A volte sento che il prete,
all’inizio della messa, dopo aver proclamato: “Il Signore sia con voi”, avverte il bisogno di aggiungere: “Buon giorno”, così da rendere più familiare il
rapporto con i fedeli.
Legittimissimo. Ma a volte può denotare
l’incomprensione e lo svuotamento del senso del saluto liturgico trovo usato
fino a diventare insignificante e formale.
Invece è il saluto che l’angelo
rivolse a Maria e che noi ripetiamo almeno 50 volte al giorno nel Rosario: “Ave
Maria, piena di grazia, il Signore è con te”.
Strano che la stessa frase alla
messa si traduca con un esortativo e nell’Ave Maria con un indicativo, eppure
in ambedue i casi nel latino manca il verbo: “Dominus vobiscum”; “Dominus
tecum”. Perché nel primo caso si sottintende sit e nel secondo est? I
liturgisti sapranno spiegarlo. Di fatto, almeno nella messa in lingua
portoghese si dice “Il Signore è con voi”, si prende atto di una realtà:
nell’assemblea riunita nel nome di Gesù per pregare insieme egli è presente. Mi
colpì quando lo sentii per la prima volta in Brasile.
Si comprende allora la riforma
liturgica, che invita il celebrante non più a rivolgere le spalle all’assemblea
e a pregare verso oriente, verso la direzione di un Dio lontano; ma a
rivolgersi verso l’assemblea, radunata attorno all’altare, perché è lì,
nell’unità del popolo di Dio che si è reso presente l’Emmanuele, il Dio
cristiano che insieme preghiamo.
Quel saluto, detto all’inizio e
ripetuto prima del vangelo, della preghiera eucaristica e della preghiera
cristiana, è più di un augurio o di un semplice bisogno; è lo svelamento del
mistero di Dio tra noi.
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