’hanno sfinito, spossato.
Ma è lui che l’ha scelto, per amore di noi: “Pur essendo di natura divina… umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2, 6-8).

La foto dell’infermiera che crolla dopo una nottata di assistenza ai contagiati e s’addormenta pesantemente sul tavolo è l’icona della caduta di Gesù mentre sale al Calvario.

Quanto orgoglio, quanta superbia nel crederci superiori agli altri, sicuri di noi, addirittura emancipati da Dio, di cui facciamo tranquillamente a meno anche quando crediamo in lui. Sappiamo che c’è, ma la nostra vita non ne ha bisogno, siamo autosufficienti.
La caduta di Gesù è un invito ad abbassarci, a metterci accanto alle persone calpestate, ignorate, umiliate, come lui ha fatto con noi.

Quarta stazione: Gesù incontra sua madre

Cosa avrà pensato Maria quando si vide davanti il figlio flagellato e sanguinante, con la croce sulle spalle? Alla profezia del vecchio Simeone “Una spada ti trafiggerà l’anima” (Lc 2, 35)?
Quando lo presentò al Signore nel tempio lo riscattò immediatamente e lo riportò a casa. A dodici anni, quando si era allontanato da solo, lo rimproverò e tornarono a casa insieme.
Ora è pronta a perderlo, lo dona interamente al Padre, a tutti noi diventati suoi figli.

Quante madri preoccupati per la salute dei figli, impotenti davanti al contagio. Quante sgomente davanti alla loro morte lenta, senza neppure poterli assistere, se non da lontano, come lontano se ne dovette stare Maria.

“Beata tu che hai creduto” (Lc 1, 45) proclamò Elisabetta. Aiuta anche noi a credere, Maria, anche quando sembra che Dio ci abbandoni nelle mani del male, anche quando non capiamo perché le persone che amiamo debbano soffrire, morire.
Stai accanto a noi, tu che ci sei madre, e ripetici quello che ti disse l’angelo: “Non temere… nulla è impossibile a Dio” (Lc 1, 30.37).
Insegnaci a metterci a servizio del suo disegno d’amore, anche quando non ci sembra tale, e a dire dal profondo del cuore: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai pensato” (Lc 1, 38).