lunedì 31 marzo 2014

Meditazione sulla croce / 3

Questa foto è stata scattata nel 1960 da un artista, un certo René Perrin. Dietro c’è la regia di un vecchio Oblato, p. Jean Servel, che ebbe la felice idea di porre il crocifisso, che appartenne a sant’Eugenio de Mazenod, sopra la carta sulla quale il fondatore degli Oblati nel 1818 scrisse la formula della sua “oblazione”, ossia della sua consacrazione a Dio.
Una foto eloquente più di ogni discorso, che dice come l’offerta di sé a Dio ha senso se ripete l’offerta sulla croce che Gesù fa di sé al Padre. Un’offerta per il mondo intero.
Nel 1893, il secondo successore di sant’Eugenio, Luigi Soullier, interpretava così l’essere Oblato:

Come il divin Missionario che ha voluto essere “Oblato” – “Oblatus est quia ipse voluit”, ossia “si è donato spontaneamente”, come dice il profeta Isaia del Servo di YHWH – noi portiamo con gioia il nome di missionari Oblati. Esso significa che essi, i missionari, “vorrebbero sacrificarsi, se è necessario, per la salvezza delle anime… Potranno così gettarsi nella lotta e combattere fino alla morte” (Prefazione alle Regole). Gesù Cristo ha voluto regnare attraverso la croce, ha voluto che nella croce fosse la sua potenza: “Non rendiamo vana la croce di Cristo”.
Quando Dio crea un apostolo, gli mette in mano una croce e gli dice di andare a mostrare e ad annunciare questa croce. Ma prima la pianta nel suo cuore e, a secondo di quanto è penetrata nel cuore dell’apostolo, quella croce che tiene in mano opera conquiste più o meno numerose.
Oblati di Maria, che portate la croce sul petto come segno di autenticità della vostra missione, guardatela come simbolo dei sacrifici legati al vostro ministero per compierlo degnamente e fedelmente.


domenica 30 marzo 2014

La risposta ultima di apa Pafnunzio


Il tempo rallenta nel deserto. I minuti si fanno lunghi come ore, dilatati dal silenzio e dalla solitudine, misurati dall’ampiezza dell’orizzonte. Il cammino interiore di apa Pafnunzio in questo spazio d’immensità, procedeva con ritmo calmo e perseverante come quello delle carovane dei cammellieri.
È arido e secco il deserto. Apa Pafnunzio sentiva prosciugarsi l’intimo dell’anima, fino all’essenziale, come le rocce attorno alla sua cella.
Aveva dunque eliminato l’inutile zavorra? Le maschere dell’io, nel lungo e fedele avanzare, si erano sciolte per lasciare emergere il suo vero volto? Aveva finalmente raggiunto l’identità con se stesso?
Gli sembrava lineare il percorso intrapreso, guidato dalla speranza verso una meta certa. Oppure, senza accorgersene, stava vagando in percorsi circolari, come nei quarant’anni di deserto del popolo di Dio in cerca della terra promessa?

Gli spazi del deserto gli si aprirono e gli mostrarono il villaggio d’origine, le grandi città di Alessandra, di Antiochia, di Ninive abitate da uomini e donne che non sapevano distinguere la destra dalla sinistra. Loro, che non conoscevano né il silenzio, né la distensione del tempo, né l’essenzialità e la leggerezza del deserto, sarebbero mai giunti a cogliere la verità del loro io, avrebbero mai scoperto e raggiunto il progetto di Dio su di loro? Perché questo è il vero io di ognuno.
A notte si addormentò lasciando la domanda in sospeso. Il deserto, con la sua lunga estensione del tempo, avrebbe provveduto alla risposta.
La risposta arrivò proprio durante la notte. Gli fu donata in sogno.
Sognò d’essere al termine dell’interminabile tempo del deserto. Perché anche l’interminabile tempo del deserto, ha un tempo segnato. Era finalmente giunto alla fine del lungo pellegrinaggio. Così lungo da sembrare profezia ed esperienza d’eternità, mentre ora s’accorgeva di quanto quell’interminabile tempo fosse stato breve, un soffio appena. Soltanto adesso sarebbe iniziata la vera eternità, eterno presente.
Iddio gli mostrò come da sempre l’aveva pensato, a cosa veramente l’avesse chiamato. I momenti della vita, di successo o di fallimento, le scelte compiute fino ad allora, quelle sbagliate e quelle riuscite, gli parvero soltanto delle tappe, profili provvisori e incompleti della sua vera identità. Ora capiva finalmente chi era chiamato ad essere, quale fosse la sua vera identità. Per ogni uomo, per ogni donna sarebbe dunque giunto il momento della verità.
Era il momento più importante, il più solenne, determinante per il passaggio nell’eternità. Era l’estrema possibilità per la risposta alla chiamata, per il sì pieno e definitivo, ed essere se stesso.
Apa Pafnunzio si svegliò ebbro di gioia, e disse il suo sì.

sabato 29 marzo 2014

Meditazione sulla croce / 2


Remollon
17 gennaio 1819. A Remollon, nelle Bassi Alpi francesi, Eugenio de Mazenod, con altri dei suoi, predica la missione popolare. La gente è incantata. Rimane impressa in ognuno l’immagine di quel missionario pieno di fuoco che, come l’apostolo Paolo, annuncia Cristo e Cristo Crocifisso, tenendo in mano la croce. Un artigiano del luogo immortale quell’immagine sbalzandola su un medaglione di alabastro. “È proprio padre de Mazenod come l’ho conosciuto nella mia giovinezza – scriverà cinquant’anni più tardi il vescovo Jeancard – proprio come lo ricordo quando predicava le missioni. È il ritratto più somigliante prima che diventasse vescovo”.
Perché annunciare Cristo Crocifisso? Perché mostrare la sua  croce? Perché è il segno dell’amore infinito di Cristo, che ha salvato il mondo non quando faceva i miracoli, non quando narrava alle folle le sue parabole, ma quando diede la vita, là sulla croce. “Il Calvario – scriveva sant’Eugenio ancora da giovane –  è il luogo dove il nostro divin Salvatore porta a compimento l’opera di Redenzione degli uomini". E nella Regola del 1826: “Predicare, come l’Apostolo, Gesù Cristo, e Gesù Cristo crocifisso… non col prestigio della parola ma con la manifestazione dello spirito, mostrando cioè che abbiamo meditato nel nostro cuore le parole che annunciamo e che abbiamo cominciato a metterle in  pratica prima di accingerci ad insegnare”. 
La croce di Gesù è al centro della nostra missione.


venerdì 28 marzo 2014

Meditazione sulla croce / 1

 “Non avranno altro segno distintivo se non quello proprio del loro ministero, ossia l’immagine del Signore Crocifisso. Il Crocifisso sarà come le credenziali presso i diversi popoli a cui sono inviati. Esso ricorderà loro continuamente che sono chiamati all’umiltà, alla pazienza, alla carità, alla modestia e a tutte le altre virtù con le quali devono esercitare il loro santo e sublime ministero”.
È il testo con il quale questa sera ho avviato la meditazione sulla croce.
Sono le parole che sant’Eugenio scriveva nella sua Regola nel 1818. Fin dalla nascita del nuovo gruppo di missionari, nel 1816, aveva scelto il Crocifisso come segno distintivo. Con esso si lasciò subito ritrarre lui stesso. Con esso compose il primo sigillo, praticamente rimasto invariato fino ad oggi. Allora gli Oblati si chiamavano ancora Missionari di Provenza, e anche sulla sigla MP, già campeggiava, piccola piccola, la croce.
Il segno distintivo dell’Oblato, dunque.
Ma non è, il Crocifisso, il segno distintivo di ogni cristiano?
Tutto dovremmo poter dire, come sant’Eugenio: “Voglia il cielo che non volga mai le spalle alla Croce, da cui provengono la vera gioia e la vera felicità”.

giovedì 27 marzo 2014

Madonnelle romane


Bellissime le immagini della Madonna agli angoli delle strade di Aix, ma non da meno le “Madonnelle” che occhieggiano qua e là tra le strade di Roma: sono 600. Ne ho vista un’altra per la prima volta nel rione della Pigna, in via dell’Arco della Ciambella, addossata ai ruderi delle antiche terme di Agrippa, genero di Augusto, costruite tra il 25 ed il 19 a.C., le più antiche terme pubbliche della città. Si tratta della copia ottocentesca della miracolosa "Madonna del Rosario" (l’originale se lo sono portato via i proprietari quando traslocarono alla fine del 1800), particolarmente venerata perché compì il miracolo di muovere gli occhi nel 1796 ("rinnovandosi questo miracolo per tre settimane"). Dolce e semplice la scritta:

T’innalza o Vergine
Casti pensieri
Chi pensa e medita
Ne tuoi misteri

E tu nell’anima
Gli accendi amore
Allora che ingenuo
Ei t’offre il core.

mercoledì 26 marzo 2014

Piazze e Vox populi



Piazza Maidan spazzata dal vento, vivace con le coppie di sposi che hanno appena celebrato il matrimonio e posano per le foto attorniati da parenti e amici. È il ricordo che mi sono portato dietro dall’ultima visita in Ucraina. Stento a far combaciare l’immagine di quella piazza festosa e fantasiosa con quella tragica e sanguinante che in questi giorni scorre sugli schermi della televisione e su youtube. Sono invece identiche le parole che la gente mi diceva allora e quelle che gridano adesso: la stessa amarezza per la corruzione, l’incompetenza nella gestione della cosa pubblica, la stessa voglia di libertà e d’Europa. Cambia soltanto il modo di esprimerle: la confidenza amica allora, la rabbia violenta adesso.
Piazza Maidan come piazza Taḥrīr, come le mille piazze che si animano ormai in mille parti del mondo, come le agorà informatiche dove convergono dibattiti, dissensi, consensi, dove si grida, ci si indigna. È la vox populi quella che si ode in questi luoghi? E coincide con la vox Dei, come voleva l’antico detto medievale? Piazze e reti sono facilmente manipolabili, potrebbero dunque apparire inaffidabili, per questo disprezzate. A volte si ha la sensazione che la vox populi giunga nelle stanze del potere attutita o distorta, mediata da sondaggi e “portavoce”, lasciando chi è in alto fuori dal contatto diretto con la realtà, in un mondo alieno dalle esigenze e dalle attese del vulgo, con macchine blu che sfrecciano incuranti del semaforo rosso, della corsia d’emergenza, un segno, tra i tanti, del senso di superiorità, estraneità, impunità.
Eppure la voce del popolo domanda di essere ascoltata in ogni modo, al di là di come si esprime, con violenza o pacatezza, pienamente articolata o ancora confusa. L’arte del politico, come dell’uomo di Chiesa, sta nel saper cogliere in essa le esigenze profonde che manifesta, discernerle in ascolto attento e rispettoso, interpretarle, riproporle, tenerne conto nelle scelte.

Si tratta di un affare che non riguarda soltanto chi sta in alto, ma tutti: chi deve ascoltare come chi parla. La vox populi, la nostra voce, è chiamata a elaborare proposte sempre più articolate e complete, mettendo a servizio della collettività capacità e competenze, idee e indicazioni concrete, in un dialogo responsabile.

martedì 25 marzo 2014

La gioia della chiamata



Una parola, con tre timbri diversi, riecheggia in questo giorno di festa dell’Annunciazione:
“Ecco io vengo, Padre, a compiere la tua volontà”. Così Gesù, venendo sulla terra. Chissà con quale slancio e con quanta gioia il Figlio di Dio ha risposto alla chiamata del Padre. Gli era ben chiara: sarebbe venuto tra noi per annunciare la buona novella, per operare la salvezza, per aprirci le porte del cielo.
“Eccomi, si compia in me la tua volontà”. È l’eco di Maria alle parole di Gesù. All’inizio un grande turbamento, alla fine una profondissima gioia: diventare Madre di Dio! Le era chiarissima la vocazione a cui era chiamata: dare vita alla Parola.
Era il terzo protagonista che dice il suo sì pieno e convinto alla volontà di Dio? Dovremmo essere noi! Papa Francesco, nella sua Evangelii gaudium, ha denunciato che “molti operatori pastorali… non sono felici di quello che sono e di quello che fanno, non si sentono identificati con la missione evangelizza­trice”; ed invita: “Non lasciamoci rubare l’entusiasmo missionario!”.
Possiamo immaginare un Gesù e una Maria rassegnati a fare la volontà di Dio? Perché dovremmo esserlo noi? Certo che nell’orto degli ulivi per Gesù non è stato facile dire di nuovo il suo sì, e neppure a Maria ai piedi della croce. Erano martiri! Non certo rassegnati…

Oggi è la festa del nostro sì pieno, convinto, che si innesta in quello di Gesù e di Maria.

lunedì 24 marzo 2014

La Parola rivestita della nostra carne


Il 21 marzo segna l’inizio della primavera: tutto rinasce.
Il 25 marzo segna l’inizio della storia del mondo: il Verbo di Dio nasce nel grembo di Maria. È l’inizio vero della storia.
Quando arriva questo giorno mi ricordo sempre che in Toscana – come anche da altre parti -, dal 1200 fino all’unità d’Italia, l’inizio d’anno non si celebrava il 1° gennaio, ma il 25 marzo. (Col cuore vado a dare un salutino alla Santissima Annunziata di Firenze).
Maria è l’immagine più fedele di come si annuncia il Vangelo: è la missionaria per eccellenza, la regina degli apostoli. La Parola di Dio lei non l’ha detta con la bocca, ma addirittura l’ha generata, l’ha data. Maria ha donato una Parola viva, Gesù, che era carne della sua carne.
Tutti noi che siamo chiamati ad annunciare la Parola saremo autentici servi della Parola soltanto se quello che diciamo è, come per Maria, carne della nostra carne, parola vissuta, condivisione di un’esperienza di fede, frutto di comunione con Cristo; altrimenti è propaganda.

domenica 23 marzo 2014

Una stanza piena di sogni


Sono seduto sulla grande poltrona dove era solito sedere sant’Eugenio de Mazenod, al suo tavolo, con davanti il caminetto che accendeva durante le freddi serate d’inverno, quando il Mistrale soffia forte. La finestra, socchiusa, dà sul chiostro dove un tempo meditavano le monache carmelitane. Di loro, disperse dalla Rivoluzione francese, rimangono soltanto alcune lapidi delle tombe, oggi murate lungo una delle pareti del chiostro.
Nella stanza penetrano i raggi meridiani del primo sole di primavera. Illuminano l’angolo dove una volta era posto il letto, adesso sostituito da un mobile con alcuni oggetti appartenuti a sant’Eugenio: il breviario per la preghiera quotidiana, una tazzina da caffè, il calice dell’ordinazione episcopale... Campeggia anche un suo ritratto da vescovo. Il volto non è però quello del tempo dell’episcopato: è il volto giovane, fresco, bello di quando trentenne abitava in questa stanza, dal 1816 al 1823. Gli occhi grandi ereditati dalla mamma, lo sguardo lontano, sicuro, pieno di speranza. Una persona serena e volitiva. Ha appena dato vita a una comunità di missionari, composta, agli inizi, da appena sei giovani sacerdoti, “i migliori che ci siano in diocesi”, come scrive con convinzione.
Sette anni in questa stanza, al primo piano dell’antico monastero. Affacciato alla finestra vedeva nel cortile interno i giovani universitari che abitavano la casa, i giovani novizi che si preparavano a diventare missionari, i giovani sacerdoti che andavano e venivano presi dal loro ministero di annuncio del vangelo in città, nelle borgate vicine, in tutta la Provenza e oltre. Sotto le arcate del chiostro vedeva anche passare, furtiva e nascosta, Teresa Bonneau, che preparava i pasti per tutti e, quando non c’era più pane, andava lei stessa a comprarlo, pagando di tasca propria.

Nella Regola Eugenio aveva scritto che i missionari, dopo aver passato la maggior parte del loro tempo fuori casa ad annunciare il Vangelo, una volta tornati, avrebbero dovuto ritirarsi nella loro stanza a pregare, meditare, leggere la Sacra Scrittura e le grandi opere della spiritualità cristiana, preparare i testi delle conversazioni e delle catechesi per le successive missioni. Lo immagino intento in questo lavoro silenzioso, così come prescriveva agli altri membri della comunità.

Qui scriveva gli appunti per la futura regola, le lettere al padre e allo zio ancora in esilio in Sicilia, organizzava il lavoro missionario, faceva i colloqui personali con i primi compagni, con i giovani… Me lo immagini così com’era: animato dal fuoco dell’amore di Dio, col desiderio di far conoscere a tutti quell’immenso amore di Dio che aveva sperimentato e che continuava a spingerlo nell’opera missionaria.
Da qui soprattutto elaborava la strategia apostolica e scriveva a sindaci e vescovi per appianare la strada e ai parroci che continuamente chiedevano la presenza dei missionari.

Il ritratto da vescovo che hanno posto in questa stanza, come ho detto, ha il volto di sant’Eugenio al tempo di quanto viveva in questa stanza. Quello stesso che lo ritrae con la croce da Oblato all’inizio della fondazione, ritratto che mi ha sempre affascinato perché vi si legge tutta la determinazione di iniziare un’opera nuova e la sicurezza di sé. Si vede che vive sotto la spinta di una grazia, è pieno di energie, possiede lo slancio della giovinezza, la brillantezza di un’intelligenza creativa, la forza di un affetto intenso e passionale.
Ma sul caminetto della stanza, vi è anche, piccola piccola, la foto di un altro sant’Eugenio, quello che non ha mai vissuto in questa stanza: il sant’Eugenio degli ultimi tempi di Marsiglia, ormai vecchio, affaticato, provato dalle sofferenza, con le rughe e il volto ingiallito dagli anni, minato da un cancro che lo porterà presto alla morte. Prima mi piaceva meno quest’immagine di sant’Eugenio. Ora l’apprezzo come non mai. Vi scorgo l’uomo che si è dato completamente alla sua causa, ai missionari, alla diocesi, alla gente. Senza risparmio, prendendo su di sé croci personali e sociali, i dolori della Chiesa e dell’umanità intera. I sogni non ci sono più. C’è la realtà, così com’è, fa assumere e da amare. La fiamma viva e crepitante degli inizi non manda più bagliori, si è trasformata in brace rovente.



sabato 22 marzo 2014

Sei più prezioso di tutte le ricchezze del mondo


Geri ha portato con sé delle medaglie che ha fatto coniare negli Stati Uniti. Ne ha data una a ciascuno di noi. Assieme all’immagine di sant’Eugenio sono impresse alcune sue parole: “Sei stato scelto da Dio… creato a sua immagine, più preziosa, ai suoi occhi di tutte le ricchezze del mondo… riconosci dunque la tua dignità”.
È uno dei tanti gesti di riconoscenza per questi quindici giorni passati assieme ad Aix-en-Provence. Un gruppo veramente eccezionale: proveniente da tutto il mondo, rappresentante Oblati e laici, di età relativamente giovane, fortemente motivato nella missione di essere gli animatori per il rinnovamento nel carisma.

Gli Oblati hanno 200 anni di storia, ma dobbiamo andare avanti, con nuovo slancio per almeno altri 200 anni. Per questo siamo chiamati ad essere costantemente innestati alla sorgente da cui tutto è nato.
Per me è stata una gioia condividere conoscenze ed esperienza; per tutti una gioia poter entrare più profondamente nel progetto di Dio confidato a sant’Eugenio e ai suoi missionari.

Le parole di sant’Eugenio impresse sulla medaglia erano rivolte a quanti riempivano la chiesa della Maddalena ad Aix dove aveva iniziato la sua missione. Sono rivolte ad ognuno di noi: “Sei stato scelto da Dio… creato a sua immagine, più preziosa, ai suoi occhi di tutte le ricchezze del mondo… riconosci dunque la tua dignità”.

venerdì 21 marzo 2014

Il Corso di una volta

Ogni giorno, quando metto il naso fuori casa, mi si apre un mondo sempre nuovo. Il Corso Mirabeau non è mai lo stesso, ricco di vita, di giovani, di colori, di voci. Caffè e ristoranti sono costantemente animati. Anche le sale degli Oblati aperte ai giovani – Pause Midi –, per il pranzo a sacco, per i momenti di riposo, per un punto d’incontro danno sul corso.
Basta socchiudere gli occhi e il grande viale si trasforma: le gonne delle ragazze, in questi tempi completamente sparite, si allungano e si gonfiano in grande abiti colorati, le carrozze si muovono lente per il passeggio, i mendicanti si aggirano furtivi, gli artigiani vanno veloci con i loro attrezzi di lavoro, le lavandaie passano con il fagotto dei panni…
Vedo anche il piccolo Eugenio, con papà e mamma, che esce dal suo palazzo per andare a teatro. Sono gli ultimi momenti felici. Preso il vento della Rivoluzione spazzerà via tutto. Agli alberi del corso pendono gli impiccati. Il piccolo Eugenio, con papà e mamma, con la sorellina e gli zii, sarà trascinato lontano. Tutto si frantuma, anche il matrimonio dei genitori che l’esilio porterò al divorzio.
Tornerò a vent’anni, nel pieno della giovinezza. Avrebbe voluto riacquistare l’antico palazzo sul corso, ma dive trovare i soldi?

Qualche anno più tardi la mamma vede che è possibile, ma ormai Eugenio ha appena preso la sua decisione di diventare prete e le scrive: “Siete padrona di fare quel che vi conviene maggiormente [riguardo al palazzo]; se poi volete sapere come la pensi…: anzitutto il Signore mi ha fatto la grazia di chiamarmi al suo servizio e di staccarmi talmente dai beni terreni che per me abitare in una catapecchia o in un palazzo è perfettamente lo stesso. In passato avrei sentito un qualche dispiacere nel vederci toglier di mano la casa paterna, sia perché era la casa in cui avevo visto la luce per la prima volta, sia per la sua ubicazione che mi è parsa sempre una delle più comode della città; ma oggi sono indifferente e non ci tengo a questo ammasso di pietre…”. Ormai il palazzo bello e comodo, per lui è soltanto un “ammasso di pietre”.

giovedì 20 marzo 2014

Le proprie scarpe per il povero


Camminando per le strade di Marsiglia, mi sembra di rivedere sant’Eugenio, un vescovo che si è donato tutto per la sua gente. Ha restaurato e costruito 48 chiese, ha creato una trentina di parrocchie, ha fatto venir congregazioni religiose, ha aperto scuole, moltiplicato opere caritative… Ma non ha mai dimenticato di essere un missionario e quindi di restare vicino alla gente, confortando i moribondi, andando a portare la comunione ai malati su e giù per le scale dei quartieri popolari, consolando gli ammalati conosciuti e sconosciuti, visitando le famiglie in lutto, amando sempre col cuore: “Non concepisco come possano amare Dio quanti non sanno amare gli uomini. Ringrazio Dio di avermi dato un animo capace di amare gli uomini”.
Quando morì Lamberta, la fedele e umile donna di servizio della comunità oblata della città, pianse a lungo. A chi gli faceva notare che tale atteggiamento non è degno di un vescovo, rispose: “Ho in orrore gli egoisti, i cuori insensibili che fanno girare tutto attorno a se stessi e non danno nulla in cambio di quanto viene loro dato. Più medito sul Cuore di Gesù Cristo e sulle azioni della sua preziosa vita, più mi convinco che io ho ragione ed essi hanno torto”.
Nelle testimonianze per il processo di beatificazione  si legge: “A Marsiglia, si parla con ammirazione del suo zelo e della sua grande bontà verso gli ammalati e i poveri. Lui stesso non ha esitazioni a portar aiuti agli indigenti delle strade più malfamate e spesso a recarvisi per amministrare i sacramenti a peccatori pubblici. Questo zelo e questa carità erano spesso soggetto di conversazione in città”. “Sì – ha lasciato scritto lui stesso –, ho un cuore e amo con vero e tenero affetto... Sono convinto di aver ragione nel­l’amare gli uomini”.
Camminando per le stradine popolari del quartiere Panier, dietro la sua casa, mi sono ricordato di quando incontrò un povero senza scarpe: si tolse le sue, gliele diede, e torno svelto verso casa piegato in avanti in modo che la veste gli coprisse i piedi scalzi e nessuno se ne accorgesse. Mi sono immaginato la scena.


mercoledì 19 marzo 2014

Il museo racconta


Clarissa Charlots, di 21 anni, da tre anni completamente paralizzata, il 24 maggio 1846 guarì istantaneamente al passaggio, in via Siam, della statua di Notre Dame de la Garde. Lo racconta un bel quadro dipinto come ex-voto e conservato nel nuovo museo di Notre Dame de la Garde, che narra la storia affascinante del santuario di Notre Dame de la Garde. Sabato vi ero andato per pregare, oggi per accompagnare il gruppo internazionale per il quale sto lavorano in questi giorni.
Mi sono preso il tempo per visitare questo nuovo museo preparato con molta cura e gusto. Oggetti, stampe, quadri, ma anche video, foto raccontano gli 800 anni del santuario, andando ancora più indietro, fino alle prime menzioni del sito: un’epopea di architetture, strategia militare, devozione popolare... La narrazione giunge fino alla Liberazione della Francia dall’occupazione nazista e alla festa che ne seguì attorno alla Madonna della Guardia,  dove si era combattuto aspramente. Le testimonianze continuano fino all’oggi.

Naturalmente sono stato attratto da immagini e ricordi del tempo di sant’Eugenio: la processione attraverso la città con la statua della Madonna in occasione della prima peste da lui vissuta a Marsiglia; l’accoglienza che dovette riservare all’imperatore Napoleone III in visita al santuario; la pittura dell’antica cappella prima della demolizione, nel 1855, per permettere la costruzione del grande santuario; l’ultima immagine dei lavori che egli vide prima della sua morte, nel 1861…
Nel suo testamento sant'Eugenio poteva ben scrivere: “Invoco l’intercessione della Santissima e Immacolata Vergine Maria, Madre di Dio, osando ricordarle con tutta umiltà, ma con consolazione, la dedizione filiale di tutta la mia vita e il desiderio che ho sempre avuto di farla conoscere e amare e di propagare il suo culto in tutti i luoghi, attraverso il ministero di coloro che la Chiesa mi ha dato come figli e che si sono associati ai miei disegni”.

martedì 18 marzo 2014

Mercato in corso Mirabeau



Questa mattina, davanti casa, sul corso Mirabeau, il mercato. Irresistibile il richiamo a percorrere l’intero corso per sentire il profumo della lavanda e dei saponi, per godere la bellezza dei colori delle stoffe. È una passeggiata alla quale nessun cittadino di Aix può mancare, perché il mercato è la vita della città. Si può anche andare al mercato ortofrutticolo in una piazza poco distante, dove si può respirare il profumo delle erbe aromatiche o gustare le specialità contadine. In piazza del municipio invece oggi c’è il mercato dei fiori. Non importa cosa si vende, importa il mercato: luogo d’incontro, di curiosità, di festa.

palazzo de Mazenod
Doveva essere uno spettacolo anche per i de Mazenod. Dalle finestre del loro palazzo sul corso potevano avere una visione straordinaria del mercato e sicuramente scendevano curiosare, se non ha comprare. Proprio davanti alla loro casa ho fotografato le stoffe colorate tipiche della Provenza.
È anche così, nell’immersione nella loro vita d’ogni giorno, che si conoscono i santi, con le loro sensibilità, gli amori, i gusti, la loro umanità viva e concreta.

lunedì 17 marzo 2014

La nostra quota rosa



Quando i nipotini vanno dalla nonna, la sera è pronto per loro un film. Ma nel Nord America non si può vedere un film senza i popcorn. A casa dai genitori mangiano i popcorn, ma con parsimonia, perché fanno male. La nonna invece riempie le loro ciotolone fino a quando i popcorn vanno di fuori. E loro guardano con gli occhioni e la bocca aperta: non possono credere a tanta abbondanza. Soltanto la nonna può fare così!
C’è l’ha raccontato a messa Sandra (al centro delle foto), donna giovanile, ma già nonna di dieci nipoti. Dopo aver abbandonato praticamente la fede per una decina di anni, a 31 anni, già mamma di 3 bambini, ha sentito il bisogno di cominciare a frequentare dei corsi di teologia. Ne è rimasta così contenta che si è laureata. Gli Oblati le hanno offerto il posto di direttrice di un loro centro di spiritualità e di ritiri in Edmonton, in Canada. Adesso è in pensione, ma continua a dare ritiri anche agli Oblati in varie parti del mondo.
E una dei quattro laici che partecipano al lavoro che stiamo portando avanti questi giorni e alle mie lezioni. Con lei anche Geri (a destra nella foto), che ho conosciuto parecchi anni fa a Roma e con la quale ho lavorato, prima che scegliesse di impiegarsi dagli Oblati. L’ho poi incontrata negli Stati Uniti dove lavora a tempo pieno nell’animazione dei laici legati agli Oblati. Oggi ha animato la nostra liturgia con tanti simboli. Terza donna è Mary dell’Inghilterra (a sinistra nella foto), che ho incontrato in Irlanda. Lavora anche lei a tempo pieno, assieme a Kirk (in piedi nella foto), altro laico presente questi giorni con noi, per le missioni degli Oblati.
Anche noi abbiamo la nostra quota rosa!
A proposito dei popcorn. Sandra ci ha raccontato quella storia per dirci che Dio fa lo stesso con noi, non gioca al risparmio, e dà, dà, senza parsimonia, con una generosità che ci lascia a bocca aperta come i suoi nipotini.

domenica 16 marzo 2014

“Dove va il tempo che passa?


“Dove va il tempo che passa?”
Una domanda da bambini? Fu Albert Einstein a chiederlo al matematico Kurt Gödel durante una passeggiata a Princeton.
“Torna là da dove era partito – mi ha risposto Gilberto al quale ho posto la stessa domanda –, torna al cuore”.
Penso sia partito ancora da più lontano, dal cuore di Dio e che ad esso torni.
Niente si perde, tutto è custodito nello scrigno d’amore di Dio, che riaggiusta gli istanti perduti e ripara quelli sbagliati, cos’ che, anche nel caso non fossero trascorsi come avrebbero dovuto, siano fissati come avrebbero dovuto essere.

Dunque il tempo che passa resta, in un eterno presente.


Spero resti anche questo pomeriggio pieno di sole, che ci ha visto salire sulla montagna di Sainte Victoire, fino alla Croce della Provenza. Scenari di rara bellezza, famiglie intere su per i ripidi sentieri scavati nella roccia, aria di festa domenicale. Un inno alla creazione e all’amore di Dio, di cui la grande croce piantata sulla cima, è la più viva testimonianza.

sabato 15 marzo 2014

Notre Dame de la Garde: l'abbraccio di Marsiglia


Appena si aprono le porte del treno della metro 1, alla stazione Vieux port, si sente l’odore forte del pesce: è penetrato fin là sotto, scendendo giù per le scale mobili. All’uscita si spalanca il sole sulla città e sul suo specchi di mare. Attorno ai banchi del pesce si sono accalcati i pescatori per una protesta contro la municipalità.; che volgiamo spostare il mercato del pesce?
Salgo sulla collina fino al santuario di Notre Dame de la Garde che domina Marsiglia. L’orizzonte si dilata sull’intera città, sulle isole del Frioul e di If, perdendosi all’infinto sul mare. Il mistral soffia forte. Vale la pena vedere i due minuti di video:

Quest’anno si celebrano 800 anni da quando è sorto il santuario, una piccola semplice cappella sulla collina di fronte alla città chiamata “La Guardia”, fatta costruire ad un sacerdote. Fu sant’Eugenio de Mazenod a volere l’attuale grande santuario. Dal 1830 al 1903, quando le leggi civili cacciarono i religiosi e requisirono tutti i loro beni. La statua della Madonna, per la festa dell’Assunta, lasciava il santuario e per due giorni percorreva i quartieri della città. La notte “dormiva” nella casa degli Oblati.
I missionari di una volta, prima di partire per le missioni lontani, passavano di quassù per mettere la loro vita nelle mani di Maria e la sua statua, alta sulla torre del santuario, era l’ultima immagine che vedevano dalla nave.
Anche se gli Oblati non ci sono più… è sempre casa nostra (la casa materna!). L’ho visitata spesso, ma soltanto oggi, per la prima volta, ho celebrato, nella cripta, dove sorgeva il primitivo santuario.
Attorno a me tutto il Focolare di Marsiglia, per ricordare insieme i sei anni della morte di Chiara. Una bellissima festa nella festa.

venerdì 14 marzo 2014

Missionari laici


In risposta al blog di ieri – “Una volta erano religiosi…” – ho ricevuto un messaggio da una persona che non si firma. Mi ha particolarmente colpito: “Sono una laica... mi unisco e dedico la mia vita con la malattia, (carcinoma da 4 anni con tante chemio fatte e se Dio vorrà da fare...) come un Dono per crescere col "Popolo di DIO" GRAZIE”. 
Dicevo ieri che, davanti alla situazione di perdita di fede, sant’Eugenio e i suoi primi compagni decisero di “lavorare seriamente a diventare santi”. Ecco  qu una persona che vive la sua malattia come un dono di Dio per sé e per contribuire alla vita del popolo di Dio. Missionari non sono soltanto quelli di professione, ma anche donne “laiche” come quella che scrive.

Ne ho una ulteriore prova questi giorni alla nostra sessione di studio, dove sono presenti quattro laici che lavorano a tempo pieno nell’animazione missionaria con gli Oblati. Sono più convinti di noi e più appassionati di noi del carisma e della spiritualità oblata. È bellissimo!

giovedì 13 marzo 2014

Una volta erano religiosi…


Durante la mia solita passeggiatina quotidiana, passando per il Cour Mirabeau, colgo una parola appena di quello che una guida che dicendo a un gruppo di turisti: “… perché una volta erano religiosi…”.
Mi ha ferito questa parola, anche se l’ho colta fuori contento, e mi ha fatto male. “Una volta”. E adesso? Andando qua e là per la bella Aix sono attratto dalle numerose statue dei santi e soprattutto della Madonna che si trovano su in alto, agli angoli delle case, dove le strade si incrociano. Sono belle, segno di vera devozione, di un amore semplice e sincero per Dio e per il Paradiso. Ora sono altre le icone moderne che vedo attorno e propongono ben altri valori.







Ma nulla di nuovo sotto il sole. Sant’Eugenio, duecento anni fa, camminando per queste stesse vie, era colpito dalla perdita di fede quasi completa, dallo stato di abbrutimento della gente. Pochi più tardi scriverà: “La Chiesa, splendida eredità del Salvatore, da Lui acquistata a prezzo del suo sangue, è devastata crudelmente… a stento si può riconoscere la religione di Cristo, tanto da poter affermare con verità che la condizione della maggior parte di cristiani è peggiore di quella dei gentili, prima che la Croce abbattesse gli idoli”.

Non ne rimase scoraggiato. La sua risposta fu la stessa che siamo chiamati a dare anche noi oggi: “Lo spettacolo di questi disordini ha commosso profondamente alcuni sacerdoti che hanno a cuore la gloria di Dio e amano la Chiesa”, al punto da decidere di “lavorare seriamente a diventare santi” per poter “rendere gli uomini prima ragionevoli, poi cristiani e infine aiutarli a diventare santi”.