venerdì 30 aprile 2010

giovedì 29 aprile 2010

Mangiare il Vangelo: aforisma di M. Delbrel

Il vangelo «non è fatto per essere letto, ma per essere ricevuto dentro di noi. Ciascuna delle sue parole – agili e libere – non attendono altro che l’avidità della nostra anima per fondersi con essa. In ogni frase di Gesù come pure nei suoi gesti si trova una forza folgorante che guarisce, purifica, risuscita» (M. Delbrel, La joie de croire, Seuil, Paris 1968, 144-145).

Primavera d'Oriente

Come non ricordare, in questa privamera, i fiori di ciliegi del Giappone?

martedì 27 aprile 2010

Il carisma e la regola / 1 - Il Vangelo Regola suprema

Inizio a mettere sul blog alcuni appunti su Carisma e Regola. clicca qui.
Spero che gli studenti interagiscano con osservazioni, suggerimenti, apporti significativi a partire dall’esperienza dei proprio Istituti. Naturalmente il campo è aperto a tutti (sia sul blog stesso come “commenti”, sia via e-mail).


Comincia Luigi Vitulano, che risponde al blog del 22 aprile:
"Sono curioso di leggere quanto scriverai per noi sul blog su corso che hai iniziato a Claretianum su le regole e il carisma degli istituti religiosi. Già su quanto hai scritto ti sottopongo alcune provocazioni. Già leggendo il titolo del vecchio libro di Colin, Il “culto” della regola, ho sentito disagio: “il culto”. Gli istituti non sono andati soggetti a una millenaria tentazione che li ha portati forse ad un immobilismo e alla poca creatività? Lo Spirito soffia, muove, crea. Gesù non ha detto al diavolo: “solo a Dio renderai culto”?
E poi l’altra parola: “stampo”. Una parola che mi dà l’impressione di religiosi fatti in serie, senza vita e senza apporto. Non dicono le Mutuae relationes che il carisma è un’esperienza dello Spirito in perenne crescita… (non ho sottomano tutta la citazione)? Sono solo delle provocazioni e sono desideroso di conoscere di più.

lunedì 26 aprile 2010

Le quattro posizioni delle mani di Dio / 2

Un aneddoto che mi scrive Luigi Vitulano riguardo al testo "Le quattro posizioni delle mani di Dio": Un’insegnante chiese agli scolari della sua prima elementare di disegnare qualcosa per cui si sentissero di ringraziare il Signore. Sapeva che avrebbero disegnato panettoni, tavole imbandite, qualcuno forse un po’ di natura o i genitori. Fu però stupita dal disegno di Tino: una semplice mano disegnata in maniera infantile. L’insegnante domandò di chi fosse la mano. “È la tua mano, maestra” mormorò il bambino. Si rammentò che tutte le sere prendeva per mano Tino che era il più piccolo e lo accompagnava all’uscita. Lo faceva anche con altri bambini, ma per Tino voleva dire molto. Hai mai pensato al potere immenso delle tue mani?

Spiritualità di comunione / 2

Come promesso ecco la seconda parte del testo di Giovanni Crisostomo sulla carità vissuta insieme:

Gran bene è l'assemblea (liturgica), che rende più calda la carità, da cui derivano tutti i beni; infatti non c'è opera buona che non nasca dalla carità. Perciò rendiamola più salda reciprocamente. "Infatti pienezza della legge è la carità". Non avremo da faticare, né da sudare, se ci vorremo bene gli uni gli altri; questa è una via che di per sé porta alla virtù. Come in una strada maestra, basta che uno l'imbocchi, essa lo conduce e non c'è più bisogno d'una guida; lo stesso è per la carità: purché uno incominci a praticarla, provvede essa a condurlo per la via giusta. "La carità è paziente, è benigna, non pensa male". Bisogna che uno guardi se stesso, quali sentimenti ha verso di sé, e poi li applichi tali e quali al suo prossimo. Nessuno è invidioso di se stesso, ognuno desidera a sé tutti i beni, stima se stesso più di tutti gli altri, fa tutto a proprio vantaggio. Se queste disposizioni le avremo per gli altri, scompariranno tutti i mali, non ci saranno più inimicizie, non ci sarà avarizia” (Giovanni Crisostomo, Omelie sull’Epistola agli Ebrei, 19,1. Versione, introduzione e note a cura di Bonifacio Borghini, Edizioni Paoline, Alba 1967, p. 289-90.

domenica 25 aprile 2010

Le quattro posizioni delle mani di Dio

Il vangelo di oggi ci dice che siamo nelle mani di Dio. Ma come tiene le mani Dio? Penso almeno in quatto posizioni.

1. Tiene la mano sinistra poggiata sulla destra. Sulla sinistra ha scritto il nome di ognuno di noi, in maniera da averci sempre sotto gli occhi, sempre presenti nel suo amore: “Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani” (Isaia 49, 16).

2. Tiene la mano destra poggiata sopra sulla mano sinistra, a protezione. Ognuno di noi è custodito nell’incavo della mano, proprio come nella scultura del 1902 di Auguste Rodin che mostra una grande mano che trattiene un blocco informe dal quale emergono due figure umane assopite. Isaia ci dice che Dio ha nascosto il suo popolo sotto l'ombra della sua mano (51, 16), in modo che sia tranquillo, al sicuro, senza temere pericolo alcuno. “La mia mano è il suo sostegno – dicesti di Davide – il mio braccio è la sua forza” (Salmo 89, 22).

3. La terza posizione è quella del vasaio: ci tiene tra le sue mani per lavoraci e plasmarci costantemente: “Come l'argilla è nelle mani del vasaio, così voi siete nelle mie mani, casa di Israele” (Geremia 18, 6).

3. Tiene nella mano destra la nostra mano sinistra, come fa un padre col suo bambino, per guidarci con sicurezza: “Se prendo le ali dell'aurora per abitare all'estremità del mare, anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra” (Salmo 39, 9-10); “Io sono con te sempre: tu mi hai preso per la mano destra” (Salmo 73, 23).

Sì, siamo nelle mani di Dio. Siamo al sicuro.

sabato 24 aprile 2010

Comunione e missione

KUK Chunshim, detta Sr. Pancrazia, oggi ha sostenuto la difesa della tesi di dottorato dal titolo “Comunione missionaria nella vita religiosa apostolica. Alla luce del magistero della Chiesa per una spiritualità della comunione evangelizzatrice”. Una tesi del genere è sempre una impresa! (per l’alunno… e per il professore che la modera, in questo caso il presente). Mezza Corea si è riunita al Claretianum attorno a Sr. Pancrazia. La lunga discussione si è conclusa, naturalmente con un buffet coreano!

Il tema della tesi, chiaro fin dal titolo, si presenta di vivo interesse e di estrema attualità in una Chiesa che, a partire dal Concilio, trova sempre più nella comunione e nella missione i due aspetti focali della sua identità e della sua vocazione. La riflessione sulla Chiesa ad intra e sulla Chiesa ad extra che, a partire dalla seconda sessione conciliare ha guidato la riflessione dei Padri, è stata profondamente unitaria richiamandosi mutuamente in maniera feconda. La prassi, sovente, tende tuttavia a semplificare e quindi a mortificare la complessità arricchente del mistero. Così, anche nel campo della comunione e della missione, non sono mancate le tensioni, fino a diventare contrapposizioni. Ne ha risentito particolarmente la vita consacrata proprio per la sua qualità di segno nella Chiesa e per la passione con cui ha vissuto la realtà conciliare e postconciliare.

La comunione diventerebbe sterile se non si aprisse alla missione per trasmettere l’esperienza di comunione e coinvolgere nella propria comunione, mediazione per la definitiva comunione trinitaria nella quale tutta la storia è chiamata a convergere. La missione mancherebbe di senso se non fosse animata dalla comunione e finalizzata alla comunione. La comunione, a sua volta, si impoverirebbe se non fosse dinamicizzata dalla tensione alla missione e dai frutti della missione. È insomma un processo scalare capace di garantire la freschezza, la novità, la creatività della vita consacrata, oltre che della Chiesa stessa. Lodevole quindi la scelta del tema, anche in risposta alle sfide sempre nuove con cui la vita consacrata è chiamata a confrontarsi.

venerdì 23 aprile 2010

Per una spiritualità di comunione

Per me scrivere un testo è sempre un momento creativa che dà gioia; è opera d’artista. Prepararlo per la pubblicazione è invece una fatica perché richiede la pignoleria del tecnico; è opera di artigiano. Sta per essere pubblicato su “Nuova Umanità”, in due puntate, un mio articolo sul combattimento spirituale. E siamo al lavoro tecnico… che a volte dà soddisfazione. Una citazione di seconda mano, un po' affrettata, di Giovanni Crisostomo mi ha portato a ricercarla per mari e per monti nella sua rara e introvabile versione italiana. Finalmente con l'aiuto di un collega e di una studentessa sono appagato perché il testo che alla fine è comparso è di una bellezza incomparabile.

Riferendosi all’apostolo Paolo, Giovanni Crisostomo afferma che egli «Conosceva che grande è l'influsso che viene dallo stare insieme; infatti: "Dove sono due o tre radunati nel mio nome, ivi io sono in mezzo a loro", e anche: "Affinché siano una cosa sola, come noi pure siamo una cosa sola"; così pure: "Uno solo era il cuore e l'anima di tutti". Non solo per questo, ma stando insieme s'accresceva la carità, e con il crescere della carità necessariamente ne viene l'azione di Dio, come dice: "Si faceva continuamente orazione dal popolo"(vedi: Atti 12, 5). (...) Dice: " Vigiliamoci a vicenda per stimolarci alla carità e alle opere buone". Sapeva che pure questo era un effetto delle loro adunanze. Infatti come il ferro aguzza il ferro,così lo stare insieme aumenta la carità. Se infatti un sasso strisciato contro un sasso manda fuori fuoco, quanto più un'anima a contatto con un'altra anima? (…)"Infatti il fratello aiutato dal fratello, è come una città fortificata"».

A domani la continuazione della lettura di questo gioiello di spiritualità di comunione.

giovedì 22 aprile 2010

La regola e il carisma

Ho iniziato un nuovo corso al Claretianum su le regole e il carisma degli istituti religiosi. E' una autentica avventura. Presto, su questo blog, alcune note.
In un famoso vecchio libro di Colin, "Il culto della regola", si dice che in essa «il fondatore ha riversato tutta la sua anima santa, come si versa l’acciaio fuso nello stampo. La Regola è l’incarnazione della sua anima e il reliquiario del suo spirito. Questo spirito si troverà incorrotto e incorruttibile nella Regola e nella Regola bisognerà cercarlo e, per essa, nutrirsene, se si vuole essere figli genuini del fondatore».
Dovrei provarlo... auguri!

mercoledì 21 aprile 2010

Aforismi: Giuseppe Mazzini

In risposta a Patrizia Malpaganti, un aforismo di Giuseppe Mazzini (così ci prepariamo al centenario dell'unità d'Italia): Che cosa è l'Amore se non potere di sentire la vita altrui?

La storia di Dio e la mia / 2

Grazie per quel pomeriggio straordinario passato a Prato sul dialogo interreligioso e per la presentazione del libro: in cui il tempo è letteralmente "volato" o in altro verso "si è fermato". Tu, davvero, come ha anche argutamente sottolineato Mons: Simoni, "hai dato il sangue" per noi. Ma ci hai anche inoculato la vera essenza del farsi uno, dell'inculturarsi. Ho capito che non ci vuole fretta, non ci vuole un fine (umanissimo!) da raggiungere, ci vuole invece la condivisione della vita, la cosa più facile da dire ma la più difficile in assoluto da mettere in pratica. Ho cominciato a leggere il tuo libro. Non è come gli altri tuoi che ho divorato, è da "gustare" (grazie della dedica) a piccole dosi. E' squisito e mi affascina. Te ne dirò meglio alla fine. (Patrizia Malpaganti)

sabato 17 aprile 2010

Sacerdoti fondatori

E' uscito l'ultimo numero di "Sequela Christi", la rivista della Congregazione dei religiosi. C'è anche un mio articolo sul ministero presbiterale a servizio del carisma. In sintesi:
Cosa ha significato il sacerdozio ministeriale per quei fondatori che erano presbiteri? Il loro essere preti ha in qualche modo influenzato la lettura dei segni dei tempi e la risposta carismatica da essi offerta nel dare vita ad una nuova fondazione religiosa? Si può trovare un’impronta dell’azione sacerdotale nell’opera da loro fondata? Il presente contributo intende rispondere a questi interrogativi, partendo da una rapida lettura dell’esperienza concreta di sette presbiteri-fondatori: Ignazio di Loyola, Camillo de Lellis, Giovanni Battista de La Salle, Eugenio de Mazenod, Giuseppe Benedetto Cottolengo, Giovanni Bosco, Vincenzo Grossi. Ne emerge la costatazione che la condizione presbiterale ha favorito l’insorgere dell’idea fondazionale e per alcuni di loro la missione che ne è scaturita si pone in linea con il proprio ministero, trovando in esso gli strumenti per tradurre in vita il progetto carismatico. A sua volta il carisma informa anche l’esercizio del ministero presbiterale, al punto che questo si pone a servizio di quello. È dunque il carisma il fattore attorno al quale si ritrova l’unità tra tutti i membri della comunità, presbiteri e religiosi fratelli, perché tutti a servizio dello stesso progetto. La presenza, nella Chiesa, di un presbiterato così strettamente legato ad un particolare carisma comunitario, conferma come sia radicata in essa la vita consacrata, al punto da non esserci Chiesa senza la multiforme espressione della consacrazione.
Se vuoi leggere l'articolo clicca qui

venerdì 16 aprile 2010

Il grido di Useppe, di Edvard Munch, di Gesù

Nei giorni della Settimana Santa, ne La Storia di Elsa Morante, ho riascoltato l’eco del grido di Gesù in Croce. Useppe, il bambino di Ida, effetto di epilessia, “addossato al muro del corridoio… con la faccetta chiusa come un pugno, contratta e raggrinzata in tante rughe… disse in una voce disperata: “A ’mà… pecché?”. In realtà, questa sua domanda non pareva rivolgersi proprio a Ida là presente: piuttosto a una qualche volontà assente, immane, e inspiegabile… Quella domanda: pecché? Era diventata in Useppe una sorta di ritornello… Lo si sentiva a volte ripeterla fra sé in una sequela monotona: “pecché? pecché pecché pecché pecché??” . Ma per quanto sapesse d’automatismo, questa piccola domanda aveva un suono testardo e lacerante, piuttosto animalesco che umano. Ricordava difatti le voci dei gattini buttati via, degli asini bendati alla macina, dei caprettini caricati sul carro per la festa di Pasqua. Non si è mai saputo se tutti questi perché innominati e senza risposta arrivino a una qualche destinazione, forse a un orecchio invulnerabile di là dai luoghi”.
Ho rivisto quel grido di Gesù in croce nel famoso dipinto di Edvard Munch, Il grido, del 1893, che sembra anticipare il sentimento tragico del Novecento. L’artista stesso ne rievoca le origini: «Passeggiavo con due amici quando il sole tramontò. Il cielo divenne all’improvviso di un rosso sangue. Io mi fermai, mi appoggiai stremato a un parapetto. Il fiordo di un nero cupo, bluastro, e la città erano inondati di sangue e devastati dalle fiamme. I miei amici proseguirono il cammino, mentre io, tremando ancora per l’angoscia, sentii che un grido senza fine attraversava la natura».
È proprio lo stesso grido di Gesù: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”.
La sua risurrezione è la risposta a tutti i “pecché”, a tutti i gridi inarticolati, anche quelli dei gattini, degli asini, dei caprettini, che attraversa tutta la natura…

giovedì 15 aprile 2010

Buona lettura!

Sotto le volte affrescate della sala capitolare, nel chiostro di san Domenico a Prato, viene presentato il mio libro "La storia di Dio e la mia". Presenta il libro Aileem Lorenzo, di Cuba, che era presente quando, tre anni fa, all'Havana ho tenuto le conferenze che sono all'origine del libro. Buona lettura!

lunedì 12 aprile 2010

Annunciare con la vita

Ieri a Prato, nel prestigioso chiostro trecentesco di san Domenico, si è tenuta la seconda serata della setti,mana dedicata a Chiara Lubich. A me il compito di parlare del dialogo interreligioso. Ho semplicemente narrato cinque esperienze con persone di altrettante religioni. Uno dei cinque è Nissho Takeuchi della Nichiren-shu, una delle molteplici correnti del buddismo giapponese.
Ha fatto costruire lui stesso il suo tempio moderno a Osaka, là dove un tempo sorgevano le industrie belliche; un luogo nel quale i ripetuti bombardamenti durante la guerra hanno causato migliaia di morti. Il reverendo Takeuchi ha scelto quel luogo per far salire una incessante preghiera per tutte le vittime della guerra.
Ci accoglie con molto calore e molti inchini. Ci introduce nel tempio acceso da colori vivaci tra cui predomina il rosso e l’oro dei legni laccati. Con l’assistenza di due sue discepole prega solennemente accompagnato dal suono del gong e dei sistri. Avverto tutta la sacralità e il peso di una tradizione millenaria, nata ben prima dell’avvento di Cristo. Anche più tardi, durante la breve permanenza in Giappone per un simposio buddista-cristiano, mi trovo davanti a monaci di grande levatura morale. E da buon Missionario Oblato di Maria Immacolata mi domando: In questi ambienti, come in quelli indù o musulmani, è possibile annunciare il Vangelo? I nostri missionari lo hanno annunciato alle persone delle culture che non avevano grandi tradizioni storiche. Ma nell’India, nel mondo musulmano il cristianesimo è accolto da un numero esiguo di persone. Qui in Giappone i cristiani non sono neppure mezzo milione, in una popolazione di 127 milioni. La Chiesa non cresce, possiamo dire che è quasi ferma al tempo di san Francesco Saverio. Di fatto i nostri missionari, che hanno fatto breccia nelle religioni tradizionali, non hanno minimamente scalfito le grandi tradizioni religiose.
Lascio cadere gli interrogativi e, dopo un intenso pomeriggio di dialogo, Nissho Takeuchi ci conduce in un albergo d’alta classe nel cuore della città, dove ogni mese incontra centinaia di dirigenti di azienda e uomini di affari provenienti da tutto il Giappone. “La nostra società, come in tutto l’Occidente, ha perduto il senso della norma sociale, dei valori ed è piombata in una crisi disperata. La risposta – ci spiega – è nella fede, ma nessuno accetta un discorso religioso. Per questo ho iniziato a dare corsi per insegnare come far funzionare un’azienda! In questo modo immetto i valori veri, quelli religiosi”.
Prima della cena una passeggiata nell’antico giardino della meditazioni, con steli, rocce, laghetto, bonsai… La cena, imbandita in una sala tutta per noi, a base di pesce crudo, secondo la più pura arte culinaria giapponese, è impreziosita dal clima creato dalla musica di sottofondo, dalla disposizione delle orchidee, dagli stessi camerieri e cameriere in alta uniforme…
Ed ecco il momento propizio: “Perché non ci racconta della sua vocazione monastica?”, gli domando. Il reverendo Takeuchi sembra colto di sorpresa, forse nessuno glielo ha mai chiesto. E parla, e parla… In risposta al dono anch’io gli racconto della mia vocazione, della mia prima preghiera, che ripete le parole dell’apostolo Tommaso: “Mio Signore, mio Dio” (e sono costretto a narrargli tutto il brano evangelico perché possa capire la preghiera…). Si commuove. Il volto austero e severo si trasfigura. Il clima di confidenza e di intimità che si sta creando mi consente di dirgli: “Mi sembra di vedere in lei un bambino evangelico”. E gli parlo del Vangelo, di Gesù. “Vorrei conoscere anche le esperienze degli altri”, ci dice. Ad uno ad uno i miei amici cristiani raccontano del loro incontro con Dio, le loro esperienze di vita.
Abbiamo terminato da tempo di mangiare, ma nessuno si muove. I camerieri hanno fatto tacere la musica e, assieme ai segretari, stanno lì immobili ad ascoltare. Su molti volti vedo scendere le lacrime. È normale, per noi che raccontiamo le nostre storie, citare costantemente parole e fatti di Gesù. Mai, come in quell’ambiente buddista, mi rendo conto di quanto le nostre vite cristiane siano impregnate di Vangelo. Ed il Vangelo fluisce limpido. Dall’altra parte non c’è nessun barriera, nessuna resistenza, nessun pregiudizio. Le parole di Gesù vengono bevute con naturalezza e penetra.
Abbiamo evangelizzato? Sì. Non ce l’eravamo prefisso. Eravamo stati semplicemente a restituire la visita ad un amico che era venuto a trovarci a Roma. Ci eravamo interessati a lui, al suo tempio, al suo lavoro, al suo mondo. Ora lui aveva voluto sapere di noi. E gli abbiamo raccontato di noi, della nostra vita di cristiani, che non può non essere evangelica. Così il Vangelo è passato ed è stato accolto: un Vangelo annunciato con la vita.

venerdì 9 aprile 2010

Appartenenza

“Io sono di Dio”.
È il grido appassionato di Alberto Fernandez davanti alla morte, la sua ultima definitiva parola che sigilla l’appartenenza radicale e totale di sé a Dio.
Io sono di Dio.
È la mia dichiarazione che svela e afferma la mia identità.

mercoledì 7 aprile 2010

La grande notizia continua a riecheggiare

* Nella scorsa settimana non ho avuto la possibilità di connettermi, ma stasera ho aperto la pagina e davvero è stato come sentirmi inondata da una folata di ossigeno puro. Mi sono detta: se è vero, come è vero che "non si può "mostrare" il Risorto e che  lo si può cogliere, come riflesso, sul volto e negli atti della comunità nella quale Egli vive", allora, io, stasera, l'ho "incontrato" anche in e attraverso lei. Grazie!

* Sono stata alla veglia pasquale. Il sacerdote continuava a ripetere: è risorto, Cristo è risorto, ma io vedevo delle facce apatiche mezze addormentate che non reagivano a un così grande annuncio.
Però c'era una giovane monaca che sprizzava gioia, le brillavano gli occhi, meno male! Mi sono sentita chiamata a essere una donna del Vangelo che annuncia e testimonia il Risorto, rendendomi su tutti i negativi.

martedì 6 aprile 2010

Pasqua in Guinea Bissau


Giovedì Santo mi telefonano dicendo che c'è confusione in città e militari in diverse zone. Le radio locali non dicevano niente, ma la radio portoghese e francese informavano che i militari avevano arrestato il Primo Ministro, che avevano liberato il capo della Marina ("rifugiato" presso la sede Onu), fatto destituire il Capo delle Forze Armate... La sera dovevo andare in una parrocchia in città per la Messa. Il traffico era molto ridotto, i distributori chiusi (dovevo mettere gasolio, per fortuna è bastato quello che avevo), e le luci dappertutto spente. Abbiamo celebrato il Giovedì Santo con lavanda dei piedi, al lume di candela. C'era comunque tanta gente e un clima profondo.
Venerdì Santo: la situazione è migliore. Il Primo Ministro sembra sia tornato alle sue funzioni, ma per il resto è come prima. Ci sono troppi interessi di droga in Guinea perché si possa intraprendere un cammino diverso. La droga dell'America latina passa in gran  parte di qui.
Ma non vogliamo rassegnarci. Cristo è Risorto anche per noi. E noi pure risorgeremo.
Andando a celebrare il Venerdì Santo, passando per una strada polverosa alla periferia della città, ho visto un gruppo di donne, giovani e bambini che avevano un modo di camminare, di parlare tra loro, di comportarsi, diversi: erano cristiani. Stavano andando alla via Crucis e poi alla funzione in una parrocchia poco distante. Li ho accompagnati per quel tratto di strada...
Sono arrivate da poco le Suore di Madre Teresa. Hanno passato la prima notte qui a N'Dame. Ciao Fabio, Buona Pasqua! P. Celso Corbioli, omi

lunedì 5 aprile 2010

Corona: uso improprio n. 4

Ciao, padre! Chissà se l'uso che ne faccio io della corona del rosario è altrettanto "improprio", ma mi hai fatto venire voglia di raccontartelo.
Ormai da 20 anni circa, partendo dall'idea che il rosario mariano è un modo per contemplare la vita di Gesù, utilizzo i momenti di "mente libera" per contemplare a brani il vangelo del giorno o le varie fasi della vita di Gesù. Un esempio - in questa settimana santa ho fatto così: 1°, Gesù entra a Gerusalemme acclamato dalle folle che poi ne chiederanno la morte; 2°, Gesù è accolto in casa di Marta e Maria che gli unge i piedi con nardo profumato; 3°, Gesù è tradito da Giuda e venduto per 30 denari ai suoi nemici; 4°, Gesù celebra la Pasqua con i discepoli e istituisce l'Eucaristia; 5° Gesù agonizza al Getsemani ecc., meditando passo passo i vari momenti del racconto della passione. La stessa cosa si può fare, praticamente, con tutte le pagine del vangelo e le diverse fasi della vita di Gesù, di Maria e della prima Chiesa!
Alcuni si scandalizzano di questo modo poco tradizionale di indicare i misteri, ma poi ... piace e fa bene allo spirito! Buona Pasqua, padre!

domenica 4 aprile 2010

La prova della risurrezione

Il suo messaggio pasquale mi ha trasportato a una Comunità Ecclesiale di Base, dal lontano Brasile, perché proprio nel periodo pasquale ci siamo riuniti intorno alla Parola di Dio Lc 24, e chiedevamo quale sarebbe oggi il segno visibile e tangibile della risurrezione di Gesù. Una donna anziana, umile di condizione sociale si è alzata per dire: la prova più concreta della risurrezione di Gesù siamo noi, una comunità di fede, che siamo qui riuniti nel suo Nome. (Cecilia Tada)

la comunione che si sprigiona dalla vita di questo Evento

E' stupenda questa riflessione! e grazie per tutto quello che condividi su questo blog: è la comunione che si sprigiona dalla vita di questo Evento che oggi ricordiamo. Elio e Letizia, Mari e Giova, Buona Pasqua!!

Pasqua - La grande Notizia: è risorto!


La grande notizia: è risorto! è ancora attuale? Non è relegata nella notte dei tempi e tritamente ripetuta d'anno in anno, senza più mordente? È a tutti nota o per i più è soltanto un mito, quindi una non notizia?
Eppure quell'annuncio, la prima volta che si diffuse, sconvolse Gerusalemme. Fu subito messo a tacere e il costo dell'operazione si rivelò ben più alto dei 30 denari pagati per il tradimento. Inutile. A partire da quella cittadina di periferia la notizia raggiunse i confini dell'impero. Si cercò allora di soffocarla nel sangue. Inutile. La notizia aveva oramai innescato un processo inarrestabile dando vita ad un popolo nuovo del quale vennero a far parte uomini e donne d'ogni popolo e lingua. Di secolo in secolo si ripeterono i tentativi per silenziare la notizia: confutazioni razionali, dileggio, indifferenza, intimidazioni e di nuovo sangue. E per quella notizia si continuò a morire, ostinatamente, in Cina, in Corea, in Giappone, in Uganda, in Messico, in Spagna, in Russia… Quale nazione potremmo non nominare? Anche oggi si continua a morire e a vivere! Sì, perché questa è una notizia che fa vivere e per la quale, quindi, vale la pena morire.
L'evento che sta dietro la notizia è quello di Gesù di Nazareth, profeta in Israele, ucciso con la più infamante e crudele delle esecuzioni capitali, la crocifissione; sepolto e risuscitato il terzo giorno dal Padre suo, da Dio, perché Egli è il Figlio di Dio.
Con la sua risurrezione è possibile ogni risurrezione. Non è più vero che "non c'è niente di nuovo sotto il sole". È accaduto una cosa nuova, mai udita prima: la morte è stata vinta, assieme a tutto ciò che alla morte assomiglia. L'ineluttabile fato non è più tale. La resurrezione e la vita hanno rotto il ciclo della consumazione, sono penetrate nella storia, l'hanno aperta ad un futuro di novità. Per sua natura non è un evento relegato al passato. Se Egli è il Vivente lo è nell'attualità d'ogni presente, ora, qui.
La speranza si riaccende in questo nostro oggi, in mezzo alla precarietà del lavoro, agli orrori della guerra, al dilagare dell'ingiustizia, al pantano della stupidità, alla incertezza del futuro.
È una notizia che sorprende chi crede e chi non crede. "È risorto veramente?", si domanda il primo. Perché se è veramente risorto… "E se fosse vero?", può domandarsi il secondo. Perché se fosse veramente risorto… Basterebbe anche soltanto l'ipotesi, l'utopia di una risurrezione.
C'è forse un modo perché la notizia torni ad essere tale: mostrarne la straordinaria potenzialità negli effetti sociali, civili, cosmici di cui essa è capace. Gesù è morto da solo, come un chicco di grano caduto in terra (così aveva profetato) e risorge come spiga: moltiplicato, chiesa. È questa la forza e l'attualità della Risurrezione, un evento che continua a generare un popolo che è il suo corpo: Lui vivente e operante nella storia.
Mi viene da pensare all'atomo, impossibile da "fotografare" eppure "visibile" nell'energia che sprigiona. Impossibile "mostrare" il Risorto, eppure lo si può cogliere, come riflesso, sul volto e negli atti della comunità nella quale Egli vive, per sempre. Vedi la spiga e pensi al seme che l'ha generata.

giovedì 1 aprile 2010

Giovedì santo: fino alla fine

Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine (Gv 13,2). Con queste parole del Vangelo si apre il racconto dell’evento pasquale di morte e risurrezione di Gesù. Esse danno il senso a questo triduo santo. Anche i precedenti misteri della vita di Gesù erano stati espressione del suo amore: aveva già amato i suoi che erano nel mondo. Ma oggi l’amore raggiunge l’estremo: li amò sino alla fine.
Oggi Gesù ci dona il comandamento dell’amore reciproco: è tutto suo e tutto nuovo. Ma come potremmo comprenderlo e viverlo se non ci fosse quella chiave di lettura: li amò sino alla fine? L’amore reciproco ha come modello e misura l’amore di Gesù: amatevi come io ho vi ho amato; e può essere attuato soltanto perché lui ci ha amato: amatevi perché io vi ho amato (così si può tradurre quel come). Amare quindi fino a dare la vita gli uni per gli altri, come e perché Gesù ha dato la vita. Questa sera rinnoviamo così il patto dell’amore reciproco.
Oggi Gesù ci dona l’Eucaristia. Non è anch’essa espressione del suo amare sino alla fine? Sino alla fine: corpo, sangue, anima, divinità. Qui l’amore è totalmente donato, quasi materializzato, fino a farsi “cosa”, per poter essere visto, toccato ed essere con noi, in noi, noi. Questa sera ci nutriamo ancora una volta dell’Eucaristia per accogliere il suo amore estremo ed essere trasformati a nostra volta in amore.
Oggi Gesù ci dona il sacerdozio di cui, lavando i piedi ai discepoli, mostra il senso profondo: un servizio d’amore. La vita stessa di Gesù è riassunta ed espressa in quel gesto, lui che è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la vita per molti. E questo è il sacerdozio, servire - donando il vangelo, il perdono, l’Eucaristia -, servire fino a dare la vi-ta: è amare sino alla fine.
Oggi Gesù prega per l’unità: il frutto consumato del suo amore. Perché il suo amore sino alla fine se non per farci uno tra noi e con Dio? Questa sera, forti della preghiera di Gesù, dopo aver rinnovato il patto dell’amore reciproco e dopo esserci lasciarti trasformare da Gesù eucaristia in Gesù, lasceremo che sia lui stesso a rinnovare il patto d’unità. Allora l’Eucaristia raggiungerà il suo pieno effetto di «sacramento dell’unità della Chiesa» (San Tommaso, Super Ev. Ioannis, c. 6, lect VI), e per essa, come insegna il Concilio, avremo «accesso a Dio Padre» ed entreremo «in comunione con la Santissima Trinità» (UR 15).
Quel li amò sino alla fine continuerà ad accompagnarci anche nei prossimi giorni. Il grido dell’abbandono che ascolteremo domani cos’altro è se non l’amore estremo, completamente dispiegato? Sì, lì Gesù ha amato veramente sino alla fine. «È l’amore che fa queste pazzie», come ha scritto Chiara.
E il sepolcro sigillato e il silenzio del Sabato santo non sono ancora quel suo amare sino alla fine, sino a condividere con noi il limite estremo della morte, ratificato dalla sepoltura, quando sembra spegnersi ogni speranza? Quella speranza che soltanto Maria tiene accesa.
Anche la risurrezione sarà il frutto dell’amore sino alla fine, quello stesso amore che a Pentecoste farà piovere il fuoco dello Spirito d’Amore. E nascerà un popolo unito, un cuore solo e un’anima sola, spiga piena nata dal chicco di grano caduto in terra per amore.
Ma amò sino alla fine, ci spiegano gli esegeti, significa non soltanto che Gesù ha amato in maniera estrema, pazzamente; significa anche che amò fino in fondo, fino all’ultimo momento. E qui si spalanca davanti a noi la fedeltà dell’amore di Dio sempre presente, che ci accompagna fino in fondo, fino all’ultimo, e che domanda altrettanta fedeltà.