mercoledì 27 aprile 2022

Giovanni Santolini a Genova



Ancora una volta Giovanni Santolini sarà protagonista nella sua Genova. Sabato 30 aprile parlerò a CISM USMI CIIS sul tema: “Dalla ricerca di sé alla ricerca dell’altro: L’esperienza di P. Giovanni Santolini”

https://youtu.be/H93VFrrx4gk

martedì 26 aprile 2022

Oltre il ‘900


 Il computer si rifiuta di mettere più di due foto del convegno di oggi che si è tenuto alla facoltà teologica di Palermo 

Vedi
https://www.focolaritalia.it/2022/04/28/palermo-presentato-il-volume-oltre-il-900/



lunedì 25 aprile 2022

Palermo: Il ‘900 e il cambiamento d’epoca


PALERMO, martedì 26 aprile, ore 17.00

Aula Magna, Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia Via Vittorio Emanuele, 463

IL ‘900 E IL CAMBIAMENTO D’EPOCA  Il contributo del carisma dell’unità di Chiara Lubich

Convegno in occasione della presentazione del libro: Oltre il Novecento. Chiara Lubich e la storia, la letteratura e la società del nostro tempo (Città Nuova 2022)

Intervengono:

Prof. Fabio Ciardi, omi - I Movimenti ecclesiali espressione delle correnti teologiche del Novecento

Prof. Pietro Cavaleri - Chiara Lubich e la svolta relazionale in psicologia. Punti di convergenza e contiguità Prof. Anna Pia Viola - Desiderio della Parola: sguardo e azione delle donne oggi

Modera: Lilli Genco, giornalista

Sarà presente la curatrice Lucia Abignente

Per seguire l’evento in streaming 

https://teams.microsoft.com/l/meetup-join/19%3ameeting_Njk2NjJlNDQtNjQ4NC00NTA2LWFkMDAtZDFmMWY2MjlmMGM2%40thread.v2/0?context=%7b%22Tid%22%3a%22e3fde917-84f1-4c86-baad-16fd3a97579b%22%2c%22Oid%22%3a%2211124ada-aa27-4efb-b149-576baab33e0e%22%7d


   

domenica 24 aprile 2022

venerdì 22 aprile 2022

Il segno dei chiodi e della lancia

Andasti dai tuoi discepoli o eri già lì? Non sei più condizionato da tempo e da spazio. Tu Sei! Sono loro che non ti vedevano, ma tu eri lì. Non di passaggio. Ti fermasti in mezzo a loro. Non una presenza fugace, un ricordo, un incantesimo, un fuoco fatuo.

Ti fermi e resti con noi, per sempre, La tua presenza dà consistenza alla Chiesa, è la sua natura. Rimani stabilmente con noi, anche quando non ti vediamo. Noi possiamo smarrirti, sentirci soli, nel vuoto. Tu ci sei sempre, vivo, presente. Tu Sei, tu Stai. Sono gli occhi nostri che fanno difetto. Ma tu ci sei: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». La risurrezione ti ha liberato dai limiti angusti del tempo e dello spazio, ma ha lasciato i segni del tuo amore.

Non nascondi con vergogna le tue piaghe. Le mostri come il segno del tuo amore, l’amore più grande, che ha saputo dare la vita per gli amici. Il segno della tua amicizia. Infondi gioia nei discepoli perché si sentono amati, nel vedere le piaghe.

Anche Tommaso non vuole vedere te, vuole vedere il segno dei chiodi, il segno della lancia, il segno del tuo immenso amore per lui. Soltanto alla vista delle tue piaghe sgorga la più alta professione di fede di tutta la Scrittura: «Mio Signore e mio Dio!». Se Dio è Amore, hai un solo modo per mostrarti Dio: mostrare un amore da Dio! Le tue piaghe lo rivelano.

In cosa credettero gli apostoli? In cosa credette Tommaso? Nel tuo amore; un amore più grande della morte, che la risurrezione ha reso vivo e operante in mezzo a noi.

Anch’io risorgerò con le mie ferite? Le mostrerò con gloria e saranno per gli altri causa di gioia? Forse sì, se in esse imparerò a scorgere le tue, se le trasformerò in amore: un inno di lode alla tua misericordia, al tuo amore.

La caffettiera di Chamiram

«“Prenderebbe un caffè con noi?”. Quel darmi del lei mi confuse al punto che quasi mi voltai per vedere la persona cui ci si poteva rivolgere così». Chamiram tratta con riguardo il ragazzo e gli versa il caffè da un bricco “troppo bello” dai delicati arabeschi. Il ragazzo rimane affascinato anche dagli orecchini di Gulizar, “lunghi e argentei”.

Un giorno Chamiram gli serve il caffè in un bricco qualunque, Gulizar non ha più gli orecchini… Gli armeni stavano vendendo oggetti di valore e gioielli per poter rimanere ancora un po’ in quella regione lontana e stare vicino ai loro cari tenuti in prigione in attesa del processo…

«E’ triste… - confessa il ragazzo protagonista del romanzo L’amico armeno – Tutte quelle belle cose che spariscono!».

Ed ecco la saggezza del ragazzo amico armeno: «No, nulla sparirà! Vedi, anche tu ti ricordi ancora della caffettiera di Chamiram e, dunque, delle ore che trascorrevamo insieme. Quel tempo è sempre nella tua memoria ed è questo che conta…».

Per il ragazzo è difficile accettare queste parole, ma lentamente comprende: «L’istinto di possesso si mescolava nella mia testa al senso stesso della vita, al mio giovane desiderio di toccare, di sentire e di serbare la totalità di ciò che mi era prezioso. Eppure, quella caffettiera d’argento, come dire? Ma sì, aveva ragione: venduta, portata via, assente per sempre, essa mi appariva ormai molto più viva, non più ridotta alla sua patina lucente ma arricchita dalla luce dei pomeriggi che avevo vissuto nel “regno di Armenia”. E gli orecchini che Gulizar era stata costretta a vendere evocavano adesso gli istanti in cui lei lasciava la casa e imboccava il sentiero che costeggiava la vecchia strada ferrata. In quegli istanti, essi sembravano eterni, assai più preziosi del loro metallo».

Delle cose resta ciò che custodiamo dentro, delle persone il rapporto costruito con loro.

giovedì 21 aprile 2022

I magnifici tre

Per oltre 50 anni, dalla fine degli anni Sessanta del 1900 fino quasi agli anni Venti del 2000, la formazione degli Oblati italiani è stata segnata dalla figura di tre persone, p. Angelo Dal Bello, p. Marino Merlo, p. Sante Bisignano. I formatori, a Marino e Vermicino, si sono succeduti numerosi in quegli anni, ma questi tre Oblati hanno dato un’impronta fondamentale che ha guidato il percorso di tanti.

Per comprendere appieno il loro contributo occorrerebbe collocarlo nell’intero arco della storia della formazione iniziata con la nascita del Centro giovanile a Marino (1967), seguita dal Noviziato, sempre a Marino (1969), e poco dopo dallo Scolasticato di Vermicino (1973).

Non mancano gli scritti e gli studi su questo percorso, sia a Vermicino che a Marino. Sulla comunità di Marino ricordo, tra gli altri: F. Ciardi, Vocazioni in una comunità che vive il Vangelo: gli Oblati di Maria Immacolata, in “Rogate Ergo”, marzo 1979, p. 39-42; S. Bisignano, Insieme sulla strada di Gesù, in “Gen’s”, marzo 1980, p. 6-10; S. Natoli, Comunità degli Oblati di Maria Immacolata. Centro Giovanile “A. Messuri”. Marino (Roma), in AA.VV., Vocazioni giovanili e comunità di accoglienza, Roma 1982, p. 71-80; F. Ciardi, Rinnovamento comunitario e rinascita delle vocazioni, in AA.VV., La vocazione religiosa oggi, Roma 1985, p. 153-172. Lo studio fondamentale rimane quello di A. Di Lizia, Il Centro Giovanile di Marino. Analisi di una esperienza comunitaria e vocazionale, Frascati 1980, cui ha fatto seguito L. Polello, Non fatelo per voi. Marino, storia di una comunità (2019).

Non ho voluto rievocare la storia delle istituzioni e le metodologie formative degli Oblati in Italia, ma fare memoria dei tre Padri che, fino all’ultimo, hanno dedicato a queste realtà tutta la loro vita. È così nato questo libro, fatto di poche note veloci, semplicemente evocative, di loro scritti e di tante testimonianze. Senza pretese. Con un taglio personale.

È un debito di riconoscenza, una memoria gradita e doverosa, il ricordo di un esempio che chiede di essere mantenuto vivo.

mercoledì 20 aprile 2022

Le più belle catacombe di Roma

 

Forse è un po’ troppo definirle le più belle, ma il lungo e accurato restauro ha dato alle Catacombe dei santi Marcellino e Pietro un volto splendente. Tra le catacombe di Roma sono al terzo posto per grandezza, con i suoi 17 chilometri e 10.000 tombe. Ma soprattutto sono le prime per il numero degli affreschi conservati, con i simboli cristiani più recepiti: l’arca di Noé, Giona e la balena, Daniele nella fossa dei leoni, i pavoni… tutti evocativi della resurrezione e della vita immortale. Ma anche figure di oranti, del buon pastore, scene di banchetti che richiamano quello celeste della vita eterna. In un affresco i commensali si rivolgono alla padrona di casa chiamandola Irene e chiedendole il nettare: invocazione alla Chiesa perché imbandisca la pace eterna distribuendo il cibo dei sacramenti. Non manca la raffigurazione del Signore nella gloria, dipinto appena dopo il Concilio di Costantinopoli, con due aureole, simbolo della doppia natura umana e divina di Cristo… Sopra la catacombe il mausoleo di sant’Elena, la mamma di Costantino, a testimoniare la regalità delle catacombe imperiali.

Visita in esclusiva in questo periodo pasquale, perché poco conosciute, un po’ fuori dei soliti circuiti. Ho potuto così gustare con calma questo luogo santo. Un pellegrinaggio d’arte e di fede, che vale la pena compiere.

lunedì 18 aprile 2022

Nel primo mistero glorioso la resurrezione di Gesù

Con i misteri gloriosi entriamo nei tempi ultimi della nostra storia, inaugurata dalla resurrezione di Gesù: iniziano sulla terra e trovano il loro compimento nel cielo, meta finale del nostro camino. Non dovremmo mai staccare gli occhi dal cielo, come invita san Paolo: “cerchiamo le cose di lassù” (Col 3, 2), perché ormai Gesù e Maria sono nel Paradiso, dove ci attendono. Questi misteri ci aiutano a ricordare costantemente la nostra meta e a dare il giusto senso alla nostra vita.

Nel primo mistero glorioso si contempla la resurrezione di Gesù.

Il primo racconto della resurrezione ci è tramesso dall’apostolo Paolo in una antica formula: «A voi ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto, cioè “che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che appare a Cefa e quindi ai dodici”» (1 Cor 15, 3-5). È qui racchiuso tutto il mistero della nostra fede. Gesù risorge perché anche noi possiamo risorgere con lui e avere la pienezza della vita.

Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei benedetta fra le donne e benedetto il frutto del suo seno Gesù:

1. che il terzo giorno è risorto secondo le Scritture (1 Cor 15, 4)
2. che è costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della resurrezione dai morti (Rm 1, 4)
3. che è la Resurrezione e la Vita (Gv 11, 25)
4. risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti (1 Cor 15, 20)
5. che ha vinto la morte per dare a noi la vita
6. che dà la vita eterna a chi accoglie la sua parola e crede in lui (Gv 15, 24-26)
7. che è risorto per la nostra salvezza (Rm 4, 25)
8. senza la sua resurrezione è vana la nostra fede (1 Cor 15, 14.17)
9. se moriamo con lui, con lui anche risorgeremo (2 Tm 2, 11)
10. con lui risorti, cerchiamo le cose di lassù (Col 3, 2)

O Dio, che nella gloriosa risurrezione del tuo Figlio hai ridato la gioia al mondo intero, per intercessione di Maria Vergine concedi a noi di godere la gioia della vita senza fine.

domenica 17 aprile 2022

Un libro che parla e guida

Testimonianze “pasquali” che ricevo con gioia…

* Tra ieri e oggi ho letto il libro di Giovanni Santolini bevendolo, quasi fosse una sorgente d’acqua fresca e zampillante.

* Il libro di Padre Giovanni sta accompagnando le mie giornate. È straordinario. Mi parla al cuore e alla mente, mi guida.

* Ho ascoltato quanto lei ha detto a Genova su padre Giovanni Santolini il 23 marzo e sono rimasta molto toccata. Sono andata sulla sua tomba nell'agosto 2001 e negli anni seguenti (sono stata 11 volte in Congo). Ho sentito alcune famiglie che hanno detto chi egli è stato per loro. Tra l'altro un focolarino ha capito la sua vocazione sulla sua tomba.

sabato 16 aprile 2022

Il buio e la luce

La guerra in Europa non ce l’aspettavamo: va bene in Medio Oriente, in Africa, ma non da noi, popoli civili. Non ci aspettavano neppure l’epidemia, nell’era della scienza e della tecnica. Ed ecco che d’improvviso si ritroviamo fragili e vulnerabili, noi resi sicuri dal benessere e della democrazia. L’ottimismo, quell’illusione superficiale dell’“andrà tutto bene”, si è presto sgonfiato lasciando nell’angoscia. È il buio.

Era notte quando nell’orto degli ulivi Gesù provò tristezza e terrore. Le tenebre coprivano la terra quando egli moriva nella più nuda solitudine. Indebito l’accostamento della nostra notte a quella di Gesù? Spiritualizzazione evanescente e consolatoria che elude i problemi? La verità di un Dio che spegne la propria gloria – la propria luce – per condividere fino in fondo il buio dell’insicurezza, dell’ansia, dello scandalo del male, bevendo fino all’ultima goccia il calice dell’amarezza e della crudeltà umana, è di una tragicità sconvolgente. Ha toccato il fondo, fino all’aberrazione, al dolore più straziante. Facendolo suo ha rischiarato ogni buio.

Se l’annuncio della Resurrezione sale dal punto più basso della storia umana, dal cuore della tenebra e della morte, è veramente foriero di speranza. Ci apre gli occhi sulla realtà vera: Dio è venuto dalla nostra parte, si è fatto solidale con noi, ha preso sul serio il nostro vivere, il nostro patire, il nostro morire, ha in mano il bandolo della matassa della storia, ha aperto una strada tra i flutti del mare, guida con mano decisa il nostro cammino, ci conduce verso una meta sicura.

La Pasqua è una luce; non un fuoco fatuo alimentato da messaggi illusori; un faro di sicura speranza, acceso sullo spegnersi di un Dio che ama da morire! 

venerdì 15 aprile 2022

Non una resa ma una consegna

“Consegnò lo spirito” (paredoken to pneuma). È un unicum in tutta la letteratura greca. Gesù muore come muore ogni essere umano, ogni essere creato. Ma chi era sotto la croce non disse che, al pari di tutti, egli “diede l’ultimo respiro”. Era un’altra cosa quella che accadde quel pomeriggio sul colle del supplizio. La morte di Gesù appariva come il più grande fallimento, una clamorosa sconfitta, penosissima. Abbandonato da tutti, tradito, rinnegato, lasciato solo ad affrontare un processo iniquo, senza che nessuno gli fosse vicino, che lo difendesse, con il popolo che gli si rivolta contro, condannato alla pena più infamante e disumana, schiacciato dalle torture, morì poche ore dopo essere stato crocifisso, prima di quelli che erano stati crocifissi con lui, tanto che il Procuratore romano ne restò meravigliato. Ma il Vangelo di Giovanni non dice che morì, usa piuttosto quell’espressione del tutto inusuale: “consegnò lo spirito”. Lo stesso Vangelo aveva riportato le straordinarie parole del “pastore buono”, pronto a dare la vita per il suo gregge: “Nessuno mi toglie la vita – aveva detto –: io la do da me stesso”. Non gliel’hanno strappata né il Sinedrio, né i Romani, né il popolo che gridava “crocifiggilo”. L’ha donata lui stesso, l’ha “consegnata” volontariamente, perché amava la sua gente e aveva dichiarato che l’amore più grande è quello che giunge a dare la vita per gli amici.

Anche Ignazio di Antiochia, il “martire” per eccellenza, nella lettera che scrive ai cristiani di Roma, li prega di non intercedere presso le autorità perché gli risparmino la morte: non saranno loro a togliergli la vita, non saranno le belve del Colosseo, la offre lui, in continuità e in unità con quella che Gesù ha offerto sulla croce. A Massimiliano Kolbe non fu un’iniezione di cianuro a togliergli la vita: l’aveva già data in cambio della vita di un altro prigioniero.

Torniamo alla croce. A chi dunque Gesù consegna lo spirito? Il Vangelo di Luca afferma che lo consegna nelle mani del Padre. Alla nascita di ogni vita il Signore infonde il suo spirito, alla morte glielo si rende. Secondo il Vangelo di Giovanni, Gesù consegna lo spirito dopo aver “reclinato il capo”. È soltanto il segno del morire o non forse che la consegna è fatta a chi sta sotto la croce, alla madre e al discepolo amato che simbolizzano l’umanità? Lo spirito di Gesù scenda a generare una nuova creazione, come nella prima lo Spirito aleggiava sul caos trasformandolo in cosmo. Sulla croce è già resurrezione, è già Pasqua, ed è già affusione dello Spirito, è già Pentecoste, è nascita di vita nuova.

La pandemia ci ha tolto tante vite. Adesso sembra scomparsa, ma subdola, continua a scompigliare l’esistenza delle nostre famiglie, generando povertà, paura, rivolta. La vita viene tolta crudelmente sui campi di battaglia, quelli in Ucraina e quelli altrettanto crudeli che vengono documentati solo saltuariamente. Non vi riconosciamo la morte di Gesù che continua nei secoli, fino nel nostro oggi?

Chissà se questi drammi, queste morti, non possano vedere, al pari di quanto è accaduto sulla croce, un’alba di resurrezione e non possano essere trasformate da resa ma consegna, così che la vita continui. La contemplazione del Cristo che nella morte vive la resurrezione potrebbe essere ispirazione per trasformare tutti in dono. 

giovedì 14 aprile 2022

Lui mi parla

Egli aveva la tendenza a sognare e guardare dentro di sé. Perciò lo ritenevamo piuttosto cretino. (…) anche al processo, egli sembrava un deficiente. Appena se ne sparse la voce, l’aula cominciò a essere affollata di gente elegante, desiderosa di divertirsi. (…) Durante l’interrogatorio egli guardava fisso qualcosa sulla parete, al di sopra del presidente. “Cosa guardate?” gli gridò il presidente. “Gesù in croce” gli rispose Luca; “non è permesso?” “Dovete guardare in faccia chi vi parla” gridò il presidente. “Scusate” replicò Luca “ma anche Lui mi parla; perché non lo fate tacere?”

Alla fine del dibattimento, come d’uso, il presidente chiese all’imputato se avesse da dire qualcosa, prima che i giurati si ritirassero in camera di consiglio. Luca mosse lievemente le labbra. “Più forte” gridò il presidente. Ma Luca arrossì e lo guardò imbarazzato. “Cosa avete detto?” insisté il presidente. “Che Iddio vi perdoni” disse Luca.

(Ignazio Silone, Il segreto di Luca)

mercoledì 13 aprile 2022

La lavanda dei piedi

Gesù lava i piedi ai discepoli. È il primo gesto che egli compie una volta iniziata la cena: fa comprendere il senso di tutto quello che avverrà successivamente. Gli eventi che si svolgeranno in quella cena sono racchiusi in quel gesto, e alla luce di quel gesto appaiono tutti un servizio d’amore. 
In quella cena c’è l’Eucaristia, dono che Gesù fa di sé istituendo il suo corpo, la Chiesa; c'è il comandamento nuovo, dono di una socialità che permette di condividere i rapporti trinitari; c'è la preghiera per l’unità che introduce nella vita di Dio. 
In quella cena è già anticipata, resa presente e partecipata la sua passione e morte, redenzione del mondo, e la sua risurrezione, vittoria sul male e inondazione di cielo: “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta”.

Anche il sacerdozio è stato istituito in quel gesto della lavanda dei piedi. L’istituzione del sacerdozio è ricondotta alla frase “Fate questo in memoria di me”. Cos’è “questo” che dobbiamo "fare"? Fare l’Eucaristia? Sì, ma un'Eucaristia inscindibile dagli altri doni: il comandamento nuovo, l’unità, la passione e morte, la risurrezione. Il sacerdote è a servizio di tutto il mistero che si celebra in quella notte, racchiuso ed espresso nella lavanda dei piedi.

A me suonano parallele, simili, le parole: “Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” e “fate questo in memoria di me”. E' un’unica azione sacerdotale di Gesù che siamo chiamati a “fare” nuovamente.

Se la lavanda dei piedi è simbolo del dono totale che Gesù fa di sé, essa è simbolo anche del sacerdozio ministeriale, nel sacerdozio di Cristo: dare la vita per i fratelli. 

martedì 12 aprile 2022

Ricordati di me


“Oggi sarai con me in Paradiso”. È la promessa più bella. E fa seguito alla preghiera più bella: “Ricordati di me, Gesù”. Una preghiera, questa, che riecheggia lungo tutta la Bibbia: “Ricordati Signore del tuo amore, ricordati della tua misericordia, ricordati della tua alleanza…”.

Abbiamo tutti bisogno che qualcuno si ricordi di noi. Sapersi trascurati o peggio ancora dimenticati è triste. Cadere nell’oblio è la morte. Il ricordo mantiene vivi.

“Ricordati di me, Gesù”. Gli risponde richiamando le parole del profeta Isaia: “Si dimentica forse una donna del suo bambino?... Io non ti dimenticherò mai. Ecco, sulle palme delle mie mani ti ho disegnato…” (Is 46. 15-16). Si è scritto il nostro nome sulle sue mani per averci sempre presenti, per non dimenticarsi mai di noi.

Tutti possono dimenticarsi di noi. Poco dopo che uno muore sparisce, magari lo si ricorda per una, due generazioni, ma poi… Per Gesù invece non muori mai, si ricorda di te sempre, ti “ridà al suo cuore”, ti porta nel suo paradiso dove tutti sono sempre presenti.

lunedì 11 aprile 2022

La tragedia della solitudine

In questi giorni ho letto L’amico armeno, un romanzo di Andreï Makine, ambientato nella Siberia agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso. A seguito della repressione degli Armeni, l’URSS deporta in Siberia un gruppo di ribelli, a 5000 chilometri di distanza dal Caucaso. I parenti dei carcerati si trasferiscono vicino alla prigione e creano un piccolo villaggio armeno per stare loro vicino e per assisterli quando sarà il momento del processo. È un atto di straordinaria solidarietà e umanità: non abbandonare chi è imprigionato, chi deve affrontare un processo.

Inizia la Settimana Santa. Gesù l’aveva predetto: «Il Figlio dell’uomo verrà consegnato ai pagani, verrà deriso e insultato, lo copriranno di sputi e, dopo averlo flagellato, lo uccideranno» (Lc 18, 32-33). Sapeva a quanto andava incontro. Aveva previsto anche che il suo gregge si sarebbe dispeso (Mt 26, 31). Ma forse non aveva immaginato di restare così solo.

Nell’orto degli ulivi prova tristezza, angoscia, una paura da morire e implora i tre discepoli che più gli erano vicini di non lasciarlo solo: “Vegliate con me” (Mt 26, 36). Pietro, Giacomo, Giovanni se li era portati con sé sul monte della trasfigurazione e nella casa di Giairo dove aveva risuscitato la bambina. Erano i discepoli più cari. E lo lasciano solo. Quando vengono per arrestarlo tutti scappano. Al processo Pietro nega di conoscerlo e da quel momento non c’è più nessuno accanto a Gesù. Affronta da solo le accuse, la flagellazione, il processo, la condanna… Non c’è nessuno con lui. Lo stesso sulla croce, quando è circondato soltanto da chi lo insulta, lo deride… Giovanni dice che c’era lui e la madre, ma Matteo dice che le donne “osservavano da lontano” (27, 55). Solo come un cane. Senza nessuno che lo sostiene, gli sta vicino, gli mostra un briciolo di comprensione, di affetto.

È questo che lo ha fatto soffrire di più, più della flagellazione, più della corona di spine, delle umiliazioni, dei chiodi: sentirsi solo, lasciato solo da tutti, soprattutto da quelli che aveva amato e per i quali moriva. Poi ci si mette anche l’abbandono del Padre: è il culmine, fino al grande grido inarticolato con il quale muore (Mt 27, 50; Pc 15, 37).

Quanti sono soli davanti al dolore, alla malattia, alle difficoltà della vita, alle disgrazie. Non hanno con chi parlare, con chi piangere, con chi consigliarsi; senza aiuto, senza comprensione, senza sostegno… È la tragedia nella tragedia. 

Gesù ha vissuto la più grande solitudine perché ha raggiunto e fatto propria ogni solitudine. Ha vissuto la solitudine perché non fossimo più soli. Noi le sue braccia i suoi cuori per colmare ogni solitudine. 

domenica 10 aprile 2022

La Passione secondo Luca

 

Domenica delle Palme. Quest’anno si legge il Vangelo secondo Luca. Gesù vi appare in tutta la sua profonda dignità, pieno di misericordia. Le sue parole infondono pace e speranza. È l’esempio del giusto sofferente, il modello del martire cristiano.

La preghiera è un tema centrale di questo Vangelo, a cominciare dal momento del battesimo al Giordano quando, «ricevuto da lui [Giovanni] il battesimo, [Gesù] stava in preghiera» (3, 21), fin sul monte degli Ulivi alla vigilia della passione, quando «cadde in ginocchio e pregava dicendo “Padre”» (22, 41). Gesù non poteva dunque terminare la vita se non con una preghiera, e rivolgendosi al Padre, come aveva fatto costantemente e come aveva insegnato a fare ai discepoli (11, 1-4): «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (23, 34); «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (23, 46). Muore con sulle labbra la parola “Padre”. Era stata la prima parola che lo abbiamo sentito pronunciare: «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (2, 49), ed è la sua ultima parola. Ogni sera ci addormentiamo con questa preghiera. Vorremmo che fosse anche l’ultima preghiera.

Il Vangelo di Luca è il Vangelo della misericordia e sulla croce Gesù, ancora una volta, non si smentisce: «In verità, oggi sarai con me in paradiso» (Lc 23, 39-43). In verità: è una promessa solenne, nella quale Gesù si impegna in prima persona. Oggi: quanta fretta, nessuna dilazione, lo porterà in paradiso subito. Quanta premura! Con me: poteva promettere compagnia migliore? In paradiso: poteva esserci ricompensa più grande? Non per i crimini commessi, ma per la fede nella sua regalità e la fiducia nella sua misericordia.

 

sabato 9 aprile 2022

L’asino dell’entrata in Gerusalemme

Fa un po’ impressione vedere il Messia, il re d’Israele, avanzare su un asinello. Lo sappiamo, l’ingresso in Gerusalemme di Gesù che cavalca un asino ricorda la profezia di Zaccaria sull’avvento del Messia. Eppure fa impressione lo stesso. In tutte le nostre città ci sono monumenti di re e generali a cavallo, a cominciare da Vittorio Emanuele II all’altare in piazza Venezia a Roma. Ce li immaginiamo questi grandi personaggi della storia ritratti a cavalcioni di un asino? Farebbero ridere. Inoltre hanno sempre la spada in mano. Anche quelli che hanno preparato la nuova traduzione della Bibbia della CEI si sono vergognati di far cavalcare Gesù su un asino e chiamano l’asino puledro, parola che va benissimo anche per il cavallo animale più nobile.

Nel Vangelo siamo in un altro mondo, nella cultura semitica, che ricorda molto la nostra antica cultura contadina, dove l’asino è l’animale che aiuta nel lavoro dei campi, tira il carro, si accontenta di poco, cammina lentamente ma va lontano Non è adatto alla guerra: meglio il cavallo o almeno il mulo, ma il re di Israele è un uomo di pace, che rifiuta la spada di Pietro.

L’asino è un animale testardo, sembra poco intelligente, eppure, sorprendentemente, Gesù dice che ne ha bisogno: «Troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno”» (Lc 19, 30-31). Anch’io come quell’asino. Gesù ha bisogno di me? Incredibile! Ma io sono un asino. Proprio per questo ha bisogno di me. Quello che deve apparire non è l’asino ma colui che l'asino porta su di sé. L’asino vale solo è in quanto porta Gesù. Come me, valgo solo e in quanto porto Gesù.

Forse quell’asinello si sarà montato la testa. Vedendo che tutti battevano le mani, stendevano i mantelli sotto i suoi zoccoli, agitavano davanti a lui rami in segno di festa, può aver pensato che tutto questo fosse per lui: “Guarda quanto sono bravo, come mi acclamano”.

Non montiamoci la testa. Sì, Gesù ha bisogno di noi, ci usa come vuole, ci fa fare cose alle quali non avremmo mai pensato. Rimaniamo comunque dei poveri somari, non contano le nostre doti, i nostri meriti, le nostre qualità. Vale solo colui che portiamo sulle nostre spalle, valiamo solo se siamo strumenti del suo amore. Eppure, bontà sua, ha comunque bisogno di noi... troppo grande il suo amore che ci prende in seria considerazione. 

venerdì 8 aprile 2022

Nell'armonia di ogni giorno

Ogni giorno ha le sue piccole storie. Una di questa giornata è stata una sorta di via Crucis che abbiamo tenuto nel nostro parco ispirata alla lettera del Papa, Laudato si’, a cominciare dal numero 66: «I resoconti della creazione nel Libro della Genesi... suggeriscono che la vita umana si fonda su tre relazioni fondamentali e strettamente intrecciate: con Dio, con il prossimo e con la terra stessa. Secondo la Bibbia queste tre relazioni vitali sono state spezzate, sia esteriormente che dentro di noi. Questa rottura è il peccato. L'armonia tra il Creatore, l'umanità e la creazione nel suo insieme è stata interrotta dalla nostra presunzione di prendere il posto di Dio e dal rifiuto di riconoscere i nostri limiti creaturali»

Con la sua croce Gesù fa tutto nuovo e ristabilisce rapporto tra tutti e tutto…

Un po’ l’abbiamo sperimentato anche tra di noi, con gli stessi vicini che hanno preso parte a questo momento di preghiera, a cominciare dalla famiglia dell’ambasciatore delle Filippine…

giovedì 7 aprile 2022

Il sant'Eugenio di padre Michele Cipolla

Per quanto riguarda statue e quadri di sant’Eugenio non siamo proprio al massimo come Oblati: non possiamo avere tutte le doti. Lunedì, a Santa Maria a Vico, per la prima volta ho visto un bozzetto di una statua che mi è sembrata bella: purtroppo credo non sia mai stata realizzata.

Il bozzetto è di p. Michele Cipolla e porta la data 1933. Era nato 1881 ed entrò tra gli Oblati da sacerdote, dopo avere esercita il ministero parrocchiale nella diocesi di Teano.

Una delle annotazioni “negative” da parte dei superiori è che possiede uno “spirito piuttosto sognatore e poeta” e una “ipersensibilità per quanto riguarda l’arte e l’attività artistica, talché egli si rassegna difficilmente a essere privato di questa attività”. È riuscito comunque a lasciare qualche scultura e diversi altri lavori artistici.

Anche su di lui non mancano gli aneddoti. Si racconta, ad esempio, che prima di entrare tra gli Oblati passando dinnanzi ad una calcara accesa sente bestemmiare, lui subito grida: "Dio ve la faccia spegnere"; e così avviene. Gli operai tentano di riaccenderla, ma non vi riescono ed allora... fanno ricorso a Don Michele, che interviene e la calcara torna ad ardere.

A 77 anni è paralizzato. I superiori chiedono per lui alla Santa Sede l’indulto perché possa celebrare la messa seduto! Lo fa per 10 anni, fino a quando muove il 21 settembre 1968 a 87 anni.

Il suo bozzetto con sant’Eugenio in preghiera è ancora lì, ad attestare la sua devozione…

mercoledì 6 aprile 2022

Un patto che non conosce confini


«In questi tragici e dolorosi momenti nei quali la vostra patria è calpestata da piedi stranieri, mentre il vostro antagonista come nemico della patria occupa i vostri focolari, vi mandiamo, noi studenti cattolici, l’espressione del nostro fraterno amore. Non abbiamo la possibilità di mutare la triste situazione, ma sentiamo in noi l’intera forza del nostro amore cristiano che ci affratella oltre i confini di tutte le Nazioni. I Governi di oggi non conoscono il monito del Papa: “La vera Pace è più frutto del cristiano amore del prossimo che di giustizia” e preparano per il futuro nuove guerre per tutta l’umanità. La società moderna affonda nei dolori delle passioni umane e si allontana da ogni ideale d’amore e di pace. Cattolici voi e noi dobbiamo portare il soffio di bontà che solo può nascere dalla fede di Cristo. Fratelli, in queste nuove prove e terribili dolori, sappiate che la grande famiglia cristiana prega per voi; agite perché le sofferenze e i lutti vi siano alleggeriti. Siccome la pace del mondo senza Dio non può tornare, serbate almeno voi, uomini di buona volontà, nei vostri cuori Colui che nella grotta fu annunziato dagli Angeli il Salvatore dell’Umanità».

Non è una lettera di questi giorni ai cristiani dell’Ucraina. È una lettera scritta 100 anni fa, nel gennaio 1923 ai cristiani della Francia. È di un giovane, Pier Giorgio Frassati, di cui oggi ricorre il compleanno (Torino, 6 aprile 1901 – 4 luglio 1925).

«Vorrei che noi giurassimo un patto che non conosce confini terreni, né limiti temporali: l’unione nella preghiera» scriveva a Isidoro Bonini, il 15 gennaio del 1925. Certo che «la violenza non può superare la forza della nostra fede, perché Cristo non muore»

martedì 5 aprile 2022

Pregare


P. Paolo a Pescara...

«Siamo usciti dal secondo conflitto mondiale, ma non dallo spirito di distruzione»: così scriveva Igino Giordani nel prologo a Disumanesimo, nel marzo del 1949. Guardandosi attorno denunciava profeticamente il pericolo di costruire un paradiso in terra, ma senza Dio, tentativo destinato a naufragare nel più ignobile inferno. Il “disumanesimo” si esprime in guerre assurde e brutali, in organizzazioni criminali, come nel respingimento in mare dei profughi, nell’esplosione degli odii sui social... Come tornare a essere “umani”?

La scienza dell’evoluzione ha le sue affascinanti ipotesi sul momento dell’umanizzazione, ossia sul passaggio dall’essere animale alla persona umana. In ultima analisi credo sia avvenuto nel momento in cui Dio si è rivolto alla sua creatura e, indirizzandole la parola, ha iniziato a parlare con lei. Rispondendo, la creatura ha preso coscienza di sé. Ne è nato un dialogo nel quale scopriamo di essere il “tu” di Dio e che egli è il nostro “Tu”: è la preghiera. Il rapporto con Dio – la preghiera – è dunque costitutivo dell’essere umano, lo fa persona (= essere in relazione). Non è alienazione, perdita di tempo, evasione dall’impegno: è cammino verso la piena umanizzazione. Forse ci siamo disumanizzati perché non sappiamo più pregare.

Già, come si impara a pregare? Semplicemente pregando. Così come per imparare a nuotare occorre scendere in acqua, così per imparare a pregare occorre immergersi in Dio; o meglio, prendere coscienza che siamo già in lui: «In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo», come ricordava l’apostolo Paolo davanti all’Aeròpago ad Atene (Atti, 17, 28). Non è questione di molte parole, ma di stare a tu per tu – direbbe una che se ne intende, Teresa d’Avila –, con colui da cui sappiamo di essere amati. Torneremo ad essere “umani”.

domenica 3 aprile 2022

Giovanni Santolini: "Uno come tutti"

Mi giunge ancora una testimonianza su Giovanni Santolini, di Edeltraud Strugholtz.

Ho vissuto 19 nel Congo: a Kinshasa e Lubumbashi. Alla fine del 2015 sono rientrata in Europa…

È stato nel novembre 1996, al Centro del Movimento dei Focolari a Rocca di Papa, Roma, quando ho conosciuto Padre Giovanni. Mi era stato chiesto se ero disposta ad andare nello Zaire, nel focolare a Kinshasa. Era un momento molto critico per tutto il Paese, di grande instabilità politica, di guerra. In grande pericolo erano soprattutto gli ruandesi sul territorio zairese, perseguitati anche a Kinshasa. Ho aderito subito a questa mia nuova destinazione, pur essendo completamente all’oscuro della situazione difficile che attraversava lo Zaire, e non per ultimo: non parlavo neanche il francese.

La prima prova della provvidenza di Dio in tutto è stato proprio questa: Padre Giovanni Santolini era in visita al Centro dell’Opera di Maria. Una focolarina allora mi disse che potevo parlare con lui per ricevere prime nozioni sullo Zaire e su quello che mi aspettava. E magari, chissà, avrei potuto addirittura viaggiare con lui perché doveva rientrare nello Zaire.

Ho aspettato P. Giovanni  davanti al piccolo ufficio antecedente della cappella in cui faceva un colloquio con Graziella de Luca. Quando esce mi dice: “Ah! Sei tu! Vieni, ti dico un po’.” Poi mi ha brevemente raccontato di Kinshasa e mi ha detto: “Possiamo viaggiare insieme!  Per i religiosi non c’è nessun problema. Tutti ci vogliono bene lì! Basta che anche tu ti vesti un po’ da religiosa. E mettiti una bella croce.”

Visto che tutti due dovevamo ancora salutare le nostre famiglie, io in Germania, lui in Italia, ci siamo dato appuntamento all’aeroporto di Bruessel. Ma cosa fare con i miei strumenti musicali?  Padre Giovanni: “Non c’è nessun problema. La fisarmonica la prenderò io. Me la puoi dare subito.” Se l’ha portato già nel suo volo fino a Bruessel.

Quella sera sono rientrata in focolare con una grande pace ed una grande gioia in cuore. La prima impressione – e si dice che sia quella che non si cancella più – era questa: “Un uomo di Dio. Un sacerdote che non mostra d’esserlo. È uno come tutti! Un prete senza frange”.  Questa mia impressione mi è rimasto nel cuore fino ad oggi! Ed ogni volta quando Papa Francesco parla del clericalismo come una delle piaghe più brutte nella Chiesa, mi viene sempre da pensare: Sì, basterebbe essere come P. Giovanni.

Ecco il nostro incontro nel transfer a Bruessel. “Sei perfetta”, mi diceva, guardando la mia tenuta, con un foulard blu, una croce sulla camicia bianca, una gonna blu. Dopo le prime risate (visto che i focolarini vanno normalmente solo in civile) c’è stato un’intesa immediata: Questo viaggio sarà una bellissima opportunità di conoscerci dal punto di vista come vorremmo vivere: Da figli di Dio. Un momento, quel volo, che mi resta per sempre. Ci siamo raccontato le nostre storie di vita vissuto fin d’ora. E ci siamo trovati fratello e sorella. Ce lo siamo anche detto, così, spontaneamente.  Era quello che ci importava esserlo, in LUI. Ad un certo punto P. Giovanni mi chiede: “E voi, quanti fratelli eravate?” – “Undici!” – “Davvero! Anche noi!” – “E quanti sorelle e fratelli?” – “Otto sorelle, tre fratelli”. – “Davvero. Anche noi!”. Comunque, ci trovavamo in tutto uguale! Era incredibile. Poi ho scoperto che era proprio questa la grandezza di P. Giovanni: Ti faceva sentire uguale, anzi, più grande. Mentre io avevo da imparare tutto, da acquistare tutto…., e Lui, teologo, con tantissime esperienze… . Quello che a lui importava, quello che lui soltanto vedeva, era il mio cuore che voleva battere solo per Gesù, per un Amore esclusivo: Gesù Crocefisso e Abbandonato.  Poi scherzava: “Volevo sempre andare dagli eschimesi, dove fa freddo 40 Gradi. Ora mi hanno mandato nello Zaire. Sono 40 Gradi anche qui, non importa il più o il meno. Sono sempre 40.”      

Prima di uscire dall’aereo P. Giovanni si faceva serio: “Ora, uscendo dall’aereo, ci sarà tantissima gente, tanta gente povera. Devi imparare a fare un’unica cosa: Ad ogni richiesta di aiutarti devi dire di no.” Lì per lì non capivo, ma poi non era difficile capire che non si poteva fare altro: La nuova arrivata, nonostante fosse vestita da suora, secondo le persone doveva essere aiutata e la gente cercava di strapparmi le valigie dalla mano, per guadagnarsi qualche soldi. L’aeroporto, in uno stato di hangar, piena di gente che si spingeva… . P. Giovanni aveva da fare per farmi arrivare sicura nel pulmino degli OMI. Père Adelà ci faceva una grande festa appena seduti in macchina. La mia vita nello Zaire cominciava.

Le prime 6 settimane sono andata a scuola dai Padri OMI per imparare il francese. P. Giovanni non mancava mai all’appuntamento nell’intervallo. “Come va?” Poi ci si dicevano le cose belle, essenziali. Il rapporto fra fratello e sorella era sempre la realtà più vera. Il resto non importava. Le esperienze semplici di vita evangelica erano quelli che contavano ed altro non si aveva da raccontare. La realtà di Gesù in mezzo a noi era sempre sentita, fra noi ed insieme a tutti. Era quella la nostra vita, di tutti i membri e aderenti del Focolare. Grande la mia gioia, quando un giorno P. Giovanna diceva a Monika-Maria, allora responsabile dell’Opera di Maria nel Congo, riferendosi a me: “Quella qui è la giusta per noi!” La sua approvazione mi importava moltissimo.

P. Giovanni per noi focolarini era una persona importantissima: Non essendoci ancora il focolare maschile era lui il punto di riferimento per tutti gli uomini, giovani, ragazzi che aderivano alla spiritualità dell’unità. La sua presenza era di una umiltà grandissima, e nello stesso tempo una presenza rassicurante e confortante. Era come un padre prevedente, anche per ogni particolare. Che si trattasse di trovare un lavoro per una focolarina, trovare una cassetta per aspiranti al focolare…. . Infatti, la prima cassetta maschile, la Domus Aurea, è stata proprio aperta nel compound degli OMI, della sua comunità, a Kitambo. P. Giovanni era il nostro punto di riferimento durante disordini, saccheggi e pericoli di ogni genere.    

Vorrei concludere con un aspetto di Lui che mi sembra forse il più importante, che emergeva in incontri speciali e molto apprezzati da tutti noi. P. Giovanni era membro della Scuola Abba, quella scuola istituita da Chiara Lubich stessa, che studia a fondo la grande luce che Dio ha voluto dare a lei. In incontri regolari chiamati “Scuola Abba” ci incontravamo sulla terrazza del focolare St. Raphael a Kinshasa-Limete, e P. Giovanni ci faceva le lezioni. Erano momenti sacri. Per anni mi ero tenuto un foglietto nel mio portafoglio di questi squarci di luce. Un aspetto base di queste lezioni che mi sembrava avesse impregnato più di tutto la vita di Padre Giovanni e che veniva sempre fuori era quell’essere nulla per accogliere in sé l’altro. Essere svuotato di sé per essere tutto dono, come nella Santissima Trinità. P. Giovanni voleva essere quel Vuoto d’Amore soltanto!

Dieci giorni prima dell’incidente mortale P. Giovanni, con la sua moto, aveva già fatto un piccolo incidente. Durante la scuola di francese avevo visto le sue ferite al braccio e nel viso. Avevo allora insistito fortemente che non prendesse più la moto, in quel traffico imprevedibile a Kinshasa. Lui però ci rideva sopra. Lui voleva arrivarci dappertutto sempre. Poi aveva anche un grande senso di povertà, voleva essere spoglio di tutto. Quindi bastava una moto.  

La sua partenza per il Cielo mi ha fatto dire semplicemente: Gesù lo voleva con sé.  L’unico Bene di Padre Giovanni era LUI, DIO. E Padre Giovanni aveva trovato la strada di trovarLo, essendo un Nulla d’Amore.

Fratel Pasqualino

Non è mio compito scrivere i profili dei nostri defunti, ma in pochi giorni qui in Italia sono partiti per Cielo, uno dietro l’altro quattro dei nostri Oblati. Appena celebrato il funerale di p. Paolo moriva fr. Pasqualino Valiante. Abbiamo vissuto insieme più di 20 anni. Non posso non ricordarlo. Sempre umile e nascosto, lavoratore, senza pretese, fedele nella sua vocazione di Fratello Oblato…

Quando nel 1970 al noviziato di Marino si cominciò a pronunciare la prima oblazione il 29 settembre sembrava di interrompere una tradizione secolare. Invece Pasqualino aveva fatto la sua professione a San Giorgio Canavese proprio il 29 settembre 1945. Aveva 17 anni. Il suo maestro dei novizi, p. Morabito, lo ritraeva già “buono, sensibile, delicato”. Per l’oblazione perpetua, l’11 ottobre 1952, era a Firenze dove, con poche interruzioni, è stato fino al 1973, quando venne a Vermicino. In vista della consacrazione definitiva fu p. Aurelio De Maria a tracciarne il profilo. Riprendendo le precedente noti scriveva: “Dolce, calmo, generoso, retto, sensibile, volontà energica…”. Poi rilevava: “Peccato che da piccolo non ha frequentato le scuole”, ma dagli Oblati ha imparato a leggere e un po’ a scrivere. “È benvoluto da tutti perché è molto servizievole. Molto applicato nel lavoro con vero spirito di sacrificio e di attaccamento alla comunità. Grande spirito di fede… Molto attaccato alla vocazione”.

Ha lasciato tanti ricordi e pochissime carte. Tra queste un biglietto al Superiore generale, nel quale scrive: “Le rinnovo la mia volontà di servire il Signore e la Congregazione, da umile Fratello. Posso dirle di essermi sforzato di cercare di accontentare tutti e di lavorare coscienziosamente senza pretese e senza trascurare la vita di comunità” (7 ottobre 1996). Una nota che accompagna questa lettera dice: “Fratelli di questo stampo se n’è perduto!”. C’è anche una testimonianza di p. Marcello Zago che gli scrive: «Sono stato concento di incontrarti e di ascoltarti a Santa Maria a Vico. Anche se la salute lascia un po’ a desiderare e ti fa soffrire, tu cerchi di amare il Signore e i fratelli e di lavorare quando ti è possibile. Metti la tua fiducia nel Signore e non preoccuparti dell’avvenire, perché Dio si prende cura di noi. La Congregazione poi non abbandona nessuno» (23 febbraio 1993).

L’ultimo scritto, in stampatello, è del 4 ottobre 2006, in occasione dei 60 anni di professione; quasi un testamento spirituale: «In tutti questi anni ho cercato di rispondere alla vocazione di Fratello alla quale sono stato chiamato dal Signore, e con l’aiuto della sua grazia e l’intercessione di S. Eugenio, spero di esserci riuscito. Chiedo alla Madonna, madre nostra, di conservarmi sempre nel servizio a cui sono chiamato per poter essere perseverante fino alla fine».

Sì, caro Pasqualino, possiamo testimoniare che sei stato fedele fino alla fine, in mezzo alla cecità progressiva e poi totale e a dolori sempre più forti e costanti: un vero Crocifisso. Ora la tua resurrezione! Tutta la nostra gratitudine.

 

sabato 2 aprile 2022

Perché soltanto la donna?

Perché trascinano con sé soltanto la donna? E l’uomo? Non ha commesso adulterio anche lui? Perché per lei la lapidazione e per lui l’impunità? Colpevole è sempre il più debole. Oggi come allora. Dov’è la parità tra uomo e donna, la comune dignità? Riesce mai una donna aggredita o violata o tradita a trovare giustizia davanti a un tribunale? E il malcostume non è sempre dovuto alla donna di strada e mai ai suoi clienti? Lei sola umiliata, insultata, arrestata...

Forse è per questo che ti distanzi dagli accusatori ferventi e fanatici, senza prenderli neppure in considerazione. Incurante delle accuse, della loro stessa presenza, prosegui imperterrito nello scrivere per terra, con gesto indifferente. Si vede subito da che parte stai. Ti metti sempre dalla parte del povero, del debole, della vittima, del perdente. E vorresti che anche il prepotente, il sicuro di sé, l’arrogante che si ritiene nel giusto, si rendesse conto della sua colpevolezza e della sua miseria. Chi può presumere di avere il diritto di condannare, chi può scagliare le prima pietra?

Tu la pietra l’avresti potuto scagliare, ma non è da te.

Quanto sei rimasto da solo, a tu per tu con lei, avresti potuto redarguirla, farle comprendere il male compiuto. Avresti potuto farle notare che l’avevi salvata dal linciaggio. Niente. Una domanda soltanto: «Nessuno ti ha condannato?». E un verdetto inappellabile: «Neanch’io ti condanno».

Sei la misericordia e il perdono. Lo sei con squisita signorilità, senza far pesare il gesto d’amore, senza umiliare.

E insegni anche a noi lo stile dell’amore e del perdono.

Ma il tuo perdono non è gratuito. Non va confuso con un generico “buonismo”. Non è paternalismo, il tuo. È una misericordia esigente, quella che tu doni. Altrove nel Vangelo chiedi di perdonare, in cambio del perdono ricevuto. Oggi domandi la conversione. Il peccato è rimesso, ma «d’ora in poi non peccare più».

Non è uno scherzo, il tuo perdono: ti costa la vita. Siamo stati riscattati con il tuo sangue prezioso, ricorda Pietro nella sua prima lettera. Non è uno scherzo neppure essere perdonati: anche a noi domanda la vita, una via nuova: «non peccare più».