sabato 31 maggio 2014

Nove anni di Paradiso


Il 31 maggio 2005, nella festa della Visitazione, alla fine della giornata, Maria passò a visitare anche la nostra famiglia cogliendo l’ultimo fiore del suo mese di maggio, Leonello, per arricchirne il Cielo, a cui aveva sempre teso. Così aveva scritto:

“Oggi sarai meco in Paradiso”;
Oh! il Paradiso!;
Prendimi, Signore;
Grazie Signore;
Vedrò Maria, La Madonna, Vergine bella più bella di tutte;
Sarò Santo come tanti altri;
Andrò in Paradiso, 
di Lassù pregherò per i miei famigliari.


venerdì 30 maggio 2014

Ci vogliono le idee


Alla fine di settembre 1848 fu aperto un piccolo college con una sessantina di giovani cattolici francofoni e anglofoni nella città di Bytown (così si chiamava allora Ottawa in Canada). Mons. Eugenio de Mazenod era d’accordo, vi vedeva una nuova via di evangelizzazione. Lentamente il collegio crebbe fino a diventare l’Università di Ottawa, la prima università retta dagli Oblati, dalla quale si è poi staccata l’attuale Università di Ottawa. È così che è iniziata l’avventura degli Oblati in campo universitario.

Abbiamo appena terminato una settimana di lavoro intenso con i rettori e i gran cancellieri delle due università e dei quattro istituti teologici degli Oblati nel mondo. Questa volta la riunione si è tenuta a casa nostra a Roma! Un bel gruppo, ormai affiatato dopo i precedenti incontri annuali.
Ce la faremo a portare avanti queste istituzioni accademiche? Sono una autentica sfida. Intanto ci crediamo con tutto il cuore. Non possiamo abbassare la guardia. Il rischio, tra noi e attorno a noi, è quello di un calo del livello intellettuale. Ne andrebbe di mezzo la missione perché non si può rispondere ai bisogni dei tempi senza preparazione, strumenti di analisi e di progettazioni, senza visioni ampie… in una parola, senza idee! Per camminare, ci vuole la luce!


giovedì 29 maggio 2014

Cent’anni di Paradiso



Cent’anni fa, il 29 maggio 1914, alle 9.30 di sera, moriva padre Giuseppe Gerard, l’Oblato più amato da tutti per la sua semplicità, la dedizione estrema ad ogni singola persona che incontrava, lo zelo a tutta prova, l’imperturbabile pazienza, la costante preghiera… Il missionario per eccellenza, che ha saputo creare una Chiesa dal niente, in mezzo a difficoltà inimmaginabili.
La suore infermiera che lo assisteva negli ultimi giorni di vita racconta che quando aveva la febbre alta chiamava il ragazzo che lo aiutava perché sellasse il cavallo – un famoso rimasto famoso, di nome Artaban – perché doveva andare a trovare gli ammalati. La suore gli diceva: “Sì, è appena andato a prepararlo”. Allora lui, pensandosi già in viaggio, schioccava la bocca e con la mano dava dei piccoli colpi alle coperte pensando di spronare Artaban, ripetendo: “Ragazzo mio, le anime le anime! Dio me ne domanderà conto… La misericordia di Dio è infinita”.
Una volta, non vedendo il suo padrone, Artaban partì da solo e si fermava un po’ di tempo alla capalla di un ammalato e di un anziano, poi ripartiva, si fermava alla capanna di un altro… e da solo fece tutto il giro che ormai era solito fare con il vecchio missionario.
Come ha fatto a diventare santo e a convertire un popolo intero, nell’Africa del sud? Ce l’ha detto lui stesso: “Il segreto per farsi amare è quello di amare. Il mondo appartiene a chi lo ama di più e ne da' la prova. Penso volentieri a un sacerdote, a un missionario oblato di Maria Immacolata in una Missione. È uno che osserva tutto con i suoi occhi, conosce con il suo cuore, porta la gioia con la sua presenza, si fa tutto a tutti per guadagnarli al Cristo. Con una carità intraprendente sa servirsi di tutto, pensa a tutto; ma non si accontenta di questi rapporti impersonali, sacerdote di tutti, ma non abbastanza il sacerdote di ognuno. Questo sacerdote coglierebbe l'occasione di dare a ognuno in particolare attenzioni personali, dirette del suo zelo, di modo che ognuno è certo di essere amato personalmente da Lui”.


mercoledì 28 maggio 2014

La sai l’ultima su apa Pafnunzio?



Nella comunità dei professioni dell’Istituto di vita consacrata “Claretianum” ogni sera, durante la preghiera, si legge insieme una pagina del libro di apa Pafnunzio!
Da non credere.


Intanto Maria Adele, sul blog, scrive: «Come non ricordare che la mia conoscenza del deserto risale ai libri di Carlo Carretto, ai tempi in cui ero ragazzina? Ne era scaturito un tema sulla mia morte, immaginata in quel contesto. Un tema riuscito benissimo, avevo preso il massimo dei voti!
“…Il luogo che misura la distanza tra l’uomo e Dio; il luogo che misura la vicinanza tra Dio e l’uomo”. Ci sarebbe forse da scoraggiarsi, se non ci fosse la guida di apa Pafnunzio...»


martedì 27 maggio 2014

I 90 anni del mitico padre Ermanno


Padre Ermanno ha compiuto 90 anni. Quando prima di Pasqua siamo andati insieme in Spagna sembrava di viaggiare con un ragazzo. La serata passata insieme per festeggiare il compleanno è stata l’occasione per sentir raccontare le storie andate, sempre attuali. Tra le altre, la gioia dell’incontro, da parte sua e di tanti religiosi, con la spiritualità dell’unità, e soprattutto con le persone che la incarnavano, e la testimonianza di ciò che questo ha operato in essi:

L’“Ideale” dell’unità ha coinvolto, com’è noto, le più varie realtà umane e i seguaci delle più varie religioni. È stato un fenomeno unico nella Chiesa, qualcosa di troppo nuovo e coinvolgente e poteva disorientare un osservatore non bene aggiornato.
Noi religiosi, che siamo rimasti affascinati da Dio, non abbiamo mai visto un contrasto tra il carisma dell’Unità e i nostri carismi particolari. Il nuovo carisma non c’impediva di essere fedeli alla nostra vocazione; anzi ci confermava in essa e ce la illuminava, perché una cosa – come afferma S. Caterina da Siena – si conosce guardandola in se stessa, ma molto meglio mettendola in rapporto con le altre realtà; in questo confronto si stagliano meglio le particolarità che ognuno porta.
In quanto fratelli, e membri dello stesso Corpo, eravamo, poi, coscienti che – pur appartenendo alle più varie famiglie – saremmo stati autentici solo nell’unità; infatti, solo l’unità di tutte le membra forma il Cristo totale. Ogni carisma esprime un aspetto del Cristo, pur sforzandosi , ciascuno, di vivere tutto il Vangelo.
Questo ci ha portato a capire la Chiesa più in profondità. La Chiesa, infatti, è un corpo in cui vive Gesù, come è stato espresso da Tertulliano – “Dove due o tre sono uniti nel nome di Gesù ivi è la Chiesa – e, prima ancora – dalla Lettera agli Efesini (cap IV).
Ma c’è di più: l’unità realizza ciò per cui Gesù ha dato la sua vita: “Che tutti siano uno”.
In essa c’è, anzi, la realizzazione dell’uomo, che è fatto ad immagine della Trinità (“Maschio e femmina li creò”, “ad immagine di Dio li creò”). Nell’unità siamo immagini autentiche di Dio, Uno e Trino. 

lunedì 26 maggio 2014

Auguste Rodin e la mano di Dio



Prima che terminasse ho potuto vedere la mostra su Auguste Rodin alle Terme di Diocleziano. Uno sfavillio di marmi bianchissimi, in una carrellata che ascende verso vette altissime. Il tema dominante, dalle mille variazioni: il rapporto uomo donna, a iniziare dal famoso bacio. Psiche e Amore, Paolo e Francesca, ninfe e fauni, angeli e figure anonime, sono soltanto pretesti per esprimere l’anelito inappagato di compenetrazione.



Anche le mani si cercano. Una sola si apre per donare, La mano di Dio, del 1902 (il prototipo risale a quattro anni prima). È sola la grande mano che trattiene un blocco informe dal quale emergono due figure umane assopite, in posizione fetale, quasi una metafora della creazione artistica. «Quando Dio creò il mondo – disse Rodin – ciò a cui doveva aver pensato innanzitutto era il modellato». Il filosofo Henri Bergson riconosce che Rodin «vive nelle proprie intenzioni, vive libero, vive creativo, vive proprio come un dio». 
Dio e l’arte si esprimono nella creatività e l’artista esprime il desiderio di essere come Dio.

domenica 25 maggio 2014

Maddalena Sofia Barat ed Eugenio de Mazenod



Oggi è la festa di Maddalena Sofia Barat (13 dicembre 1779 - 25 maggio 1865, festa dell’Ascensione del Signore). Anche lei, come sant’Eugenio, è una testimone della vitalità della Chiesa all’indomani della Rivoluzione Francese. A contatto con i Padri della Fede, che stavano ricostituendo la Compagnia di Gesù, fondò le Dame del Sacro Cuore per l’educazione e l’istruzione femminile, denominazione che, per motivi politici, fu ufficiale solo dal 1815. Le sue scuole erano continuamente richieste e si moltiplicarono in pochi anni e furono fondate comunità in molti Paesi dell’Europa e del America del Nord. Nel dicembre del 1826 la Società ebbe l’approvazione pontificia di Leone XII. Alla sua morte la congregazione contava tremilacinquecento suore, in sedici paesi.
Sant’Eugenio ha avuto diversi contatti con lei, così come con un’altra cinquantina di santi e beati contemporanei. I santi nascono sempre a grappolo e si attraggono misteriosamente tra di loro!
Il primo contatto di sant’Eugenio con le Dame del Sacro Cuore avvenne nel 1811. Nel loro convento ad Amiens celebrò la sua prima messa, la notte di Natale. Nel 1823 incoraggiò sua sorelle a mandare le due figlie, Natalia e Carolina, in collegio dalle suore, a Grenoble. Nel 1824 le bambine passarono nel collegio di Parigi. Nel maggio 1825 sant’Eugenio è a Parigi e ogni giorno celebra la messa nel collegio, dove Carolina è gravemente ammalata e dove morirà a 13 anni, assistita dallo zio. Nel 1835 fa venire le suore nella sua diocesi di Marsiglia; andrà spesso nella loro comunità e nel loro collegio: le cronache della casa annotano le visite del vescovo e sono ricche di episodi. Incontra più volte le suore in Svizzera e soprattutto a Roma, nella chiesa di Trinità dei Monti.
Incontra personalmente più volte anche la fondatrice, santa Maddalena Sofia Barat. Nelle cronache della casa di Trinità dei Monti si legge che «la nostra reverenda Madre generale trovò in lui un amico devoto della società».
In un articolo della rivista “Missions OMI” del 1933 si legge che «nel convento del Sacro Cuore, a Montigny-lès-Metz, si trova, in questo momento, una pronipote del venerato Fondatore, suor Maria de Demandoix-Dedons. 82enne, la  buona suora ha conservato la vivacità dell’animo provenzale, assieme a una buona memoria su mille particolari che riguardano il suo vecchio zio, il nostro venerato Fondatore».

Y. Beaudoin, Saint Eugène de Mazenod et quelques contemporains béatifiés ou canonisés, « Vie Oblate Life » 67 (2008) 340-344.
Mgr de Mazenod et la sainte Madeleine-Sophie Barat, « Missions OMI » 69 (1935), 128-148, 398-412, 635-650.

                                     

sabato 24 maggio 2014

Stazione di Firenze: Madonna del Cammino


Sulla stessa parete due identiche indicazioni – “Cappella” – inviano in due direzioni opposte. Quando hanno messo l’indicazione della cappella nuova della stazione ferroviaria di Firenze, hanno dimenticato di togliere la vecchia. Potenza della nostra segnaletica.
La cappella nuova è bella, semplice. Anche qui ritrovo musaici di Rupnik.
Mi piace la preghiera a “Maria, Madre del Cammino”:

A te, Maria,
Madre del Cammino,
affidiamo la nostra giornata:
tu che hai accompagnato tuo Figlio
in ogni momento della sua vita
veglia anche oggi su di noi,
illumina ogni passo del nostro cammino,
e guidati sempre sulla via dell’Amore.

Amen

venerdì 23 maggio 2014

Serra Club: vocazioni a Cuba e a Prato



Dal 21 (festa di sant’Eugenio) al 29 maggio (festa del beato Gérard) ogni anno preghiamo per le vocazioni. Poteva esserci un momento migliore per essere invitato dal Serra International, il Club che ha come finalità proprio la promozione e il sostegno delle vocazioni?
L’invito è venuto nientemeno che dal Club 534, di Prato, e l’incontro si è svolto nel seminario. Così mi sono trovato di nuovo a pregare nell’antica abbadia olivetana e a cenare nello storico refettorio, che ho lasciato quarant’anni fa. Un tuffo in un passato che ricordo con tantissimo affetto.
A persone attente e motivate ho raccontato le mie storie cubane e dialoghi sulla Bibbia che ho tenuto nell’isola. Ho raccontato anche la storia vocazionale di Carlos, medico, militante nel partito, ateo convinto, che non aveva mai messo piede in una chiesa. In famiglia tutti come lui. La mamma, dopo la storica visita di Giovanni Paolo II, si converte e inizia a frequentare la chiesa. Più tardi nella cattedrale de L’Avana, grazie all’apertura portata dal papa, si tiene la prima nazionale del Gesù di Zeffirelli, a quasi trent’anni dalla sua edizione.

La mamma di Carlos chiede al figlio di accompagnarla a quella proiezione, un evento per la città de L’Avana. Carlos rimane incantato dalla figura di Gesù: «Se fosse vero, lo seguirei», si dice. Ma sa che è soltanto una bella storia inventata, come sempre accade nel cinema. Un giorno incontra il confessore della mamma. Parlano a lungo dell’esistenza di Dio, rimane convinto dalle argomentazioni e arriva la conversione. Una volta battezzato, decide di seguire Gesù, come avrebbe voluto fare “se fosse realmente esistito”: ora sa che è esistito ed è vivo! Carlos è appena diventato prete e il figlio di undici anni gli serve messa...

Ad ascoltarmi, altre ai “serrani”, otto seminaristi della diocesi di Prato. Otto, per un piccola diocesi come Prato sono un vero miracolo! Gesù continua a chiamare, qui come a Cuba. 

giovedì 22 maggio 2014

C'era una volta l'autoscatto

Il neopremier francese Manuel Valls aspetta, paziente, che l’intraprendente moglie del ministro dei trasporti dell’India, avvolta nel suo bel sari, scatti il selfie con papa Francesco. La scena, teletrasmessa al termine della cerimonia di canonizzazione dei due papi, non è nuova: il selfie di Francesco con i teenagers ha fatto il giro del mondo. È un fenomeno dilagante, dal presidente Barack Obama con il primo ministro britannico David Cameron e la premier danese Helle Thorning Schmidt durante il funerale di Nelson Mandela, fino ai cantati, agli attori, alle persone più comuni, adolescenti e non solo.
Non è l’autoscatto di una volta, che aveva lo scopo di ricordare un momento importante. L’immagine selfie non è per sé ma per gli altri, ed è tale solo quando è condivisa sui social media. Non è proprio una novità. Erano un po’ selfie anche gli autoritratti che Benozzo Gozzoli, Michelangelo, Caravaggio lasciavano come firma sui loro affreschi, o quelli di Leonardo da Vinci, Van Goog, De Chirico, Guttuso.
Cosa c’è dietro questo fenomeno? Desiderio di immortalità, bisogno di affermazione, esibizionismo? Un po’ tutto questo. Soprattutto, come ha scritto pochi mesi fa, sul New York Times, l’attore americano James Franco, il “re del selfie”, “è un modo per attirare l’attenzione e, santo cielo!, quello che ognuno cerca è proprio attenzione”. Mi sembra un segnale importante. Quante volte abbiamo visto i bambini piangere senza motivo o fare gesti un po’ insulsi per il solo intento di attirare l’attenzione. Hanno bisogno di essere toccati, di sentirsi rivolgere la parola, ma anche di essere guardati. Non a caso che si usa l’espressione: “Devo guardare il bambino”, “Guardami la bambina”, nel senso di prendersi cura. Siamo un po’ tutti bambini, o semplicemente esseri umani. Il fenomeno selfie ci ricorda che non si può vivere senza prendersi cura gli uni degli altri.
La novità rispetto all’autoscatto è anche la possibilità che il selfie offre per attuare un ulteriore insopprimibile bisogno umano, quello di comunicare. Un fatto, un sentimento, un momento della propria vita, non è compiuto fino a quando non è condiviso. Siamo davanti a un semplice strumento, a doppio taglio come sempre, può portare a forme morbose di dipendenza o contribuire a costruire la fraternità.

mercoledì 21 maggio 2014

Sant’Eugenio nella parola degli ultimi papi

Questo nobile e zelantissimo vescovo meritò bene di essere collocato tra i benemeriti del movimento di rinascita missionaria dei tempi moderni, emulo di quei sacerdoti e prelati che sentirono battere nel loro petto il palpito della Chiesa universale. E l'Istituto da lui fondato nel 1826 è ora un albero robusto i cui rami si distendono sopra due continenti, adattandosi al clima rigido delle regioni artiche, come a quello torrido dell'equatore. (Giovanni XXIII, 21 maggio 1961)

Siatene molto fieri, esultate di gioia! Eugenio de Mazenod era un appassionato di Gesù Cristo e tutto dedito, senza riserve, alla Chiesa! Questo Pastore e Fondatore, testimone autentico dello Spirito Santo, lancia a tutti i battezzati e a tutti gli apostoli di oggi un appello fondamentale: lasciatevi invadere dal fuoco della Pentecoste e conoscerete l’entusiasmo missionario. (Paolo VI, 19 ottobre 1975)

Eugenio de Mazenod fu uno di quegli apostoli, che prepararono i tempi moderni, i tempi nostri. Annunciare Cristo per lui significò diventare in pieno l’uomo apostolico di cui ogni epoca ha bisogno, dotato di quel fervore e di quello zelo missionario che a poco a poco lo configurano al Cristo risorto. Egli guidava i fedeli ad accogliere Cristo con fede sempre più generosa, perché vivessero pienamente la loro vocazione di figli di Dio. Il suo influsso non si limita all’epoca in cui egli visse, ma continua ad agire anche sul nostro tempo. Infatti il bene compiuto in virtù dello Spirito Santo non perisce, ma dura in ogni “ora” della storia. Ne siano rese grazie a Dio! (Giovanni Paolo II, 3 dicembre 1995)

L’augurio di san Giovanni Paolo II agli Oblati: Vi incoraggio a perseverare in una rinnovata unione fraterna, secondo la volontà del santo Fondatore, il quale pensava all’Istituto come ad una famiglia, i cui membri formano un cuor solo ed un’anima sola. (24 settembre 2004)


martedì 20 maggio 2014

Sempre sul forum di Unità e Carismi

http://www.cittanuova.it/c/438233/Vino_nuovo_in_otri_nuovi.html

Igino Giordani ed Eugenio de Mazenod


21 maggio 1861: 154 anni fa moriva sant’Eugenio de Mazenod.
La sera prima prese la croce di Oblati che teneva accanto e benedisse la Congregazione con tre segni in tutte le direzioni. Rivolgendosi a p. Mouchette: “La mia unica sofferenza è quella di lasciare uomini come voi, che amo con un cuore che non potete capire. Il buon Dio mi ha dato un cuore con una capacità immensa e mi ha concesso di amare i miei figli con questo cuore… Avrete qualcuno che mi sostituirà, ma non troverete mai più uno che vi ami come vi ho amato io”.
Gli fu chiesta una parola per i suoi Oblati: “Dite che muoio felice che il buon Dio si sia degnato di scegliermi a fondare nella Chiesa una Congregazione”. Poi proseguì con le famose parola: “Praticate tra di voi la carità, la carità, la carità… e fuori, lo zelo per la salvezza delle anime”.
Il 21 maggio arrivò il telegramma con la benedizione apostolica del Santo Padre, che ascoltò a mani giunte. A sera la Compieta: “Lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace…”. La sua vita si apriva al cielo al canto del Salve Regina.
Igino Giordani ne ha sintetizzato la vita e la missione con parole incisive:

Mons. de Mazenod, vescovo di Marsiglia, è il nobile che, atterrato dalla rivoluzione, recupera una dignità nella religione. Perde una casta, con palazzi e servitù: ma facendosi lui stesso servo dei fuori-casta, trova in loro Cristo e diviene vescovo, cioè padre del popolo.
Nella sua formazione influirono l'ambiente italiano e la santità di Alfonso de' Liguori. Nella sua cattolicità agì Roma con tale attrazione che lo dissero il più romano dei francesi e il più francese dei romani.
Negli anni che gli autori della rivoluzione, dopo aver demolito gli ordini antichi, crollavano nella dimenticanza, egli erigeva chiese e case e parrocchie, salendo nella venerazione e ricostituendo le anime. E mentre 19 truppe di Napoleone si sperdevano tra le rovine egli suscitava la milizia degli Oblati di Maria Immacolata, che già nel nome scopriva la poesia cavalleresca del suo animo.
In un mondo fragorosamente laicista e anticattolico, che col suo positivismo spegneva a una a una le stelle in cielo, accese luci di bellezza all'amore di Maria.


lunedì 19 maggio 2014

João Braz de Aviz e papa Francesco al forum di Unità e Carismi


Un forum con tanti protagonisti: la testimonianza vibrante del cardinal João Braz de Aviz, l’esperienza consumata del superiore generale della congregazione di don Orione, la conduzione professionale di Michele Zanzucchi. Protagonista d’eccezione papa Francesco, presente lungo tutto il pomeriggio; avrebbe voluto esserlo anche fisicamente, ma nello stesso momento doveva incontrare la Conferenza Episcopale Italiana; c’era comunque, costantemente evocato per l’impronta nuova data alla Chiesa, la decisa linea riformatrice, l’azione incisiva che precede e accompagna la parola. Protagonisti anche i partecipanti, un centinaio, con le loro numerose domande e testimonianze. Il forum organizzato da Unità e Carismi sulle sfide che il papa lancia alla vita consacrata, è risultato un momento luminoso e di profonda gioia.

È stata l’occasione anche per la presentazione del libro sul cardinale scritto da Michele Zanzucchi. Una storia affascinante, carica dei volti e degli odori delle periferie, quelle del Brasile più povero, che porta quei volti e quegli odori fino ai palazzi che sono il cuore della Santa Sede. «È un uomo di popolo, che sta in mezzo al popolo, nato dalla comunità, che vive della comunità, che vive come un pastore in mezzo al gregge. Anche come cardinale è così, ed ha un legame particolare con il papa. Mostra anche nel collaborare con lui una franchezza, una semplicità di relazioni, di modo di rapportarsi, di affrontare i problemi senza paura della verità. Ecco, questa è una nota molto caratteristica: massima carità ma massimo rispetto della verità». Il cardinale ha firmato molte copie del suo libro, occasione per un interessamento personale, fatto con calma, con tutti quelli che gli passavano davanti.
Ora aspettiamo che la rivista pubblichi il frutto di questo fruttuoso incontro.


domenica 18 maggio 2014

Un’Italia nella quale si può ancora sperare


Una fila infinita per poter entrare a visitare Palazzo Farnese. Ne è valsa la pena. Vi hanno lasciato la loro impronta Sangallo, Michelangelo, Salviati costruendo un capolavoro d’arte. Erano una ventina le gallerie aperte a Roma per la notte dei musei e tutte assediate con file che attraversavano piazze, costeggiavano strade, si snodavano a zig zag. Tutti tranquilli, contenti, con quell’aria complice e festosa di chi si trova gomito a gomito per delle mezz’ora in attesa di vedere cose belle. La stessa cosa mi immagino in tutta Italia. 


Un’Italia diversa da quella che autolesionista di ogni giorno, un’Italia giovane, un’Italia amante della cultura e con il gusto per l’arte. Ma allora si può ancora sperare.

sabato 17 maggio 2014

I Movimenti nella Chiesa: esperienza di popolo / 2



Dopo il brevissimo flash sulla storia, ecco alcune caratteristiche dei Movimenti:
- Laicità. Anche se nel loro seno vi sono persone consacrate, la maggior parte dei membri dei movimenti sono laici. Non viene messa in evidenza una “speciale consacrazione”, come nella vita religiosa, ma la consacrazione battesimale e il sacerdozio comune. Si è parlato in proposito di una Pentecoste laica: «Quel che accadde a Gerusalemme duemila anni orsono – affermava Giovanni Paolo II nella veglia di Pentecoste del 1998 – è come se questa sera si rinnovasse in questa piazza! Voi qui presenti siete la prova tangibile di questa effusione dello Spirito».
- La partecipazione attiva alla missione della Chiesa, sgorgante dalla stessa vocazione battesimale, è riscoperta nella sua specificità: portare lo Spirito di Cristo in tutte le realtà temporali, una missione aperta a innumerevoli iniziative sia personali che comunitarie. Ciò presuppone un atteggiamento positivo verso il mondo, ed uno stile di vita fortemente inserito nelle realtà sociali e politiche.
- Luogo d’incontro e di comunione tra tutte le vocazioni della Chiesa, quasi a ricreare un bozzetto di Chiesa. Pur essendo composti in prevalenza da laici, nei movimenti convergono infatti persone di tutte le vocazioni del popolo di Dio, sposati, sacerdoti, religiosi, vescovi...
- La novità portata dai movimenti ecclesiali è data infine da una profonda carica spirituale, evangelica, comunionale e da una grande creatività apostolica che fa rivivere gli elementi della vita cristiana con insolita genuinità, freschezza e semplicità.
Essi sembrano nati per preparare il Concilio e, nello stesso tempo, «essi rappresentano – per continuare a citare Giovanni Paolo II – uno dei frutti più significativi di quella primavera della Chiesa già preannunciata dal Concilio Vaticano II». Lo Spirito li ha fatti nascere per «rinnovare l'autocoscienza della Chiesa, che può dirsi, in un certo senso, essa stessa “movimento”».
Tutto questo si comprende se si ricorda che queste nuove realtà ecclesiali sono nate sul terreno del più vasto “movimento” spirituale che ha investito tutta la Chiesa nel XX secolo: «il risveglio della Chiesa nelle anime», come si esprimeva Romano Guardini nel 1921, aggiungendo: «Se questo processo del movimento ecclesiale si affermerà dovrà necessariamente portare ad un rinnovamento della coscienza di comunità». Il risveglio della Chiesa nelle anime portò al risveglio del laicato e alla consapevolezza del suo compito nella Chiesa; fece nascere l’esigenza di una spiritualità coniugale e apostolica, capace di mettere in luce il valore del battesimo, del sacerdozio dei fedeli. Occorreva una nuova spiritualità della vita e dell'impegno nel mondo e nella storia come luogo della presenza e dell'amore di Dio.
I movimenti, mobilitazione dei laicato, rispondono dunque al bisogno della Chiesa di ritrovarsi popolo di Dio, attenta agli eventi storici, in dialogo con la cultura e le culture, aperta al contributo creativo della donna. Essi sono la “democratizzazione” della spiritualità e della santità, non più riservata ai consacrati, ma dilagante tra i laici e in tutta la Chiesa. 

venerdì 16 maggio 2014

Duemila anni di storia sulla Crypta Balbi



Quante volte siamo passati per via delle Botteghe Oscure, sede storica dell’antico Partito Comunista Italiano, senza pensare che stavano camminando su duemila anni di storia che si sono stratificati secolo dopo secolo.

Oggi è finalmente venuto il momento per ripercorrere questa storia avvincente. Sono sceso fino al primo pavimento del teatro costruito da Lucio Cornelio Balbo, il trionfatore nel 19 a.C. sui Garamanti, con parte del bottino ricavato dalle guerre d'Africa. Le possenti mura in tufo e travertino testimoniano la straordinaria arte architettonica dei romani. E poi, su su, strato sopra strato, la storia di inondazioni, terremoti, saccheggi, di distruzioni e di riedificazioni, di monasteri, chiese e castelli, di botteghe di funari (senza finestre: botteghe oscure!), di fornaci per la calce, di collegiate per le zitelle… Mura e manufatti che raccontano il susseguirsi della storia romana, medievale, rinascimentale, moderna, in un continuum che testimonia la forza della vita, che va avanti sempre, senza che nessuna difficoltà possa arrestarla.

giovedì 15 maggio 2014

Il deserto perché? Dialogo tra apa Pafnunzio e l’Imam Pietro

Foto: Roma dalle finestre della sala
di sant'Eustachio
Dicono che il Grande Deserto ammali più della più bella fra le urì, le vergini musulmane. Fu così che nell’estate del 1979 don Pietro Sigurani si innamorò delle dune roventi. Era giunto nelle vie polverose della dolce Douz, cittadina a Sud della Tunisia detta anche "la porta del deserto", perché da lì iniziano le dune del Sahara. Alle autorità di polizia che gli chiedevano come si chiamasse la sua donna, essendo impensabile per gli arabi che un uomo non abbia almeno una moglie, don Pietro dichiarò, infine, che lui era parroco della parrocchia romana della natività. La cosa suonava bene e sul registro fu scritto: Pietro Sigurani coniugato con Natività. Presero a chiamarlo l’Imam cattolico.
Da allora è tornato tante volte, portando gruppi di italiani a fare “esperienza di deserto”, intessendo un profondo dialogo con i musulmani del posto, aprendo case di “presenza cristiana”, e creando posti di lavoro per la gente di laggiù, come una fabbrica per la lavorazione dei datteri, palmeti, ecc. Oggi è rettore della chiesa di sant’Eustachio.
Questa sera ci siamo trovato a dialogare insieme sul deserto, presentando il libro “I detti di apa Pafnunzio”. Don Pietro il deserto lo conosce perché vi ha vissuto a lungo. Io lo conosco soltanto letterariamente, attraverso i libri dei monaci del deserto; una conoscenza diversa ma non meno vera di quella di don Pietro.
Perché il deserto? Perché luogo della grande esperienza di Mosè e del suo popolo, di Elia, del Battista, di Gesù. Il luogo che misura la distanza tra l’uomo e Dio; il luogo che misura la vicinanza tra Dio e l’uomo. Si è svelato in tutta la sua crudezza e bellezza, metafora di aneliti profondi che albergano in ogni persona.
Avrei voluto che fosse stata presente Pierangela (che non conosco), che ha scritto: “Vivendo a Torino sarò presente solo spiritualmente alla serata di deserto e spero di leggere sul blog le parole che saranno dette e gustate. Auguro una serata meravigliosa e sorprendente come sempre apa Pafnunzio ci regala ogni giorno”. Avrei voluto che fosse stata presente Maria Adele che, sempre su questo blog, ha scritto: “Concordo pienamente con Pierangela. Mia figlia scrive da Londra: "...mi sto gustando apa Pafnunzio, penso proprio il periodo giusto per leggerlo! :-)" Ma... a quando la traduzione in inglese?”
Ma c’era un bel gruppo di persone, per una serata incantevole, mille miglia lontano dalla solitudine del deserto, ma con la medesima presenza di quel Dio vicino. 

mercoledì 14 maggio 2014

I Movimenti nella Chiesa: esperienza di popolo / 1

Sulla rivista “Se vuoi”  apparso un mio breve articolo sui Movimenti. Cose note, ma che è sempre bello raccontare di nuovo. Ecco la prima parte, con un flash storico:

All’inizio del 1900, a Vallendar in Germania, nasce l’Opera di Schönstatt, fondata da Padre Kentenich per far presente in una società scristianizzata la vita evangelica secondo l’esempio di Maria, la prima cristiana.  Nel 1921 è la volta della Legio Mariae, in Irlanda, ispirata da un laico Frank Duff. Dalle ceneri della seconda guerra mondiale fioriscono nuove spiritualità come quella del Movimento dei Focolari che nel 1943 trascende il conflitto mondiale e le sue conseguenze per puntare sull’unità di tutti gli uomini. In Francia, le Equipes Notre-Dame, fin dal ’39 offrono una spiritualità coniugale, una grande novità a quel  tempo. In Spagna nel ’49, l’esperienza dei Cursillos de Cristianidad  risveglia l’impegno cristiano attraverso un cammino comunitario. Negli anni ’50, in  Polonia, ha origine il movimento Luce-Vita che supera il divieto fatto alla Chiesa di promuovere organizzazioni per la gioventù. In Ungheria, Regnum Marianum aiuta la gente a sopravvivere alla violenza del sistema politico. In Italia, Padre Lombardi fonda il Movimento per un Mondo Migliore. Contemporaneamente prende vita, con Padre Rotondi, il Movimento Oasi per la formazione spirituale ed apostolica.
Nell’ambiente universitario di Milano, nel 1954, don Giussani è ispirato a dar vita ad un’iniziativa che sarà la matrice della futura “Comunione e Liberazione”.
Sono soltanto alcuni tra i tanti movimenti già attivi nella Chiesa all’inizio del Concilio Vaticano II, quando i Padri Conciliari riconoscono che è avviata «una nuova stagione aggregativa dei fedeli laici».  Il fenomeno, da quel momento in poi, assume dimensione sempre più vaste. Nel 1964, in Spagna, un giovane laico Kiko Arguello, insieme a una giovane ragazza Carmen Hernandez, inizia un’esperienza di pastorale nuova per le parrocchie: è il Cammino Neo-catecumenale. Nello stesso anno, a Trosly, nel nord della Francia, il Canadese Jean Vanier realizza la prima comunità dell’Arche dove le persone handicappate mentali ed altri condividono la vita pienamente, vivendo e lavorando insieme.
 È del 1967 la nascita, negli Stati Uniti, del rinnovamento carismatico cattolico, sorto pochi anni prima come movimento carismatico in ambito protestante. Diffuso rapidamente in tutto il mondo, si è sviluppato in vari gruppi e in tutte le Chiese cristiane, con lo scopo di far rivivere l’esperienza dello Spirito. Da esso hanno preso vita molte delle cosiddette “nuove comunità”.

Il papa Giovanni Paolo II, verso la fine del suo pontificato, si trova davanti una realtà ormai matura e avverte il bisogno di dare pieno riconoscimento a questa nuova ondata dello Spirito nella Chiesa. Decide così di portare in piazza san Pietro oltre 60 movimenti a celebrare la Pentecoste ’98 insieme a lui. In quell’occasione egli stesso si pone la domanda: «Cosa si intende, oggi, per “movimento”?», indicandoli come «una concreta realtà ecclesiale a partecipazione in prevalenza laicale», «un sostegno potente, un richiamo suggestivo e convincente a vivere appieno, con intelligenza e creatività, l’esperienza cristiana», così da essere capace di «risposte adeguate alle sfide e alle urgenze dei tempi e delle circostanze storiche sempre diversi». 

martedì 13 maggio 2014

Reciprocità, cifra del cristianesimo


Il nuovo numero della rivista “Unità e Carismi” ha come titolo: “È dando che si riceve. Per un’antropologia della reciprocità”. Ho intitolato l’editoriale: “Reciprocità, cifra del cristianesimo”; essa ne è infatti lo specifico, la caratteristica. Iniziò così il mio breve contributo:

Se tutte le religioni conoscono il primo comandamento dell’amore di Dio e il secondo dell’amore del prossimo (la “regola d’oro”) è tipico del cristianesimo, ed è “nuovo”, il comandamento dell’amore “reciproco”. Soltanto Gesù, venendo da Dio, poteva rivelare che Dio è Amore non soltanto al di fuori di sé, verso la creazione, ma dentro di sé, nella relazione della pluralità delle Persone.
Giovanni lo riporta quattro volte nel suo Vangelo: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (13,34; 13,35; 15,12; 15,17); lo riprende poi per ben sei volte nella sua prima e seconda lettera – «Questo è il messaggio che avete udito da principio: che ci amiamo gli uni gli altri» (1 Gv 3,11; 3,23; 4;12; 2 Gv 1,5) –, motivandolo, come nel Vangelo, con l’esempio dato da Dio che è Amore (1 Gv 4,7; 4,11).
Questo comando appare già nel primo scritto ispirato del Nuovo Testamento, la prima lettera ai Tessalonicesi, dove Paolo prende atto della realtà dell’amore fraterno presente nella sua comunità; non c’è bisogno che egli scriva qualcosa al riguardo, perché «voi stessi avete imparato da Dio ad amarvi gli uni gli altri» (4,9); per questo aveva innalzato la preghiera al Signore che «vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti» (3,12). Nella seconda lettera ai Tessalonicesi si nota che l’amore reciproco tra i membri della comunità va crescendo (1,3).
La reciprocità appare così come la cifra del cristianesimo. 

lunedì 12 maggio 2014

15 maggio: appuntamento con apa Pafnunzio



Ci vediamo nel deserto?
Giovedì prossimo, 15 maggio, dalle 19.30 alle 20.30, nella sala sopra l’atrio della chiesa di sant’Eustachio (nell’omonima piazza) a Roma, si terrà il consueto incontro dei “Colloqui su Dio”. 
Questa volta avremo due ospiti d’eccezione, il rettore della chiesa, che guida abitualmente esperienze di permanenza nel deserto, e… apa Pafnunzio! Entrambi dialogheranno tra loro sulla spiritualità del deserto. Ingresso libero, naturalmente (forse 10 euro per comprare il libro di apa Pafnunzio, per chi già non lo avesse): il deserto non ha barriere!

domenica 11 maggio 2014

Paolo VI, il papa della mia giovinezza



Paolo VI beato. La notizia ha fatto subito il giro del mondo. È proprio vero che non c’è due senza tre. Come si è potuto inneggiare ai papi del Concilio Vaticano II escludendo colui che ne ha portato tutto il peso?
Non posso negare che è stato il “mio” papa, il papa della mia giovinezza, quello che mi ha fatto sognare una nuova Chiesa.



Sarà un caso che proprio il 19 ottobre, il giorno della sua beatificazione, coincida con il giorno della beatificazione, da lui proclamata, di Eugenio de Mazenod? “Fu un appassionato di Gesù Cristo – disse in quell’occasione –, che ha vissuto totalmente per la Chiesa”. Era la definizione di Eugenio de Mazenod, ed è la definizione dello stesso Paolo VI.