giovedì 22 maggio 2014

C'era una volta l'autoscatto

Il neopremier francese Manuel Valls aspetta, paziente, che l’intraprendente moglie del ministro dei trasporti dell’India, avvolta nel suo bel sari, scatti il selfie con papa Francesco. La scena, teletrasmessa al termine della cerimonia di canonizzazione dei due papi, non è nuova: il selfie di Francesco con i teenagers ha fatto il giro del mondo. È un fenomeno dilagante, dal presidente Barack Obama con il primo ministro britannico David Cameron e la premier danese Helle Thorning Schmidt durante il funerale di Nelson Mandela, fino ai cantati, agli attori, alle persone più comuni, adolescenti e non solo.
Non è l’autoscatto di una volta, che aveva lo scopo di ricordare un momento importante. L’immagine selfie non è per sé ma per gli altri, ed è tale solo quando è condivisa sui social media. Non è proprio una novità. Erano un po’ selfie anche gli autoritratti che Benozzo Gozzoli, Michelangelo, Caravaggio lasciavano come firma sui loro affreschi, o quelli di Leonardo da Vinci, Van Goog, De Chirico, Guttuso.
Cosa c’è dietro questo fenomeno? Desiderio di immortalità, bisogno di affermazione, esibizionismo? Un po’ tutto questo. Soprattutto, come ha scritto pochi mesi fa, sul New York Times, l’attore americano James Franco, il “re del selfie”, “è un modo per attirare l’attenzione e, santo cielo!, quello che ognuno cerca è proprio attenzione”. Mi sembra un segnale importante. Quante volte abbiamo visto i bambini piangere senza motivo o fare gesti un po’ insulsi per il solo intento di attirare l’attenzione. Hanno bisogno di essere toccati, di sentirsi rivolgere la parola, ma anche di essere guardati. Non a caso che si usa l’espressione: “Devo guardare il bambino”, “Guardami la bambina”, nel senso di prendersi cura. Siamo un po’ tutti bambini, o semplicemente esseri umani. Il fenomeno selfie ci ricorda che non si può vivere senza prendersi cura gli uni degli altri.
La novità rispetto all’autoscatto è anche la possibilità che il selfie offre per attuare un ulteriore insopprimibile bisogno umano, quello di comunicare. Un fatto, un sentimento, un momento della propria vita, non è compiuto fino a quando non è condiviso. Siamo davanti a un semplice strumento, a doppio taglio come sempre, può portare a forme morbose di dipendenza o contribuire a costruire la fraternità.

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