mercoledì 31 ottobre 2012

Anche gli Oblati sono chiamati alla santità


Anche gli Oblati, come tutti i cristiani, sono chiamati alla santità. Sant’Eugenio de Mazenod, per primo, ha nutrito un desiderio sempre crescente di santità, e l’ha raggiunta.
L’ha desiderata per sé: “Noi stessi dobbiamo essere veramente dei santi. Questa parola sintetizza tutto ciò che potremmo dire”, scriveva quando ancora sognava un suo progetto di vita (A Tempier, 13 dicembre 1815).
L’ha sognava per tutti coloro ai quali era rivolto il suo ministero: voleva “condurre le persone ad essere prima ragionevoli, poi cristiane e infine aiutarli a diventare sante” (Prefazione alla Regola).
L’ha desiderata per gli Oblati, che supplicava: “In nome di Dio, siamo santi” (18 febbraio 1826). Voleva, come scrive nella Regola, che essi “ardessero dal desiderio della propria perfezione” (art. 697). Per loro pregava costantemente “perché la grazia vi mantenga ogni giorno nella più alta santità” (A p. Végreville, 17 aprile 1860).
Ha creato la comunità oblata come un luogo di santificazione: “ci aiuteremo insieme… per la nostra santificazione comune”, scriveva al futuro primo compagno, chiedendo di “lavorare insieme alla gloria di Dio e alla nostra santificazione” (A Tempier, 13 dicembre 1815).
 Ha abbracciato la vita religiosa come mezzo efficace di santificazione e ha scritto una Regola per indicare la via della santità ; essa serve “per la vostra santificazione” (A p. l’Hermette, 17 agosto 1852) e in essa “si trova il segreto della vostra santificazione, contenendo tutto quanto può condurvi a Dio” (Lettera circolare, 2 agosto 1853).
Ha scelto la missione come ministero nel quale santificarsi e santificare. Ha compreso e costantemente sottolineato l’intrinseco legame tra santità e missione. “A quale santità non ci obbliga la vocazione apostolica, che ci spinge a lavorare senza sosta alla santificazione delle anime con i mezzi che hanno usato gli apostoli?” (Note di ritiro, 1826).
Essere santi e uomini apostolici sono sinonimi. A p. Tempier chiedeva di raccomandare ai missionari “di vivere da santi e da veri apostoli” (30 marzo 1826). E a p. Mouchette, riguardo agli scolastici: “Devono sapere che il loro ministero è la continuazione del ministero apostolico… Che si affrettino dunque a diventare santi, se ancora non si è giunti ad essere come occorre essere” (2 dicembre 1854). “Il missionario - scrive a chi gli domanda la descrizione della nuova vocazione – essendo chiamato proprio al ministero apostolici, deve tendere alla perfezione… Deve dunque fare di tutto per pervenire a questa santità bramata, che deve produrre frutti così grandi” (6 gennaio 1819).
Si raggiunge quindi la santità vivendo con interezza la vita missionaria e religiosa: “Tutti i membri della Congregazione lavorano a diventare santi nell’esercizio del loro ministero e nella pratica esatta delle Regole comuni” (A p. Courtès, 13 marzo 1830).
In modo particolare: diventando altri Gesù, vivendo uniti, donandosi interamente alla missione, con totalità. Sant’Eugenio non è mai stato l’uomo del compromesso o delle mezze misure e anche ai suoi ha proposto un impegno radicale di vita: “Nella nostra famiglia non voglio stoppini fumosi: che si arda, che si scaldi, che si illumini oppure ci se ne vada” (19 luglio 1846). Il cammino che propone abbraccia la vita intera. Gli Oblati, leggiamo nella Prefazione alla Regola, “devono lavorare seriamente a diventare santi, […] vivere […] in una volontà costante di giungere alla perfezione”. “Nessun limite alla nostra santità personale”, esclamava il superiore generale p. Léo Deschâtelets leggendo questo testo (Circolare 191, 15 agosto 1951).
Che questa non sia soltanto un ideale o un’utopia lo dice la santità di sant’Eugenio e quella di tanti altri Oblati che lo hanno seguito. “Preti santi, questa la nostra ricchezza”, esclamava lui stesso (18 agosto 1925).
Potremmo dire anche noi quello che egli diceva guardando gli Oblati: “Mi glorierò dei miei fratelli, dei miei figli, perché mancando io di virtù che mi siano proprie e personali, mi sento fiero delle loro opere e della loro santità”.
Ma forse dovremmo fare di più: diventare come loro. “Noblesse oblige - scriveva il superiore generale mons. Dontenwill in occasione del primo centenario della Congregazione. Figli e fratelli di santi, noi stessi dobbiamo lavorare a diventare santi” (Circolare n. 113, 25 dicembre 1915).

martedì 30 ottobre 2012

Tutti santi: non siamo soli in questo cammino


Il Concilio Vaticano II ci ha ricordato con forza che siamo tutti chiamati alla santità. Ma prima di essere una chiamata essa è un dono che Dio ci fa in Gesù, che è la nostra santificazione (Cor 1, 30): «siete stati santificati, nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio» (1 Cor 6, 11). Ci ha resi partecipi della santità di Dio: dandoci la vita stessa di Dio: siamo «partecipi della natura divina» (1 Pt 1, 4); un «germe divino dimora» in noi (1 Gv 3, 9); «Siamo figli di Dio, e lo siamo realmente!» (1 Gv 3, 1). È un dono che Gesù ha pagata a caro prezzo: «siamo stati santificati mediante l'offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre» (Eb 10, 10).
Il frutto è la nascita di un popolo santo: «Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato» (1 Pt 2, 9-10). Gesù ha infatti «ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa» (Ef 5, 25-27). È una “santità collettiva”, come ci ricorda ancora il Concilio: «Dio ha voluto santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra di loro, ma volle costituire di loro un popolo che lo riconoscesse nella verità e fedelmente lo servisse» (LG 9).
Dono di Dio la santità è un germe di vita che attende di crescere e giungere a pienezza: è questo il nostro compito, la nostra riposta d’amore all’iniziativa d’amore di Dio. «I fedeli – ci ricorda ancora il Vaticano II – devono, con l'aiuto di Dio, mantenere e perfezionare, vivendola, la santità che hanno ricevuta» (LG 40). È l’invito che Gesù stesso ci rivolge: «Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5, 48).
Festa di Tutti i Santi, invito a guardare in alto, a quell’infinita schiera di “santi” che già popolano il Paradiso e che fanno tifo per noi, perché siamo anche noi là dove sono loro. Non siamo soli in questo cammino.

lunedì 29 ottobre 2012

Cronache Oblate dal Vaticano II / 3 – Il Papa dà fiducia agli Oblati



Dall’Agenzia Romana Oblati di Maria Immacolata (A.R.O.M.I.) - Ottobre 1962, Casa generalizia: Il Rev.mo Padre Generale al Concilio

Ci affrettiamo a comunicare questa notizia dell’ultim’ora, che riempie di gioiosa riconoscenza verso il Sovrano Pontefice Giovanni XXII tutta la Congregazione. Una lettera di S.E. Mons. Pericle Felici, segretario generale del 2° Concilio ecumenico Vaticano, in data 3 ottobre, al Rev.mo Padre Generale, inizia così:
“Mi è grato comunicare alla vostra Paternità Reverendissima che il Santo Padre si è degnato concedere alla Vostra Paternità il privilegio di partecipare al prossimo Concilio ecumenico Vaticano, in qualità di Padre, con voto deliberativo”

La rivista italiana “Missioni OMI” commentava la notizia:
La nomina del Santo Padre può essere considerata come un riconoscimento della Chiesa al lavoro missionario dei quasi ottomila Oblati di M.I. nel mondo. Essa è una grande gioia e un onore per tutta la Congregazione. Essa è però innanzitutto approvazione e fiducia verso la persona del suo massimo Superiore… Noi sappiamo che ardono profondamente nel suo cuore i sentimenti dell’Oblati tratteggiato dal Fondatore: “nulla si deve lasciare intentato per l’avanzamento del Regno di Cristo”; “ogni Oblato deve essere infiammato dal desiderio fervente di diffondere la salvezza delle anime più abbandonate”… E se qualcuno vuole essere missionario, non esiti a diventare uno dei nostri: anche il Papa ci ha accordato piena fiducia.

domenica 28 ottobre 2012

La famiglia di Chiara


Dopo che per vent’anni ogni giorno vi ho celebrato la messa, il Centro Mariapoli di Castelgandolfo è diventata un po’ la mia casa, anche adesso che vivo a Roma.
Oggi vi sono tornato in veste nuova, con tutta la grande famiglia del Movimento della zona di Roma, nella quale sono ormai inserito. 1200 persone che si ritrovano insieme per raccontarsi la vita di questa grande Famiglia di Chiara, per condividere esperienze e progetti. Una porzione viva del popolo di Dio decisa a vivere e a trasmettere il Vangelo.
Il momento che più mi ha toccato è stato quando, durante la messa, ho distribuito la comunione verso il fondo della sala, dove erano concentrate le famiglie giovani. Vedere passare decine e decine di mamme e papà con neonati o bambini piccoli in braccio e per mano è stato uno spettacolo unico. Mi sembrava così bello cogliere la realtà della vita che si rinnova e insieme della vita cristiana che si rinnova. La famiglia cresce e con essa la speranza. Maria continua ad essere Madre della Chiesa e a generare Gesù in questa nostra umanità.

sabato 27 ottobre 2012

Piccole comunità che fanno bella la Chiesa


Un invito a bruciapelo di due studentesse del Claretianum mi porta in una delle tante parrocchie di Roma: san Frumenzio (chi era costui?) nel quartiere del Nuovo Salario. Una chiesa moderna, bella, in un quartiere nato dal nulla, una grande varietà di servizi alloggiati nel vasto spazio delle opere parrocchiali: assistenza alle ragazze di strada, casa di accoglienza per anziani, asilo nido, case-famiglia, gemellaggio con un villaggio del Mozambico dove è stata costruita chiesa, asilo, casa per anziani, aule scolastiche, 20 case per le famiglie più povere del villaggio…
Sono a pranzo con mamme provenienti da varie parti del mondo che vengono accolte nelle strutture parrocchiali con i loro bambini per almeno un anno, in attesa di una sistemazione definitiva. La lunga tavolata è una festa, con i bambini piccoli, i volontari che ogni giorni preparano il pranzo, aiutano… Mi sembra un sogno. Sono accanto a una bambina somala, e un’altra piccolissima della Bolivia, a un bambino vivacissimo della Bielorussia che vuole starmi in collo…
E qui le mie studentesse che vivono con loro e assicurano soprattutto la presenza notturna. Fanno parte di una nuova comunità, le Serve del Vangelo, ormai diffuse in mezza Europa, in Sud America, Corea, Ucraina, Israele, Togo. Piccole comunità nascoste e silenziose che fanno bella la Chiesa.

venerdì 26 ottobre 2012

Cronache Oblate dal Vaticano II / 2 – Il Concilio e la stampa


Il 3 dicembre 1960 prima conferenza stampa in Vaticano, per annunciare l’istituzione di un Ufficio stampa del Concilio. Ma nel “regno del segreto” quella prima conferenza fu un fallimento. Il povero cardinal Pericle Felice era un bel tipo, ma alieno dai giornalisti. Peggio ancora la seconda, il 21 maggio. I giornalisti devono avere pazienza, disse il cardinale, “Il Concilio è un atto della suprema autorità dottrinale e di governo dei successori degli apostoli sotto l’autorità del papa. Tutti devono alzare in silenzio il devoto sguardo verso costoro e pregare lo Spirito Santo di vorverli illuminare”.
Comunque almeno un giornalista poté assistere alla prima seduta del Concilio, il 13 ottobre 1961, Svidercoschi: la sera prima riuscì a nascondersi in san Pietro all’orario di chiusura, vi passò la notte e così il segreto fu infranto.

Continuiamo a leggere dall’Agenzia Romana Oblati di Maria Immacolata (A.R.O.M.I.)
 Febbraio 1961, Casa generalizia: Nomine per il Concilio.
Il 23 febbraio 1961, con lettera di S.S. Giovanni XXIII, il R.P. André Guay, procuratore generale presso la Santa Sede, è stato nominato Consultore della Commissione pontificia dei Religiosi per la preparazione del Concilio ecumenico Vaticano (II).
Tre RR.PP. Oblati sono ugualmente al servizio delle Commissioni pontificie per la preparazione del Concilio. Sono:
il R.P. Nikolaus Kowalsky, archivista della S.C. di Propaganda, che adempie questa stessa funzione presso la Commissione pontificia delle Missioni;
il R.P. Michel Leclercq, impiegato alla S.C. del Santo Ufficio, che adempie la funzione di “minutante” (capo ufficio) presso la Commissione pontificia di Teologia;
il R.P. Léo Laberge, richiamato da Ottawa su richiesta di S.E. il cardinale Ottaviani, per adempiere al compito di scrittore presso la Commissione pontificia di Teologia.

giovedì 25 ottobre 2012

I racconti di Cafarnao sono un audio-libro


Due anni fa Parlaci di Lui. I racconti di Cafarnao, è stato tradotto in portoghese e pubblicato in Brasile. Adesso è diventato un audio-libro, letto da 5 attori. Una lettura di 3 ore.

Galilea. Qui tutto parla di Lui. Questo lago quieto, queste dolci colline, questa casa calda... Ad ogni passo un ricordo, ad ogni pietra una sua parola, ad ogni raggio di sole rivedo un suo sguardo, mai lo stesso, come non sono mai uguali le onde del lago, le nuvole che solcano il cielo…

mercoledì 24 ottobre 2012

Non solo il Dominus vobiscum

L’altro saluto iniziale rivolto all’assemblea all’inizio della messa è: “La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore dello Spirito Santo e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi”.
È la presa di coscienza di essere avvolti dalla Trinità, di essere coinvolti, presi dentro la vita dei Tre, resi partecipi della loro relazione d’amore. La Chiesa, presente in quelle poche o molte persone che si raccolgono per celebrare l’Eucaristia, è Ecclesia de Trinitate, come ci ricorda il Concilio utilizzando la celebre espressione di san Cipriano: «La Chiesa universale si presenta come un popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (Lumen gentium, 4). La preposizione latina “de” evoca simultaneamente l’idea di imitazione e quella di partecipazione: è “a partire” dall’unità dei Tre che si prolunga “l’unificazione” del popolo. Unificandosi, questo partecipa a all’unità dei Tre, tanto che l’unità della Chiesa non è più intelligibile senza quella della Trinità.
Trinitaria è l’origine della nostra assemblea liturgica, come leggiamo sempre nel Concilio: la Chiesa «procedente dall’amore dell’eterno Padre, fondata nel tempo dal Cristo Signore, radunata nello Spirito Santo...» (Gaudium et spes, 40). Trinitario ne è il modello e il principio come afferma sempre il Concilio in un altro testo incisivo: «di questo mistero (della Chiesa) il modello supremo e il principio è l’unità nella Trinità delle persone di un solo Dio Padre e Figlio nello Spirito Santo» (Unitatis redintegratio, 2). Trinitario è l’esito del suo cammino nella storia: «la Chiesa prega insieme e lavora, affinché l’intera pienezza del cosmo si trasformi in Popolo di Dio, corpo del Signore e Tempio dello Spirito Santo, e in Cristo, Capo di tutte le cose, sia reso ogni onore e gloria al Creatore e Padre dell’universo» (Lumen gentium, 17). Una Chiesa tutta divina, penetrata da un Dio che è relazione d’amore, per diventare relazione d’amore.
Ma che bel saluto!

martedì 23 ottobre 2012

Il dono della melagrana


È uno dei più bei doni dell’autunno (com’è generoso!), assieme alla castagna, la noce, il kaki, l’uva…
Mi piace il suo sapore fresco e asprigno. Mi piace soprattutto tenerlo sul tavolo, ornamento dai colori vivi e tenui insieme.
La sua bellezza ha più valore dei suoi innumerevoli significati di fertilità, di unità, ma anche del sangue di Cristo…
Nel Cantico dei Cantici è il frutto d’un albero esotico, l’albero dell’amore, che viene dalla Persia, come il noce.
La sposa: “Di buon mattino andremo alle vigne; vedremo se fioriscono i melograni: là ti darò le mie carezze".
Lo sposo: “Nel giardino dei noci io sono sceso, per vedere il verdeggiare della valle; per vedere se la vita metteva germogli, se fiorivano i melograni.
Paolo me l’ha colto come ogni anno e me l’ha donato, gesto d’amicizia. Ora mi fa compagnia, giallo e vermiglio.

lunedì 22 ottobre 2012

Dominus vobiscum

A volte sento che il prete, all’inizio della messa, dopo aver proclamato: “Il Signore sia con voi”, avverte il bisogno di aggiungere: “Buon giorno”, così da rendere più familiare il rapporto con i fedeli.
Legittimissimo. Ma a volte può denotare l’incomprensione e lo svuotamento del senso del saluto liturgico trovo usato fino a diventare insignificante e formale.
Invece è il saluto che l’angelo rivolse a Maria e che noi ripetiamo almeno 50 volte al giorno nel Rosario: “Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te”.
Strano che la stessa frase alla messa si traduca con un esortativo e nell’Ave Maria con un indicativo, eppure in ambedue i casi nel latino manca il verbo: “Dominus vobiscum”; “Dominus tecum”. Perché nel primo caso si sottintende sit e nel secondo est? I liturgisti sapranno spiegarlo. Di fatto, almeno nella messa in lingua portoghese si dice “Il Signore è con voi”, si prende atto di una realtà: nell’assemblea riunita nel nome di Gesù per pregare insieme egli è presente. Mi colpì quando lo sentii per la prima volta in Brasile.
Si comprende allora la riforma liturgica, che invita il celebrante non più a rivolgere le spalle all’assemblea e a pregare verso oriente, verso la direzione di un Dio lontano; ma a rivolgersi verso l’assemblea, radunata attorno all’altare, perché è lì, nell’unità del popolo di Dio che si è reso presente l’Emmanuele, il Dio cristiano che insieme preghiamo.
Quel saluto, detto all’inizio e ripetuto prima del vangelo, della preghiera eucaristica e della preghiera cristiana, è più di un augurio o di un semplice bisogno; è lo svelamento del mistero di Dio tra noi.

domenica 21 ottobre 2012

Appuntamento al Claretianum

Punto ristoro nella Basilica san Pietro durante il Concilio:
bar Jona o bar-abba?
Martedì 23 ottobre, alle ore 16.00, al Claretianum, inaugurazione dell’Anno Accademico con la Lezione inaugurale tenuta del Prof. Fabio Ciardi, omi, dal titolo: “L’evento del Concilio Vaticano II interpella la Vita Consacrata”.
La signoria vostra è gentilmente invitata. (Largo Lorenzo Mossa, 4, Roma; accanto all’Hotel Ergife, via Aurelia). Seguirà rinfresco nei locali dell’Istituto.

Cosa dirò mai? Cose sagge e sensate… spero. Mi piacerebbe comunque raccontare barzellette e aneddoti del Vaticano II.
- Già prima dell’inizio dell’assise conciliare si sentiva dire: “Se la lingua ufficiale sarà il latino si allargherà l’area della Chiesa del silenzio”.
- Nelle navate laterali della basilica di san Pietro, erano stati allestiti due punti di ristoro. Il compassato presule indiano Eugene Louis D’Souza, ricordando che Pietro in aramaico era chiamato Bar Jona (figlio di Giona), cominciò a denominare uno dei punti di ristoro… “Bar” Jona e l’altro “Bar”abba.
- “Concilia”, chiede il vigile al vescovo brasiliano che con la Vespa guida contromano. “No, Concilio!”.
Come si può notare, per preparare la prolusione accademica mi sono ben documentato.
Siete tutti invitati.

sabato 20 ottobre 2012

Cronache Oblate dal Vaticano II / 1

Padre Emanuele Doronzo

L’Agenzia Romana Oblati di Maria Immacolata (A.R.O.M.I.) pubblicò i suoi bollettini mensili di informazioni dal 1928 al 1966.
Sono andato alla ricerca delle brevi notizie che riguardavano il Concilio Ecumenico Vaticano II

AROMI, Settembre 1960, Casa generalizia: Nomine per il Concilio.
L’Osservatore Romano comunica una lista di Consultori della Pontificia Commissione Teologica per la preparazione del Concilio Ecumenico Vaticano (II). Tra i Consulori nominati da S.S. il Papa Giovanni XXIII, figurano il R.P. Marcel Bélanger, secondo vice direttore dell’Università di Ottawa e segretario della Società mariana canadese, e il R.P. Emanuele Doronzo, professore di teologia dogmatica all’Università Cattolica d’America a Washington e autore di una monumentale Somma teologica.
L’Osservatore Romano del 1° settembre annuncia ugualmente la nomina di diversi Oblati, ossia: 1) alla Commissione delle Missioni: come membri, il R.P. Johannes Rommerskirchen, bibliotecario della S.C. di Propaganda e il R.P. André Seumois, professore all’Ateneo di Propaganda; come consultore, il R.P. Armand Reuter, Direttore generale degli Studi. 2) alla Commissione dell’Apostolato dei Laici: come consultore, il R.P. Peter Pillai, superiore del Collegio St-Joseph di Colombo.

Si avviava proprio un grande cantiere. “Fu un momento di straordinaria attesa – ha scritto Benedetto XVI il 9 agosto 2012 ricordando quegli anni. Grandi cose dovevano accadere… aleggiava nell’aria un senso di attesa generale: il cristianesimo, che aveva costruito e plasmato il mondo occidentale, sembrava perdere sempre più la sua forza efficace. Appariva essere diventato stanco e sembrava che il futuro venisse determinato dal altri poteri spirituali. Affinché potesse tornare ad essere una forza che modella il domani, Giovanni XXIII aveva convocato il concilio…”

venerdì 19 ottobre 2012

La mitra e la testa di Wojtyla


In occasione della presentazione al Papa dei volumi della “Storia del Concilio Vaticano II”, curata dall’Istituto per le Scienze Religiose di Bologna e diretta dal Giuseppe Alberigo, Giovanni Paolo II ebbe a dire ai presenti che lui entrò in Concilio con una mitra e una testa e ne uscì con la stessa mitra ma una testa diversa 
E poi dicono che il Concilio non ha cambiato niente... almeno la testa di Wojtyla! E non è poco visto che è diventato. 

giovedì 18 ottobre 2012

Guardiamo al futuro per fare ancora cose grandi

Il conferimento dell'onorificenza
Ecco come ci ha cucinato
in tutti questi anni
Padre Santino Bisignano celebra 60 anni di vita religiosa. Un evento! Al Collegio Urbano di Propaganda Fide ci siamo tutti, noi della vecchia guarda, i suoi ex studenti. Un momento commovente, con tanto di consegna della Croce d’onore “Pro Ecclesia et Pontifice”, una delle più alte onorificenze pontificie. Ma la più alta onorificenza per Padre Santino è l’affetto e la riconoscenza di tutti noi.
Entrato a 19 anni dagli Oblati, proveniente dalle file dell’Azione Cattolica, avrebbe voluto partire per le missioni del Lesotho, in Sud Africa, ma erano soltanto in due e si doveva scegliere: l’altro, un certo Marcello Zago, fu mandato in Laos, mentre a Santino fu affidato il compito della formazione. Ed eccolo al liceo di Firenze dove l’ho conosciuto, superiore della comunità di Marino, dove c’ero anch’io, poi dello Scolasticato di Vermicino, dove c’ero sempre anch’io… Non so se fosse lui a seguire me o io a seguire lui… fino a quando sono diventato suo successore a Vermicino. Intanto continuava l’insegnamento all’Università Salesiana e al Teresianum. Insomma sempre con i giovani, col cuore giovane. E col cuore grande, costantemente dilatato sulle realtà ecclesiali, sociali, politiche, su raggio mondiale, con sguardo positivo, propositivo…
Celebrazione nostalgica di un passato lontano? Ma se Padre Santino ha appena cominciato! Non ha caso nel ricordo che ci ha lasciato ha riportato le parole di Giovanni Paolo II: “Guardiamo al futuro nel quale lo Spirito ci proietta per fare con noi ancora cose grandi”.

mercoledì 17 ottobre 2012

Georges-Hilaire Dupont, vescovo-cristiano al Concilio

Dunque giovedì scorso, 11 ottobre, in occasione della proclamazione dell’Anno della Fede e del 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, sono stato alla messa del papa, sul sagrato della basilica di San Pietro. Ma come ho fatto ad arrivare fin lassù? Semplice, accompagnavo uno dei 15 dei 70 vescovi ancora viventi che avevano partecipato al Concilio e che, invitati dal papa, si sono presentato a Roma. Uno di loro è appunto il mio oblato, mons. Georges-Hilaire Dupont, 92 anni.
Missionario in Ciad, fu consacrato vescovo nel 1964, e poté così partecipare alla terza e quarta sessione del Concilio. Aveva accettato la nomina a condizione di rimanere nella diocesi di Pala per 10 anni. Infatti nel 1975 si ritirò. Tornato in Francia, da allora ha sempre fatto il “parroco di campagna” a Vico, in Corsica, a Bollène (Vaucluse), in Normandia e anche in Sardegna con un unico obiettivo: “che la gente conosca Cristo”. “In seminario chi ci ha mai parlato dell’importanza di far conoscere Cristo? Il Concilio è stato un punto di partenza perché dicessimo ai cristiani di vivere il messaggio di Cristo”.
Il giorno prima della messa in piazza San Pietro si presenta un giornalista del giornale francese “La Croix”. Ma riesce a cavargli ben poco. Come fanno tante volte i vecchi, non si riesce a schiodarlo dal punto fisso: “Siamo dei battezzati, siamo figli di Dio! Ma vi rendete conto del valore del battesimo?”.
Allora il povero giornalista riparte con le domande sul Concilio e la risposta è sempre la stessa: “Il Concilio ci ha fatto prendere coscienza dell’importanza del nostro battesimo, che per me è il cuore del cristianesimo”.
“Ma voi vescovi francesi al Concilio, voi che venivate dall’Africa…” Niente da fare, mons. Dupont riparte col chiodo fisso: “Noi vescovi? Siamo soltanto servitori del popolo cristiano, per il resto cristiani, semplicemente cristiani, battezzati… e vi pare poco? è questa la nostra gloria! Sì, siamo tutti come piccoli rami di un grande albero: la radice è il Padre, il tronco è Gesù, la linfa lo Spirito Santo. Tutti piccoli rami, tutti un grande albero…” Sì, non è poco!

martedì 16 ottobre 2012

Concilio: La parola di Dio e il vescovo Bettazzi


L’11 ottobre, nel giorno anniversario dell’inizio del Concilio, in San Pietro ho incontrato il mio vecchio vescovo di quando ero in diocesi di Ivrea. Era uno dei 15 vescovi che avevano partecipato al Concilio venuto a Roma per il 50° anniversario. Oggi ho trovato questa sua testimonianza:


Quando entrammo nel Concilio avevamo ancora un certo timore della parola di Dio. Pensavamo fosse riservata alla gerarchia, e in effetti le cose andavano così…
La grande scoperta fu proprio quella del valore della parola di Dio: scoprimmo che il cristianesimo, o meglio l’essere cristiani, non equivale semplicemente a sapere delle verità, ma è un trovarsi a tu per tu con Dio che ti parla, che la fede è dire di sì a Dio che ti parla, e che, se le cose stanno così, per capire chi è Dio devi avere familiarità con la sua parola e non timore.

lunedì 15 ottobre 2012

Preghiera: tornare a casa


Nella festa di santa Teresa di Gesù il pensiero va spontaneo alla preghiera. In proposito ho trovato un altro dei “detti” del famoso apa Pafnunzio.

Quando, durante la collectio, apa Serapione chiese ad apa Pafnunzio perché la preghiera fosse il momento più bello della sua vita, egli così rispose:
Ricordi quando eravamo al nostro villaggio? Il momento più bello della giornata era quando a sera tornavamo a casa dal lavoro. Posavamo gli attrezzi, attaccavamo al muro il mantello e ci si sedeva attorno al fuoco. Si scambiavano le brevi notizie, si stava in silenzio a guardare la fiamma, infine attorno alla tavola consumavano il semplice pasto. Non era il momento più bello? Eravamo a casa.
La preghiera è tornare a casa e stare con i Tre, con la Madre, con i santi fratelli e sorelle nostri. Non era così che faceva il Signore quando a notte si ritirava solitario sul monte? Tornava a casa, parlava con il Padre e lo Spirito, respirava aria familiare e lì nel suo mondo ritrovava forza e coraggio per stare in mezzo alla gente e affrontare le contraddizioni e perfino la morte.
Quel momento di solitudine notturna del Signore per noi monaci si dilata sull'intera giornata. Intreccio le corde, preparo le ceste, coltivo l’orto, ma il cuore è a casa. È il momento più bello.
Egli mi parla attraverso le parole del Vangelo che recito a memoria, ma anche attraverso le parole che ha disseminato nei solchi della terra, nella volta del cielo, nel cuore degli uomini. Egli si rivolge a noi come ad amici e con noi si intrattiene per introdurci in casa con lui. Parlava a Mosè come ad un amici, come un uomo parla con il suo vicino. Parlava ai discepoli non come a servi ma come ad amici rivelando loro la Verità tutta intera. Parla anche a me.
E io gli rispondo, parlo con lui, come ad un amico dal quale mi so amato. E mi ritrovo in casa con lui, anche quando sono nella cella, o cammino nella steppa, o sto qui con voi. È il momento più bello della mia vita. 

domenica 14 ottobre 2012

La mia vita è una continua gioia

Oggi al Santuario del Gran Sasso si è celebrato il 150° anniversario della morte di San Gabriele dell’Addolorata. Quando, in occasione dell’inizio del processo di beatificazione, si aprì la tomba del giovane Passionista per portare via il suo corpo (il convento nel quale aveva abitato era ormai chiuso), i contadini dei dintorni corsero alla chiesa armarti di forconi e impedirono il trasferimento del loro “fraticello santo”. Gabriele era ormai abruzzese e doveva rimanere per sempre ai piedi del Gran Sasso, nella sua terra di elezione per volere di Dio. I Passionisti dovettero cambiare progetto: invece di portare via la salma del futuro santo fecero ritorno al loro vecchio convento dove innalzarono il santuario.
Il “ballerino”, come lo chiamavano a Spoleto, era sempre elegante, brillante, animatore delle feste. Quando sentì l’appello di Gesù lasciò tutto e lo seguì. Aveva 18 anni. Risultato? Scrive a casa: «La mia vita è una continua gioia; la contentezza che provo dentro queste sacre mura è quasi indicibile; le 24 ore della giornata mi sembrano 24 brevi istanti; davvero la mia vita è piena di gioia».
Che differenza con il giovane ricco di cui ci ha parlato oggi il Vangelo.
Stesso incontro con Gesù, stessa chiamata. Ma quale diverso esito. Il giovane del Vangelo non lascia e se ne va triste; Gabriele lascia tutto e trova la gioia.

sabato 13 ottobre 2012

Concilio Vaticano II, luogo di Gesù in mezzo


L’11 ottobre, commemorazione del Concilio Vaticano II, sulla piazza san Pietro il Patriarca di Costantinopoli, Bartholomeos I, ha tenuto un discorso di grande apertura ecumenica e di sentita speranza.
Dopo aver ricordato che in quegli anni era a Roma come studente, ha affermato che il Concilio è stato ispirato “dalla realtà fondamentale che il Figlio e il Logos incarnato di Dio è là «dove sono due o tre riuniti nel suo nome»” e che lo Spirito Santo avrebbe guidato a tutta la verità.
Ha tracciato le conquiste di questi 50 anni: rinnovamento dello spirito e ritorno alle origini attraverso lo studio liturgico, la ricerca biblica e la dottrina patristica, l'apertura al dialogo ecumenico…
Non ha negato le difficoltà che permangono nel cammino verso l’unità, ma ha concluso dicendo: “Ci uniamo nella speranza che venga rimossa la barriera tra la Chiesa d'Oriente e la Chiesa d'Occidente, e che si abbia finalmente una sola dimora solidamente fondata sulla pietra angolare, Cristo Gesù, il quale di entrambe farà una cosa sola".
Ha poi ricordato la promessa di Gesù di essere sempre presente tra noi, fino alla fino del mondo. È questa fede che ci dà la forza e il coraggio per andare avanti.
Avrei voluto salutarlo, ringraziarlo… ero a due passi da lui, ma le guardie pontificie sono inflessibili, fanno bene il loro lavoro! Sono comunque ripartito con la sua speranza e con fede rinnovata nell’unità.

venerdì 12 ottobre 2012

A 50 anni dal Concilio una gioia “sobria e umile”


P. Ludovico di Schoenstatt e Radi dei Focolari
La serata inizia davanti a Castel sant’Angelo. Sul palco la scritta che dà il titolo all’iniziativa promossa dall’Azione Cattolica: ''La Chiesa bella del Concilio''. C’è aria di festa, tanti giovani, la voglia di rivivere la primavera della Chiesa. Testimonianze, canzoni… e poi via in massa, in 40.000 lungo via della Conciliazione fino a piazza san Pietro, con le candele accese, quasi a voler rivivere quella memorabile fiaccolata che "incendiò" la stessa piazza cinquant'anni fa, proprio la sera di apertura del Concilio ecumenico vaticano II. Ci sono rappresentanti di tanti Movimenti e comunità. Un gruppo compatto di donne etiopi cammina dietro uno stendardo della Madonna attorniata da santi orientali. In piazza viene proiettato il video di quella sera con il saluto commovente di papa Giovanni XXIII. Come allora il papa si affaccia alla finestra. Chissà come doveva essere bello da lassù lo spettacolo della piazza illuminata da 40.000 fiaccole e soprattutto animata da un popolo di cristiani in festa.
Forse ci saremmo attesi le parole di fuoco e di incoraggiamento di Giovanni XXIII. Diverso è invece il tono delle parole di Benedetto XVI, lontanissime da quel clima di entusiasmo che aveva caratterizzato l’attesa e l’apertura del Concilio.
Ci ha aperto il suo cuore come aveva fatto l’altro papa, ma nel cuore di questo è apparsa una grande sofferenza. Anche lui Cinquant'anni fa in questo giorno era in piazza come lo eravamo noi ieri sera. Aveva ascoltato “il buon Papa, il beato papa Giovanni” che aveva parlato “con parole indimenticabili, parole piene di poesia, di bontà, parole del cuore. Eravamo felici, direi pieni di entusiasmo”. “Anche oggi siamo felici – ha continuato –, portiamo gioia nel nostro cuore, ma direi una gioia forse più sobria, una gioia umile”. E ha parlato del peccato originale che si è fatto “strutture del peccato”, della zizzania che c’è nel campo della Chiesa, dei “pesci cattivi” presenti nella sua rete, della barca della Chiesa che naviga “con il vento contrario”. “E qualche volta abbiamo pensato: il Signore dov'è, ci ha dimenticato!”
Non mancano segni di speranza, del fuoco dello Spirito “silenzioso” e “piccola fiamma”, di “carismi di bontà e di carità che illuminano il mondo”, di Cristo che continua a vivere in mezzo a noi…
Sono tornato a casa con una gioia “sobria e umile”, con un gran desiderio di condividere nella preghiera il peso che grava sul papa e di vivere con maggiore impegno per far la Chiesa sempre più bella.

giovedì 11 ottobre 2012

Ma cos’è questa benedetta fede?

Questa mattina sono stato in piazza san Pietro, come nei grandi giorni, agghindato solennemente con veste e cotta! Con posto riservato sul sagrato, subito dietro l’infinita schiera di vescovi e qualche monsignore con tricorno in testa sormontato da pompon rosso.
Che evento straordinario: essere lì con il papa, con tutti i membri del Sinodo, con Bartolomeo I, Patriarca di Costantinopoli, e Rowan Williams, Arcivescovo di Canterbury, con tantissima gente per l’apertura dell’anno della fede, nel 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II.
Il papa ci ha subito portato nel cuore della fede: Gesù, e ci ha donato la sua esperienza: “durante il Concilio vi era una tensione commovente nei confronti del comune compito di far risplendere la verità e la bellezza della fede nell’oggi del nostro tempo”. Ha poi indicato la direzione: “In questi decenni è avanzata una «desertificazione» spirituale. Che cosa significasse una vita, un mondo senza Dio... È il vuoto che si è diffuso”. In questo deserto tocca a noi riscoprire la gioia di credere e indicare la strada. L’anno della fede sarà dunque “un pellegrinaggio nei deserti del mondo contemporaneo, in cui portare con sé solo ciò che è essenziale: il Vangelo e la fede della Chiesa”.
Già, ma cos’è questa benedetta fede?
È ascoltare Dio che, come ci ricorda proprio il Concilio, “nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi per invitarli ed ammetterli alla comunione con sé”. Ed è rispondere a questo desiderio di Dio di instaurare un rapporto di amicizia e di comunione, aderendo pienamente, con tutta la persona – mente, forse, cuore, intelligenza – a quello che ci dice e a quello che vuole da noi (quindi metterlo in pratica, fidandosi di lui, farlo diventare vita!), fino ad entrare in un rapporto d’amicizia e di comunione con lui. Che dono grande!

mercoledì 10 ottobre 2012

50 anni fa la carezza di Giovanni XXIII


Domani è la festa del beato Giovanni XXIII, collocata nella significativa data dell’11 ottobre, a ricordare che è stato lui, quel giorno del 1962, ad aprire il Concilio Vaticano II.
Ho ascoltato e visto di nuovo il saluto che quella sera di 50 anni fa rivolse ai romani che spontaneamente si erano dati appuntamento in piazza san Pietro per festeggiare l’inizio del Concilio. Vale la pena vedere i 2 minuti e mezzo di questo straordinario video, il famoso discorso della luna: http://www.youtube.com/watch?v=BsPOplQzwps
Nelle parole del papa è quasi l’anticipazione del messaggio del Concilio: sguardo spalancato sul mondo intero, sull’intera creazione lì rappresentata dalla luna, il papa che si dichiara semplice fratello, l’invito alla pace, la vicinanza ai piccoli, agli ammalati, il parlare semplice e diretto, la simpatia per la gente, l’annuncio dell’amore di Dio, di Gesù vicino ad ogni persona, dell’amore fraterno… E un senso di ottimismo, di positivo, di gioia…

“Cari figlioli, sento le vostre voci. La mia è una sola, ma riassume tutte le voci del mondo; e qui di fatto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera… Osservatela in alto, a guardare questo spettacolo… Noi chiudiamo una grande giornata di pace… Sì, di pace: ‘Gloria a Dio, e pace agli uomini di buona volontà’…
La mia persona conta niente: è un fratello che parla a voi, un fratello divenuto padre per volontà di Nostro Signore… Continuiamo dunque a volerci bene, a volerci bene così; guardandoci così nell’incontro: cogliere quello che ci unisce, lasciar da parte, se c’è, qualche cosa che ci può tenere un po’ in difficoltà… Tornando a casa, troverete i bambini. Date loro una carezza e dite: “Questa è la carezza del Papa”. Troverete forse qualche lacrima da asciugare. Abbiate per chi soffre una parola di conforto. Sappiano gli afflitti che il Papa è con i suoi figli specie nelle ore della mestizia e dell’amarezza… E poi tutti insieme ci animiamo: cantando, sospirando, piangendo, ma sempre pieni di fiducia nel Cristo che ci aiuta e che ci ascolta, continuiamo a riprendere il nostro cammino. Addio, figlioli. Alla benedizione aggiungo l’augurio della buona notte”.

martedì 9 ottobre 2012

Nuova Evangelizzazione: per attrazione

Avanti tutta con il Sinodo sulla nuova evangelizzazione.
Una componente essenziale? La dimensione della comunione.
Perché la penetrazione del Vangelo risulti efficace e duratura difficilmente può essere frutto di singole persone. Occorre mettersi insieme, “che si rifaccia il tessuto cristiano delle stesse comunità ecclesiali” e quindi quello della società, come leggiamo ancora in Christifideles laici (n. 34). Si può pensare alla comunità parrocchiale, ma prima ancora a creare piccole cellule di credenti - nella famiglia stessa, nel luogo di lavoro, nel quartiere - che si incoraggiano a vicenda, si incontrano, si raccontano che cosa il Vangelo ha prodotto nella loro vita, si aiutano a capire come agire da cristiani, come rispondere alle necessità di quanti sono attorno a loro, a trovare le vie per la testimonianza e l’annuncio. È quanto sembra suggerire il documento finale della V Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano ad Aparecida: «La Chiesa cresce non per proselitismo ma per “attrazione”. La Chiesa “attrae” quando vive in comunione, giacché i discepoli di Gesù saranno riconosciuti se si ameranno gli uni gli altri come Lui ci ha amati (cf Rm 12, 4-14; Gv 13, 34)» (n. 159).

lunedì 8 ottobre 2012

Anche gli Oblati giocano a scacchi


P. Gennaro Cicchese, oblato di Maria Immacolata, è tornato a casa con la coppa! Terzo classificato nel torneo di scacchi al primo torneo internazionale riservato esclusivamente a preti, religiosi/e, provenienti da ogni parte del mondo, organizzato dal  Centro Sportivo Italiano  (5-7 ottobre a Roma, in Via della Conciliazione 1, e in altri luoghi della capitale). Una quindicina gli iscritti tra sacerdoti e religiosi di varie famiglie (a cominciare da Domenicani e Francescani), provenienti da Polonia, Cile, India, Filippine e Italia.
A fianco all’evento principale si sono svolti anche la 3° Italian Open Chess Software Cup, ovvero un torneo internazionale riservato ai motori scacchistici e giocato dal vivo nella bella Galleria Alberto Sordi in Roma, dove si è svolta anche la premiazione della Clericus Chess, e un torneo semi-lampo a squadre, per i ragazzi delle scuole primarie e secondarie della regione Lazio ed una simultanea di 30 giocatori contro un Grande Maestro di origine cubana, naturalizzato in Italia: Lexy Ortega.
Fosse stato nel 1300 o 1400 p. Gennaro sarebbe stato scomunicato. Pendevano infatti due scomuniche sulla testa dei preti giocatori di scacchi. E pensare che non soltanto è un gioco che acuisce l’intelligenza, ma che aiuta anche a “farsi uno” con l’altro. Non c’è nessun gioco come quello degli scacchi che alleni a entrare nel pensiero dell’altro. Non è un caso che P. Gennaro abbia scritto un bellissimo libro intitolato I percorsi dell’altro.
(A proposito di scomunica: Bastò che un Medici – appassionato di scacchi – diventasse Papa per abolirla di colpo…)

domenica 7 ottobre 2012

La cultura muove i romani


Il grande salone di Palazzo Barberini ieri sera non era più soltanto ambiente museale; aveva ritrovato la sua antica destinazione di sala per le feste. L’orchestra MuSa ha proposto musiche dall’Orfeo ed Euridice di Gluck fino a Strauss, passando per le musiche da film del Gattopardo… Arrivato alla prima esecuzione sono potuto entrare senza difficoltà. Al momento dell’uscita si era giù formata una fila interminabile di persone in attesa di entrare.
Ho pensato di passare alle scuderie del Quirinale per la mostra di Vermeer, ma qui la fila si snodava per centinaia di metri. Lo stesso per i Mercati di Traiano, per il Senato… Più contenuta quella di fronte al Palazzo Altemps: ho atteso due ore soltanto, ma ne valeva la pena. Nell’antico teatro poesia, prosa e  musica; nelle sale, tra le statue, performances teatrali di giovani attori…
La notte dei musei ha aperto le porte a tutti e ha arricchito le sale di teatro, musica, recitazione...
Quando mai file di persone che attendono per ore, per niente spazientite, per poter entrare nei templi dell’arte? E proprio romani… Tutte persone che forse non esigono lo scontrino, ma che comunque non entrano nella cronaca delle corruzioni vistose. C’è ancora di questa gente, che ama e gusta le cose belle.

67 Oblati in Via Aurelia 290

Le tre comunità oblate che abitano a Roma, in via Aurelia 290 – unite e distinte sul modello della Santissima Trinità – oggi si sono incontrare insieme per iniziare il nuovo anno: la comunità del Consiglio generale, quella della casa generalizia, quello dello scolasticato internazionale. Siamo 67 Oblati provenienti da più di 20 nazioni dei 5 continenti.
Gli Oblati. Ma che bella vocazione! Sono missionari: continuano l’opera di Cristo e degli Apostoli. Sono chiamati ad andare ovunque, insieme, in comunità, ad «annunciare chi è Cristo». Sono Oblati, ossia donati totalmente, senza condizioni e senza ritorno, a quel Dio cui già appartengono e di cui si professiamo creature, frutto del suo amore eterno. Oblati, fatti olocausto, immolazione di tutto il proprio essere a quel Dio che si è dato a loro interamente nel Figlio suo. Oblati, risposta d’amore all’amore con cui Cristo Gesù «mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2, 20), dedizione radicale, senza riserva, alla sua opera nell’adempimento della sua missione. E sono di Maria Immacolata, sono offerti come lei, sul modello di lei;  offerti da lei e in lei, a lei uniti nella sua stessa adesione a Cristo; con lei vivono la loro missione con lei. 

venerdì 5 ottobre 2012

I luoghi della nuova evangelizzazione




Nel 1974 Paolo VI guidò il Sinodo dei vescovi sulla evangelizzazione. Partecipai, come diacono, alla messa da lui presieduta nella Cappella Sistina. Si può mai dimenticare un momento come quello? In ogni caso a ricordarmelo ci sono le foto di allora… Un anno dopo, come frutto del Sinodo, il papa ci diede la straordinaria enciclica Evangelii nuntiandi.
Sono passati quasi quarant’anni ed ecco che fra due giorni Benedetto XVI apre il Sinodo sulla nuova evangelizzazione. Chissà che bella enciclica ci darà questa volta il papa…
In attesa, azzardo qualcosa sui luoghi della nuova evangelizzazione. Mi sembra siano quelli della presenza nel mondo del lavoro, della scuola, della sanità, del sport, della presenza nella famiglia, nel quartiere, in internet. Le azioni sono quelle di ogni giorno, anche le più semplici. Le persone alle quali essa si indirizza sono quelle con le quali si vive, si lavora, si gioca, quelle con le quali ci si incontra, dal giornalaio al farmacista, dal parrucchiere agli inquilini del palazzo, ai vicini di casa.
Con esse si è chiamati a creare rapporti di amicizia, mossi da un atteggiamento positivo, di simpatia, di apertura verso ciascuno. Non si tratta soltanto di gentilezza, cordialità, buone educazione, ma di quell’autentico comportamento evangelico che porta a interessarsi fino in fondo dell’altro, che si pone in ascolto attento e amoroso delle sue difficoltà, delle prove, delle esigenze, delle gioie e della festa, fino alla condivisione.
È quando era chiesto dall’esortazione apostolica Christifideles laici per superare la frattura tra Vangelo e vita e ricomporre “nella loro quotidiana attività in famiglia, sul lavoro e nella società, l’unità di una vita che nel Vangelo trova ispirazione e forza per realizzarsi in pienezza” (n. 34).

giovedì 4 ottobre 2012

La preghiera di san Francesco


La più famosa preghiera di san Francesco? Semplice! La Preghiera semplice: “O Signore, fa di me uno strumento della tua Pace…”. Preghiera bellissima, che vale la pena di imparare a memoria, come fanno gli Hindu. Peccato che non sia di san Francesco.
Fu scritta in francese nel 1912, quando san Francesco era morto da tempo. In Italia apparve per la prima volta sull’Osservatore Romano il 20 gennaio 1916.
Per fortuna san Francesco ci ha lasciato tante altre bellissime preghiere, proprio scritte da lui, come la Preghiera al Crocifisso di San Damiano:

Altissimo, glorioso Dio,
illumina le tenebre de lo core mio.
E damme fede dritta,
speranza certa e caritade perfetta,
senno e cognoscemento, Signore,
che faccia lo tuo santo e verace comandamento.
Amen.

mercoledì 3 ottobre 2012

Perché non pregare nella lingua della Chiesa?


Quando a Roma fu introdotta la lingua volgare nella preghiera liturgica il popolo non stava più nella gioia: finalmente poteva capire quello che diceva. L’aristocrazia invece lo considerò un tradimento della tradizione: “Ora che tutti capiscono, dove va a finire il mistero? Perché abbandonare la lingua della Chiesa per la lingua moderna?” Sì, fino ad allora la lingua della Chiesa era stato il greco. Adesso, con l’avvallo di papa Damaso, Ambrogio di Milano introdusse anche a Roma la recita in latino della preghiera eucaristica.

Immagino che una simile reazione ci sia stata quando san Paolo iniziò a celebrare la cena del Signore in greco: “Ora che tutti capiscono, dove va a finire il mistero? Perché abbandonare la lingua della Chiesa per la lingua moderna?” Sì, agli inizi la lingua della Chiesa era stato l’aramaico. Gesù non ha celebrato l’ultima cena né in greco né in latino, ma in aramaico. Era l’ebraico la lingua ufficiale della liturgia nel tempio, ma Gesù preferì utilizzare la lingua del popolo, quella che si comprendeva.

La storia si ripete e in nome della tradizione (quale tradizione? da quale anno comincia la tradizione?) si vuole reintrodurre la “lingua della Chiesa” (il latino? E perché non il greco, lingua nella quale è scritto il Nuovo Testamento? E perché non l’aramaico, la lingua parlata da Gesù, da Maria e dagli Apostoli?).
Meglio fare come Gesù e pregare come lui nella lingua del popolo, quella che gli faceva dire “Abbà”.