martedì 31 ottobre 2017

1 novembre: Santi e Paradiso


Anche questa mattina, svegliandomi, ho guardato il calendario con i santi del giorno, 31 ottobre.
Oggi me ne indica 16, tra cui Santa Maria dell’Immacolata Concezione, morta a Siviglia, Spagna, il 31 ottobre 1998: ha fatto presto ad essere riconosciuta santa! C’è una delle prime martiri di Roma, Lucilla; la Beata Irene Stefani, Missionaria della Consolata, morta di peste in Kenia il 31 ottobre 1930, contagiata mentre curava gli ammalati; il Beato Giovanni Pantalia, martire, ucciso a Scutari, in Albania, il 31 ottobre 1947… 
Mia mamma non manca mai l’appuntamento con la rubrica “Ogni giorno un santo sul nostro cammino”, di Radio Mater.

La Festa di Tutti i Santi ci ricorda che ogni giorno una schiera di santi ci accompagna nel nostro cammino, fanno il tifo per noi, pregano per noi… Siamo proprio in buona compagnia.

La Festa di Tutti i Santi ci ricorda che anche noi siamo chiamati a diventare santi.
Sant’Eugenio de Mazenod ha nutrito un desiderio sempre crescente di santità.
L’ha desiderata per sé e per tutti coloro ai quali era rivolto il suo ministero: voleva condurre le persone ad essere prima ragionevoli, poi cristiane e infine aiutarle a diventare sante.
L’ha desiderata per gli Oblati, che supplicava: «In nome di Dio, siamo santi».
Ha creato la comunità oblata come un luogo nel quale dovremmo arrivare ad una “santità comune”.
Ha abbracciato la vita religiosa come mezzo efficace di santificazione.
Ha scelto la missione come ministero nel quale santificarsi e santificare, ricordando
l’intrinseco legame tra santità e missione.
Ha vissuto in modo da raggiungere la santità.

Il 1° novembre 1818, i Missionari di Provenza, al termine del ritiro di sette giorni, emisero i voti per la prima volta: l’oblazione era una via concreta per raggiungere la santità. Da allora, ogni anno, nella stessa data, si ripeteva la rinnovazione dei voti: oblazione e santità sono la stessa cosa.

La Festa di Tutti i Santi ci ricorda la meta finale della nostra vita, il Paradiso.
“Paradiso” è una delle ultime parole pronunciate da Gesù sulla croce, rivolgendosi al buon ladrone:
“Oggi sarai con me in Paradiso”. È l’unica volta che nei Vangeli appare la parola “paradiso”.

Papa Francesco, all’udienza di mercoledì scorso, ha commentato in maniera commovente questo episodio, ricordandoci cos’è il paradiso:
«Gesù lo promette a un “povero diavolo” che sul legno della croce ha avuto il coraggio di rivolgergli la più umile delle richieste: “Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” (Lc 23,42). Non aveva opere di bene da far valere, non aveva niente, ma si affida a Gesù, che riconosce come innocente, buono, così diverso da lui (v. 41). È stata sufficiente quella parola di umile pentimento, per toccare il cuore di Gesù…
Il paradiso non è un luogo da favola, e nemmeno un giardino incantato. Il paradiso è l’abbraccio con Dio, Amore infinito, e ci entriamo grazie a Gesù, che è morto in croce per noi. Dove c’è Gesù, c’è la misericordia e la felicità; senza di Lui c’è il freddo e la tenebra. Nell’ora della morte, il cristiano ripete a Gesù: “Ricordati di me”. E se anche non ci fosse più nessuno che si ricorda di noi, Gesù è lì, accanto a noi. Vuole portarci nel posto più bello che esiste… Chi ha conosciuto Gesù, non teme più nulla».


lunedì 30 ottobre 2017

60 anni fa il Laos


Un magnifico gruppo di 6 giovani missionari italiani, straripanti di vita e d’entusiasmo, si sono imbarcati sul Victoria, nel porto d Napoli… Saranno i primi missionari italiani ad evangelizzare le terre ancora misteriose bagnate dal Mekong.
Così scriveva l’Agenzia Romana degli Oblati di Maria Immacolata alla fine del 1957.

Partirono il 31 ottobre di quell’anno. Sono ormai 60 anni.
La cronaca continua:
I 6 missionari – prima della loro partenza, avevano fatto una lunga tournée attraverso tutta l’Italia, nei sanitari più importanti affidati agli Oblati. Ovunque sono stati accolti con la più viva simpatia. Le numerose celebrazioni di addio hanno trovato il loro apogeo il 12 ottobre, durante il Congresso mariano a Santa Maria a Vico. Ai piedi della Madonna Assunta, alla presenza di numerosi confratelli oblati e di una folla si Associati di Meria Immacolata giunti da ogni parte, il Rev.mo Padre Generale ha dato loro il foglio di vita e il mandato ufficiale di convertire le anime a Cristo…
Comunque è Napoli che si è distinta per i più commeventi saluti, dei suoi abitanti va la palma della bontà e della carità.  Il principale beneficiario ne è stato p. Berti che per anni vi aveva lavorato come assistente provinciale delle ACLI e cappellano dell’ILLVA. Una cerimonia in loro onore si è tenuta in cattedrale, alla presenza del Cardinale che con parole commoventi d’elogio e di ammirazione per i missionari partenti. Gli Operai dell’ILVA hanno voluto una Messa con il loro vecchio cappellano e hanno offerto casse di indumenti di lavoro.

Padre Drago racconta:
Poi i missionari si imbarcarono sulla nave Victoria. Dopo i saluti, gli auguri, gli abbracci dei parenti ed amici, la bella nave salpò lentamente dal porto, rutilante di luci tra i canti dei Missionari, gli adii e le lagrime degli astanti, finché disparve come inghiottita dalle tenebre della notte.
In quella terra lontana, che ci hanno insegnato ad amare, due dei primi sei diedero la vita per il Vangelo, mons. Lionello Berti e padre Mario Borzaga. Con loro il nostro Mons, Staccioli. Tutti e tre in queste bella foto di quando passarono da Firenze (l'altra foto è il saluto a Napoli).



domenica 29 ottobre 2017

Quel volto pulito di Chiara Luce Badano

  
Ogni mattina, per prima cosa sfoglio l’elenco dei santi del giorno, così da sapere in compagnia di chi percorrerò la giornata.

Stamani, ultima nell’elenco, ecco apparire Chiara Luce Badano. Non ricordavo che oggi era la sua festa liturgica.
È un’amica, assieme a Gemma Galgani e Maria Goetti.

Ho seguito via streaming la rievocazione avvenuta questa mattina a Loppiano.
Soprattutto l’ho guardata nel suo volto pulito, che parla di cielo.


sabato 28 ottobre 2017

Tutto, tutto, tutto


«“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”». (Mt 22,30-34)

“Con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Un tutto ripetuto tre volte. La totalità della mia persona interamente orientata verso Dio di cui sono la creatura, da cui dipende ogni fibra del mio essere. Con quanta forza e decisione Gesù staglia Dio davanti a noi: Dio è Dio!
Più lo si immagina infinito, onnipotente, al di là di ogni immaginazione – Dio è Dio! – più se ne intuisce la grandezza dell’amore: Dio è Amore e ama all’infinito con la potenza della sua onnipotenza. Il comando d’amarlo è solo la risposta al primato del suo amore, invito a rispondere al suo amore con l’amore, in un dialogo d’amicizia, di comunione, fino alla pienezza dell’unità.

Perché poi all’assolutezza del grande unico comandamento che orienta potentemente verso Dio – Dio è Dio! – si aggiunge quello che ha per oggetto un essere piccolo piccolo, soffio d’un istante? 
Il mio prossimo vale (anch’io valgo, non per niente Gesù vuoi che lo ami come me stesso) perché il amore di Dio per lui (per me) gli dà (mi dà) valore.
Sono perché sono amato da Dio; valgo perché sono da lui amato.
Lo stesso per il prossimo: in lui vedo l’amore di Dio fatto prossimo, il prossimo fatto Dio.

La mediocrità della vita spesso fa tradurre il grande imperativo con il mediocre un po’: amo Dio, certamente, ma con un po’ di cuore, un po’ di anima, un po’ di mente. Gioco al risparmio per investire altrove. Non è che non amo, ma eludo quella totalità parcellizzandola con idoletti che nascostamente si insidiano nel cuore, nell’anima, nella mente oscurando l’unico vero Dio.
Facciamo tante cose, anche belle, ma è sempre e tutto amore? Rimane soltanto l’amore e ciò che è fatto per amore.


venerdì 27 ottobre 2017

Lectio brevis


Ho ripreso le “Lectio brevis” nelle quali, qui alla casa generalizia, mi diletto a presentare le fonti e la bibliografia oblata. Questa volta ho mostrato le diverse edizioni manoscritte della Regola nella sua evoluzione dal 1818 al 1826, quando fu approvata da Papa Lione XII.
Allora non c’era né fotocopiatrici né computer, così abbiamo ben cinque manoscritti in francese e quello in latino, presentato al Papa. Quest’ultimo era scritto, in bella calligrafia, da p. Jeancard. Naturalmente questa copia non l’abbiamo, perché è rimasta al Papa. Così sant’Eugenio, che era solo a Roma e non riusciva a trovare un copista, dovette ricopiarla tutta di suo pugno, in tre giorni e tre notti.

Quest’ultima copia, che comprende il Decreto di approvazione, con la firma e il sigillo del Cardinal Pacca, Prefetto della Congregazione dei Vescovi e Regolari, e quella del segretario, Mons. Marchetti, ci particolarmente cara, non soltanto perché l’ha scritta il Fondatore, ma anche perché nell’ultima pagina, una volta tornato a Marsiglia, durante il Capitolo generale, sant’Eugenio la fece firmare a tutti i membri della Congregazione, in segno di accettazione. Allora i membri erano appena 22.
È una pagina particolarmente bella: vi sono il servo di Dio Domenico Albini, i futuri quattro vescovi: Mazenod, Guibert (poi cardinale di Parigi), Jeancard, Guigues. Quest’ultimo è anche uno dei pionieri della missione in America, assieme a Honorat e Telmon, anch’essi firmatari.
Non sono carte morte, sono ancora capaci di raccontarci storie e ideali meravigliosi.


giovedì 26 ottobre 2017

Con i Rosminiani a san Giovanni a Porta Latina


“Tutti coloro che credono nel Cristo di qualsiasi stato o rango, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità”. Così la Lumen gentium del Concilio Vaticano II al n. 19.
Le stesse parole aprono il libro di Antonio Rosmini, Massime di perfezione: “Tutti i cristiani, cioè i discepoli di Gesù Cristo, in qualunque stato e condizione si trovino, sono chiamati alla perfezione, perché sono chiamati al Vangelo, che è legge di perfezione… La perfezione del Vangelo consiste nel pieno adempimento dei due comandamenti della carità: di Dio e del prossimo”.
Che sia stato Rosmini a ispirare il dettato della Lumen gentium? Non si poteva certo citare in nota perché la sua dottrina era stata condannata. Giovanni XXIII aveva tuttavia letto e trascritto nei suoi diari queste parole del Rosmini ora beato.


Sono alcune delle considerazioni che abbiamo fatto con p. Vito Nardin, Superiore generale dei Rosminiani, con il quale mi sono incontrato questa mattina assieme ad altri amici.
Un incontro arricchente, avvenuto nella biblioteca ricca di un’infinità di libri di Rosmini e su Rosmini, un gigante del pensiero del XIX secolo.

Non poteva mancare una visita alla basilica tenuta dai Rosminiani. Un gioiello dell’antico Medioevo con affreschi delle storie bibliche.
È san Giovanni a Porta Latina, basilica fondata nel V secolo, subito dentro la Porta Latina, come dice il nome, nel luogo dove la tradizione vuole che l’apostolo Giovanni sia uscito illeso da una pentola di olio bollente… La cappellina del miracolo è proprio sull’altro bordo dell’antica strada.
Evviva le tradizioni che ci hanno lasciato tesori d’arte!


mercoledì 25 ottobre 2017

"Famiglia carismatica", una rivoluzione copernicana

  
Lunedì ho passato la giornata con i superiori provinciali dei Fatebenefratelli, una trentina, proveniente da tutto il mondo, con sei traduzioni. La loro casa generalizia, in via della Nocetta, è immersa nel verde, un luogo incantevole… come tutte le case religiose!
E' stata l'occasione per conoscere, ancora una volta, la storia di carità carità di san Giovanni di Dio...
Il tema delle mie conversazioni e dell'intero loro convegno: “La famiglia carismatica”, ossia i rapporti tra le persone che vivono il carisma di san Giovanni di Dio, consacrati e laici. E di laici che operano nelle istituzioni sanitarie del Fatebenefratelli ce ne sono a migliaia, a cominciare da quelli che sostengono l’ospedale dell’Isola Tiberina.

Ho iniziato con un’immagina cosmologica.
Spesso nel rapporto religiosi-laici si adotta il modello tolemaico della terra al centro con il sole e gli altri pianeti che gli ruotano attorno.
Al centro, nel nostro caso, ci sono le persone consacrate, detentrici del carisma, attorno alle quali, ruotano a cerchi concentrici e a distanze più o meno ravvicinate le persone che intendono condividere il carisma, la spiritualità, la missione dell’Istituto, quelle che collaborano con l’aiuto e la preghiera, quelli che sono beneficiati dal carisma e che rimangono legati affettivamente come segno di gratitudine…
  
Forse occorre adottare il sistema copernicano, con il sole al centro e i pianeti che gli ruotano attorno.
Al centro, riferendosi a noi, ci colloca il carisma stesso e attorno, a cerchi concentrici, ruotano le differenti realtà che sono illuminate dal carisma. L’astro più vicino al sole e certamente l’Istituto di persone consacrate che per primo lo ha ricevuto e l’ha incarnato, poi altre persone che partecipano in forma diversa alla vita del carisma.

L’Istituto di persone consacrate che vive del carisma non è detentore del carisma, lo accoglie sempre come dono, e il carisma trascende l’Istituto e può essere colto e attuato in maniera diversa da altri soggetti. Basti pensare a quanti istituzione è stato capace di dar vita il carisma di san Francesco, e ancora sorgono nuove espressioni che ad esso si rifanno: ruotano tutte attorno al carisma di san Francesco, non attorno a uno degli Ordini francescani, anche se naturalmente vivono in comunione con essi e a essi si rivolgono come a coloro che hanno una lunga storia di comprensione del carisma.
Nello stesso mondo oblato, sono più di 42 gli Istituti di vita consacrata, maschili e femminili, di tipo monastico o secolare, che sono nati dal carisma di sant’Eugenio e non ruotano certamente attorno agli Oblati, ma al carisma stesso.

Se questa prospettiva è vera, la sua attuazione provoca una rivoluzione “copernicana”: ci porta a vivere davvero la complementarietà dei doni, in donazione gli uni verso gli altri, senza superiorità e inferiorità, insieme a servizio dell’unica missione.


martedì 24 ottobre 2017

A Pordenone per ritrovare la freschezza della Parola di Vita



A Pordenone, nell’ambito della Rassegna dell’editoria religiosa, ho presentato il libro Parole di Vita, il primo delle Opere di Chiara Lubich. Mi ha intervistato Marco Roncalli, storico, scrittore, giornalista, nonché nipote di papa Giovanni XXIII.
Fuori della grande tenda pioveva a tutto spiano con tuoni e lampi, dentro un clima bellissimo e gente contenta! È stata l’occasione per raccontare il libro a tutto campo, spiegando anche cose che non ho scritto nella pur lunga introduzione (“Un libro nel libro”, diceva Roncalli). Per esempio: perché negli anni in cui era più intensa l’esperienza carismatica degli inizi abbiamo così poche “Parole di Vita”? dal 1943 al 1951 soltanto 15. Allora è un mito la storia dei “primi tempi” quando si viveva la Parola di Vita?

È che adesso confondiamo la Parola di Vita con il commento alla Parola di Vita, dimenticando che la Parola di Vita è appunto tale, la Parola di Dio. Quello che conta è la frase della Scrittura che ci viene consegnata, non il commento. Si viveva dunque agli inizi la Parola di Vita? Sicuramente e se ne sceglieva una la settimana o ogni quindici giorni o ogni mese, senza una regolarità prestabilita. E i commenti? Chiara li faceva certamente, ma non necessariamente scritti. Spiegava la Parola scelta, offriva delle indicazioni su come viverla, raccontava qualche sua esperienza. Poi la Parola del Vangelo passava di bocca in bocca, assieme a quei commenti essenziali e, ogni volta che la si raccontava ad altre persone, la si diceva con parole proprie, con nuove esperienza che intanto si erano già condivise. Non soltanto la Parola era viva, ma era vivo anche il commento, non fissato su carta, ma scritto sui cuori e quindi ripetuto adattandolo alle circostanze, alle persone… Tanto dipendeva dall’ambiente che si creava quando si parlava della Parola di Vita.

Abbiamo molte annotazioni di Chiara di quegli anni nelle quali spiega come vivere la Parola di Vita, senza che venisse stampato un vero e proprio commento. Forse era quello che si appuntava personalmente per poi parlare ai suoi amici. A volte scriveva e poi strappava il foglio per lasciare libero lo Spirito Santo, così che fosse lui a commentare la Parola che da lui era stata ispirata.
Altre volte troviamo bellissimi commenti alla Parola di Vita di quel momento nelle lettere che Chiara scriveva. In questo caso è evidente che commentava quella Parola adattandola alla persone a cui scriveva.
Sarebbe interessante rintracciare i testi di quegli anni riguardanti le Parole di Vita e raccogliere le esperienze di chi allora le viveva, per capire come la si commentava e la si trasmetteva.

Penso ci siamo fissati troppo sul commento scritto che ci arriva mese per mese, pensando che tutto si esaurisca nel leggerlo. È la fossilizzazione della Parola di Vita, che invece va fatta propria, personalizzata, adattata, tradotta, interpretata, con la creatività e la libertà dello Spirito.


lunedì 23 ottobre 2017

Pordenone, che sorpresa!


21 ottobre. È la prima volta che vengo a Pordenone. Dalla stazione mi portano direttamente all'hotel Villa Ottoboni costruita nel 1400 dal cardinale di cui porta il nome poi divenuto Alessandro VIII. E' ormai sera. Un albero di 400 anni, nel cortile dell'albergo mi spalanca le braccia in segno d'accoglienza. Il direttore dell'hotel mi ha riservato una suite molto elegante. Dice di avermi conosciuto parecchi anni fa e, merito suo, conserva un bellissimo ricordo di me. Mi fa visitare la parte antica della Villa adibita a ristorante e bar. Sono ospitato nella parte nuova costruita da Zanussi negli anni 60.
È ormai sera quando mi dirigo verso il teatro comunale. Corso Garibaldi, piazza Cavour, la zona dei negozi eleganti e della vita giovanile. Un sabato sera pieno di vita. Bar, pizzerie, birrerie attirano i giovani a grappoli. Sembra una serata di festa organizzata per darmi il benvenuto.
Il teatro Verdi accoglie una delle manifestazioni della settimana dell'editoria, il concerto di pianoforte del cardinal Lorenzo Baldisseri, un cardinale concertista della Curia romana! In dialogo con il piano brani di poesia e di prosa.


22 ottobre. Domenica mattina. Ripercorro le strade di ieri così animate così vive. Oggi non c'è anima viva (veramente le anime morte non esistono, comunque si dice così…). Piove. In via Garibaldi incontro due piccioni infreddoliti. Anche la grande piazza XXII settembre è terribilmente vuota. Percorro corso Vittorio Manuele II, la parte più antica della città, con i porticati sormontati da modesti ed eleganti palazzi del 1400, 1500. Anche qui il Risorgimento ha imposto i suoi nomi a luoghi così antichi...
Quando finalmente sono nella parte più antica tornano i nomi di una volta: via del Mercato, via di Castello, vicolo del Lavatoio, via del Mercato, vicolo del Mulino, vicolo del Silenzio (c'è una radio accesa), vicolo della Fontana.


Il campanile del duomo domina l’intera città e s’amalgama con l’agile palazzo comunale quattrocentesco (anche lui, dopo tanta storia, si è rassegnato a trovarsi in piazza Vittorio Emanuele!).
Forse perché piove ed una leggera nebbiolina è sospesa nell’aria, la città ha un fascino che non avrei mai immaginato. La pensavo come una città dei militari (adesso i militari non ci sono più e le caserme sono piene di profughi, al momento invisibili).
Attraverso il ponte Adamo ed Eva, così chiamato per le due statue che sovrastano l’entrata ed entro nel parco fluviale. Appare un'antica chiesa dedicata la Santissima trinità. Entro e la trovo piena di Rumeni ortodossi che cantano all'unisono le melodie sacre. L’iconostasi l’ha trasformata in una calda chiesa di rito orientate.
Torno sui miei passi e finalmente sono nel duomo, luminoso. Conserva il ricordo dell’architettura romano gotica e sprazzi di affreschi quattrocenteschi. Ma non è un museo, è una chiesa viva, con una comunità viva, che celebra la sua domenica.


domenica 22 ottobre 2017

Allacciare le scarpe

Sui marciapiedi della città, nel tepore autunnale, passeggiano gli anziani con passo lento e incerto, accompagnati da persone di colore, i “badanti”, perlopiù giovani, che vengono da Paesi lontani e s’adattano a tutto pur di lavorare per vivere e far vivere la propria famiglia. S’adattano anche al passo lento delle persone che guidano a prendere l’ultimo sole. Un fenomeno sempre più comune, visto l’innalzamento dell’età e le possibilità sempre minori, per gli anziani, di essere assistiti dai propri familiari.
Queste scene quotidiane mi riportano alla mente un’immagine diversissima eppure speculare: la nipotina di tre anni, indomita, che non si lascia avvicinare, e che diviene improvvisamente remissiva quando deve mettere le scarpine. Docile, se le lascia allacciare, consapevole che si tratta di un’operazione importante e difficile, da adulti. Mi meraviglia il senso di gratitudine che sprizza dai suoi occhi per un gesto per me così piccolo, per lei invece così grande. Soprattutto mi meraviglia la gioia che nasce in me ogni volta che compio quest’umilissimo servizio, forse perché non lo sento tale, ma un autentico atto d’amore, per quanto apparentemente insignificante.
Mi sembra questa una chiave di lettura per tante altre situazioni di ben più grande rilevanza: l’accudire per anni e anni persone disabili, l’assistenza ad ammalati cronici e terminali, la vicinanza ad anziani sempre più isolati nel proprio mondo. Un sottobosco nascosto, onnipresente, senza gratificazioni. Non è lo stesso che occuparsi di un bambino che cresce, s’apre alla vita e infonde speranza. Siamo piuttosto davanti alla diminuzione delle forze fisiche e al declino delle capacità mentali, che attraversa con sempre maggiore estensione la nostra società. Allacciare le scarpe a un bambino o cambiargli il pannolino è ben diverso che allacciarle a un anziano e cambiargli il pannolone.
Proprio per questo dovremmo mostrare più attenzione, gratitudine, riconoscenza verso la crescente ondata grigia e anonima di “badanti”, ma anche verso quei familiari nascosti che seguono fino all’ultimo le persone di casa. Per una società umana è necessario trovare le motivazioni del servizio alla dignità della persona, soprattutto la più debole, e con esso la gioia del dono disinteressato, fin nel più piccolo gesto di allacciare una scarpa.


sabato 21 ottobre 2017

Segnati col suo sigillo


«Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». (Mt 22, 15-21)

È un tranello per trarre in inganno Gesù. Se risponde di sì i farisei lo accuseranno di collaborazionismo con i Romani e perderà la fiducia del popolo. Se risponde di no gli erodiani, legati all’autorità romana, diranno che è un sovversivo e lo accuseranno come sobillatore. Ma chi potrà trarre in inganno la Sapienza?
Sulla moneta d’argento con la quale si pagava il tributo c’è impressa l’immagine e l’iscrizione di Cesare Augusto. Se è dell’imperatore che a lui la si renda: “Rendete a Cesare quello che è di Cesare”.
Con queste parole Gesù riconosce il valore dello Stato e delle sue istituzioni. E invita alla stima, al senso di responsabilità, all’impegno per la “cosa pubblica”, nel rispetto delle leggi, nella tutela della vita, nella conservazione dei beni della collettività. Perfezionando il lavoro, svolgendo con competenza e dedizione i compiti affidatici, con l’onestà, possiamo realmente contribuire a che lo Stato e la società rispondano al disegno di Dio sull’umanità e siano pienamente a servizio della persona.


Ma la risposta di Gesù va ben oltre, a indicare ciò che è veramente importante: rendere a Dio quello che è già suo. Come sulla moneta romana c’è l’immagine dell’imperatore, così nel nostro cuore è impressa l’immagine di Dio: ci ha creati a sua immagine e somiglianza! Ci ha fatti impronta della sua sostanza.
Il profeta Isaia ci invita a scrivere sul palmo delle nostre mani: “Proprietà del Signore”! quasi a ricordarci che gli apparteniamo e a lui dobbiamo tornare. A lui il tributo totale ed esclusivo della nostra persona. È la cosa più importante: rendere a Dio ciò che ci ha donato, la vita, le forze, l’intelligenza, il cuore.
Tutto ci ha donato, tutto è già suo, tutto gli appartiene. È solo questione di scoprirlo, di riconoscerlo. Da Lui veniamo, a Lui torniamo: “Rendete a Dio quello che è di Dio”.
“Sono tuo, ti appartengo”, dice l’amato all’amante, senza sentire l’espropriazione ma soltanto il gaudio d’un legame intimo, costitutivo del proprio essere.
“Sono tuo, ti appartengo”, è la nostra dichiarazione d’amore, oggi e sempre.
E tu a noi: “Allora donami ciò che mi appartiene, donati senza riserve, sapendo che solo così sarai veramente”.


venerdì 20 ottobre 2017

L'opera di Maria: Gesù




Sto leggendo un piccolo gioiello, l’antologia di scritti di Chiara Lubich su Maria, curata da Brendan Leahy e Judith Povilus, due membri della Scuola Abbà.
Oggi sono stato attratto da un brano di lettera del 1948, scritta all’allora giovane padre Bonaventura, ora novantenne e ancora un esempio per tutti noi:

Dio vuole che lei sia Gesù, un altro Gesù.
La Mamma nostra del cielo… opererà in Lei questo miracolo…
Lei ci genera, ci nutre, ci coltiva come faceva col “Primo Gesù”. Anche se noi non lo riconoscessimo, Lei fa tutto silenziosamente. Ma farebbe tutto quello che ha fatto per il suo primo Figlio se noi dipendessimo da Lei come il neonato dalla mamma.

Padre Bonaventura ha lasciato che Maria compisse la sua opera.
È l’anelito di tutti noi.


giovedì 19 ottobre 2017

A Lanuvio una presenza nascosta e luminosa




L’ultimo paese dei Castelli Romani. Piccolo e ricco di storia: almeno 3000 anni!
Da un po’ meno di anni, tanti comunque, 125, sono presenti le Suore Sacramentine.
Sabato sr. Gemma festeggerà 50 anni di vita religiosa. Una suora semplice, luminosa, che ha dedicato tutta la vita ai bambini della scuola materna, alla catechesi, alla parrocchia… come la più comune delle suore.
Ho percorso il paese con lei, ieri, e ho visto come tutti la salutavano. Una presenza nascosta eppure vera, come quella di Gesù, di Maria a Nazareth.
Mi ha raccontato come a 19 anni le nacque il desiderio di darsi tutta a Dio, senza neppure sapere dell’esistenza delle suore. E ha voluto che anch’io, durante la messa che ha aperto il triduo della festa, parlassi a tutti della vocazione.
Pagine nascoste di una storia vera.


mercoledì 18 ottobre 2017

Appuntamento a Perdenone per il festival del libro



A Pordenone si sta svolgendo l’undicesima edizione di “Ascoltare, leggere, crescere”, rassegna dedicata all’editoria religiosa e non solo, promossa da Euro92 Eventi. La manifestazione si svolgerà fino al 22 ottobre ospitando in diversi luoghi della città friulana 20 incontri che vedranno avvicendarsi 45 ospiti di profilo nazionale ed internazionale e la presentazione di 10 libri.
Tra gli eventi “I 90 anni del Papa emerito: significato di una vita e di un Pontificato”, con la presenza di padre Federico Lombardi. Mercoledì 18 ottobre è stata all’insegna del ricordo del cardinale Carlo Maria Martini.
Domenica 22, alle 15.00, insieme a Marco Roncalli presenterò il libro di Chiara Lubich Parole di Vita, di cui sono il curatore. Vi aspetto tutti.




martedì 17 ottobre 2017

Al Simposio di Buddisti e Cristiani in dialogo


Alla fine di aprile 2008 a Castelgandolfo si tenne il terzo Simposio di Buddisti e Cristiani in dialogo, organizzato dal Movimento dei focolari. In quella circostanza fui chiamato a raccontare alcune esperienze di religiosi, a cominciare da me. Oggi mi hanno mandato il testo che avevo preparato in quella circostanza.

Avevo sedici anni quando ho avvertito contemporaneamente la chiamata a seguire Gesù nella vita religiosa e la chiamata a vivere l’Ideale di Chiara Lubich. Cinque anni più tardi ho pronunciato i voti di castità, povertà e obbedienza, in una particolare famiglia religiosa: i Missionari Oblati di Maria Immacolata.
Come sapete nella tradizione cristiana ci sono tanti ordini religiosi diversi, nati dall’esperienza di alcuni santi fondatori, un po’ come anche nel Buddismo vi sono tradizioni monastiche diverse. Ero molto contento del gruppo religioso nel quale entravo a far parte, mi sembrava il più bello.
Un mese prima della mia consacrazione a Dio ho partecipato ad un incontro che si svolgeva al Centro Mariapoli con Chiara. C’erano persone consacrate di differenti ordini, d’ogni parte del mondo. Erano tutti più grandi di me, con una profonda esperienza di vita spirituale. Alcuni erano membri di ordini antichi e famosi. Era evidente la grande varietà di tradizioni: lo si vedeva anche dalla diversità degli abiti monastici che indossavano.
Più che la distinzione tra loro mi colpì l’amore che tutti li univa in un cuor solo e un’anima sola. Rimasi affascinato dalla bellezza dell’unità che regnava tra loro, dall’impegno sincero con cui vivevano il Vangelo, da come si aiutavano a raggiungere insieme la santità. Decisi di vivere come loro.
Da allora sono passati quarant’anni e sempre più amo l’ordine dell’altro, con la sua tradizione, come il mio, cercando di vivere le parole della Sacra Scrittura: “Gareggiate nello stimarvi a vicenda”.

Potrei raccontarvi tante altre esperienze di tanti altri religiosi nel mondo con i quali siamo legati dall’Ideale di unità di Chiara.

Ad uno di loro i terroristi hanno ucciso il fratello. Lui ha avuto la forza di perdonare, secondo quanto insegna il Vangelo: “Amate i vostri nemici; fate del bene a chi vi fa del male; perdonate e sarete perdonati”. Allora altri terroristi in carcere, colpiti dalla sua testimonianza, lo hanno voluto incontrare.
Lui non era mai stato in un carcere e non sapeva come comportarsi. Poi si è ricordato delle parole di Gesù: “Ero carcerato e siete venuti a trovarmi…”. Bastava riconoscere in quegli assassini il volto di Gesù. Bisognava soltanto amarli. Così ha fatto. Tanti di loro si sono convertiti perché, dicevano, “Sapere di essere amati, ha sconvolto i nostri schemi mentali”.

In Brasile un altro religioso ha avuto un grave incidente stradale. Proprio quel giorno aveva iniziato a vivere la Parola di Vita: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. I suoi dolori fisici, quelli degli altri ammalati e i dolori morali conosciuti in ospedale, erano così forti che egli non avrebbe più voluto vivere: ha domandato al suo vescovo se poteva chiedere di morire.
Ma l’amore da cui è stato circondato da parte di tanti altri religiosi e da tante altre persone lo ha aiutato. “Mi sono sentito al centro di una immensa carica d’amore – ci ha raccontato –, che non ha niente a vedere con la simpatia umana: è la forza di Dio, la forza dell’unità soprannaturale. Nello stesso tempo – continua – ho capito che questa corrente d’amore non doveva fermarsi a me, ma doveva riversarsi sulle persone attorno, nell’ospedale”. Così ha amato a sua volta, dimenticando se stesso, i suoi dolori, per ascoltare gli altri e aiutare gli altri. E tanti ammalati, così come altre persone che lavorano in ospedale o che sono andate a trovarlo, sono tornati a Dio. Era il chicco di grano che portava frutto.

Ancora un altro religioso. Siamo nella Settimana Santa, i giorni nei quali noi cristiani riviviamo il mistero della passione, morte e risurrezione di Gesù. Questo religioso, che abita in una casa di riposo per anziani, aveva deciso di vivere quei giorni in raccoglimento e in preghiera. Ma un infermiere si assenta per ferie, un altro per un problema di famiglia. Insomma, racconta il religioso, “ho passato la settimana santa a curare gli ammalati e gli anziani, a dar loro da mangiare, talvolta a imboccarli come bambini, lavarli, cambiare la biancheria… Non posso partecipare alla preghiera nella chiesa – mi sono detto – ma posso contemplare le sofferenze e le piaghe di Gesù in questi miei fratelli ammalati. Il Venerdì Santo, giorno della morte di Gesù, ho accudito un sacerdote completamente infermo, che non parlava più da parecchi mesi. Ho provato una dolcezza indescrivibile vedendo in lui Gesù. A un certo momento lui mi ha sorriso, riempiendomi l’anima di gioia”.

L’Ideale dell’unità è penetrato anche in monasteri dove si vive il silenzio, la clausura e l’isolamento dal mondo, come nelle trappe, che sono i monasteri più austeri nella Chiesa. Un membro di uno di questi monasteri, un trappista, racconta cosa è avvenuto nella sua comunità:
“Sentivamo il bisogno che l’amore tra di noi fosse più intenso, ma non sapevamo come fare. Vivevamo vicini l’uno all’altro, ma tra noi c’erano delle incomprensioni, dovute a mancanza di dialogo teologale e profondo. Avevamo fatto parecchi tentativi, ma erano tutti falliti. Allora mi sono detto: perché non riunirci attorno alla Parola di Vita, come ci insegna Chiara? Fu una scoperta, e sperimentammo con una intensità straordinaria gli effetti della presenza di Gesù in mezzo a noi. Riscoprimmo in maniera nuova la nostra vita monastica. Gli incontri settimanali in cui ci comunicavamo le esperienze fatte vivendo la Parola di Vita erano molto densi e ne partivamo sempre profondamente stimolati e rinnovati, sia nel senso dell’interiorità che in quello della comunione”.

Queste poche piccole esperienze ci fanno forse intuire quanto l’amore possa costantemente rinnovare la nostra vita di religiosi e ci aiuti a raggiungere lo scopo del nostro cammino.


lunedì 16 ottobre 2017

La fede e la vita


In questi giorni alla Scuola Abbà ho portato un segnalibro che Chiara anni fa ci aveva dato con una frase di Hans Urs von Balthasar:

“Il male più grande nella storia della Chiesa non è stato la divisione nella fede, ma il fatto che i docenti non erano più dei santi; allora, la teologia è scesa dalla sua altezza e ha abbandonato la vita”.


domenica 15 ottobre 2017

L’abbraccio alla Madre


Palazzo Corsini, Villa Aurelia, Accademia reale di Spagna… tante oggi le promesse della giornata d’Autunno del FAI. Nel pomeriggio, animato da grande speranza, sono partito per visitare questi luoghi famosi e inaccessibili. Non sono stato il solo. Prima di me migliaia di Romani si erano accampati attorno ai siti ambiti, in file chilometriche. Visite impossibili.
Ho ripiegato sul più popolare Trastevere, che non delude mai.
A cominciare da santa Maria, con i suoi mosaici antichi. Tra tutti capeggia l’incoronazione di Maria nel cielo. Non solo se sta felicemente e serenamente seduta sul trovo accanto al Figlio, ma è da lui abbracciata.
Siamo abituati a vedere Maria che abbraccia il Bambino Gesù.
Adesso è il Figlio, adulto, che nella gloria abbraccia la Madre.
Un gesto di grande tenerezza e affetto, che rispecchia la stessa tenerezza e lo stesso affetto della Madre verso il Figlio.
I ruoli si sono capovolti.
Come avviene nella vita terrena.


sabato 14 ottobre 2017

Un invito personale



«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.  (Mt 22,1-14)

Ha preparato un banchetto per noi. Cosa c’è di più bello che stare a tavola insieme con gli amici? In ogni famiglia ritrovarsi attorno alla mensa è un momento sacro e insieme di festa. I vincoli d’amore si rinsaldano, si sperimenta la gioia dell’unità, ci si sente solidali, rinfrancati. Anche Dio vuole vivere in comunione con noi, condividere l’amicizia. Ci ha creati per questo, voleva renderci partecipi della sua stessa vita, inserirci nella circolazione dell’amore che lo lega nell’unità delle Tre Divine Persone. Vuole farci gustare la sua stessa beatitudine, la gioia, la pienezza della vita. Ci ha pensato prima che esistessero i tempi e gli spazi.
Non ha trovato un’immagine più adeguata, per comunicarci questo suo ardente desiderio, di quella di una cena, più ancora una cena di nozze, la festa più bella alla quale possiamo prendere parte.

Più ardente è il desiderio, più cocente la delusione. Al suo invito si oppone il nostro rifiuto. Gesù parla del rifiuto del popolo eletto: ha maltrattato e ucciso i profeti che Dio aveva inviato per chiamare a conversione. Ha ucciso addirittura il Figlio, escludendosi dal banchetto di nozze.
Ma la storia continua. Quante volte anche noi, davanti ai ripetuti inviti, reclamiamo le scuse più diverse per sfuggire il rapporto con Dio? Vorrebbe parlarci, intrattenersi con noi, ma non abbiamo mai tempo, ci sono sempre cose più importanti da fare, rimandiamo a domani, a quando saremo liberi da impegni. Eppure non c’è tempo da perdere, il momento giusto è proprio questo, è arrivata l’ultima ora, poi per noi sarà troppo tardi. C’è forse qualcosa di più importante che compiere la sua volontà, raccogliersi in preghiera per parlare con lui, rispondere al suo invito a servirlo nei fratelli dimenticando noi stessi?
Ho un invito personale, e viene nientemeno che da parte di Dio!

Ogni domenica Dio imbandisce la sua mensa sull’altare e raduna in chiesa la sua famiglia. Dovremmo attendere quel momento tutta la settimana e prepararci con gioia e trepida attesa proprio come si fa quando si sa di dover partecipare ad un matrimonio. E non basta andare così, tanto per andare. Come si pensa a vestirsi bene per il matrimonio, così per l’incontro con Dio: essere vigilanti, nell’amore, convertirsi costantemente all’amore.
Basterebbe così poco… e saremmo ripagati a dismisura.

Non tenere conto delle mie scuse,
continua a invitarmi, con insistenza.
Ti autorizzo ad obbligarmi a entrare.
La tua voce sia più forte
dei molti richiami che odo ogni giorno.
Trasmetti anche a me
il tuo ardente desiderio di cenare con noi
perché si spenga ogni altro desiderio.
Donami tu la veste che non ho,
di cui m’hai rivestito nel battesimo
e che ho sporcato.
Lavala ancora con il tuo sangue
perché possa comparire davanti a te
con tutti i miei fratelli
e godere per sempre della tua amicizia
nel banchetto del cielo.


venerdì 13 ottobre 2017

Deserto e desolazione di padre Bergoglio


Sto leggendo una tesi di dottorato su papa Francesco.
Ormai la sua biografia è arcinota, eppure mi ha impressionato rileggere del suo periodo di deserto e di prova interiore tra il 1990 e il 1992, quando fu mandato “in esilio” a Cordoba dal suo provinciale e tutto il suo precedente operato venne sconfessato.
Il papa ne parla come di un “momento di purificazione interiore che Dio a volte permette. Un momento oscuro come quando non si vede molto”; “deserto e desolazione”; “una grande crisi interiore”.
Chissà quante volte in quel periodo avrà letto il testamento che la nonna Rosa gli aveva affidato il giorno dell’ordinazione sacerdotale e che egli porta ancora con sé nel breviario: “Che i miei nipoti, ai quali ho dato il meglio di me stessa, abbiano una vita lunga e felice. Ma se un giorno il dolore, la malattia o la perdita di una persona cara dovessero riempirli di afflizione, ricordino sempre che un sospiro davanti al tabernacolo dove è custodito il martire più grande e più augusto, e uno sguardo a Maria ai piedi della croce possono far cadere una goccia di balsamo sulle ferite più profonde e dolorose”.
In mezzo a questo “deserto e desolazione” Bergoglio viene nominato vescovo…