sabato 30 giugno 2012

Stelle e nebuose


Ieri sera la città ha festeggiato i suoi patroni Pietro e Paolo con la tradizionale girandola di fuochi di artificio sparati da Castel Sant’Angelo. Per tra quarti d’ora l’antico castello – straordinario scenario – era ornato di fantastici effetti di luci. Ma lo spettacolo più bello era quello dei romani che a migliaia si erano radunati sul lungotevere, chiuso al traffico, per partecipare alla festa: le persone si riappropriano della loro città e se la godono tra applausi e gridi di sorpresa e di gioia. I due grandi santi si meritano una tale festa: due stelle di prima grandezza nel firmamento della chiesa romana.
Con loro, a seguito dell’incendio della città, Nerone fece trucidare centinaia di altri cristiani di cui non si ricorda neppure il nome, quasi una nebulosa uniforme di piccole stelle anonime, di cui oggi celebriamo la memoria liturgica. Tacito, lo storico romano, attesta che "alcuni ricoperti di pelle di belve furono lasciati sbranare dai cani, altri furono crocifissi, ad altri fu appiccato il fuoco al termine del giorno in modo che servissero di illuminazione notturna”. Davanti a tanto orrore, continua lo storico, “si manifestò un sentimento di pietà, pur trattandosi di gente meritevole dei più esemplari castighi, perché si vedeva che erano eliminati non per il bene pubblico, ma per soddisfare la crudeltà di un individuo". Nebulosa? Vesta da lontano. Agli occhi di Dio ognuna di quelle centinaia di martiri ha un volto e di ognuno egli conosce il nome…
È così della santità. C’è quella ufficiale, di grandi persone che hanno vissuto una vita degna di essere da tutti ricordata – stelle nel firmamento della Chiesa – e c’è quella nota soltanto a Dio, che non ha meno valore, anche se appare come una diffusa nebulosa.
Quant’è bello il cielo stellato della Chiesa!

venerdì 29 giugno 2012

Pietro e Paolo: perché insieme?


Ieri sera la città si è improvvisamente animata: caroselli d’auto, botti, gente riversata sulle strade e nelle piazze… Pensavo fosse l’inizio della festa di oggi, i santi Pietro e Paolo, che a Roma è festa anche civile. Si trattava invece dell’esplosione di gioia per la vittoria dell’Italia sulla Germania, piccola rivincita contro lo strapotere della Merkel.
Oggi a Roma è dunque festa, Da sempre l’iconografia ha ritratto i due santi uno accanto all’altro, spesso abbracciati: Pietro inconfondibilmente con barba e capelli ricci, Paolo calvo e la barba liscia, tratti costantemente ricorrenti, che sicuramente tramandano il ricordo della loro reale fisionomia. Sempre insieme perché hanno dimorato a Roma imprimendovi il loro timbro apostolico, testimoni credibile ed efficaci dell’incontro privilegiato con Gesù che ognuno dei due ha avuto, anche se in modo molto diverso. Che fortuna hanno avuto i Romani!
Insieme perché ambedue qui a Roma hanno dato la vita per Cristo.
Mi piace ogni tanto entrare nella chiesa di santa Maria del Popolo, a Piazza del Popolo, per godermi il Caravaggio che, nella Cappella Cerasi, ci ha lasciato due opere d’incanto: la Conversione di san Paolo e la Crocifissione di san Pietro; ancora una volta insieme, anche se uno da una parte della cappella e l’altro dall’altra; in mezzo l’Assunzione della Vergine di Annibale Carracci (chi altro può tenere uniti due santi così diversi se non Maria?).
Nel dipinto Paolo, disteso a terra, è completamente arreso alla luce della grazia che brilla su di lui, come nell’atto di accogliere Gesù stesso che, attraverso la luce, gli scende in cuore (“Che il Cristo – scriveva agli Efesini – abiti per mezzo della fede nei vostri cuori”). 
Pietro, mentre viene eretto sulla croce, ha uno sguardo sereno, rivolto fuori della tela, quasi vedesse già quel Gesù che lo aveva invitato a seguirlo fino in fondo, fino a prendere la croce con lui (“Egli patì per voi – scrive nella sua prima lettera – lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme”).
Insieme dunque anche nella celebrazione della festa, quasi a mostrare il volto completo della Chiesa di cui esprimono due aspetti inseparabili. Gli antichi, a cominciare da san Paolo, riconoscevano in Pietro la Chiesa che nasce dal popolo ebraico, il Paolo la Chiesa che nasce dai pagani, un’unica Chiesa con due volti diversi.
Oggi mi sembra che Pietro ricordi l’unità della Chiesa, costruita sulla roccia che è Cristo (Pietro stesso, nella sua lettera, tace sul suo essere pietra, per mettere invece in luce Cristo come la “pietra viva” sulla quale di edifica la Chiesa, fatta di “pietre vive” che siamo tutti noi). Paolo mi sebra ricordi la cattolicità, l’universalità della Chiesa, la ricchezza delle molte comunità diverse l’una dall’altra.
Sempre insieme, i due apostoli: Cosa sarebbe una Chiesa unita che non lasciasse spazio alla diversità? Cosa sarebbe una Chiesa diversificata se non componesse in unità la molteplicità?

giovedì 28 giugno 2012

Blog a 100.000


Vedo avvicinarsi veloce la visualizzazione 100 mila nel tuo blog. Mi piacerebbe conquistarla, ma la lascio a tanti altri che immagino la desiderano. Da parte mia un grandissimo GRAZIE: non sono mai uscito dalla tua pagina senza esserne stato interiormente riscaldato, vivificato, illuminato e incoraggiato. Spesso mi hai aiutato ad "arricchire" altri, oltre che me”.
Questo messaggio mi ha fatto prendere atto che effettivamente siamo arrivati a 100.000 visite su questo blog. Ho iniziato per gioco il 1° dicembre 2009 pubblicando la mia bibliografia e da allora… ho continuato a giocare. È un modo semplice per annotare qualcosa di quanto mi passa attorno e dentro durante la giornata e comunicarlo ai miei “25 lettori”, che adesso si sono stabilizzati attorno ai 170 al giorno.
Il post più letto in assoluto è quello che ho scritto il 16 aprile 2010: “Il grido di Useppe, di Edvard Munch, di Gesù” (916 visualizzazioni); segue poi quello del 19 gennaio 2012 su padre Angiolino: “Quello che rimane dopo la morte” (662 visualizzazioni); viene infine il post “Le quattro posizioni delle mani di Dio” (545 visualizzazioni).
La domanda cruciale è continua ad essere quella che mi ha posto p. Angiolino: cosa rimane dopo la morte?

mercoledì 27 giugno 2012

I sentimenti di Gesù: la gioia


Il mese di giugno, tradizionalmente dedicato al Cuore di Gesù, sta ormai volgendo al termine.
Il cuore, che simbolizza il centro vivo della persona, è anche simbolo della profondità e dell'autenticità dei sentimenti e delle parole, della loro sor­gente profonda: l'amore.
Vale anche per Gesù, che ha amato come nessun altro uomo ha mai amato.
I suoi sentimenti? Infiniti come infinito è il suo amore.
Ha provato la gioia: esultò di gioia quando i discepoli, tornando dalla missione, gli raccontarono le meraviglie che avevano compiuto in nome suo. Gesù era contento del bene che vedeva compiere da loro – “esultò nello Spirito Santo” –, senza invidia alcuna. Gioiva perché vedeva che a loro, i piccoli, il Padre aveva rivelato i segreti del cielo.
Poiché capace di gioia ne parla nelle parabole dove è tutto un esplodere di gioia: del contadino che trova il tesoro nascosto, del pastore che trova la pecora smarrita, della donna che trova la moneta perduta, dell’amico dello sposo, della donna che partorisce.
È talmente pieno di gioia, il suo Cuore, che ne ha da dare a tutti, per sempre, e “nessuno vi toglierà la mia gioia”!

martedì 26 giugno 2012

Ma Dio è proprio un padre che ama?


“Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori” (Is 53, 10). Questa cosa, che a Dio piaccia caricare di dolori una persona, a qualcuno non è andata giù e mi ha scritto al riguardo. Vediamo se posso dare una piccola risposta all’eterna domanda: Ma Dio è proprio così crudele che vuole far pagare i peccati?
La parola ebraica è hpz (chafets), che significa chinarsi, nel senso di acconsentire. Più spesso significa desiderare, volere. 
Come sempre un versetto della Bibbia va letto nel suo contesto. Quello della frase in questione è il quarto canto del servo del Signore: lo scandalo e l’incomprensione per la sofferenza del giusto che si rivela invece intercessione ed espiazione dei peccati del popolo. Perché, si domanda la Bibbia, questo uomo giusto è così disprezzato e rigettato da tutti, fino a diventare “uomo dei dolori”?
La verità è che egli “si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori… offrirà se stesso in sacrificio di riparazione… si addosserà le nostre iniquità”. Da queste parole risulta che è lui stesso ad assumersi il negativo per annullarlo e per “rendere giusti molti”.
In tutto questo c’è un disegno di Dio, un suo piano: attraverso quest’uomo vuole salvare tanti uomini; quest’uomo misterioso prenderà su di sé i peccati del popolo e così libererà il popolo dal peccato. Prendendo su di sé i peccati, ci muore sotto, potremmo dire: si sacrifica per gli altri. Questo progetto di Dio di Dio si esprime con le parole: “il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di tutti noi” e poi giunge la frase “incriminata”: “al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori”. La parola, così come suona in italiano, farebbe quasi pensare che Dio sia sadico. Non dobbiamo però dimenticare che la lingua ebraica è molto povera di vocaboli. Si potrebbe semplicemente tradurre: permise. Quel verbo è usato infatti molto spesso al negativo proprio con questo senso: “il faraone non permise al popolo di partire”.
In ogni caso viene la domanda: è l’uomo giusto che si offre in sacrificio (“si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori”, o è Dio che lo sacrifica (“fece ricadere su di lui l’iniquità di tutti noi”)? È un’unica azione, colta da due diversi punti di vista. È un unico grande misterioso disegno che si comprenderà meglio con la venuta di Gesù, “l’agnello che toglie i peccati del mondo”.
È proprio con Gesù che si intende il piano di Dio che non può permettere che le sue creature periscano per il male che hanno commesso. Allora Dio stesso interviene e manda il Figlio suo a prendere su di sé tutto il male del mondo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio suo”. Dio paga di suo! E Gesù è proprio Dio che si dona: “nessuno mi toglie la vita, io la dono da me stesso”.
Nel suo secondo volume su Gesù di Nazaret Benedetto XVI offre questa bella spiegazione di tutto questo mistero d’amore: “La realtà del male, dell’ingiustizia che deturpa il mondo e insieme inquina l’immagine di Dio – questa realtà c’è: per colpa nostra. Non può essere semplicemente ignorata, deve essere smantellata. Ora, tuttavia, non è che da un Dio crudele venga chiesto qualcosa di infinito. È proprio il contrario: Dio stesso si pone come luogo di riconciliazione e, nel suo Figlio, prende la sofferenza su di sé” (p. 258).
Alla domanda se Dio è proprio così crudele che vuole far pagare i peccati, la risposta più semplice è dunque che le cose stanno tutte al contrario: i peccati nostri li paga lui!

lunedì 25 giugno 2012

Quanta memoria hai?


Giovanni Crisostomo, parlando al suo popolo, faceva notare che le canzonette tutte le sapevano a memoria, mentre nessuno sapeva a memoria neppure un salmo. “Dimmi, chi di voi qui presenti, se gli fosse richiesto, sarebbe in gradi di recitare un salmo o qualche altra parte delle divine Scritture? Non c’è nessuno… Se si volesse esaminarvi su canzoni lascive, se ne troverebbero molti che li conoscono alla perfezione e li ripetono con grande godimento”.
Una volta si imparavano a memoria le poesie. In India ho trovato persone che sapevano a memoria poemi interi e anche da noi c’erano contadini e pastori capaci di declamare gran parte dell’Orlando Furioso. Ora la memoria sembra avere perduto ogni importanza. Se uno ti domanda, “Quanta memoria hai?” si riferisce sicuramente al tuo computer, all’iPod o alla penna elettronica, non certo a quanto hai racchiuso in cuore.
Forse sarà bene tornare ad allenare la nostra memoria a ricordare cose belle, forse proprio le parole di Gesù, come chiedeva Giovanni Crisostomo ai suoi fedeli, per non fare inaridire il cuore.

sabato 23 giugno 2012

Freccia argento e regionali


Roma-Firenze, 237 chilometri. Freccia Argento la percorre in un’ora e mezza.
Firenze-Prato, 17 chilometri, mi ci sono voluti due ore.
Tra Napoli-Milano i treni corrono come una folgore, ogni mezz’ora. Ma ci sono altre città in Italia e qui i treni diminuiscono e rallentano…
Mi sembra il simbolo della globalizzazione, almeno come la vedo con i miei occhi andando in giro per il mondo. La corsia preferenziale è la telematica. Il cellulare e il computer sono arrivati nei più remoti villaggi dell’Africa, come la Roma-Firenze. Ma l’istruzione, l’acqua potabile…come la Firenze-Prato.
Si viaggia a doppia velocità!
Occorre più equilibrio tra centri e periferie, una più equa distribuzione di risorse…
Dovremmo imparare a camminare insieme

venerdì 22 giugno 2012

Il taglio del Pakistano


Veramente questa foto non c'entra niente
con quanto ho scritto,
ma Rasa mi ha richiamato Smile!

Questa volta i capelli me li ha tagliati un Pakistano che, guarda caso, si chiama proprio… Rasa! (Ma nella sua lingua ha un significato nobile: un augurio di buona fortuna) Taglio perfetto. Gli piace il mestiere, imparato in casa. In casa ha imparato anche il mestiere del padre, tappezziere; quello di un fratello, carpentiere; quello di un altro fratello, sarto; quello di un altro fratello ancora, meccanico… Una famiglia di artigiani che non fa difficoltà a trovare lavoro da noi dove la manualità si riduce non più a premere i tasti, ma solo a toccare con un polpastrello lo schermo del palmare.

giovedì 21 giugno 2012

Luigi Gonzaga santo Romano


“Se io ho un paese nativo quaggiù, esso è Roma, dove son nato in Gesù Cristo”. Nato a Cartiglione delle Stiviere, san Luigi Gonzaga, aveva studiato a Firenze, presso il granduca di Toscana, alla corte di Mantova, a quella di Spagna, ma ovunque aveva dimorato come straniero. Arrivato a Roma si sentì a casa. Sono stato a vedere dove abitava.
Le sue “camerette”, uno dei tanti tesori della Roma nascosta, oggi, nel giorno della sua festa, si sono aperte a pubblico. Dalla sacrestia della chiesa di sant’Ignazio un piccolo ascensore sale fin sul terrazzo dell’antico imponente Collegio Romano, ora sede centrale de Ministero per i beni e le Attività Culturali e del liceo classico statale Visconti. Da lassù si apre l’elegante cortile porticato a due pieni. Gli studenti vi irrompono in frotta gridando, quasi a esorcizzare la trepidazione e la paura di dover affrontare, tra pochi minuti, la seconda prova scritta dell’esame di maturità.
Per supplire alla carenza di scuole pubbliche, Ignazio nel 1551 aveva iniziato il collegio in una piccola casa in affitto situata ai piedi del Campidoglio. Presto coprì tutto l'arco scolastico, dagli studi elementari a quelli universitari, ponendosi in concorrenza con l’università la Sapienza. Dopo aver peregrinato per varie sedi approdò a questo nuovo palazzo costruito appositamente negli anni 1580.
Sopra i due piani nobili delle aule, la modesta costruzione, quasi una soffitta, ospitava gli scolastici gesuiti, che studiavano sotto assieme ai laici e agli altri chierici. Si entra nella grande sala comune, come Luigi Gonzaga e gli altri compagni passavano insieme i momenti di ricreazione. Lo stesso pavimento a mattoni di allora, mentre pareti e volta sono state affrescate nel 1700. Tutto attorno i quadri che narrano la vita del santo.
Il primo lo ritrae bambino, vestito di bianco, con il giglio in mano, come vuoi l’iconografia classica, nell’atto di pronunciare il suo voto di verginità, durante il suo soggiorno fiorentino, nella chiesa della Santissima Annunziata. I quadri che più attirano la mia attenzione sono quelli che lo raffigurano mentre lava i piatti, concretezza di vita, e soprattutto mentre si carica sulle spalle l’appestato o ammalato di tifo per portarlo in ospedale; un ospedale allestito dai Gesuiti in quella occasione di contagio, ai piedi del Campidoglio, dove ora si trova la sede dei vigili urbani (una targa lo ricorda ancora…). Ultimo quadro: Maddalena dei Pazzi vede san Luigi salire al cielo al momento della morte; i due si sarebbe conosciuti, bambini, a Firenze... Roba da santi!
La sua stanza è trasformata in cappella, finemente decorata. Il quadro centrale lo ritrae mentre contempla il crocifisso; dicono sia il quadro che più gli rassomiglia. Si custodiscono molti oggetti da lui usati, con alcune lettere, manoscritti ed altre reliquie. Due stanze più in là quella dove ha vissuto un altro celebre santo, di poco posteriore, Giovanni Berchmans… ne parliamo un’altra volta.
Uscendo, vicino al tetto della chiesa si intravede l’osservatorio astronomico del celebre padre Secchi, ancora chiuso ai visitatori. Intanto il cortile interno del Visconti è silenziosissimo, a differenza di poco prima. Sotto le arcate di ambedue i piani sono state disposti i banchi e gli studenti sono lì, all’aria, nella bell’ombra, alle prese con Aristotele. Un ambiente che richiama quello di quattro secoli fa, quando il silenzio era sacro.
Di prima mattina avevo celebrato all’altare di san Luigi, dove in un’urna si racchiude il suo corpo. L’alto rilievo con la gloria del santo, disegnato dal gesuita P. Pozzi, che fu insieme pittore, scultore, architetto, ed eseguito dal Legros, era illuminato dal sole nascente che ne esaltava il candore marmoreo. Gli angeli gli sorreggono il giglio; altri gigli sono scolpiti attorno, altri, freschi, sono nei vasi che adornano l’altare: il segno della verginità, una virtù oggi poco apprezzata eppure preziosa perché apre il cuore all’amore. Mi domando tuttavia se non si poteva scolpire anche una palma, almeno una piccola piccola. Sì, la palma del martirio, perché san Luigi ha dato la vita per Gesù nei fratelli.
Secondo il suo stesso racconto, Luigi Gonzaga aveva sette anni quando a Firenze, durante la preghiera, sentì un grande desiderio di donarsi tutto al Signore e disse il suo sì. Da quel sì, espressione dell’incondizionato amore per Dio, germogliò l’amore per i fratelli, fino a prendersi sulle spalle l’appestato per curarlo all’ospedale.
Poco prima di morire, in una lettera alla mamma, scriveva: “Puntiamo le nostre aspirazioni verso il cielo, dove loderemo Dio eterno nella terra dei viventi… Meditando la bontà divina, mare senza fondo e senza confini, la mia mente si smarrisce. Non riesco a capacitarmi come il Signore… dal cielo mi inviti a quella felicità che io fino ad ora ho cercato con negligenza”.

A commento del blog di ieri una e-mail: “Grazie perché continui a farci conoscere i santi, c'è in tutti qualcosa che attira e fa venire il desiderio di imitarli”.

mercoledì 20 giugno 2012

Luigi Gonzaga: l'amore più grande


Quando a Roma scoppiò la peste, Luigi Gonzaga aveva chiesto e ottenuto di servire gli infermi nell’ospedale di San Sisto. Poco dopo, però, i superiori gli fecero lasciare quel posto per timore che, data la sua fragile costituzione fisica, potesse correre il pericolo del contagio. Gli fu permesso tuttavia di visitare gli ammalati ritenuti meno pericolosi, in un ospedale ai piedi del Campidoglio. Mentre di recava all’ospedale vide abbandonato sulla strada un ammalato in fin di vita. Come buon pastore se lo caricò sulle spalle e lo portò all’ospedale. Era un appestato e Luigi ne contrasse il morbo che in pochi mesi lo condusse alla morte: aveva appena 23 anni.

martedì 19 giugno 2012

Da oggi la nostra casa è più povera


Saranno un po’ più lunghi i lunghi corridoi di casa nostra, senza fratel Vito che li percorreva, lento e silenzioso, con la bottiglia dell’acqua per innaffiare le piante.
Vicino di stanza, non lo sentirò più tossire, recitare il rosario con la Radio Vaticana, scandire litanie...
Non lo troverò più in fondo alla cappella a far la spola, per ore, da un lato all’altro.
Sono qui soltanto da un anno e mezzo, mentre lui ha abitato la casa fin dagli inizi, sessant’anni fa. È partito per una casa meno movimentata, di riposo si usa dire.
Veniva spesso a salutarmi in ufficio. “Ai miei tempi…” iniziava. Ed erano tempi lontani, quando il regolamento conventuale era esigente, il silenzio di norma, la distinzione di ruoli assoluta, la povertà rigidissima. Ora invece… “Dunque si stava meglio allora”, concludeva sempre, per la soddisfazione di sentirmi immancabilmente rispondere: “Ma ora ci si vuole più bene”.
Occorre attenderne la partenza per accorgersi di quanto si vuole bene a una persona. 

lunedì 18 giugno 2012

Stai creando


Stai creando per me.
Adesso.
Lo dicono in cielo
veli di tulle che hai teso sottili.

domenica 17 giugno 2012

C’è pane e pane.


Dunque occorre procurarsi il cibo e nello stesso tempo accorgersi, con sorpresa che, quando ci sentiamo morire di fame, Dio stesso ci darà il cibo. Proprio come nel vangelo di oggi: il contadino deve seminare, ma poi non importa se veglia o dorme… il seme cresce da sé.
La parola di vita di questo mese contiene un altro insegnamento: parla di cibo che perisce e di cibo che rimane sempre intatto. Sì, c’è il cibo che ha una scadenza precisa e cibo che non scade mai. L’invito è a procurarsi non il cibo che perisce, ma quello che rimane per la vita eterna.
Occorre saper leggere l’etichetta e scegliere il cibo buono. Quante volte ci diamo da fare per cose che hanno una breve scadenza, che passano presto. Sono così belle, all’apparenza, ma senza sostanza.
Occorre la sapienza del cuore per puntare su ciò che vale, su ciò che rimane per sempre…
C’è pane e pane…

sabato 16 giugno 2012

Dal Cuore di Gesù a quello di Maria


Ieri, festa del Sacro Cuore, san Paolo nella sua lettera agli Efesini, si raccomandava “che il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori”.
Oggi, la festa del Cuore Immacolato di Maria ci mostra come fare abitare Cristo nel nostro cuore: occorre avere il cuore di Maria, l’unica capace di accoglierlo veramente.
Per questo, come ieri sono stato alla basilica del Sacro Cuore a via Marsala, oggi sono stato a Santa Maria Maggiore far affidarmi a lei… Mancano le chiese a Roma? Forse mancano i cuori! Che non manchi il nostro…

venerdì 15 giugno 2012

Lui ci dà il pane!


Della Parola di vita di questo mese mi piace non soltanto il verbo iniziale: “Procuratevi”, ma anche la frase finale: “…che il Figlio dell’uomo vi darà…”.
Dobbiamo dunque procurarci il pane, col sudore della fronte, ma è altrettanto vero che alla fine il pane ce lo darà lui. Non ci ha insegnato a chiederlo come dono? “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”? Ci dice che i violenti si impadroniscono del Regno dei cieli, ma anche che per entrare nel Regno occorre essere come bambini. Non ci ha detto che se noi che siamo cattivi diamo il pane ai figli che ce lo chiedono, lui, a chi glielo chiede, darà lo Spirito Santo?
Ma come è sempre paradossale Gesù: prima ci impegna in prema persona, poi ci disimpegna…
È proprio quello che ho sperimentato ieri: avrei dovuto procurami una certa cosa, e mi costava… alla fine me l’ha dato lui, gratis.
Forse è tutta questione di cuore. Non è oggi la festa del Sacro Cuore? “Il mio divino Cuore è così appassionato d’amore per gli uomini, che non potendo più racchiudere in sé le fiamme della sua ardente carità, bisogna che le spanda”, disse a santa Margherita Maria Alacoque.
Sono stato a Termini, alla basilica del Sacro Cuore, la prima basilica a lui dedicata, costruita da don Bosco su richiesta di Leone XIII. Gli ho ricordato l’ultima frase della parola di vita…

giovedì 14 giugno 2012

Procuratevi il pane


Della Parola di vita di questo mese mi piace il verbo iniziale: “Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna…”
In greco il verbo ergazomai (Procuratevi) significa lavorare, commerciare, guadagnare con il commercio, guadagnare lavorando… Si tratta dunque di un’azione impegnativa: occorre darsi da fare, con fatica e con creatività. Non dice forse Dio all’inizio: “Con il sudore del tuo volto mangerai il pane”? Il pane occorre guadagnarselo, così come il Regno dei cieli: “Il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono” (Mt 11,12).

A proposito di sant’Antonio da Padova; in risposta al blog di ieri ricevo: “Sant'Antonio è uno dei miei santi preferiti, l'unico del quale porto l'immaginetta nel portafoglio, mi ricorda la data di nascita di mia figlia, mi aiuta ogni volta che la mia distrazione mi fa perdere le cose "ritrovandomele". Mi piace questo brano di sermone nel quale definisce beato e veramente degno di essere chiamato Giovanni (come mio figlio) colui sul quale scende la Parola”.

mercoledì 13 giugno 2012

Sant'Antonio che tira giù Gesù dal cielo


Mi sembra particolarmente bella questa statua in uno dei cortili del Santo a Padova.
E' un Sant'Antonio con Gesù Bambino un po' diverso dalla solita iconografia. Qui sembra proprio tiralo giù dal cielo non soltanto perché stia con lui, ma anche per farne dono a noi.
Così come sant’Antonio ci ha fatto dono della Parola di Dio.
“Dottore evangelico”, quando annunciava la Scrittura la donava con tanto ardore che «la parola divina scendeva dal cielo simile a pioggia spirituale» (Rigaldina, 9, 47). Per lui era come «uno specchio, nel cui splendore sta il volto della nostra origine: da dove siamo nati, quali siamo nati, e a che scopo siamo nati» (Sermone della V domenica dopo Pasqua, 7). Se la Parola di Gesù ha la forza e l’efficacia di un fuoco, essa – sembra dirci il santo – è anche come l’acqua che disseta e feconda:

La parola del Signore scende sull’uomo,
parola di vita e di pace,
parola di grazia e di verità.
O Parola che non sferza, ma che inebria il cuore.
O Parola dolce, che conforta il peccatore.
O Parola di lieta speranza!
O Parola, fresca acqua per l’anima assetata,
gradito messaggero che porta gradite notizie dalla patria lontana.
O quanto beato e veramente degno di essere chiamato “Giovanni” (dono di Dio),
colui sul quale scende questa Parola,
Ti scongiuro, Signore, scenda sul tuo servo la tua Parola,
e “secondo la tua Parola egli vada in pace” (Lc 2, 29).
“Lampada per i miei passi è la tua Parola” (Sal 118, 105) (Sermone della IV domenica di Avvento, 3).

lunedì 11 giugno 2012

Gli orologi dei campanili si sono fermati alle 4.04


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Gli orologi dei campanili si sono fermati alle 4.04. Quello di Finale Emilia è rimasto tagliato a metà, insieme alla torre. Per giorni abbiamo vissuto in diretta la triste cronaca del terremoto che ha colpito l’Emilia Romagna e le regioni limitrofe. Morti, feriti, sfollati… una tragedia che si ripete, alla quale non potremo mai assuefarci. Migliaia le aziende crollate o seriamente danneggiate, lasciando famiglie senza lavoro. Le urgenze e i primi interventi ruotano attorno a questi immediati effetti del sisma: assistere le persone e assicurare la loro sussistenza.
Da subito si dovrà tuttavia attivare anche il recupero del patrimonio artistico colpito in modo violento. Lo squarcio nel palazzo municipale di Sant'Agostino a Ferrara è divenuto un simbolo dei danni subiti. Sono crollate torri civiche, chiese e campanili; sono rimasti danneggiati palazzi storici e chiostri. Un bilancio, ancora provvisorio, recensisce 45 chiese gravemente colpite nella sola Arcidiocesi di Modena.
Perché oltre alle aziende e alle case i provvedimenti dovranno puntare più presto possibile al recupero dei monumenti storici? Perché l’uomo non vive di solo pane. Vive anche e soprattutto di aggregazione, di rapporti sociali, di appartenenza civile ed ecclesiale. Non basta la casa, non basta l’azienda, abbiamo bisogno anche della torre che offre un inconsapevole ma reale punto di orientamento, della piazza che con i suoi palazzi e monumenti diventa luogo d’incontro e salotto cittadino, della chiesa dove si va la domenica non soltanto per pregare ma per ricompattare il senso della comunità. Oppure lasceremo che i grandi centri commerciali, artificiali e anonimi, sostituiscano il cuore caldo e armonioso della città o del paese, per diventare espressione di un ammasso freddo e caotico di persone che si toccano senza incontrarsi, nel più assoluto individualismo?
Senza la condivisione di un comune spazio sociale, senza luoghi d’arte e di bellezza, senza edifici e spazi di riferimento affettivi, crescono paura e diffidenza, si alimenta la violenza, ci si chiude nel proprio gusto. Chiese piazze e torri sono frutto del concorso di popolo e per questo aggreganti. Dobbiamo continuare insieme a costruire – o ricostruire –, e salvaguardare la nostra città. 

In Canada un Corpus Domini polacco


È bastata un’ora di volo per tornare da Ottawa a Toronto, quanto basta per vedere dal cielo la grande città. Un immenso bosco, nel quale si sa che sono nascoste milioni di case. Qua e là, a gruppi, spuntano distanziati i grattacieli. Per noi sarebbe inconcepibile vivere in case che per chilometri e chilometri sono lontane da ogni negozio, di ogni piazza, da ogni centro sociale: si vive in assoluta dipendenza dalla macchina.
Mai vissuto un Corpus Domini così bello. Nella grande parrocchia polacca di Brampton, la gente è giunta con i costumi tipici delle diverse parte della Polonia da cui provengono. La processione, alle 12, sotto un bellissimo e caldo sole ormai quasi estivo, sfila per le vie del quartiere passando per Viale Polonia, via sant’Eugenio de Mazenod, via Cracovia, viale degli Oblati… I Cavalieri di Colombo, con spada sguainata, accompagnano il Santissimo portato sotto un baldacchino sorretto da uomini in costume. Le bambine, alcune piccolissime, in abito bianco o nei costumi coloratissimi, spandono petai di fuori sulla via; appena il panierino è vuoto viene subito riempito dalle mamme, dai papà, dalle suore che le accompagnano: camminiamo su un tappeto di fuori. Ogni tanto ci fermiamo su un altarino bel addobbato lungo la strada: canto del Vangelo, adorazione, benedizione, e la processione riparti tra canti, suono di campanelli, concorso di tantissimo gente. Un autentico inno a Gesù Eucaristia!
Al rientro la messa solenne. Il santuario di sant’Eugenio è gremito. Il coro e l’orchestra sono all’altezza della situazione. Sembra proprio d’essere in Polonia, non soltanto perché tutto è in lingua polacca, ma anche perché tante gente così in chiesa la trovi soltanto in Polonia, o in questa “polonia all’estero, dove tutti si inginocchiano, tutti cantano, tutti pregano…
Finite le funzioni è l’ora della festa campestre: barbecue, musica, danze e la gente a pic nic nella grande valle boschiva della parrocchia. Mi invitano a cantare “O sole mio”… e da buon italiano devo reggere la parte.

sabato 9 giugno 2012


Se attraversate l'Ontario vi consiglio
questo piccolo ristorante campestre...

Otto ore di viaggio attraverso l’Ontario, una Provincia grande tre volte l’Italia, con soli 13 milioni di abitanti, quasi tutti concentrati nell’area metropolitana di Toronto. Una volta lasciata la città e le città vicine si piomba nella vasta zone rurale, in un verde infinito, tra laghi, fiumi, paludi, foreste, campi coltivati, rare fattorie nascoste nei boschi… il grande Canada che subito mi aveva affascinato quando venni la prima volte nel 1980.
Ed eccomi a Ottawa per incontrare il vecchio Yvon Beaudoin di cui, in certo senso, ho preso l’eredità nell’ambito degli studi oblati (a Roma dimoro addirittura in quella che è stata la sua stanza). Sono venuto per portargli l’ultimo libro che ha scritto e di cui ho appena curato la pubblicazione. Era arrivato a Roma che aveva vent’anni ed è tornato a Ottawa dopo sessant’anni.

È tempo ormai di prepararsi alla festa del Corpus Domini:

Gesù è il pane disceso dal cielo. È dunque dono del Padre per noi. Non ci ha insegnato Gesù a chiedere ogni giorno al Padre che è nei cieli il pane quotidiano? Abbiamo bisogno del pane materiale, e con esso l’insieme delle realtà materiali necessarie per vivere, ma abbiamo bisogno anche di un altro cibo, di Gesù stesso che si fa nostro pane nell’Eucaristia e nella sua Parola. «L’Eucaristia – ha scritto sant’Agostino – è il nostro pane quotidiano... La virtù propria di questo nutrimento è quella di produrre l’unità, affinché, ridotti a essere il corpo di Cristo, divenuti sue membra, siamo ciò che riceviamo... Ma anche le letture che ascoltate ogni giorno in chiesa sono pane quotidiano».
La crisi finanziaria, con le sue conseguenze, acuisce, giustamente, lo sforzo per la sussistenza e la ricerca del benessere. Ma che non accada anche a noi, come alle folle del tempo di Gesù, di illuderci che basti il risanamento dei bilanci o l’abbondanza dei beni per vivere in pienezza e trovar felicità. Vita e gioia vengono dal “credere” in Gesù, dall’aderire a lui, dall’assimilare le sue parole e metterle in pratica, dal cercare la sua volontà e compierla ogni giorno. Egli vuole penetrarci, viverci e diventare, proprio come il pane, vita della nostra vita.

Toronto la bella


Il ritiro è terminato con la messa del nuovo sacerdote. Ognuno riparte, pronto a riprendere il suo posto, fedele al mandato di Gesù di portare ovunque il Vangelo. È presenza capillare della Chiesa nei posti più avanzati.
Torno a Toronto: disteso lungo il lago la città mi si apre in tutta la sua bellezza. Passeggio a lungo sui bordi del lago mentre la torre, la più alta del nord America, svetta sicuro punto di riferimento, attorniato dai palazzi modernissimi di vetro lucente.
Ogni città ha qui il suo primato. Pur essendo qui concentrato i due terzi della popolazione di tutto il Canada;  Toronto possiede il più grande numero di parchi e di verde di tutte le città del Nord America; una grandissima bella ricchezza! 

La Trinità è sempre presente con le lodi allo Spirito Santo

Illumini le menti
Dai vigore al volere
Il cuore infiammi e dilati
Tu il nostro ardimento
Creatività inventiva
Giovinezza e Novità
Difesa a Consolazione
Guida sicura
In te torniamo all’Unità
Che ci ha generati.

Gloria a Te, Padre, Figlio, Spirito Santo
Dio Uno, Santo, Immutabile ed Eterno
Trinità indivisa, sempre nuova nella tua danza infinita
L’Amante, l’Amato, l’Amore.

venerdì 8 giugno 2012

Gloria allo Spirito Santo



Oggi pomeriggio ordinazione sacerdotale di Marcin Serwin, un altro Oblato che inizia il suo lavoro missionario: un ulteriore motivo di festa nella festa di questi giorni. La gente fa corona, contenta e tutto il mondo polacco si colora: costumi tradizionali, i Cavalieri di Colombo, le bambine con il vestito della prima comunione, chierichetti e chierichette a sfare…

È proprio il caso di dar gloria allo Spirito Santo:

Amore che unisci e che distingui
Che apri e che chiudi
Dono del Padre al Figlio
Dono del Figlio al Padre
Che precedi e che procedi
Ambiente vitale e Intimità
Metti in luce e ti nascondi
Senza nome e senza volto
Che dai volto e doni il nome
Amicizia eterna e Vita condivisa

Soffio leggero e vento impetuoso
Tu fecondi la terra
E doni all’uomo il respiro
Sveli il mistero di Dio
Ed introduci in esso
Entrando nei cuori
Tu formi gli amici di Dio
E crei la comunione

giovedì 7 giugno 2012

Gloria al Figllio


La casa di ritiro Regina degli Apostoli
Al termine del parco una scala di legno, 160 gradini, porta giù lungo il ripido dirupo fino al fiume Credit. Seduto sul tronco di un albero che sporge sull’acqua ascolto il mormorio dello scorrere rapido del fiume. Prima che torni la pioggia godo lo sprazzo di sole che inondato la natura di una tepida primavera.
Il ritiro è in pieno svolgimento, contornato dai più vari motivi di festa: la celebrazione degli anniversari di ordinazione e della confessione comune, il barbecue alla canadese e il pranzo alla polacca, l’arrivo di p. Warren Brown e la visita del vecchio maestro dei novizi… “Com’è bello e gioioso quando i fratelli si trovano insieme”. La maggior parte sono polacchi, ma non mancano francesi, sud africani, indiani, tedeschi… Alcuni sono stati missionari in Camerun, in Madagascar, in Uruguay, negli Stati Uniti… Ci sono giovani, anziani… il grande mondo oblato.
Ognuno ha la sua bella storia da raccontare. Fr. Wojciech Wojtkowiak vive da vent’anni in una delle missioni più difficili, con gli indiani in Saskatchewan, “First Nations peoples” come qui vengono chiamati. Vive in una piccola parrocchia a Lestock. Zona agricola, un tempo qui la gente era numerosa, ora sono quasi tutti immigrati nelle grandi città. Oltre la parrocchia a p. Wojtkowiak sono affidate 13 riserve indiane, che visita regolarmente a rotazione. Le tribù sono varie, con nomi che a volte abbiamo sentito nei vecchi film americani di cow boys. Sono quasi tutte originarie del Canada, ma ce ne sono anche di quelle che sono venute dagli Stati Uniti dopo la battaglia del generale Custer; braccate dalla cavalleria americana e inseguite dagli stenti e dalla miseria, cercarono rifugio presso gli Oblati, guidati dal leggendario vescovo Taché. 
Ma oggi non c’è niente di epico: per i motivi più vari, quelli soliti di tutto il nostro mondo occidentale, la gente si allontana sempre più dalla Chiesa, eppure p. Wojtkowiak rimane loro accanto; ormai sembra proprio uno di loro: i capelli lunghi raccolti dietro la nuca, i baffi spioventi, la sacca del tabacco. Mi mostra le foto delle famiglie, le feste della prima comunione, dei battesimi… mai scoraggiarsi!

Intanto continua la lode della Santissima Trinità
Lode al Figlio:

Gesù, figlio di Davide
Gesù, figlio primogenito della Vergine Maria
Luce del mondo
Via che ci conduce al Padre
Verità che illumina le menti
Vita che dà vita alla nostra vita
Pastore buono e misericordioso
Compassionevole
In cerca della pecora smarrita
Medico dei corpi e delle anime
Che passi facendo del bene a tutti
Maestro
Parola di vita
Pane vivo disceso dal Cielo
Acqua viva
L’Amico
Sempre fedele
Il Fratello
Lo Sposo

Tu, il mio Salvatore
Amore più grande che dà la vita
Agnello di Dio
Che prendi su di te il peccato del mondo
Amore annichilito
Servo e Figlio obbediente
Sacerdote della nuova ed eterna alleanza
Signore Risorto
Signore mio e mio Dio.

mercoledì 6 giugno 2012

A Brampton una Basilica per Sant’Eugenio de Mazenod


Insieme (sono una cinquantina gli Oblati della provincia polacca in Canada ai quali sto dando il ritiro) siamo andati in città per pregare il rosario sulle tombe dei nostri fratelli. Fanno sempre parte della famiglia, ora più di prima!
Tutto il ritiro è un incontro di famiglia. È il quinto ritiro con gli Oblati che guido quest’anno, uno diverso dall’altro. Questo è tutto speciale. Si incontrano due volte all’anno e provengono da tutto il Canada, dopo lunghi viaggi, quindi non possono non fare festa insieme, raccontare la loro vita, il loro lavoro… è una festa!
Dopo la preghiera al cimitero visita veloce alla parrocchia di sant’Eugenio nella vicina città di Brampton. Quando al termine del 2000 p. Adam disse al papa che avrebbe costruito una chiesa per i polacchi questi gli rivolse questo invito: “Fare di quest’opera un progetto per il novo millennio polacco in Canada”. Cosa voleva dire? Certamente che non poteva essere una semplice chiesa. Ci sono voluti gli anni, ma adesso ecco sorta una autentica basilica, con attorno un bosco e due colline per la gente, un grande centro per anziani e duecento venti appartamenti per i polacchi della zona (la parrocchia conta 3000 famiglie polacche), un centro culturale polacco, banca, negozi… tutto per i polacchi. Contrariamente alle altre chiese, mimetizzate e invisibili, questa dice a tutti che c’è!
La conversione di sant'Eugenio
nel Venerdì santo del 1807
L’interno, solenne, può accogliere 3000 persone. La grande croce oblata dice subito di che chiesa si tratta. Un trittico in stile orientale ritrae sant’Eugenio con attorno scene della sua vita: un autentico capolavoro.

Continuano le lodi della Santissima Trinità
Lode al Figlio:

Figlio Unigenito del Padre
Pieno di grazia e di verità
Dio da Dio
Luce da Luce
L’Amato, il Prediletto
Immagine del Dio invisibile
Irradiazione della gloria ed impronta della sostanza del Padre
L’Alfa e l’Omega
Il Primo e l’Ultimo
Il Re dei Re e il Signore dei Signori

Emmanuele
Dio vicino
Dio in noi
Dio con noi
Dio tra noi
Il più bello tra i figli dell’uomo