mercoledì 31 agosto 2016

Chi fa santa la Terra Santa?




Parlando ai cristiani di Nazareth ho chiesto chi fa santa la Terra Santa.
Certamente l’ha resa santa Gesù.
Ma ora non c’è più Gesù che cammina per le sue strade.
Oggi la rendono santa i cristiani con la loro presenza.
Possiamo far diventare santa ogni terra.

È la nostra vocazione.

martedì 30 agosto 2016

Gesù "Nazareno", proprio di Nazareth!


Dopo essere stati in Terra Santa il Vangelo non solo lo si ascolta: lo si vede.
Così oggi, Gesù che parla nella sinagoga di Cafarnao. Anche se l’attuale sinagoga, venuta alla luce pochi anni fa grazie agli scavi dei Francescani, è del V, VI secolo, essa sorge sull’antico edificio nel quale Gesù andava il sabato.
Anche Gesù “Nazareno” ha un volto davvero umano, è Gesù di “Nazareth”, non di un altro luogo.
Il diavolo lo interpella proprio a partire dalle sue origini storico-geografiche: “Che abbiamo a che fare con te, Gesù Nazareno?”. Avrebbe potuto chiamarlo Gesù il Cristo o il Figlio di Dio. Ciò che gli fa paura è invece proprio la sua umanità concreta: un Dio che non si fa Uomo, umanità, ma proprio questo singolo uomo, entrando, solo così, nell’umanità, rendendosi capace di raggiungere ogni uomo.
Bello il commento di un autore greco del IV secolo:
“Gesù Nazareno: dico il suo nome e la sua patria… Non dico: Gesù che ha spiegato la volta del cielo, che ha acceso i raggi del sole, che ha disegnato le costellazioni nel cielo, che accende la lampada della luna, che ha fissato il suo tempo al giorno, che ha attribuito il suo corso alla notte, che ha stabilito la terra ferma sulle acque, che ha messo un freno al mare con la sua parola... Gesù Nazareno: di lui Natanaele disse nel suo dubbio: “Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?” (Gv 1,46). Davanti a lui la truppa dei demoni ha tremato dicendo: “Che abbiamo a che fare con te, Gesù Nazareno?” “Gesù Nazareno, disse l'apostolo Pietro, uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni” (Ac 2,22).

lunedì 29 agosto 2016

Terra Santa "Quinto Vangelo"

Ogni luogo è luogo del Signore, ma quando egli si è incarnato, ha scelto una terra specifica: la Galilea, con le sue città e villaggi: Nazareth, Cana, Cafarnao, Magdala, con il lago di Tiberiade e le sue colline; la Decapoli, la Samaria, i territori di Tiro e Sidone; la Giudea, con Gerusalemme, Betlemme, Gerico. Nomi che abbiamo imparato a conoscere leggendo il Vangelo e che ci sono diventati cari anche senza averli visti. È la Terra Santa, “il quinto Evangelo”, come l’ha chiamata con espressione felice Ernest Renan.
Con l’ascensione al Cielo Gesù ha lasciato per sempre la sua terra. Non occorre più andare in Terra Santa per incontrarlo. Eppure egli vi ha impresso tracce indelebili, che invasioni, guerre e distruzioni non hanno potuto cancellare. Là ogni pietra, ogni colle, ogni orizzonte parla di lui. Lo hanno presto compreso i cristiani che, fin dai primi secoli, vi si sono recati in pellegrinaggio. Di alcuni di loro abbiamo i diari di viaggio, come quello famoso di Egeria, del IV secolo, o quello dell’anonimo pellegrino che vi giunse nel 333 partendo da Bordeaux. Perché si mettevano in cammino affrontando viaggi tanto perigliosi? Da cosa erano spinti? Dal desiderio di vedere i luoghi di Gesù, camminare sui suoi passi, ammirare i panorami che i suoi occhi hanno guardato, comprendere meglio, da vicino, dal di dentro, la sua vicenda umana, nella speranza di rivivere il suo cammino.
Lo stesso desiderio che in questi giorni ha spinto noi a tornare in Terra Santa


Dio si è lasciato incontrare in quella terra prima da Abramo, da Mosè, dai profeti e poi, nella pienezza dei tempi, in Gesù Dio fatto carne, da Maria di Nazareth, da Giuseppe, dagli apostoli, da Maria di Magdala, dal centurione romano… Anche oggi Dio si lascia incontrare proprio in quella terra. È testimonianza di tanti. La Terra Santa continua ad essere sacramento di Dio. «Come si sente, dappertutto la presenza di Gesù… – ha scritto Pia Compagnoni, donna innamorata di quella terra che a tanti ha insegnato ad amare – In ogni luogo lo troviamo ad attenderci, tanto che sembra impossibile sfuggire a questa presenza. Non è soltanto la presenza di un Dio dalla cui immensità ti senti abbracciato, nella cui immensità ti senti perduto; è Gesù-uomo, cioè il fratello, l’amico… La sua presenza ti stringe come in un abbraccio, ti penetra fin dal più intimo. Egli ti parla e tu lo ascolti…».
Anche una di noi, Anouk, al termine del nostro pellegrinaggio ha scritto: «Si sa che Gesù è uomo-Dio, ma forse col tempo finisce per diventare più spirituale che reale. Qui mi è sembrato di incontrarlo ad ogni angolo di strada, nella concretezza della sua vita, entrando in quella che sarà stata la sua vita di uomo in questa terra. Ma non un Gesù di 2000 anni fa, era Gesù vivo oggi. E quell’uomo ha riacceso la mia ammirazione, mi ha molto impressionata. Anche se conoscevo la sua vita... prenderne la misura è un’altra cosa».

domenica 28 agosto 2016

In Terra Santa / 13 – Nazaret e il monte Tabor



La grotta dell’Annunciazione ci ha letteralmente galvanizzati. Ieri sera e questa mattina più volte siamo stati lì a pregare, insieme, da soli, a due a due, a gruppetti. Ma è avvenuto proprio qui l’annuncio dell’angelo? Un’altra tradizione colloca l’evento alla fontana del villaggio. Così dopo cena ci distinguiamo: un gruppo alla chiesa dell’Annunciazione per la grande processione dei cattolici attorno alla basilica, un altro gruppo alla fontana della Madonna per la festa dell’Assunzione che i greci ortodossi a Nazaret celebrano proprio adesso. Davvero Maria ci ha accompagnato dall’inizio alla fine di questo viaggio: con lei sui passi di Gesù.
  
Nella chiesa della fontana (la fontana è in fondo ad una scala di pietra) un baldacchino di fiori bianchi custodisce Maria che dorme il sonno della morte, nell’attesa dell’Assunzione del suo corpo. Giungiamo al termine della celebrazione presieduta dal patriarca. Ci avviciniamo anche noi per baciare l’icona delle Dormiente.
Intanto fuori, sulla piazza, si sono radunati i cristiani ortodossi per cantare le lodi di Maria e danzare in suo onore. Al suono di tamburi e cornamuse e sulle note di una nenia gridata a squarciagola, un uomo improvvisa le parole più dolci rivolte alla Madonna, ripetute da tutti in una cantilena festosa. Tra l’altro le dice (così ci traduce dall’arabo la nostra Mirvet): “Dall’Oriente e dall’Occidente, dal Nord e dal Sud, tutti vengono a lodarti”… parla di noi!
Ad un dato momento gli uomini prendono sulle braccia il patriarca e lo portano in trionfo in giro per la piazza a passi di danza, per esprimere l’incontenibile gioia.

Siamo proprio a Nazaret, dove il cielo ha toccato la terra e dove Gesù ha vissuto gli anni della sua giovinezza assieme alla Madre. Non è questa l’attrattiva del tempo moderno, anzi, di tutti i tempi?
«Gesù e Maria:
il Verbo di Dio, figlio d’un falegname;
la Sede della Sapienza, madre di casa».
  
Questa mattina, prima di partire, mi reco nell’antico monastero delle Clarisse, dove per tre anni Charles de Foucauld ha vissuto nel nascondimento come Gesù e dove è nata la sua spiritualità incentrata sul nascondimento di Nazaret. Oggi, nel piccolo monastero, non ci sono più le Clarisse, ma i figli di Fratel Charles, i Piccoli Fratelli, che ne custodiscono la memoria.
«Abito in una casetta solitaria – scriveva a suo cognato il 25 novembre 1897 – situata in un recinto appartenente alle Suore di cui sono il fortunato servo; sto là, tutto solo, ai margini della cittadina; da un fianco è la clausura delle Suore, dall’altro la campagna, campi e pendii: è un eremo delizioso, perfettamente solitario. Mi alzo quando il buon angelo mi risveglia e prego e medito fino all’Angeus… All’Angelus vado al convento francescano, là scendo nella grotta che faceva parte della casa della Santa Famiglia (questa casa era addossata alla roccia e formata in parte da una piccola costruzione esterna; la costruzione esterna è a Loreto: la parte scavata nel macigno è qui)… resto lì fino verso le sei del mattino dicendo il mio rosario e ascoltando le Messe che vengono dette in questo luogo sì adorabilmente Santo in cui Dio s’incarnò, in cui risuonò per trent’anni la voce di Gesù, di Maria e di Giuseppe; è profondamente dolce guardare queste pareti di pietra sulle quali si sono posati gli occhi di Gesù e ch’Egli toccava con le sue mani».
Presto, il 1 dicembre, celebreremo il primo centenario del suo martirio.


Da Nazaret al monte Tabor, che si staglia sulla fertile assolata pianura. Da lassù si stende uno sguardo pieno di luce, riflesso di quella che brillò sul volto di Gesù in quella notte di grazia.
Era notte o era giorno quando, in preghiera sul monte, Gesù si trasfigurò? I vangeli non lo dicono. Se era giorno, il suo splendore offuscò la luce del sole. Se era notte, la sua luce dissipò le tenebre.
Doveva essere notte, perché di notte era solito ritirarsi a pregare, quando i discepoli, come più tardi nell’orto degli olivi, venivano sopraffatti dal sonno.
Le tenebre ricoprivano la terra. Le stesse tenebre che in pieno giorno, quando fu innalzato sulla croce, avvolsero tutta la terra. Ed è proprio di quel giorno che diverrà notte, che Gesù discorreva con Mosè ed Elia, la Legge e i Profeti. L’intera Scrittura parlava di lui e annunciava l’esodo doloroso che lo avrebbe condotto alla morte per condurre noi dalla morte alla vita. Proprio mentre ne parlava con Mosè ed Elia, e percepiva il buio, si accese di luce e fece splendere la notte: la sua notte non ha più oscurità, annuncio di risurrezione, di esodo compiuto.
Vorremmo che quella stessa luce taborica avvolgesse costantemente la Scuola Abbà. Questo si rivela proprio come il luogo della Scuola Abbà, chiamata alla luce. Sarà forse per questo che, dopo la visita, tutti, senza nessun accordo previo, ci ritroviamo nella parte bassa della Chiesa, in silenzio, in una grande pace, in una gioia forse simile a quella che aveva avvolto Pietro, Giacomo e Giovanni… Non ci saremmo più mossi da lì.
E invece eccoci di ritorno. Il nostro pellegrinaggio è terminato, dopo una settimana nella quale il tempo si è annullato.
Riparto senza rimpianto né ostalgia, tanto grande è la pienezza sperimentata. Compimento!


sabato 27 agosto 2016

In Terra Santa / 12 – Ritorno in Galilea

Lasciamo la casa dei cappuccini, che ci hanno riservato una ospitalità molto cordiale, mentre il sole sorge dietro la chiesa della dormizione della Vergine, come se Maria volesse continuare ad accompagnarci nella sua terra.
Siamo diretti in Galilea, dove tutto è cominciato: la chiamata dei Dodici, le parabole, la convivenza con Gesù sul lago… Nella loro chiamata la nostra chiamata.
Vi andiamo dopo essere stati a Gerusalemme, dopo aver vissuto l’evento della passione, morte e risurrezione di Gesù. Vi torniamo su suo invito, comunicatoci dalle donne: “Il Maestro vi aspetta in Galilea”.
Vi torniamo dopo anni dalla nostra prima chiamata. Da allora anche noi l’abbiamo tradito, rinnegato, senza più presunzioni. Vi torniamo perché egli ci offre una nuova opportunità: possiamo ricominciare. Sarà una sequela nuova. Con la risurrezione Gesù non è più come prima, non lo si può più seguire lungo le strade della Galilea e della Giudea. Ha superato le barriere del tempo e dello spazio... Viva ormai in una dimensione diversa, quella dello Spirito, ed è ad ognuno più intimo che mai: è in mezzo a noi e noi siamo lui.

Da Gerusalemme scendiamo lungo la via che attraversa il deserto di Giuda e ci conduce fino a Gerico. Risaliamo costeggiando il Giordano, con alla nostra sinistra i monti di Gelboe sui quali, dalla morte violenta morte di Saul e di Gionata più non piove, come ha gridato David nella sua elegia: “O monti di Gelboe, non più rugiada né pioggia su di voi / né campi di primizie”.
Il deserto e gli aridi monti hanno un fascino particolari; asciutti, nudi e silenziosi, arsi dal sole richiamano il desiderio di Dio di apa Pafnunzio.

In Galilea cambio di scena. Il deserto lascia il posto a dolci colline, a verdi orizzonti. Eccoci al lago. Sulle sue sponde la vicenda di Gesù e dei suoi discepoli. La nostra visita è veloce, tocca appena Tiberiade, Magdala, il monte delle beatitudini (dove teniamo la nostra ora di lezione...), Tabca della moltiplicazione dei pani, Cafarnao la città di Gesù. Ma è soprattutto la roccia del primato di Pietro, dove Gesù apparve dopo la sua resurrezione, che ci conquista. Come bambini scendiamo all’acqua del lago, facciamo festa, ci sembra di rivedere gli apostoli che tornano stanchi senza aver trovato pesce.
Pietro ci racconta, ancora una volta quel momento da sogno:

Remavo con le braccia stanche. Le nasse vuote. Un’altra notte senza fortuna...
Ero qui per l’appuntamento che ci aveva dato tramite le donne: “Il Maestro vi aspetta in Galilea”. Saremmo partiti da dove eravamo partiti all’inizio e Lui ci avrebbe guidato ancora come quando ci guidava per le vie di Galilea.
Questa volta l’avrei seguito. Non sarebbe accaduto come quando mi ero posto davanti a Lui per impedirgli di raggiungere Gerusalemme. “Perché andare in Giudea a morire? No, questo mai”, gli gridai. Gli volevo troppo bene per non sentirmi responsabile di Lui. “No, Maestro, gli dissi risoluto, tu non percorrerai questa strada di morte”.
Ora sapevo che sarebbe apparso, nella luce splendente del Tabor, nella gloria che lo avvolgeva Risorto, e ci avrebbe indicato la via e si sarebbe posto nuovamente alla nostra testa e lo avremmo seguito ovunque.
Chi era quell’uomo, là sulla roccia, sul bordo del lago, che dava consiglio a noi pescatori? Contro il sole nascente non ne distinguevo il volto. Doveva essere uno dei vecchi pescatori di Cafarnao, usi al mestiere. Calammo le reti, come ci aveva gridato. E il pesce, latitante tutta la notte, accorse a frotte. Lo sentivo da come tirava la rete.
“È il Signore”, sussurrò il più giovane. Il Signore? Piegato sull’orlo della barca, per un attimo rimasi paralizzato a guardare l’acqua che guizzava d’argento. Il Signore?
Ma avevo già mollato la presa, m’ero già tolto la veste, m’ero già buttato in acqua verso di Lui, il Signore.
Era proprio Lui. Stava controluce, ma era proprio Lui. Lo riconoscevo e non lo riconoscevo nei suoi lineamenti, ma era proprio Lui. Ansimante, caddi in ginocchio
e lo guardai. Era proprio Lui.
– Pietro, mi ami?
– Ti amo, gli dissi con la passione di sempre.
– Mi ami più di tutti?
– Sì, Maestro, gli gridai con convinzione, mentre mi sentivo il cuore in gola, e non era più per la corsa nell’acqua.
– Pietro, mi ami veramente?
La terza volta! Mi sentii schiantare il cuore. Il mio tradimento, il mio triplice tradimento…
Ora soltanto, dal baratro del mio tradimento, potevo dire la verità:
– Tu lo sai – sussurrai con un filo di voce, ma fu la mia vita a dirglielo –, tu sai tutto, tu lo sai che ti amo.







Finalmente a Nazaret. Ci attende un centinaio di persone che vogliono incontrare la Scuola Abbà per conoscere qualcosa della mistica e della spiritualità di Chiara Lubich. Ci presentiamo insieme a parlare.
Solo un tocco dell’inizio di Hubertus:
“Per secoli, quando si parlava di mistica, nel senso di un’esperienza profonda e forte di Dio che si fa “sentire” e in un certo senso si “rivela” all’anima, si pensava ai santi mistici, persone speciali, in genere religiose o religiosi, consacrate a Dio che vivono ritirate dal mondo. Un fenomeno raro, accompagnato da manifestazioni speciali, come visioni, rapimenti, ecc.
Ai nostri tempi, invece, vengono in rilievo sempre più una santità e una mistica del popolo, una mistica per tutti… Ad invitarci a questo, con decisione, ai nostri giorni è in particolare Papa Francesco: «Abbiamo bisogno di riconoscere la città a partire da uno sguardo contemplativo, ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze» (Evangelii gaudium  71). Una mistica, quindi, non degli occhi chiusi ma degli occhi aperti, che sa scoprire la presenza di Dio nella città.
Chiara Lubich era un precursore di questa mistica di vivere insieme, in un tempo in cui erano ancora pochi a porre al centro del cristianesimo l’amore, la comunione e l’unità… La mistica esce dai conventi e diventa una realtà alla portata di tutti: anche di chi lavora duramente, di chi tiene la casa; di chi deve guidare una città o il destino di una nazione. Chiara, infatti, sognava che la Chiesa tutta potesse sempre più diventare “un popolo di mistici”, persone che fanno esperienza di Dio e che per questo portano una nuova luce e una nuova vita, capace di affrontare i problemi dell’umanità; un popolo composto di persone di ogni tipo, dai bambini ai vescovi, dalle persone consacrate a Dio ai politici e agli imprenditori…”.
Poi è la volta di Judy e di Therese… e quando chiedono come vivere nei conventi ecco fra Alessandro, e quando domandano di politica c’è Alberto e quando chiedono della famiglia c’è Teresa e Gennaro… abbiamo proprio uomini e donne per ogni stagione! Che bella squadra questa Scuola Abbà.

E Maria di Nazaret? A domani…


venerdì 26 agosto 2016

In Terra Santa / 11 - Un Dio incarnato



In nessun luogo come qui in Terra Santa si comprende il realismo dell’Incarnazione. La salvezza ha una storia e una geografia, che giungono a concentrarsi in una persona vera, capace di piangere e di gioire, di stancarsi e di sedersi a tavola: Gesù, che va su queste strade, che guarda questo cielo, che cammina sulle acque, che offre le sue membra alla flagellazione e agli sputi, che muore e che risorge…
  
La visita al Museo d’Israele questa mattina ci ha immersi in questa storia e in questa geografia che Dio ha preparato, come una culla nella quale adagiare il Figlio suo e irradiare nel mondo la salvezza.
Il grande plastico della città di Gerusalemme al tempo di Gesù ci galvanizza per un’ora intera, tanto riesce a rievocare nei minimi particolari i luoghi dell’antichità che ormai ci sono familiari.
La sezione dedicata ai rotoli del Mar Morto è il fiore all’occhiello del museo. Si può scorrere l’intero libro di Isaia, assieme ad altri manoscritti  di Qumran. Un altro codice di straordinaria importanza è il testo masoretico di Aleppo. Noto con stupore che tra i rotoli di Qumran e il codice di Aleppo c’è un vuoto di 1000 anni: per un periodo di 1000 anni non è rimasto nessun manoscritto ebraico dell’Antico Testamento! Com’è possibile che non si sia conservato niente? Il primo millennio, a cominciare dal secondo secolo, è invece ricchissimo di papiri e codici del Nuovo Testamento. Non posso non fare il confronto con la Chester Beatty Library di Dublino o con la Vaticana, di una ricchezza senza confronto. Mi piacerebbe approfondire il mistero di 1000 anni di silenzio delle fonti.


Nel pomeriggio vediamo arrivare i membri dei cinque focolari della Terra Santa per vivere assieme a noi una sessione di Scuola Abbà. Ripercorriamo le tappe di questi giorni per riviverle assieme a loro, alla luce del ’49. È un momento di paradiso.

Domani lasceremo Gerusalemme e saliremo in Galilea. Non possiamo partire dalla città santa senza tornare un attimo sul Santo Sepolcro e senza uno sguardo a quell’antica scala romana che la tradizione vede percorrere da Gesù mentre dal cenacolo scende al Cedron, per poi risalire all’orto degli ulivi. Sempre secondo la tradizione scendendo quei gradini, “volgendo gli occhi al cielo” carico di stelle, avrebbe pregato il Padre per l’unità.
È un luogo particolarmente caro alla Scuola Abbà, perché Chiara vi ha visto come materializzarsi il suo sogno d’unità. Ci rileggiamo quanto scrisse dopo essersi seduta su quei gradini:
«Se hai l’avventura di portarti in Terra Santa, verso primavera, fra le mille cose che Gerusalemme ti offre alla contemplazione e alla meditazione, una ti colpisce nel modo singolare, per quanto ricorda nella sua estrema semplicità.
Resistita al tempo e lavata dalle intemperie di duemila anni, una lunga scala di pietra, puntualizzata qua e là di papaveri, rosseggianti come il sangue della Passione, si spiega, quasi un nastro increspato, discendente, limpida e solenne verso la valle del Cedron.
È rimasta nuda all’aperto, costeggiata da una cornice di prato, quasi che nessuna volta di tempo potesse sostituire il cielo che l’incorona.
Di là – la tradizione racconta – Gesù discese quell’ultima sera, dopo la cena, quando, “alzati gli occhi al cielo” gonfio di stelle, ebbe a pregare: “Padre, l’ora è venuta...”.
Fa impressione metter i propri piedi dove i piedi di un Dio hanno toccato e tutta l’anima t’esce dagli occhi guardando la volta celeste che occhi di un Dio hanno guardato. E tale può essere lì l’impressione che la meditazione ti fissa in adorazione.
Fu una preghiera unica la Sua prima di morire. E quanto più splende Dio questo “Figlio dell’uomo”, che tu adori, tanto più’ lo senti uomo e t’innamora.
Il Suo è un discorso che solo il Padre comprese appieno, eppure lo fece a voce dispiegata, forse perché anche a noi arrivasse l’eco di tanta melodia”».
Poco tempo più tardi scriverà ancora: «Ricordo che lì, presso quella scaletta, nel nostro cuore è nato un ardente desiderio; c’era un praticello verde: edificarvi un focolare, mettervi delle anime che perennemente per quanto vivono consacrino la loro vita a tenere Gesù vivo in mezzo a loro, perché lui fosse ancora lì, spiritualmente presente come allora era fisicamente presente».
Guardando i focolarini e le focolarine oggi presenti a Gerusalemme e in Terra Santa, mi pare di poter dire che quel desiderio di è già realizzato.


giovedì 25 agosto 2016

In Terra Santa / 10 - Al Santo Sepolcro, nel cuore del mistero


Sulla spianata delle moschee, dove una volta sorgeva il tempio, il contrasto e le contese di questa terra appaiono più stridenti che mai. È bastato un piccolo equivoco perché fossimo immediatamente accompagnati all’uscita, con gentilezza e altrettanta determinazione. Gli equilibri sono precari, le suscettibilità tese su un filo sottile.
Un’esperienza che ci aiuta a percorrere meglio la Via Dolorosa, con maggiore consapevolezza di quanto le nostre lacerazioni lacerassero il cuore di Cristo nel suo cammino verso il Golgota con la croce sulle spalle.
Prima di intraprendere la via Crucis, la visita alla casa di sant’Anna e alla piscina probatica.


Giunti al Santo Sepolcro ci troviamo finalmente nel cuore del mistero che ci accompagna lungo tutti questi giorni. Per entrare nella piazza antistante passiamo attraverso le dimore poverissime degli Abissini che, nella spartizione del luogo sacro tra le varie Chiesa, sono rimasti esclusi, contentandosi, assieme agli Etiopi, di poveri cappelline che si addossano alla grande basilica: è forse la più sincera testimonianza evangelica.

In paziente fila ci incolonniamo per entrare nell’edicola che sorge sul luogo della tomba di Gesù. È finalmente in restauro, dopo trattative che durano da 70 anni! Si sarebbe potuto provvedere prima a quest’opera, ma in disaccordo, suscitando così contese e rancori. È il miracolo di una convivenza che testimonia comunque una certa vicinanza, di un paziente dialogo, di una volontà d’unità.
Del tempo di Gesù, dopo distruzioni su distruzioni, non rimane assolutamente niente. Rimane il luogo: qui Gesù è stato sepolto, qui è risorto con il corpo, nella pienezza della sua umanità e divinità, qui si è lasciato toccare da Maria di Magdala. Cos’altro dire se non quel grido di fede di Tommaso: “Signore mio, Dio mio”? La fede in una Persona viva, presente, che siamo chiamati ad accogliere in mezzo a noi, di cui dobbiamo rendere testimonianza.

Saliamo poi sul Calvario. Quella roccia nuda parla ancora. Come non ricordare, con la Scuola Abbà, quell’esperienza nota e sempre commovente di Chiara quando venne come noi in Terra Santa?
«Entrammo; girammo qualche angolo della chiesa che non ricordo, infilammo una scaletta stretta, stretta, lisa nel marmo dai milioni di pellegrini che la salirono, e ci trovammo di fronte ad un altare. Un cicerone ci mostrò attraverso un vetro, che custodiva una roccia, un buco, e disse : “In questo foro fu piantata la croce”.
Inavvertitamente, senza dircelo, ci trovammo tutti in ginocchio. Io, per conto mio, ebbi un momento di raccoglimento. In quel foro fu piantata la croce… la prima croce. Se non ci fosse stata questa prima croce la mia vita, la vita di milioni di cristiani che seguono Gesù portando la loro croce, i miei dolori, i dolori di milioni di cristiani, non avrebbero avuto un nome, non avrebbe avuto un significato. Egli, che lì fu innalzato come un malfattore, diede valore e ragione al mare di angoscia da cui è toccata e alle volte sommersa l’umanità e, non di rado, ogni uomo.
Non dissi nulla a Gesù in quel momento. Aveva parlato quella pietra forata. Solo aggiunsi, come un bambino estatico: “Qui, Gesù, voglio piantare ancor una volta la mia croce, le nostre croci, le croci di quanti ti conoscono e di quanti non ti conoscono”».

Tutta la Terra Santa converge in questo luogo, come tutta la vita Gesù, secondo i Sinottici, non fu che un cammino verso Gerusalemme; tutta la sua vita, secondo Giovanni, era protesa a quell’“ora”. Un’unica basilica racchiude il luogo della morte e della risurrezione, unico grande mistero che solo dà senso anche alla nostra vita.

Nel pomeriggio le nostre strade si distinguono verso differenti mete, tra cui un incontro con gli ebrei e la visita Yad Vashem. Assieme ad Alessandro e a Giovanna, andiamo dalle Clarisse, per scoprire un altro volto di Gerusalemme e della nostra Chiesa, quello orante e contemplativo.
Scopro che la nuova abadessa mi conosce da quando era ancora ragazza in ricerca della sua strada. Tra l’altro è anche lei una fan di padre Mario Borzaga! Le ore scorrono veloci nella condivisione e nella gioia di riconoscerci fratelli e sorelle. Qui si conservano anche importanti ricordi della prolungata presenza di Charles de Foucauld, di cui celebriamo il centenario della morte. Proprio in questo monastero decise per una vita di clausura. Occorrerà fare in modo che gli inediti custoditi in archivio vengano valorizzati, a cominciare dai suoi disegni.


mercoledì 24 agosto 2016

In Terra Santa / 9 - Sul Monte degli Ulivi




Di prima mattina scendiamo nella valle del Cedron e risaliamo dall’altra parte, sul Monte degli Ulivi.

Alla sommità il luogo dell’Ascensione. Siamo i primi pellegrini (ce ne sono proprio pochi in questi giorni…). Il vasto spazio delimitato dalle mura ottagonali dell’antica chiesa crociata è tutto per noi. Entriamo nell’edicola al centro, proprio dove la tradizione indica il punto da dove Gesù è salito al cielo. Siamo in cerchio, come dovettero esserlo gli apostoli (oggi è la festa di uno di loro, Bartolomeo) e anche a noi verrebbe da rimanere lì. Non ci sono angeli attorno a noi a invitarci a scendere dal monte… o meglio, ce n’è uno, la nostra splendida guida, Alessandra, che svolge lo stesso compito degli angeli di allora.




Iniziamo la discesa, per giungere alla Chiesa del Pater Noster, dove Gesù, rispondendo alla richiesta dei discepoli, insegnò loro: “Quando pregate dite: Padre….”. Entriamo nella grotta dove Gesù e gli apostoli erano soliti dimorare quando erano a Gerusalemme. Chissà quante cose si sono detti in questa solitudine fresca e silenziosa. Per noi è uno dei momenti più belli del nostro pellegrinaggio. Cantiamo il Padre nostro e ho l’impressione di vedere Gesù che prende la mia mano destra e dall’altra parte Maria che prende la mia sinistra, e insieme mi orientano verso il Padre. Posso dire “Padre” con loro, e con gli altri miei fratelli e sorelle della Scuola Abbà che sono accanto a me. Non a caso ci chiamiamo Scuola “Abbà”: è la parola di Gesù, che fiorisce sulle labbra di ogni cristiano. Gesù si pone accanto a noi e ci fa rivolgere dove lui è rivolto, verso il Padre.
Il “Padre nostro”: preghiera trinitaria per eccellenza: possiamo dire Padre soltanto se e perché siamo nel Figlio: figli nel Figlio. È Gesù che in noi ripete Abbà, Padre: è lui che prega in noi. Possiamo dire Padre soltanto se e perché lo Spirito mette il suo nome sulle nostre labbra, così come lo mette sulle labbra stesse di Gesù. La preghiera del «Padre nostro» ci rivela il circolo d’amore della Trinità e ci introduce in esso, rendendoci partecipe della relazione d’amore tra i Tre.
Quando in silenzio preghiamo nella chiesa del Pater Noster è come se sperimentassimo l'unità che la preghiera rivolta all'unico Padre rinsaldasse tra noi i legami di fraternità.
Usciti dalla grotta giochiamo a trovare, tra le cento e cento iscrizioni del Padre nostro che circondano le pareti del cortile, del chiostro, della chiesa, quella nella nostra lingua, compreso il calabrese e il sardo. Anch’io trovo la mia lingua “paterna”, il provenzale.



Scendiamo ancora, passando accanto all’antico cimitero ebraico dove sulle tombe, al posto dei fiori, sono depositati i sassi. Giungiamo al Dominus Flevit: Gesù, vedendo Gerusalemme, pianse perché sapeva che non lo avrebbe accolto. Avrebbe potuto tornare indietro, eppure scese verso di essa: doveva dare la vita proprio per quanti non lo avrebbero accolto!



















Scendiamo ancora ed eccoci alla Tomba di Maria, nella grotta dove, secondo la tradizione, fu trasportato il corpo della Vergine dopo che si fu “addormentata”. Dall’Ascensione di Gesù all’Assunzione di Maria: sui passi di Gesù e di Maria!
È il momento più adatto per scendere fino alla tomba di Maria: oggi a Gerusalemme la Chiesa ortodossa festeggia la sua Assunzione. Entriamo mentre la sacra liturgia volge al termine, in tempo per baciare l’icona che il sacerdote mostra al popolo. Poi un passaggio veloce davanti alla tomba, una pietra bucherellata dai pellegrini che, lungo i secoli, hanno voluto asportare il loro piccolo pezzettino di sasso…




La nostra discesa termina con un’altra grotta ancora, lì accanto, quella del Getsemani, dove Gesù si ritirava di notte con i suoi discepoli e dove ricevette il bacio traditore di Giuda. Infine la Basilica dell’Agonia, dove si ode ancora risuonare la stessa parola che Gesù ha insegnato a noi per la preghiera: “Padre”. Adesso è lui a pronunciarla in un momento tragico, nel quale rimane comunque l’affetto e la tenerezze di quella preghiera: “Padre”.
Tragedia e tenerezza: due dimensioni che sembrano contrastanti tra di loro; gli stessi sentimenti nostri davanti alla tragedia del terremoto in Italia di oggi, che seguiamo da lontano; gli stessi sentimenti davanti alle contraddizioni di questa terra di cui siamo testimoni in questi giorni.





Nel pomeriggio Betania. Benché appena dietro il monto degli Ulivi, per raggiungerla dobbiamo fare un grande giro. Il muro la divide infatti in due parti. La zona palestinese, che custodisce i ricordi di Lazzaro e della sua famiglia, rimane tagliata fuori e la città appare in un profonde degrado, che ci dà subito l’assaggio di un mondo in profonda sofferenza.
Il primo evento evangelico che Betania ricorda è la risurrezione di Lazzaro e la proclamazione di Gesù come Resurrezione e Vita. Vediamo Gesù piangere sull’amico, come in mattinata lo abbiamo visto piangere su Gerusalemme. Ci fa impressione questo Gesù così umano, così vicino a noi, capace di piangere come noi e con noi…
Visitiamo la presunta tomba di Lazzaro attorniata dalle imponenti rovine delle grandi costruzioni crociate, comprendenti chiesa e monastero.
Il secondo evento di Betania è l’unzione che Maria fa di Gesù, uno “spreco” di soldi a testimonianza d’un amore puro e gratuito.
Il terzo è quello su cui ci fermiamo a riflettere: l’accoglienza riservata a Gesù dalle due sorelle. Abbiamo letto le parole così appropriate che papa Francesco ha pronunciato in mese fa. Tra l’altro diceva:
«Nel suo affaccendarsi e darsi da fare, Marta rischia di dimenticare la cosa più importante, cioè la presenza dell’ospite, che era Gesù in questo caso. Si dimentica della presenza dell’ospite. E l’ospite non va semplicemente servito, nutrito, accudito in ogni maniera… Perché l’ospite va accolto come persona, con la sua storia, il suo cuore ricco di sentimenti e di pensieri, così che possa sentirsi veramente in famiglia. Ma se tu accogli un ospite a casa tua e continui a fare le cose, lo fai sedere lì, muto lui e muto tu, è come se fosse di pietra: l’ospite di pietra. No. L’ospite va ascoltato.
L’ospitalità… una virtù che nel mondo di oggi rischia di essere trascurata. Infatti, si moltiplicano le case di ricovero e gli ospizi, ma non sempre in questi ambienti si pratica una reale ospitalità… Oggi siamo talmente presi, con frenesia, da tanti problemi che manchiamo della capacità di ascolto… Tu, marito, hai tempo per ascoltare tua moglie? E tu, donna, hai tempo per ascoltare tuo marito? Voi genitori, avete tempo, tempo da “perdere”, per ascoltare i vostri figli? o i vostri nonni, gli anziani? – “Ma i nonni dicono sempre le stesse cose, sono noiosi…” – Ma hanno bisogno di essere ascoltati! Ascoltare. Vi chiedo di imparare ad ascoltare e di dedicarvi più tempo. Nella capacità di ascolto c’è la radice della pace».
Anche questa sera terminiamo la giornata con un grande senso di pienezza.