martedì 30 aprile 2013

Monsignore… ma non troppo



Dicono che papa Francesco abolisca il titolo di “monsignore”.
Ma che differenza c’è tra un prete che è monsignore e uno che non lo è?
Nessuna, ma i monsignori non lo sanno…
Ora lo sanno.

lunedì 29 aprile 2013

Caterina da Siena, santa romana, e quota rosa nel governo


La statua all'inizio di via della Conciliazione,
sulla strada che Caterina percorreva ogni giorno
per andare in San Pietro
Sognava una Chiesa santa con vescovi pastori e non più signori, e con preti zelanti. La voleva così con tutto il suo cuore non per una visione trionfalistica del cristianesimo, ma perché la Chiesa potesse ricomporre il mondo in armonia, dando agli uomini “il sangue” di Cristo che genera la pace. Era un sogno per la cui realizzazione si diede anima e corpo, lei ragazza ventenne, illetterata… Tre mete ben precise guidavano la sua azione: riportare il papa da Avignone a Roma, rinnovare il mondo ecclesiastico (vescovi, preti e religiosi), promuovere l’unità tra i prìncipi cristiani.
Riuscì a riportare il papa a Roma. Questo suo successo segnò anche il periodo più oscuro e più doloroso della vita di Caterina. Tornato finalmente il papa a Roma, venne subito eletto un antipapa con sede ad Avignone.
Caterina si sentiva responsabile di quello scisma. Corse lei stesso a Roma, e diventò una santa romana.
Ogni mattina percorreva a piedi il tratto di strada dalla sua casa fino alla basilica di San Pietro, dove si sentiva più vicina al Papa e dove sostava l’intera giornata in preghiera, supplicando il Signore di ricomporre l’unità della sua chiesa.
Così ella scrive a fra Raimondo: «Quando ancora è mattino, voi vedreste andare una morta a San Pietro... Ine mi sto così infino presso all’ora del vespero; e di quello non vorrei uscire né dì, né notte, infino che io veggo un poco fermato e stabilito questo popolo col padre loro».
Morì il 29 aprile 1380, con il cuore spezzato dal dolore, non avendo potuto vedere la fine dello scisma. Ai suoi figli spirituali, raccolti attorno al suo letto di morte raccomandava, oltre l’amore fraterno, la passione per la Chiesa. Confidava loro: “Tenete per certo, o dolcissimi figlioli, che partendomi dal corpo io in verità ho consumato e dato la vita nella chiesa e per la chiesa santa; la qual cosa mi è singolarissima grazia”.
La stanzetta nella quale abitava e dove morì – tra il Panteon e la chiesa della Minerva – è oggi inglobata nei locali di un teatro; trasformata in cappella la si può sempre visitare.
È sempre bello andare in santa Maria sopra Minerva dove la santa riposa. Le manca la testa, spiccata dal corpo appena dopo la morte e trafugata a Siena… La sua tomba, sotto l’altare, mi infonde sempre una pace profonda.

Oggi il governo italiano si presenta alla Camera… Spero che nella quota rosa, già così alta, portino con sé anche santa Caterina, patrona d’Italia. Fra l’altro contribuirebbe a far calare di molto l’età media…


domenica 28 aprile 2013

Il battesimo di Filippo



Quante strade ci sono nel mondo?
Più di un milione, più di un miliardo!
C'è una strada per ogni bambino
scaldata dal sole del primo mattino:
è un giro di giostra
è un lungo cammino
è un volo lontano
incontro al destino.

Filippo, incantato,
ha iniziato il suo lungo cammino.
La festa che ha visto raccolta
la grande famiglia
i nonni e gli zii, cugini e parenti,
amici vicini e lontani.
Ed oggi si è fatta più grande,
tanto più grande la grande famiglia,
più di un milione, più di un miliardo!
Nell’acqua viva e nel nome del Padre
e del Figlio e dello Spirito Santo
un figlio nuovo di Dio è nato alla Chiesa.

sabato 27 aprile 2013

Un ideale per i giovani dell'MGC



Una sala viva, con 200 giovani riuniti per celebrare i 25 anni del Movimento Giovanile Costruire, uno dei fiori all’occhiello degli Oblati italiani.
Sono stato con loro oggi pomeriggio e ho proposto quello che 200 anni fa sant’Eugenio proponeva ai suoi giovani dando vita alla sua Associazione di cui l’MGC è una continuazione.
«La giovinezza – ha detto papa Francesco – bisogna metterla in gioco per i grandi ideali» (21 aprile 2013). «L’ideale missionario – ho detto a mia volta rivolgendomi ai nostri giovani –, per voi, è grande al punto da sentire che per esso vale la pena spendere la vita?»
Era l’ideale stesso di Gesù, venuto sulla terra per fare in modo che gli uomini e le donne, in competizione tra loro, lacerati da odi e divisioni, si riconoscessero per quello che veramente sono, fratelli e sorelle, figli e figlie di uno stesso Padre. È venuto per abbattere i muri di separazione tra popoli e culture diverse e fare di tutti una sola famiglia. È venuto per dare senso alla vita di persone senza più speranza, senza più futuro. È venuto per far volgere in alto il volto di gente che guarda solo in basso, presa da bramosia di potere, di soldi, di piaceri e dedita a violenze e saccheggi. È venuto a trasfigurare la convivenza umana con l’amore reciproco e a metterla in cammino verso il Cielo.
La vocazione dei nostri giovani di oggi è condividere la missione di Gesù, nei modi che sono loro propri. In particolare vi sono ambiti specifici, come quello della politica, della cultura, dell’imprenditoria, dei media… Perché non prepararsi seriamente nella filosofia, nelle scienze, nelle comunicazioni, nella politica, nell’economia? Non possiamo permettere che i figli delle tenebre siano più scaltri dei figli della luce. Se gli Oblati devono eccellere nel mondo ecclesiale, ai nostri giovani è chiesto di eccellere nel mondo laico e civile per portarvi i germi del Vangelo.

venerdì 26 aprile 2013

I missionari ci sono ancora (e sono felici)


Dove sono finiti i missionari di una volta, quelli che partivano per Paesi lontani e difficili, che stavano accanto alla gente, quelli ai quali mandavamo gli aiuti perché eravamo sicuri che sarebbero arrivati direttamente ai poveri senza perdersi nei rivoli della burocrazia o della corruzione? Quei missionari leggendari e dall’alone romantico… ci sono ancora. Non sono né leggendari né vivono in un mondo d’avventura, ma continuano ad essere presenti tra gli ultimi della terra, condividendo con loro beni, incertezze, speranze. Ne incontro molti nei miei frequenti viaggi.
Nel più recente, giungo ad Antsirabe, cittadina ariosa e piena di verde sugli altipiani del Madagascar: poche auto, numerosi carri con i buoi, ancora più numerosi  i “pouss-pouss” (risciò locali trainati da uomini che corrono veloci a piedi nudi), frotte di persone che si muovono a piedi in file interminabili ai margini della lunga strada che attraversa la cittadina… e una prigione con cinquecento carcerati. Incontro una comunità di Suore Francescane Missionarie: una polacca, una zairese, due malgasce. Mi parlano dei carcerati e delle condizioni disumane in cui vivono. Le famiglie devono provvedere loro il cibo quotidiano, ma metà dei detenuti non hanno famiglia o abita in villaggi lontani. A turno le cinque comunità di missionari e missionarie della città ogni giorno vanno alla prigione e servono duecento cinquanta pasti. Le suore che mi ospitano coltivano un grande orto a questo scopo e si industriano in mille modi per preparare i loro duecento cinquanta pasti a settimana.
Tamatave, cittadina sul litorale. Il clima e l’ambiente cambiano drasticamente rispetto all’altopiano: caldo opprimente, paludismo... I missionari Oblati partono a piedi, più volte all’anno, per tournée di un mese nei villaggi rurali dell’interno, attraversando acquitrini e andando incontro a malaria e parassiti… Mi colpisce il loro “apostolato del mare”, rivolto ai pescatori, una delle classi più povere. Le grandi navi della Cina pescano con sistemi industriali; ai pescatori tradizionali rimane ben poco pesce. Con le loro fragili piroghe sono obbligati ad inoltrarsi sempre più al largo, con sempre maggiori pericoli. I missionari riescono a rifornire ad ogni pescatore nuove imbarcazioni, giubbotti salvagenti, reti. Organizzano per loro incontri di formazione, sostengono le famiglie, gestiscono mense per i bambini... Lavoro capillare, semplice, che dà dignità, sicurezza…
I missionari di oggi, come quelli di una volta, danno e si danno. Cosa ricevono in contraccambio? Una gioia, che leggo sul volto di ognuno di loro.

giovedì 25 aprile 2013

L’amore più grande e le scarpe rosse


L’amore più grande è ciò che fa di Pietro il pastore a cui Gesù affida il suo gregge. “Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro?” gli chiede Gesù;  “Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”. E Gesù di nuovo: “Pasci i miei agnelli”. È questo il segno distintivo del papa. Eppure si è corso il rischio che altri segni si sovrapponessero, a cominciare dalle scarpe rosse, diventate così importanti che a Benedetto XVI, per mostrare che non è più papa, viene imposto di non indossarle! Non le calza neppure il nuovo papa eppure è papa lo stesso.
Su queste pagine continuiamo a parlare di papa Benedetto? Sì, perché ne sento parlare ovunque, nella metro, in palestra, in piscina… “Ti piace il nuovo papa? Sì, tantissimo. È quello che ci voleva”. Se ne parla con gioia, con “tenerezza” (parola che fa ormai parte della recezione del suo linguaggio). In un momento dei più critici, quando la Chiesa, a tappeto, sembrava aver perduto ogni credibilità, d’improvviso uno squarcio di luce e di speranza: l’umanità di papa Francesco, che richiama quella di Gesù che passa per le strade del suo tempo attorniato soltanto da pescatori; un’umanità che riconquista alla Chiesa simpatia, fiducia, stima.
Per il nuovo papa sta iniziando adesso il tempo delle scelte di governo, delle prese di posizioni dottrinali, e tanti aspettano questo momento per capire le linee del nuovo pontificato. Eppure le prime grandi scelte sono già state compiute. A cominciare da quelle liturgiche, sempre meno “sacre cerimonie” e sempre più celebrazione della cena del Signore. Stavamo scivolando in un pericoloso ritorno del sacro e dell’apparenza barocca, anche nella figura di papa che pareva allontanarsi dalla semplicità evangelica e dal cammino tracciato dal Concilio Vaticano II. È stato lo stesso Benedetto XVI, con le storiche e coraggiose dimissioni, a “demitizzarla”. Le sue ultime parole da papa, dal balcone di Castelgandolfo, sono state “Buona notte”. Come meravigliarsi se papa Francesco inizia il suo ministero con un “Buona sera”? Ha semplicemente ripreso gli ultimi segnali lasciati del suo predecessore, verso una Chiesa più evangelica, testimone dell’amore più grande.

mercoledì 24 aprile 2013

200 anni fa l'Associazione dei giovani di Aix


Duecento anni fa, il 25 Aprile del 1813, sant’Eugenio de Mazenod dava vita all’Associazione della Gioventù di Aix. Il primo gruppo era composto da 8 ragazzi, dai 12 ai 16 anni, che presto diventarono trecento. Pochi di loro avevano visto un sacerdote che s’intrattenesse così tanto a loro e stesse loro così vicino. Nell’archivio generale OMI in Roma, sono conservate 238 lettere originali scritte ad Eugenio da parte di questi giovani.
Sant’Eugenio era prete da appena due anni e non aveva voluto una parrocchia così da “muoversi liberamente” in una pastorale innovativa. Il gruppo cui dava vita era illegale e andava contro le disposizioni di Napoleone che proibiva ogni forma associativa. “L’impresa è difficile – scrive sant’Eugenio –, non è senza pericoli…, ma non temo niente perché ripongo tutta la mia fiducia in Dio, cercando nient’altro che la sua gloria e la salvezza delle anime che Egli ha riscattato tramite il Suo Figlio Gesù Cristo...”
Giovani nella comunità di Aix
oggi come allora
Una pagina degli statuti
scritti da sant'Eugenio
Si riunivano nel seminario di Aix, nella casa della mamma di Eugenio, nel giardino e nella casa delle Signorine Mille, nella villa di campagna di proprietà della madre di Eugenio… Quando finalmente due anni più tardi nasce la comunità dei missionari, l’Associazione trovò casa nella casa degli Oblati.
Duplice lo scopo: contribuire a porre rimedio - “con il loro esempio, i loro consigli e le loro preghiere” - alla situazione critica del cristianesimo del suo tempo, e “lavorare molto efficacemente alla loro santificazione” (art. 1).
Tre gli ambiti della loro attività: il gioco (“Si correrà, si salterà, si canterà; in una parola ci si divertirà finché si potrà, intimamente convinti che più ci si sarà divertiti, meglio sarà…”), l’impegno nello studio e nel lavoro, la preghiera. Riguardo alla preghiera: “La preghiera deve essere guardata come l’anima e la salvaguardia del cristianesimo e della pietà… Non deve essere passeggera e momentanea… ma continua… di un pensiero di fede diretto frequentemente verso lui, per attirare la sua grazia nella nostra anima”.
Il modello di questo gruppo di giovani? La prima comunità cristiana di Gerusalemme: “Essi si ricorderanno che sono chiamati a perpetuare gli esempi che i primi cristiani donavano al mondo della  nascita del cristianesimo… Si tratteranno reciprocamente come dei fratelli, all’imitazione dei primi cristiani, dei quali si dovranno sforzare di riprodurre gli esempi”. Concretamente voleva dire aiutarsi reciprocamente nelle varie situazioni o circostanze nelle quali essi potevano trovarsi come la malattia, la povertà…
Nel lungo statuto scritto da sant’Eugenio per l’Associazione, mi colpiscono, tra l’altro, queste parole: “Una delle cose più raccomandabili è l’esercizio della presenza di Dio, che consiste nel pensare spesso che siamo sempre sotto gli occhi di Dio. Dio, dice la Sacra Scrittura, vede tutti gli uomini in tutti i momenti. I suoi occhi sono su coloro che lo temono ed egli conosce tutte le opere dell’uomo..”

martedì 23 aprile 2013

Parole e gesti di papa Francesco / 6


Uscire nelle periferie

Rimaniamo ancora sulla prima delle tre parole, Annunciare, testimoniare, adorare. “Annunciare”, in questi primi interventi di papa Francesco, ma subito insieme con altre due parole eloquenti: “uscire” e “periferie”

Seguire Gesù vuol dire imparare ad uscire da noi stessi per andare incontro agli altri, per andare verso le periferie dell’esistenza, muoverci noi per primi verso i nostri fratelli e le nostre sorelle, soprattutto quelli più lontani, quelli che sono dimenticati, quelli che hanno più bisogno di comprensione, di consolazione, di aiuto. C’è tanto bisogno di portare la presenza viva di Gesù misericordioso e ricco di amore!
… se vogliamo seguirlo e rimanere con Lui, non dobbiamo accontentarci di restare nel recinto delle novantanove pecore, dobbiamo “uscire”, cercare con Lui la pecorella smarrita, quella più lontana. Ricordate bene: uscire da noi, come Gesù, come Dio è uscito da se stesso in Gesù e Gesù è uscito da se stesso per tutti noi. (Udienza generale, Mercoledì, 27 marzo 2013)

Abbiamo il coraggio di “uscire” per portare questa gioia e questa luce in tutti i luoghi della nostra vita! La Risurrezione di Cristo è la nostra più grande certezza; è il tesoro più prezioso! Come non condividere con gli altri questo tesoro, questa certezza? Non è soltanto per noi, è per trasmetterla, per darla agli altri, condividerla con gli altri. (Udienza generale, Mercoledì, 3 aprile 2013)

“L’olio prezioso che unge il capo di Aronne non si limita a profumare la sua persona, ma si sparge e raggiunge “le periferie”. Il Signore lo dirà chiaramente: la sua unzione è per i poveri, per i prigionieri, per i malati e per quelli che sono tristi e soli. L’unzione, cari fratelli, non è per profumare noi stessi e tanto meno perché la conserviamo in un’ampolla, perché l’olio diventerebbe rancido … e il cuore amaro.  Il buon sacerdote si riconosce da come viene unto il suo popolo… quando il Vangelo che predichiamo giunge alla sua vita quotidiana… quando illumina le situazioni limite, “le periferie” dove il popolo fedele è più esposto all’invasione di quanti vogliono saccheggiare la sua fede…
E quando sente che il profumo dell’Unto, di Cristo, giunge attraverso di noi, è incoraggiata ad affidarci tutto quello che desidera arrivi al Signore: “preghi per me, padre, perché ho questo problema”, “mi benedica, padre”, “preghi per me”   
Così bisogna uscire… nelle “periferie” dove c’è sofferenza, c’è sangue versato, c’è cecità che desidera vedere, ci sono prigionieri di tanti cattivi padroni… (Giovedì santo, messa crismale…)

lunedì 22 aprile 2013

Parole e gesti di papa Francesco / 5


Il coraggio di annunciare

Il 14 aprile 2013, III Domenica di Pasqua, il papa ha coniugato tre verbi, strettamente uniti tra di loro: Annunciare, testimoniare, adorare.
Ecco una sequenza del primo verbo: Annunciare

Tutti insieme, Pastori e fedeli, ci sforzeremo di rispondere fedelmente alla missione di sempre: portare Gesù Cristo all’uomo e condurre l’uomo all’incontro con Gesù Cristo Via, Verità e Vita, realmente presente nella Chiesa e contemporaneo in ogni uomo. (Udienza a tutti i cardinali, Venerdì, 15 marzo 2013)

La Chiesa è mandata da Cristo risorto a trasmettere agli uomini la remissione dei peccati, e così far crescere il Regno dell’amore, seminare la pace nei cuori, perché si affermi anche nelle relazioni, nelle società, nelle istituzioni. E lo Spirito di Cristo Risorto scaccia la paura dal cuore degli Apostoli e li spinge ad uscire dal Cenacolo per portare il Vangelo. Abbiamo anche noi più coraggio di testimoniare la fede nel Cristo Risorto! Non dobbiamo avere paura di essere cristiani e di vivere da cristiani! Noi dobbiamo avere questo coraggio, di andare e annunciare Cristo Risorto... (Regina Coeli, II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia, 7 aprile 2013)

Siamo capaci di portare la Parola di Dio nei nostri ambienti di vita? Sappiamo parlare di Cristo, di ciò che rappresenta per noi, in famiglia, con le persone che fanno parte della nostra vita quotidiana? La fede nasce dall’ascolto, e si rafforza nell’annuncio. (Omelia, III Domenica di Pasqua, 14 aprile 2013)

domenica 21 aprile 2013

Parole e gesti di papa Francesco / 4


Un Dio paziente e misericordioso

 “Credo nella pazienza di Dio, accogliente, dolce come una notte estiva”
Così aveva scritto poco prima di essere ordinato sacerdote (Libro intervista, p. 124). Ed ora da papa sembra il suo tema preferito:
“La pazienza: Gesù non abbandona il testardo Tommaso nella sua incredulità… E ricordiamo anche Pietro: per tre volte rinnega Gesù… Pensiamo ai due discepoli di Emmaus…
Dio è paziente con noi perché ci ama, e chi ama comprende, spera, dà fiducia, non abbandona, non taglia i ponti, sa perdonare. Ricordiamolo nella nostra vita di cristiani: Dio ci aspetta sempre, anche quando ci siamo allontanati! Lui non è mai lontano, e se torniamo a Lui, è pronto ad abbracciarci.
A me fa sempre una grande impressione rileggere la parabola del Padre misericordioso… il Padre con pazienza e amore, con speranza e misericordia non aveva smesso un attimo di pensare a lui…
Dio sempre ci aspetta, non si stanca.
E’ come un dialogo fra la nostra debolezza e la pazienza di Dio
(Omelia, II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia, 7 aprile 2013)

Con la pazienza, la misericordia:
Avete pensato voi alla pazienza di Dio, la pazienza che lui ha con ciascuno di noi? Quella è la sua misericordia. Sempre ha pazienza, pazienza con noi, ci comprende, ci attende, non si stanca di perdonarci se sappiamo tornare a lui con il cuore contrito.
Lui è il Padre amoroso che sempre perdona, che ha quel cuore di misericordia per tutti noi. E anche noi impariamo ad essere misericordiosi con tutti. (Angelus, Domenica, 17 marzo 2013)

Dio pensa sempre con misericordia: non dimenticate questo. Dio pensa sempre con misericordia: è il Padre misericordioso! (Udienza Generale, Mercoledì, 27 marzo 2013)

sabato 20 aprile 2013

La nonna di papa Francesco



Nel breviario papa Francesco conserva il testamento della nonna Rosa:

“Che i miei nipoti, a cui ho dedicato il meglio di me stessa, abbiano una vita lunga e felice. Ma se un giorno il dolore, la malattia o la perdita di una persona cara dovesse riempirli di afflizione, ricordino sempre che un sospiro al Tabernacolo, dove è custodito il martire più grande e augusto, e uno sguardo a Maria ai piedi della croce possono far cadere una goccia di balsamo sulle ferite più profonde e dolorose”. 
(Libro intervista, p. 121)

venerdì 19 aprile 2013

Parole e gesti di papa Francesco / 3


Un papa con l’odore delle pecore

Parlando ai sacerdoti il giovedì santo papa Francesco ha parlato di pastori in mezzo al proprio gregge con “l’odore delle pecore” (Omelia, Giovedì Santo, 28 marzo 2013).
Dalle parole ai fatti.
E i fatti sono celebrare ogni giorno con i dipendenti vaticani, a cominciare dagli spazzini; sedersi all’ultimo posto nella cappella, tra i fedeli, in attesa dell’ora della messa; uscire dalla chiesa di santa Marta per salutare la gente.
I fatti sono scendere dalla camionetta per abbracciare un paralitico, mettere il ciuccio in bocca a un bambino che piange impaurito, lavare i piedi ai giovani detenuti di Rebibbia. Gesti che non si improvvisano, ma che gli sono diventati abituali nel lungo esercizio di una vita.
Scendere dalla camionetta e abbracciare un ammalato non è un gesto teatrale, ma l’abitudine e la familiarità con i poveri.
Mettere in bocca il ciuccio al bambino è un gesto che denota familiarità con i bambini, ci sa fare. (vedi http://video.repubblica.it/edizione/roma/il-papa-consola-un-bimbo-dandogli-il-ciuccio/124931/123418?ref=HRESS-1)
Lavare i piedi e è un gesto che tutti i preti ripetono il giovedì santo, ma impressiona come lui li ha lavati, come li ha baciati, con quanto amore e affetto ha guardato uno ad uno i ragazzi. Gli stessi gesti e gli stessi sguardi che rivediamo su alcune foto di quando, da vescovo, lavava i piedi agli ammalati di AIDS.
Sono gesti, questi, che parlano più delle parole, o che danno sostanza alle parole.
Abbiamo un papa che ha addosso l’odore delle pecore.

giovedì 18 aprile 2013

Parole e gesti di papa Francesco / 2


La cultura dell’incontro: ecumenismo e collegialità

La dichiarazione di papa Francesco di essere “Vescovo della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese”, ha fatto decidere il Patriarca di Istanbul a venire a Roma alla celebrazione dell’inizio del suo ministero. L’apertura ecumenica è stata confermata dall’incontro con i rappresentanti delle Chiese e delle Comunità ecclesiali, e di altre religioni:
“La Chiesa cattolica è consapevole dell’importanza che ha la promozione dell’amicizia e del rispetto tra uomini e donne di diverse tradizioni religiose - questo voglio ripeterlo: promozione dell’amicizia e del rispetto tra uomini e donne di diverse tradizioni religiose…”. (20 marzo 2013)

Il giorno stesso della sua elezione il papa scrive al rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, invitandolo all'inaugurazione del suo pontificato:
“Confidando nella protezione dell'Altissimo, spero vivamente di poter contribuire al progresso che le relazioni tra ebrei e cattolici hanno conosciuto a partire dal Concilio Vaticano II, in uno spirito di rinnovata collaborazione e al servizio di un mondo che possa essere sempre più in armonia con la volontà del Creatore”.

L’accento sul Vescovo di Roma fa anche sperare in uno stile di comunione e di governo più collegiale. Significative le parole rivolte ai cardinali subito dopo il conclave:
“Cari Fratelli Cardinali, questo nostro incontro vuol’essere quasi un prolungamento dell’intensa comunione ecclesiale sperimentata in questo periodo. Animati da profondo senso di responsabilità e sorretti da un grande amore per Cristo e per la Chiesa, abbiamo pregato insieme, condividendo fraternamente i nostri sentimenti, le nostre esperienze e riflessioni. In questo clima di grande cordialità è così cresciuta la reciproca conoscenza e la mutua apertura; e questo è buono, perché noi siamo fratelli… Quella comunità, quell’amicizia, quella vicinanza ci farà bene a tutti”. (Udienza a tutti i cardinali, 15 marzo 2013)

Nel libro intervista, Papa Francesco, il nuovo papa si racconta, Conversazione con Sergio Rubin e Francesca Ambrogetti, Bergoglio afferma:
“La cultura dell’incontro è l’unico modo di far andare avanti la famiglia e i popoli”. 

mercoledì 17 aprile 2013

Parole e gesti di papa Francesco / 1


Parole e gesti dalla loggia di san Pietro


Nel suo primo saluto dalla loggia di san Pietro, nel giorno della elezione, Papa Francesco lanciava già i primi eloquenti messaggi del suo pontificato.
Il primo gesto è stato quello di presentarsi con abito semplice, preludio di uno stile sobrio ed essenziale, che ripudia pomposità e orpelli retaggio del barocco e di una concezione regia del papato.
Il secondo gesto è stata la richiesta di preghiera rivolta al popolo prima di benedirlo, segno del riconoscimento del sacerdozio del popolo di Dio: “incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo… cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi. Preghiamo sempre per noi: l’uno per l’altro… Vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo”.
Il terzo è stato quello di dichiararsi vescovo di Roma: “La comunità diocesana di Roma ha il suo Vescovo… Vescovo della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese”; apertura al dialogo ecumenico e alla collegialità episcopale.
Il quarto è stato l’invito a pregare “per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza”: apertura universale e una chiara meta: la fraternità.
Il quinto è stato far prendere coscienza che il cammino che iniziavo in quel momento si sarebbe dovuto proiettare verso l’evangelizzazione.

martedì 16 aprile 2013

Buon compleanno, Benedetto


I riflettori sono tutti puntati su papa Francesco. Ha i suoi settantasei anni suonati, ma per un papa non sono molti, anzi appare giovane, dinamico, creativo. Continua ad essere oggetto quotidiano dei discorsi della gente. I suoi libri e i libri su di lui sono schizzati in cima alle classifiche, così come i filmati che circolano su youtube.
Il vecchio papa invece è entrato in un cono d’ombra mediatico. Forse oggi ci sarà un breve ritorno di fiamma, per ricordare i suoi 86 anni. Domani sarà di nuovo il silenzio, anche se non l’oblio.
È proprio il silenzio la nota che sembra caratterizzare questo momento della sua vita. Non tanto il silenzio su di lui, ma il silenzio di lui. Sappiamo che è nella residenza di Castelgandolfo, ma non si affaccia più al balcone e non lo si sente più né il mercoledì all’udienza, né la domenica all’Angelus. Sappiamo dov’è, ma non sappiamo cosa fa: abbiamo visto soltanto una foto strappata da un settimanale alla sua privacy e un breve filmato in occasione della visita di papa Francesco. Per il resto niente, sembra scomparso.
Non parla più il vecchio papa. O meglio, non parla a noi. Continua a parlare, ma la sua voce si dirige altrove, in alto. L’aveva annunciato al momento del suo ritiro: “Il Signore mi chiama a 'salire sul monte', a dedicarmi ancora di più alla preghiera e alla meditazione”. È il suo modo nuovo di servire la Chiesa, con la dedizione e l’amore con cui l’aveva fatto da papa, “un modo più adatto alla mia età e alle mie forze”.
Non vediamo cosa fa, ma sappiamo cosa fa. Fa come Gesù, che di notte si ritirava sul monte a pregare. Cosa diceva Gesù al Padre in quei suoi colloqui solitari e prolungati? Rimane il suo segreto. Ma l’ultima sera, dopo aver cenato con i suoi, Gesù parlò al Padre ad alta voce, consentendoci di entrare in quel colloquio. Pregava per i suoi discepoli, per quanti il Padre gli aveva affidati, per la comunità futura, per l’umanità intera, perché tutti fossero uno. Forse soltanto in quel momento, grazie a quella preghiera, i discepoli si resero conto di quanto Gesù li aveva amati e li amava.
Se potessimo entrare nella cappella di Benedetto XVI ci troveremmo anche noi davanti a un Gesù che continua a pregare il Padre per noi, e come i discepoli anche noi ci renderemo conto di quanto egli ci ha amato e ci ama. Come c’è un Gesù che passa tra le folle e annuncia il Vangelo e compie miracoli, c’è un Gesù che alza gli occhi al cielo e sostiene la vita e l’opera della Chiesa.
Nel suo silenzio Benedetto parla dunque a Dio, ma con suo silenzio parla anche a noi. In modo nuovo rispetto a come ha parlato in questi anni. Quanto è eloquente il suo silenzio. Dice che senza la presenza del Signore il nostro lavorare rischia d’essere vano, che senza radici l’albero non cresce e senza fondamenta la casa crolla. Proclama la fecondità dell’umiltà che, secondo l’etimo latino, rimanda all’humus, alla terra buona, capace di dare frutti buoni, quelli che ogni stagione può e deve dare, e non altri. Ricorda che il vero potere è quello di dare la vita, di aver cura dell’altro, di servire. Benedetto XVI continua a fare quello che si era proposto quando apparve alla loggia di san Pietro il giorno della sua elezione: “sono un umile servitore nella vigna del Signore”.

lunedì 15 aprile 2013

Apa Pafnunzio in Iraq



Pare che Apa Pafnunzio sia arrivato a Alquosh in Iraq.
Si dà il caso che questi giorni si celebrasse la festa patronale di S. Ormisda. Per l’occasione nella comunità dell'Ordine di Sant'Ormisda dei Caldei sono state lette ai monaci alcune pagine dei detti di apa Pafnunzio. Sembra che vogliano tradurre in arabo tutti i suoi detti per continuare a conoscerlo!
In italiano il libro sarà pubblicato da Città Nuova nel 2014.

Nel frattempo ho messo insieme il commento di apa Pafnunzio alla preghiera sacerdotale di Gesù, già pubblicato a brani qua e là sul blog: non farà parte del libro, per cui lo si può già leggere per intero:

domenica 14 aprile 2013

Le uova e la pancetta della Provvidenza



La Mariapoli si è conclusa, bellissima come un sogno.
In Mariapoli, scriveva Igino Giordani, "tutto è fatto nella carità, che è libertà, ogni attimo germina letizia; e le giornate volano: ché veramente l'uomo è fatto per l'amore e qui l'amore c'è".

A proposito dei cinque euro per il caffè… ecco un’e-mail di risposta:
Anch'io ho fatto un esperienza di Provvidenza. Avevo 5 uova fresche delle mie galline e pensavo di farci le tagliatelle a mano. Siccome dovevo andare in focolare ho deciso portarle alle focolarine. Subito dopo mi telefona un' amica e mi chiede se voglio un chilo di rigatina di Pienza. Buonissima, grazie! Ne ho fatto 4 parti e l'ho distribuita.

Tra uova e rigatina non possiamo non ricordare che esattamente un mese fa, all’università la Sapienza di Roma, si celebrava il grande convegno: Chiara Lubich, carisma storia cultura. Vale la pensa rivisitare l’evento nell’intervista di Victoria Gomez:

sabato 13 aprile 2013

La Mariapoli, che invenzione!


La Mariapoli, ma che invenzione bella! Dicevamo tra noi che è una straordinaria manifestazione del popolo di Dio unito, con tutte le sue espressioni, dal vescovo ai bambini. Una signora, commossa, corregge: “Io sono venuta qui sola, sono vedova… non ho trovato un popolo ma una famiglia”.
Capita di passaggio un professore che mi conosce: “Padre Ciardi qui? Tiene una serie di conferenze, vero?” “No, partecipo semplicemente alla Mariapoli, non ho nessuna conferenza da fare (fra l’altro in Mariapoli non si fanno conferenze)”.
Mi colpiscono le esperienze e mi viene la voglia di vivere anch’io appieno l’amore verso tutti.
Alcuni ragazzetti si stanno preparando per andare in Africa questa estate. Mi chiedono due euro come segno di solidarietà. Gliene do cinque e penso che farò a meno del caffè. Poco dopo una signora in carrozzella mi dice: “Ma quanto sei caro, prendi questi cinque euro per il caffè”.
La Mariapoli è così.

venerdì 12 aprile 2013

Il ciucciotto di papa Francesco

In Mariapoli
Mercoledì pomeriggio vado a Castelgandolfo per confessare una signora anziana, inferma. Entro in casa: “Ha visto il telegiornale?” Quando lo vedo lo vedo soltanto di sera. Subito mi raccontano che il papa, prima dell’udienza, ha preso in braccio un bambino che piange impaurito. Il papa gli prende il ciucciotto appeso al collo e glielo mette in bocca. Poco dopo vado da un’altra persona anziana, inferma, per portarle la comunione; una famiglia, la sua, non praticante. Appena entro in casa, prima ancora di salutarmi: “Ha visto il papa? Ha messo il ciucciotto in bocca ad un bambino…”. Proseguo e vado dalle Clarisse: sono chiuse in clausura ma subito mi raccontano del papa che ha messo il ciucciotto… A cena sono in una comunità di religiosi: “Hai visto il papa che ha messo il ciucciotto…”. Torno a casa che è già un po’ tardi. Il superiore, sapendo che non sono stato a vedere il telegiornale della sera, si premura di aggiornarmi subito: “Hai saputo che il papa…”.
Nessuno mi ha detto una parola del discorso fatto dal papa dell’udienza. Il suo gesto è stato molto più eloquente.

Oggi durante la messa in Mariapoli, a Sacrofano, alle porte di Roma, ho raccontato quello che mi è successo mercoledì. Sono circa 800 i presenti. A cena Vincenzo mi narra di quando, dopo la messa, è uscito di chiesa. Mentre va verso l’ascensore sento dietro di sé il parlare sconclusionato di un ragazzo handicappato. La cosa lo mette un po’ a disagio, specialmente quando lo vede entrare con lui nell’ascensore. Ma Vincenzo è bravo e si supera: “Premi tu il pulsante dell’ascensore”, dice rivolto al ragazzo. Il ragazzo è così contento che, dopo aver premuto il pulsante, gli salta al collo e lo bacia. E la moglie di Vincenzo: “Proprio come il papa…”

giovedì 11 aprile 2013

Giovanni XXIII, un papa ispirato - Gli Oblati al Concilio /7

Padre Léo Deschâtelets al Concilio.
Particolare della pittura "Il Concilio Vaticano II" di Aligi Sassu
Chiesa di sant'Andrea, Pescara
Lo scorso anno, all’inizio delle celebrazioni per il 50° del Concilio, avevo cominciato a riportare le cronache di quell’evento apparse sull’agenzia di stampa AROMI. Continuiamo:


AROMI, Dicembre 1962, Casa generalizia: Visite “conciliari”
Abbiamo continuato ad essere onorati dalla visita di “Padri” del Concilio. Segnaliamo prima di tutto quella di S.E. il Cardinal Santos, arcivescovo di Manila; poi quella di S.E. il Cardinal Frings, arcivescovo di Colonia, Il Rev.mo Padre (generale) ha voluto sottolineare, in occasione della presenza di quest’ultimo alla nostra tavola, tutto quello che gli Oblati dei diversi continenti devono agli interventi di S.E. presso le organizzazioni tedesche di aiuto alle missioni. Nella sua risposta, in francese, Sua Eminenza ha tenuto e ricordare in modo particolare il R.P. Schulte, fondatore della MIVA.
Segnaliamo inoltre quei visitatori che sono maggiormente uniti alla Congregazione: S.E. Mons. Lallier, al quale il “centenario” (della morte di sant’Eugenio) di Marsiglia deve molto; e S.E. Mons. Veuillot, battezzato dal p. Jean-Baptiste Lemius, e il cui padre, Sig. Francesco Veuillot, ha collaborato a una edizione del libro del Padre Jonquet: “Montmartre ieri e oggi”, e ha pubblicato “Gli Oblati di Maria Immacolata” nella collana “I grande Ordini e Istituti religiosi”.
(segue una lista di 33 di vescovi, tra i quali l’abate di Solesmes)

Al termine della prima sessione del Concilio p. Léo Deschâtelets, superiore generale, il 31 dicembre 1962 si incontrò con gli studenti dello scolasticato internazionale di Roma per comunicare loro le prime impressioni. Iniziò col parlare di Giovanni XXIII:
Nel vederlo in azione si comprende che è certamente ispirato. È una guida saggia… la sua mistica suscita la meraviglia di tutti quelli che vivono con lui… Nei suoi discorsi e nei suoi interventi si avverte che è guidato da Qualcuno; un Altro lo dirige, l’ispira… Ha una luce speciale, una forza speciale, un ottimismo, una grande sicurezza… Questa prima parte del Concilio mi ha dato un immenso amore per la persona del nostro Santo Padre il Papa.

mercoledì 10 aprile 2013

Il fondatore nelle stagioni della mia vita


È finalmente apparso l’ultimo numero di “Unità e Carismi” del 2012!
Dedicato ai fondatori, riporta tra l’altro la mia esperienza con il fondatore del mio Istituto, sant’Eugenio de Mazenod.
Per una bizzarra causalità l’articolo inizia senza la prima frase nella quale, originariamente, così si leggeva:
La chiamata a seguire Gesù è la stessa per tutti, continuazione di una storia iniziata sul lago di Galilea, quando Gesù, passando su quelle rive e vedendo Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, rivolse loro l’invito: “Venite dietro a me…”. È la stessa per tutti e nello stesso tempo diversa per ognuno.
L’articolo poi continua:
Perché ho deciso di seguirlo nella famiglia dei Missionari Oblati di Maria Immacolata? Non è facile rispondere. Negli anni del ginnasio andò maturando, lentamente, il desiderio della vita reli­giosa, che per me voleva dire semplicemente una vita inte­ramente donata a Dio. Non so come e da dove mi sia nato questo desiderio. Contemporaneamente sentivo nascere l’appello alla missione, occasionato non tanto da quanto sentivo raccontare dai vari missionari che avevo modo di incontrare, quanto dall’esigenza sempre più profonda di donarmi agli altri. E infine l’attrattiva per Maria... Non sapevo allora che queste tre realtà fossero racchiuse nel nome stesso di Missionari Oblati di Maria Immacolata. Un libro su di loro, regalatomi da una zia, fu l’occasione perché mi si aprisse davanti una concreta via di risposta a quanto Dio mi stava mettendo in cuore. Andai a trovarli e fin dal primo momento fui toccato dallo spirito di famiglia che vi regnava e dalla semplicità di vita. Da allora gli Oblati sono diventati la mia famiglia. Ho conosciuto loro prima del loro fondatore.
Per continuare la lettura:
http://unitaecarismi.cittanuova.it/sommario2.php?NumRivista=6/2012&idSezione=27&idSito=3

La foto:

Sant’Eugenio nell’interpretazione del pittore Gigino Falconi
Particolare del trittico “Luce della Croce”, Pescara, chiesa di sant’Andrea

martedì 9 aprile 2013

Renata Borlone a Pescara / 2

Il rito della firma del libro


Stamattina, svegliandomi, avevo la mente occupata da tanti pensieri e me ne meravigliavo: dicevo a Gesù: - dovrei avere lo sguardo puntato su di Te e invece… 
Ad un certo punto m’ha sfiorato un pensiero, semplicissimo: - quello che importa è che cominci da questo momento a rivedere, in ogni prossimo Gesù. E’ stato il “toccasana”, che mi ha rimesso l’anima nel giusto binario… ho cercato di procedere così tutto il giorno, ricominciando sempre.

Imparare a vedere circostanze e persone con l’occhio di Dio. Chi ha la Carità ha la Sapienza, e la Sapienza ti fa vedere le cose con gli occhi di Dio. Questo non esclude, però, che noi dobbiamo conoscere quello che si agita nella mente degli uomini, “immergersi “ nei problemi di questo mondo, toccarli in maniera viva, palpitante.
Nel mondo bisogna entrarci, ma penetrarci “da Gesù”, per portare Lui, almeno un soffio della Sua vita.

E’ duro veder soffrire quelli che si amano.
Spesse volte mi sveglio la notte, e, da un po’ di tempo a questa parte leggo il Vangelo, per imparare da Gesù…

In fondo, che cosa facciamo noi cristiani? Aiutiamo l’umanità, quella piccola parte di umanità che Dio ci mette accanto, a trovare nella sofferenza Dio.
E’ un compito grande, che ci riesce in proporzione di quanto ciascuno di noi ama sulla Croce Gesù.

Sono alcuni dei pensieri di Renata letti domenica a Pescara, al termine di un pomeriggio passato insieme con 180 persone per conoscere meglio questa donna straordinaria.

lunedì 8 aprile 2013

L'Abruzzo forte e gentile


Bello attraversare l’appennino tra Roma e Pescara, tra il Gran Sasso e la Maiella,
con un Abruzzo a tratti ombrato da foschie adagiate sui campi o spendente di mille colori sotto un sole incerto; le pale eoliche come solitari giganti montani; i paesi e i castelli arroccati che si sussurrano da lontano parole antiche e misteriose.
Inevitabile il ricordo di D’Annunzio:

E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d'arborea vita viventi.