sabato 31 dicembre 2011

Se io non fossi tuo...


Sono entrato nella vita: buona cosa.
Ma perché sono sballottato
dai flutti della vita?...
Veniamo al mondo,
abbiamo fame,
ci saziamo.
Ho sonno, mi addormento,
mi sveglio, cammino.
Ci ammaliamo, siamo in buona salute,
gioie e dolori.
Un tempo per godere del sole,
dei frutti della terra,
morire, consunzione della carne.
Ma questa è la sorte di ogni vivente.
Che cosa dunque ho io in più?
Nulla, tranne Dio.
Se io non fossi tuo, o mio Cristo,
avrei subito un’ingiustizia.


(Gregorio di Nazianzo)

venerdì 30 dicembre 2011

Il Gesù di Giovanni Evangelista / 3


“Nessun evangelista ha rivelato la divinità di Gesù in modo più puro di Giovanni”.
Per comprendere che il bambino che ci è nato è la Luce del mondo, il Figlio di Dio, occorre, al dire del grande Origene, “aver ricevuto da lui Maria come propria madre”; soltanto lei conosce a fondo il figlio suo, e soltanto chi l’avrà come madre sarà un altro Giovanni, capace di penetrare il Mistero, diventato lui stesso Gesù, come lo è diventato Giovanni reso da Gesù figlio di Maria.
“Colui che vorrà essere un altro Giovanni deve diventare tale da essere indicato da Gesù, al pari di Giovanni, come se lui fosse Gesù. Sebbene infatti non vi sia altro figlio di Maria se non Gesù…, tuttavia Gesù dice a sua madre: Ecco tuo figlio – e non “Ecco, anche costui è tuo figlio” – ed è come dicesse: “Ecco Gesù che tu hai partorito”. Chiunque è perfetto, infatti, non vive più, ma in lui vive Cristo e, poiché in lui vive Cristo, è di lui che è detto a Maria: Ecco tuo figlio, cioè il Cristo”.

giovedì 29 dicembre 2011

Il Gesù di Giovanni Evangelista / 2


“Nessun evangelista ha rivelato la divinità di Gesù in modo più puro di Giovanni”, affermava il grande Origine, convinto che “primizia dei vangeli è quello secondo Giovanni”. Ma come cogliere in questo Natale il senso profondo del vangelo di Giovanni e il mistero della divinità di Gesù che esso esprime?
“Non può coglierlo –risponde Origene – se non chi, come Giovanni, si è adagiato sul petto di Gesù”.
Per Origine Giovanni ha rivelato la divinità di Gesù grazie all’intimità avuta con lui della quale è segno l’adagiarsi sul petto di Gesù durante l’ultima cena; gesto che richiama il “rimanere”, il “dimorare” del discepolo in Gesù, nel suo amore; verbi che nel vangelo di Giovanni indicano a loro volta un rapporto costante che inizia e matura nel tempo, per fissarsi nell’eternità.

martedì 27 dicembre 2011

Il Gesù di Giovanni Evangelista


Nessun evangelista ha rivelato la divinità di Gesù in modo più puro di Giovanni, 
che pone sulla sua bocca queste parole:
Io sono la luce del mondo;
Io sono la via, la verità, la vita;
Io sono la resurrezione;
Io sono la porta;
Io sono il buon pastore;
e nell’Apocalisse:
Io sono l’alfa e l’omega,
il primo e l’ultimo,
il principio e la fine.

Così il grande Origene, 
quasi un invito a pregare:
Tu sei la luce del mondo;
Tu sei la via, la verità, la vita;
Tu sei la resurrezione;
Tu sei la porta;
Tu sei il buon pastore;
e nell’Apocalisse:
Tu sei l’alfa e l’omega,
il primo e l’ultimo,
il principio e la fine.

lunedì 26 dicembre 2011

Il sasso di Santo Stefano


Santo Stefano, il primo martire,è patrono della città di Prato.
Uno dei sassi con cui fu lapidato è nella mia città, lo sapevate?
Anche oggi, come ogni anno, è stato esposto nella cattedrale, durante il solenne pontificale.
Vi è giunto, dal museo, “scortato” dai Carabinieri, a garanzia contro ogni contraffazione!

domenica 25 dicembre 2011

Natale: Siamo nel post o nel pre?


Betlemme: qui è nato Gesù

Il pensiero moderno, con i suoi ideali di razionalità, oggettività e progresso, è ormai superato, ce lo siamo lasciato alle spalle e siamo entrati nel postmoderno. I profondi cambiamenti economici, con la delocalizzazione delle imprese industriali e le esportazioni di capitali ci hanno introdotto in un’era postindustriale. Considerando la gravità della crisi finanziaria europea stiamo forse per entrare nel “post-euro”. Siamo dunque destinati ad essere una generazione post, che si misura su un passato che vuole abbandonare, con insofferenza, o che da cui si vede recisa, con nostalgia e rimpianto? Se è vero che con lo sradicamento dalle proprie radici viene meno l’identità – senza passato non c’è futuro –, è altrettanto vero che senza ricerca del nuovo non c’è progettualità – senza futuro non c’è presente. Le illusioni, in campo politico, economico, sociale, e le conseguente delusioni sono state così tante e rapide in questi anni da ingenerare un calo di speranza. Nel nostro Paese sono ormai due milioni e mezzo le persone che hanno desistito dal cercare lavoro, rassegnandosi alla disoccupazione e appoggiandosi alle famiglie di origine. La denatalità è un ulteriore indice di paura del futuro, così come la mancanza di investimenti da parte delle industrie. Il governo Monti ha acceso negli Italiani un senso di attesa e una voglia di cambiamento che non si avvertiva da tempo. Col rischio di un’ulteriore cocente delusione…
L’era del post è stata decretata anche per cristianesimo, ormai relegato al passato: siamo nel post-cristianesimo. La celebrazione del Natale mi fa porre la domanda se invece non si debba considerare la nostra un’era precristiana. Il Cristo sta dietro di noi o ci precede? La “buona novella” che egli ha proclamato, proposta di una società fondata su rapporti d’amore e di giustizia, è un retaggio di altri tempi o è davanti a noi come un’ispirazione cui tendere? L’era cristiana sta appena iniziando ed è piena di speranza. A ogni generazione, oggi alla nostra, il compito di attuare il Vangelo, creando futuro.

venerdì 23 dicembre 2011

Natale: La Parola si fa carne


Scritture Hindu
Venerazione della Bibbia
Tornando a casa dall’India ho trovato il presepe già pronto, con tutti gli elementi tradizionali. Accanto alla capanna vi è però un elemento nuovo: un bellissimo vangelo aperto, con una preziosa miniatura. Ripensando all’esperienza di questi giorni mi torna alla mente come ogni religione venera i propri libri sacri perché portatori di parole di salvezza, spesso ritenute rivelate. In Egitto, Thot, lo scriba degli dei, diede agli uomini il Libro dei morti, un testo sacro che indicava la via per salvarsi dalla morte. In India i Veda trasmettono una sapienza eterna, ricevuta per rilevazione e per tradizione, oggetto di contemplazione dei veggenti e dei vati. Il Tipitaka del mondo buddhista possiede una sua sacralità, mentre nel Buddismo Mahayana acquistano caratteri di rivelazione alcuni testi salvifici come il Saddharma Pundarika (il Sutra del Loto) e il Sukhavati–vyuha per il Giappone. Grande venerazione ha il Granth, libro sacro dei Sikh, così come il Purvos per il Giainismo, i Cinque Classici e i Quattro Libri per il Confucianesimo, il Tao Te Ching per il Taoismo, il Corano per i Musulmani.
Venerazione delle Scritture Sikh 
Il Concilio Vaticano II ci invita a scoprire e a riconoscere le «cose vere e buone» che vi sono in essi, i «preziosi elementi religiosi e umani», i «germi di contemplazione», i germi del Verbo che vi si trovano nascosti», «quasi la segreta presenza di Dio», un dono «dato da Colui che illumina ogni uomo, affinché abbia finalmente la vita».
La venerazione dei libri sacri si esprime in mille modi. In India ho visto con quanta cura essi sono custoditi sia Hinduisti, dai Sikh, e dagli stessi cristiani che  nelle chiese da una parte dell’altare hanno posto il tabernacolo, dall’altra la teca per la Bibbia.
Il Natale ci ricorda tuttavia che il Vangelo non è semplicemente un libro sacro, esso racchiude il Signore Gesù. Non siamo la religione del Libro, come abitualmente si dice, ma di una Persona. Gesù è la Parola che Dio Padre pronuncia da tutta l’eternità e che si fa parola umana. La sua dottrina e la sua persona, la sua opera e il suo insegnamento sono inseparabili. Attraverso le sue parole egli si rende continuamente presente nella sua Chiesa e continua a parlare ad uomo e donna di ogni tempo.

giovedì 22 dicembre 2011

Krishna mi mandò a dire…



22 dicembre
Dopo il breve volo da Pune a Mumbai, il grande balzo verso Roma passando per Istanbul.
Quindici giorni di India non si cancelleranno tanto facilmente dalla memoria e dal cuore. Ho con me le foto, ma anche senza di esse ho fissato immagini, volti, luoghi, momenti indelebili.
Porto ancora con me il messaggio che Krishna mi inviò tramite il professor Upashyàya: “Durante la siesta mi è apparso il piccolo Krishna e di ha detto: Sono stato contento che il tuo ospite sia venuto a farmi visita. Hai visto come si è interessato del mio flauto? Ho un messaggio per lui: Digli di essere vuoto come un flauto, in modo che attraverso di lui possa far risuonare le mie melodie”.

mercoledì 21 dicembre 2011

L’India vista dal risciò.


21 dicembre 2011. Lentamente il vicinato si risveglia. È un autentico “vicinato”, addossati come siamo gli uni agli altri, con le finestre sempre aperte. Senti il canto dei galli, quello del muezzin, i gargarismi delle pulizie del mattino, le mamme che invitano i bambini a vestirsi per andare a scuola, le musiche familiari delle suonerie dei cellulari. Poco più tardi s’ode il suono dei campanellini per la preghiera e l’offerta che si leva in ogni casa agli dei hindu, la voce dei venditori ambulanti che passano con le verdure, il ritmo monotono dell’impastatrice della casa in costruzione (a ogni angolo c’è una casa in costruzione), il battito regolare del martello del carpentiere…
In cammino verso la strada principale si può dialogare con tutti: col sarto, il barbiere, il panettiere, il farmacista… non c’è bisogno di entrare nel negozio e neppure che il venditore si affacci sull’uscio: è tutto aperto, in una compenetrazione costante tra strada, casa e bottega: incondizionata apertura all’essere e al dialogo!
Salgo su un autorisciò, le simpatiche api della Piaggio, nere e gialle, che possono portare tre persone più il conducente. Sgattaiolando per gli angoli delle strade puoi percepire la vita quotidiana: la ragazza hindu con il sari coloratissimo va a braccetto con l’amica musulmana, completamente velata di vero dalla testa ai piedi; i vecchi si aggirano beatamente, godendosi il fresco del mattino, vistiti di bianco, con le bustine o i turbanti in testa; i bambini e le bambine della scuola con le uniformi e le scarpe di plastica; i carretti con la frutta deposta, con infinita pazienza, a piramide, tutta voltata verso lo stesso verso; i carri trainati dai buoi, i bufali e le vacche che vanno a passeggio per strada, indisturbati; gli uomini arrampicati sulle impalcature di canne di bambù o di pali di legno e le donne, che non rinunciano al sari, fanno da trasportando sulla testa cardarelle di sabbia e sassi, con i loro bambini che giocano ai margini del cantiere, mentre la gente che sta a guardare… Mi piacerebbe noleggiare un risciò per un giorno intero ed andare in giro per la città così…
Giungiamo al campus universitario cattolico, un piccolo Vaticano nella grande città: l’istituto di teologia e filosofia tenuto dai Gesuiti, quello di missiologia dai Verbiti, il centro di psicologia e di orientamento vocazionale, il seminario nazionale, il Collegio De Nobili dei Gesuiti, le residenze degli studenti, una decina di collegi di congregazioni religiose, dai Vincenziani ai Cappuccini, dai Sacramentini ai Paolini... In questa oasi di silenzio, con parchi, laghetti, coltivazioni di banane, boschi di bambù, vivono un migliaio di religiosi e seminaristi. Gli Oblati hanno scelto di costruire la loro semplice casa in quartiere comune della città e ogni giorno vengo a scuola qui, con le loro biciclette. Trovo un paio dei nostri studenti nella bella biblioteca, intenti a cercare libri con il computer.
Ieri pomeriggio mi hanno intrattenuto con un nutrito programma culturale: canti, una conferenza sullo spirito di sant’Eugenio de Mazenod tenuta da uno di loro, la drammatizzazione della vita degli Oblati in India, il taglio della torta, il regalo… Il tutto come avessero davanti a sé una platea infinita, ed ero soltanto io. Quanta passione hanno impiegato, quanta serietà, quanta competenza, e come si sono espressi bene nella loro cultura…
Ma è arrivato ormai il tempo di ripartire…

martedì 20 dicembre 2011

Viaggio in India: un futuro pieno di speranza







19 dicembre
Mi accolgono con una ghirlanda di fiori gialli e arancio, mi pongono il minio sulla fronte per illuminarmi la mente, mi fanno danzare davanti una candela posta su un piatto di fiori per illuminarmi il volto… Mi trovo a Pune, nella sede del secondo scolasticato oblato dell’India. Sono partita in mattinata da Chennai con scalo a Bangalore. In volo sfoglio la rivista della compagnia aerea; c’è uno speciale di 40 pagine sul Natale: non una parola di Gesù! Che tristezza. L’aereo arriva in ritardo, ma i due Oblati mi aspettano all’aeroporto con pazienza, il tempo in India è relativo. In serata parlo a lungo con i sei scolastici e i due padri sugli studi oblati.

20 dicembre.
Presiedo la Messa nella cappella con la piccola comunità. Sulle spalle, come abito liturgico, lo scialle tipico indiano. Ho modo di conoscere meglio la vita della comunità. La comunità oblata più vicina è… quella Dacca nel Pakistan! Altrimenti bisogna andare a Bangalore: 24 ore di treno. Non si scherza con le distanze. Quando sono partito da Chennai, il provinciale, assieme a quattro dei nuovi diaconi, partiva per una delle nostre missioni al nord: avrebbe impiegato 40 ore, 30 in treno, 10 in pullman.
Sono esattamente 93 gli Oblati in India. Altri 20 che lavorano all’estero. Sono presenti in 9 stati dal sud al nord. Sono soprattutto in ambienti rurale e poveri, spesso con le tribù indigene. Un’altra volta andrò a trovarli, nell’India profonda…
Vi è inoltre un bel numero di giovani in formazione: 42 nel giuniorato, 57 in filosofia, 8 in stage, 6 novizi, 32 scolastici. Tutti e 145 si troveranno insieme dopo Natale a Chennai: chissà che festa. 
Questa mattina un amico della comunità viene a prenderci con la macchina per un breve giro della città (gli Oblati hanno soltanto biciclette). La prima impressione è di una città ordinata e vivibile (sempre secondo gli standard indiani!), almeno in confronto a Mumbai. Almeno qui non si vedono gli scenari di miseria scandalosa e brutale di Mumbai. Comunque anche qui per guidare occorre una patenta speciale, perché siamo nel regno della giungla pura: l’unica norma è l’assenza di norme; l’importante è cavarsela. Il clima è mite, essendo agli inizi della zona montana del Daccan.
Iniziamo la visita dal palazzo dell’Aga Kan, dove Gandhi fu imprigionato per più di due anni, da quando nel 1942 il Congresso invitò gli Inglesi a “lasciare l’India”. Nel grande parco vi sono le tombe della moglie e del segretario, morti lì in quegli anni, e le ceneri dello stesso Gandhi portate li dono la sua morte. Questa città, per 20 anni, fu la sede della sua azione politica.
Una lunga scalinata di pietra ci porta ad un antico tempio hindu su una collina al centro della città. A Pune sono pochi i templi così grandi, mentre la diffusione di quelli minuscoli, di una sola stanzetta lungo la strada, o di una semplice edicola, sono numerosissimi. Il tempio rimane comunque abbastanza secondario, essendo l’hinduismo una religione familiare: tutti in casa hanno l’angolo per il proprio culto quotidiano.
Infine il forte Shanwar Wada del grande eroe della regione, Shivaji.
Al ritorno una bevanda di canna da zucchero, rara in questa stagione, che mi preparano su una di queste bancherelle dove un marchingegno rudimentale tritura le canne e ne fa uscire il succo. Sui cibi occorrerebbe un capitolo a parte: sopravvivo egregiamente.
In serata evento culturale… me riparliamo domani.

lunedì 19 dicembre 2011

Viaggio in India: Aanmodaya, l’Ashram Oblata


La strada richiama quelle alberate del Veneto. Soltanto che i grandi alberi che ombreggiano il cammino e formano lunghe gallerie di verde sono manghi. Ognuno porta scolpito nella corteggia un numero progressivo. Durante il tempo della raccolta i comuni li cedono a chi ne fa richiesta, dietro un modico compenso, perché ne raccolgano i frutti: niente va perduto. Ogni tanto si vedono i contadini che stendono la paglia di riso sulla strada; dopo averlo battuto, lasciano che vi passino sopra le macchine, i camion, le autobus in modo che vengano fuori gli ultimi grani rimasti…
Ci inoltriamo tra le risaie silenziose, inondate d’acqua, fino alla casa di Joseph Samarakone. Sulla porta sono scolpiti i segni delle otto principali religioni. Entro nella stanza dove il guru mi aspetta, seduto al suo tavolo, capelli e barba lunghi e bianchissimi, ammantato come usano i saggi hindu.
Sono nell’Ashram oblata dell’India, la Aanmodaya Ashram. L’ashram è il luogo dove vive il sapiente con i suoi discepoli e dove egli insegna. Aanman significa l’anima, l’io e Udhayam risveglio: la Aanmodaya Ashram è il luogo del risveglio dell’anima, del risveglio di Dio che è in noi, quasi, mi spiega Padre Jeseph, “un grembo materno del Divino da cui rinasce costantemente la vita nuova”. Col Padre in questi giorni vive uno dei giovani Oblati in formazione.
Tutto iniziò il 17 febbraio 1992, per una scelta degli Oblati indiani: volevano un luogo dove si potesse vivere a fondo la spiritualità oblata nello stile tipico della loro cultura. Affidarono gli inizi
ad uno dei tre primi Oblati indiani, Amalraj Jesudass. Subito dopo venne con lui padre Joseph Samarakone, originario dello Sri Lanka. Dopo due anni che stavano insieme padre Analraj morì in un incidente.
“Non è lo stesso Dio quello che tutti preghiamo, anche se con nome diversi?”, mi ricorda Padre Joseph, e mi cita Benedetto XVI in preghiera nella moschea in Turchia, quando disse che Cristiani e Musulmani adoriamo lo stesso Dio. Ma Padre Joseph aggiunge: “Mi sarebbe piaciuto che avesse detto che tutte le religioni, non soltanto cristiani e musulmani, adorano lo stesso Dio”.
Mi recita, in sancrito, la Rig Veda, la scrittura sacra indiana di 3500 anni fa: “Dio è UNO, ma i sapienti parlano di lui in molti modi”. Poi il santo hindu Manikavasagar, che nel Thiruvasgam cantava: “Ti saluto Shiva, che hai preso il popolo delle Terre del Sud per tuo speciale possesso. Tu sei lo stesso Uno che tutte le nazioni della terra adorano come Dio. Ti saluto!”
Suo cavallo di battaglia è il documento conciliare Nostra Aetate e il documento pontificio sull’Atteggiamento della Chiesa davanti ai seguaci delle altre religioni.
Usciamo di casa e andiamo nel tempio dove ogni giorno si svolge la meditazione e la preghiera. Da una parte il santissimo Sacramento, dall’altra la Bibbia, accompagnata da Scritture di altre tradizioni religiose. Iniziamo la preghiera: canta gli inni sacri al suono ritmato dei campanellini, poi legge e commenta alcuni passi della Bibbia, del Corano, della Gita. Infine la lode e l’adorazione con incensi, fiammelle… È la preghiera di un cristiano, espressa con le modalità tipiche del popolo indiano.
Fuori, tra le palme di cocco, le casette per l’ospitalità, dove tanti vengono per la preghiera o per un periodo di scuola di meditazione profonda, l’inculturazione l’amore per tutte le religioni, con uno stile di vita estremamente semplicità. Tutti i giovani Oblati vi svolgono un periodo della loro formazione, così come tanti seminaristi, religiosi, suore, sacerdoti. Anche questo nel servizio che gli Oblati rendono alla Chiesa!

domenica 18 dicembre 2011

Viaggio in India: sulla tomba di san Tommaso



18 dicembre. Di nuovo a Poonamallee, dove i sei giovani Oblati che ieri hanno fatto la loro oblazione perpetua, oggi sono stati ordinate diaconi. La chiesa è gremita, più di ieri. Al termine della messa mi rivestono con uno scialle caratteristico, in segno di ospitalità e di onore.
Di nuovo sono preso dalla vitalità di questa gente. Camminare per la poverissima strada davanti alla chiesa e alla casa degli Oblati è un’esperienza indicibile. Le piccole scene della vita di ogni giorno mi aprono ad un mondo sempre più nuovo e sorprendente.
Come con gli studenti di filosofia, anche qui c’è tempo per la mia solita conferenza. Subito dopo, mentre aspettiamo l’ora del pranzo, vedendo davanti casa le slanciate palme di cocco, esprimo il desiderio di assaggiarne un frutto. Detto fatto. Uno scolastico si arrampica su con l’agilità di uno scoiattolo e taglia alcune noci. Scende, me le apre, mi dà da bere il succo e mi porta un cucchiaio per mangiarne la polta (ormai sanno che il cucchiaio, a questo barbaro occidentale, è indispensabile per mangiare qualsiasi cosa, al punto che se lo fa portare anche a tavola!)
Intanto arriva un sarto ambulante con la macchina da cucire munita di rotelle. Alcuni portano i calzoni e le camicie da riparare e il sarto si mette subito all’opere, lì nel cortine. Quando ha terminato spinge fuori la macchia e continua il suo cammino.
Nel pomeriggio ritorno a Chennai, per un ulteriore incontro con l’Apostolo Tommaso. Questa volta visito la grotta nelle quale il Rajah locale, convertito al cristianesimo, lo aveva nascosto: luogo di preghiera e di meditazione per il santo. La roccia è levigata dai tanti fedeli che la visitano. Bella la croce che il santo avrebbe scolpito all’ingresso. Un’altra croce, davanti alla quale avrebbe pregato, è scolpita all’aperto, sulla sommità della roccia, ora racchiusa in una cappelletta. La custode mi fa entrare, mi racconta che ha sanguinato diverse volte tra il 1500 e il 1700, e mi mostra anche la fontana fatta scaturire da san Tommaso. Quindi alla cattedrale, costruita sopra la tomba. Seguo un folto pellegrinaggio proveniente dal Kerala, guidato da sacerdoti e monaci di rito siro-malabarico.
Infine uno sguardo al mare con le mille casupole di pescatori e crocchi di uomini e di donne, ben distinti tra di loro, che al finire della giornata siedono a terra a parlare, giocare, attorno alla pentola di ceci tostati…
Forse il momento più bello di oggi è stato quando, al termine della messa di ordinazione dei diacono, non so per quale misterioso meccanismo, la gente, a centinaia, è venuta a farsi benedire da me: mi portavano i bambini, mi porgevano le loro corone. Su tutti ho posato la mia mano dando e ricevendo gioia all’infinito.

sabato 17 dicembre 2011

Viaggio in India: Oblazione e martirio


17 dicembre. Sette ragazze giovanissime ci accolgono danzando all’ingresso della chiesa. La processione sfila attraverso il grande cortile: prima le donne, seguite dagli uomini e da una quarantina di sacerdoti oblati. Entrando in chiesa le donne si siedono in terra a sinistra, velandosi il capo con un lembo del sari; gli uomini si siedono a destra. Oggi festa solenne, sei dei 18 scolastici fanno la loro oblazione perpetua. Hanno scelto questo giorno perché oggi, in Spagna, si proclamano beati 22 Oblati martiri, assieme ad un laico ucciso con loro. Non poteva esserci scelta migliore per ricordarsi che il culmine dell’offerta di sé, l’oblazione, come ci ha testimoniato Gesù, è proprio il martirio. È quanto metto in rilievo nell’omelia che ho l’onore di fare. Dopo di me, che ho parlato in inglese, un Oblato ripete l’omelia di tamil, la lingua di questa regione dell’India. Profusione di incenso, di fiori, lampade… secondo lo stile locale. E canti bellissimi, nei quali si rincorrono, distinti, donne e uomini, guidati da un coro di ragazze vestiti d’un sari azzurro e da quello degli scolastici nello loro bianche vesti. I genitori, prima che i sei giovani emettano i loro voti, li benedicono imponendo loro le mani e segnandoli con la croce.
 Al termine della messa, sempre in chiesa, viene proiettato il cortometraggio sul martirio degli Oblati spagnoli.
La festa prosegue fuori, sotto i tendoni, nel luogo adibito alle feste di matrimonio. Cibo per tutti! È una festa autentica, gli Oblati sono venuto da tante parti per ritrovarsi insieme e a accogliere nella famiglia i nuovi professi.
La parrocchia degli Oblati, a Poonamallee, dove si è tenuta la celebrazione, è a pochi passi dallo scolasticato. La strada sulla quale sorgono le due costruzioni è vivace, colorata… Casette povere, con una sola stanza, alcune con i tetti di paglia. Piccoli negozi, un tempietto hindu, bancarelle, capre e mucche che passeggiano indisturbate (nel tardo pomeriggio, quando ripartiamo per tornare a Chennai, le stanno mungendo, sulla strada…).

A Chennai, proprio dietro la casa provinciale, a poche centinaia di metri, sulla collina, sul luogo del martirio di san Tommaso, sorge il santuario della Madonna dell’attesa. Secondo la tradizione Tommaso venne in India nel 52, prima nel Kerala, poi fin qui, dove viveva in delle grotte a tre chilometri da luogo del martirio. Lì avrebbe inciso nella roccia alcune croci. Una di quelle croce è nel santuario della Madonna e alcune volte, lungo la storia, avrebbe sanguinato.
Arrivo al santuario che è già buio. La chiesa è piccola. Proprio oggi, all’inizio della novena di Natale, si celebra la festa della Madonna. È venuta molta gente. Alcune donne stanno adornando una statua della Vergine con un sari, altri passano davanti alla croce di san Tommaso, altri ancora sono in preghiera nella cappella dell’adorazione dove campeggiano le parole del santo: “Signore mio e mio Dio”. Arriva la processione con la grande statua illuminata, donne con ombrellini, devoti che cantano, recitano il rosario… Intanto  partono i fuochi d’artificio e si sparano i botti… Poi sul grande spiazzo all’aperto inizia la messa presieduta dal vescovo. Chi avrebbe immaginato che sarei arrivato anche qui. Vero o non vero sta di fatto che la Chiesa indiana si sente erede di san Tommaso.

venerdì 16 dicembre 2011

Viaggio in India: i 1000 templi di Kanchipuram e il sari di Maria


16 dicembre. La professoressa di inglese è appena uscita dalla classe lasciando scritto sulla lavagna: “Un sorriso costa meno dell’elettricità, ma dà molta più luce”. Entro nell’aula e, a mano a mano che parlo, vedo illuminarsi, una dopo l’altra, 58 “lampadine”: i volti radiosi degli studenti di filosofia, candidati a diventare Oblati. Sì, ho voltato pagina, sono passato dagli Hindu agli Oblati, da Munbai a Chennai, nel Tamil Nadu, lo stato che copre quasi tutto l’estremo sud dell’India.
Ieri, dopo due ore di volo, sono arrivato in questa città che fino a pochi anni fa si chiamava ancora Madras. Appena fuori l’aeroporto, al termine della pista di decollo, la casa provinciale degli Oblati, in India dal 1968. Poco distante dalla casa uno slam abitato in gran parte da cristiani. La notte grilli e colleghi mi hanno concesso un poderoso concerto, continuato dai galli alle prime lici dell’alba.
Oggi visita alla casa degli studenti di teologia Oblati con i quali ho potuto parlare in lungo e in largo. Poi la visita all’Asram oblata del Risveglio (ne parliamo un’altra volta).
Quindi a Kanchipuram, la città dei mille templi. Oggi ne sono soltanto una cinquantina. Ho visitato quello di Ekambaranathar, impressionante per la sua vastità. Le grandi torre stracolme di statue sono soltanto le porte d’ingresso di una vasta area sacra. Numerosissimi i pellegrini. Le donne indossano quasi tutte un sari rosso o arancio, i colori della divinità. Interamente costruito in pietra scura, con centinaia e centinaia di colonne, corridoi, cortili, il tempio mi appare misterioso come i suoi dei. Decine di bramini, davanti ad altari, nicchie e cappelle, benedicono i fedeli, offrono erbe, praticano abluzioni. Ma a noi stranieri non è concesso raggiungere il cuore del tempio verso il quale gli hindu si dirigono in fila ordinata.
È ormai buio quando esco dal tempio. Fuori ancora le bancarelle, il caos della città, l’accalcarsi della folla, in contrasto con il sacro silenzio dei vasti spazi del tempio.
Approdo finalmente alla parrocchia degli Oblati, non lontana dal tempio. I due giovani Oblati mi accolgono con straordinario calore. Tutti giovani i 100 Oblati dell’India! I nostri due mi raccontano della parrocchia, che si estende su un raggio di un 150 chilometri, con una trentina di villaggi. Nel suo insieme comprende 450 famiglie (quando gli Oblati arrivarono qui nel 1968 ne contava 15).
Poco distante la grotta di Lourdes. Sono soprattutto gli hindu che vanno in pellegrinaggio dalla Madonna e la venerano e la pregano, girando attorno alla grotta. Tanti vanno poi dai padri, dei quali hanno grande stima e rispetto anche perché non fanno proselitismo, e raccontano delle grazie che hanno ricevuto; come ex voto portano un sari per Maria (qua le statue della Madonna sono rivestite con il sari delle donne indiane). Anche per questo Natale gli Oblati della parrocchia hanno 150 sari da distribuire ai poveri dei villaggi. Maria sa il fatto suo! 

giovedì 15 dicembre 2011

Viaggio in India: Il divino diffuso e le monache jainiste



15 dicembre. Basta uscire dalle grandi arterie della città per trovarsi in una giungla di strade congestionate, in un dedalo di vicoli affollati. I negozi sono senza vetrine né porte, completamente aperte sulla strada. Basta poco per aprire un’attività: una pentola e avvii una mensa, un filo steso con appesi alcuni vestiti ed hai una boutique, due sgabelli, uno specchio e un  rasoio ed ecco un salone di bellezza… Dietro si innalzano i condomini pavesati di panni stesi, con i terrazzi stipati all’inverosimile, serrati ermeticamente da inferriate. I marciapiedi sono occupati da tende di incerati neri e blu, addossati ai muri di recinzione delle case, che fanno da casa, negozio, luogo di ritrovo. Tra un negozio e l’altro si aprono stanze-templi, con le statue delle più differenti divinità; accanto la bancarella con incenso e fiori… Il divino è così diffuso che si può venerare anche una delle pietre che emergono dal selciato o un albero lungo la strada, segnati con tinte forti ed avvolti da festoni. Da una donna seduta sul marciapiede si può comprare un fascetto di erba e offrirla alla mucca legata all’albero.
Visito un tempio indù. I devoti entrano ed escono in un flusso costante, venerando per pochi minuti le differenti divinità. Rimango incantato dalla scenetta di due bambine. Avranno rispettivamente sette e cinque anni. Entrano di corsa, scalze come tutti, e passano veloci da una statua all’altra, le toccano, si portano le mani alla fronte e al petto così che la benedizione passi nella mente e nel cuore, poi scappano via. Sono venute da sole per venerare e ricevere la forza degli dei.
Poco distante un piccolo tempio jainista. Nel cortile un gruppo di donne attornia due monache che stanno per partire. Mi avvicino e uno dei custodi del tempio fa da interprete; la gente abitualmente non parla inglese, ma una delle 18 lingue ufficiali dell’India, a volte solo una delle molte altre lingue minoritarie. La monaca più anziana è su una sedia a rotelle. La più giovane, con in mano il bastone di viaggio, mi spiega che, dopo essere state nel tempio per quattro mesi, adesso partono, salutate dalle donne devote che in questo periodo le hanno circondate di affetto e assistite. Hanno lasciato casa e famiglia e si sono fatte pellegrine. Nubili, non possiedono se non quanto hanno indosso. Vanno da un tempio all’altro, vivono della questua di casa in casa, accettando solo il minimo per mangiare. Nella stagione delle piogge si fermano in un tempio perché nel fango potrebbero calpestare qualche forma di vita. Ora riprendono in viaggio stando bene attente a non schiacciare neppure una formica, tanto è estrema la loro forma della non violenza. Ambedue sprizzano gioia.
Dopo averle vita partire, entro sotto il loggiato del tempio dove un devoto sta facendo scorrere i grani di una lunga corona, continuando a ripetere: Ti saluto… e il nome di uno degli dei. All’interno alcune donne con la mascherina sulla bocca, per evitare che possa entrare qualche moscherino e quindi di ucciderlo, onorano le diverse divinità: offrono l’incenso, agitano un ventaglio, accendono le lanterne, disegnano per terra, con chicchi di grano, una svastica…  La guida mi parla della loro vita, di come tra di loro jainisti non ci sono caste, ma rispetto vicendevole, assoluta non violenza, di come cercano di aiutare tutti… Una giovane donna, sentendomi parlare in inglese, mi spiega i genti rituali che ha appena fatto. Le chiedo in particolare il significato dello specchio e di un piccolo ventaglio d’argento che le ho visto usare: “Faccio rispecchiare l’immagine di una delle statue, in modo che sia vicina a me; una volta che è sullo specchio le do un po’ refrigerio con il ventaglio, quindi mi porto lo specchio sul petto, attenta che continui a riflettere la divinità, così che essa possa riposare sul mio cuore…”. Quanta gente ci precederà nel regno dei cieli!

mercoledì 14 dicembre 2011

Viaggio in India: dialogo hindu-cristiano, è possibile


14 dicembre. Il nostro simposio termina all’Università di Mumbai, terza sede del nostro dialogo interreligioso. Prima siamo ospiti della facoltà di filosofia. Intervengono Roberto sulla rilevanza delle Scritture nella società contemporanea e Judith sull’esperienza di Sophia. È il momento per mettere a punto tanti aspetti emersi in questi giorni, soprattutto sul senso vero e profondo dell’amore: la reciprocità, l’arte di amare… Quindi passiamo al dipartimento di Sanscrito, costruito appena un anno fa… solo per visitarlo, ma è ancora una volta l’occasione per stare insieme prima dell’ultimo saluto. Quando l’autobus parte per Coimbatore e le macchine in altre direzioni, si avverte un senso di pienezza e di gioia profonda. Il miracolo si è compiuto. È stato un incontro non soltanto tra cristiani e hindu, ma anche tra correnti diversissime dell’hindu, che difficilmente avrebbero occasione di dialogare tra di loro.
La maggior parte del gruppo lavoriamo insieme da una decina di anni, ma per alcuni di loro questa era la prima volta che si incontravano con dei cristiani, così come per alcuni di noi con degli hindu.
Ripartiamo con una stima reciproca profondissima, avendo scoperto ancora di più le ricchezze delle varie religioni, i doni che Dio vi ha seminato.
Termina l’incontro, ma non il mio viaggio in India che mi riserba ancora bellissime sorprese…

Viaggio in India: Tyaga, il mio nuovo nome hindu


13 dicembre. Questa mattina presto siamo partiti da Lonavala per tornare a Mumbai. Un ultimo sguardo all’altopiano di Shayadri, che attraversa mezza India, con i suoi picchi. Giù nei canyon, che si intravedono dall’autostrada, abitano le tribù indigene. Le montagne sono ancora verdi, ma la natura sembra stanca, in attesa delle piogge che verranno soltanto a giugno. A mano a mano che scendiamo si fa sentire l’aria pesante di Mumbai.
La città ci accoglie con il suo traffico caotico, che ha un suo aspetto positivo: mi consente di guardare con calma i camioncini che portano le verdure ai mercati, con sopra i contadini addormentati; chissà come si sono alzati presto e quanta strada hanno fatto dalle campagne. Posso guardare da vicino i tricicli taxi e le vecchie Fiat 1100 taxi che portano la gente al lavoro. Posso guardare il popolo che vive ai margini delle strade: metà della popolazione di Mumbai non ha casa. Posso guardare da vicino i mille negozi che si affollano completamente aperti sulla strada, i camion colorati, gli autobus di linea stracolmi… La città inizia il suo nuovo giorno.
Quando giungiamo nel campus dell’università Somaiya la scena cambia: parchi, edifici eleganti, grappoli di studenti che passeggiano nei viali alberati… Sono stato qui nel mio primo viaggio in India, per un seminario sulla mistica.
Kala ci accoglie con l’amabilità di sempre, ci introduce nel suo ufficio dove ritroviamo le sue efficienti assistenti e colleghe. Guardiamo insieme gli album con le foto dei tanti incontri interreligiosi, quelle con Giovanni Paolo II, Benedetto XVI… Dopo aver bevuto l’inimitabile tè alle spezie, scendiamo ad accogliere il cardinale Gracias (“Perché gli Oblati non sono a Mumbai?”, mi domanda) ed inizia la seconda parte del nostro simposio, aperto, questa mattina, agli studenti della facoltà di Sanscrito. Il tema è sempre quello sulle Scritture, in particolare sul loro valore per i giovani di oggi. Vino Aram si rivolge ai giovani con una forza straordinaria, una autentica leader, capace di parlare al cuore di tutti. Non da meno il cardinale. Ambedue partono dalla situazione reale dei giovani nella società indiana a in particolare nella metropoli di Mumbai, mostrando tutte le opportunità che hanno e come davvero le Scritture sacre possano essere di aiuto. Nella seconda parte della mattinata la parola passa agli studenti, hindu, musulmani, jainisti, che parlano delle loro Sacre Scrittura, con interesse e passione.
Nel pomeriggio il simposio riprende con la presenza di un gruppo scelto di studenti. Tre professoresse hindu continuano nella presentazione del Vedanda, su come Gandhi ha letto le Scritture delle diverse religioni, sul valore del Tyaga, l’offerta-sacrificio delle Scritture hindu. La presentazione dei diversi aspetti del sacrificio è così bella e profonda che alla fine “rivelo” a tutti che, oltre a quello di Fabio, ho un altro nome: Oblato. Spiego il senso della mia oblazione, ma soprattutto del sacrificio di Gesù, della Messa e del senso che esso dà ad ogni nostra oblazione. Con il consenso di tutti, ho acquistato il mio nuovo nome hindu: Fabio Tyaga!
La serata termina nell’auditorium dell’università con le danze tradizionali indiane di Raul e Mitali, marito e moglie, e le due bambine di 4 e 8 anni: una autentica preghiera!