I
riflettori sono tutti puntati su papa Francesco. Ha i suoi settantasei anni
suonati, ma per un papa non sono molti, anzi appare giovane, dinamico,
creativo. Continua ad essere oggetto quotidiano dei discorsi della gente. I
suoi libri e i libri su di lui sono schizzati in cima alle classifiche, così
come i filmati che circolano su youtube.
Il
vecchio papa invece è entrato in un cono d’ombra mediatico. Forse oggi ci sarà
un breve ritorno di fiamma, per ricordare i suoi 86 anni. Domani sarà di nuovo
il silenzio, anche se non l’oblio.
È
proprio il silenzio la nota che sembra caratterizzare questo momento della sua
vita. Non tanto il silenzio su di lui, ma il silenzio di lui. Sappiamo che è
nella residenza di Castelgandolfo, ma non si affaccia più al balcone e non lo
si sente più né il mercoledì all’udienza, né la domenica all’Angelus. Sappiamo
dov’è, ma non sappiamo cosa fa: abbiamo visto soltanto una foto strappata da un
settimanale alla sua privacy e un breve filmato in occasione della visita di
papa Francesco. Per il resto niente, sembra scomparso.
Non parla più il vecchio papa. O meglio, non parla
a noi. Continua a parlare, ma la sua voce si dirige altrove, in alto. L’aveva
annunciato al momento del suo ritiro: “Il
Signore mi chiama a 'salire sul monte', a dedicarmi ancora di più alla
preghiera e alla meditazione”. È il suo modo nuovo di servire la Chiesa, con la
dedizione e l’amore con cui l’aveva fatto da papa, “un modo più adatto alla mia
età e alle mie forze”.
Non vediamo cosa fa,
ma sappiamo cosa fa. Fa come Gesù, che di notte si ritirava sul monte a
pregare. Cosa diceva Gesù al Padre in quei suoi colloqui solitari e prolungati?
Rimane il suo segreto. Ma l’ultima sera, dopo aver cenato con i suoi, Gesù
parlò al Padre ad alta voce, consentendoci di entrare in quel colloquio.
Pregava per i suoi discepoli, per quanti il Padre gli aveva affidati, per la
comunità futura, per l’umanità intera, perché tutti fossero uno. Forse soltanto
in quel momento, grazie a quella preghiera, i discepoli si resero conto di
quanto Gesù li aveva amati e li amava.
Se
potessimo entrare nella cappella di Benedetto XVI ci troveremmo anche noi
davanti a un Gesù che continua a pregare il Padre per noi, e come i discepoli
anche noi ci renderemo conto di quanto egli ci ha amato e ci ama. Come c’è un
Gesù che passa tra le folle e annuncia il Vangelo e compie miracoli, c’è un
Gesù che alza gli occhi al cielo e sostiene la vita e l’opera della Chiesa.
Nel
suo silenzio Benedetto parla dunque a Dio, ma con suo silenzio parla anche a
noi. In modo nuovo rispetto a come ha parlato in questi anni. Quanto è
eloquente il suo silenzio. Dice che senza la presenza del Signore il nostro
lavorare rischia d’essere vano, che senza radici l’albero non cresce e senza
fondamenta la casa crolla. Proclama la fecondità dell’umiltà che, secondo
l’etimo latino, rimanda all’humus,
alla terra buona, capace di dare frutti buoni, quelli che ogni stagione può e
deve dare, e non altri. Ricorda che il vero potere è quello di dare la vita, di
aver cura dell’altro, di servire. Benedetto XVI continua a fare quello che si
era proposto quando apparve alla loggia di san Pietro il giorno della sua
elezione: “sono un umile servitore nella vigna del Signore”.
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