lunedì 30 gennaio 2023

Fiorellino di un albero millenario

La scelta è sempre personale, unica, irrepetibile. Ma impossibile senza gli altri. Andrea e il suo compagno seguono Gesù perché Giovanni Battista l’ha indicato come l’agnello di Dio. Pietro incontra Gesù perché Andrea gliene ha parlato. Natanaele si decide, controvoglia, ad andare da Gesù perché Filippo se lo tira dietro…

Ognuno di noi è frutto delle generazioni che ci hanno preceduto, anche quando non ne siamo consapevoli. Le esperienze degli altri si sono sedimentate, in maniera misteriosa, nei percorsi della storia. Spesso senza saperlo, abbiamo dentro il vissuto dei nonni e dei genitori, dei parenti più lontani, abbiamo assimilato l’insegnamento degli insegnanti e dei professori, le confidenze degli amici, le divergenze con chi non la pensa come noi. Siamo impastati di cielo, di terra, di orizzonti, di sole, di boschi, di mare, di cibo, di arte, di bellezza, di bruttezza… Un bambino è sempre l’ultimo fiorellino di un albero millenario.

Così la nostra fede. Anche quando si esprime nel più intimo e personale rapporto con Dio, è sempre debitrice di chi ci ha preceduto e ci accompagna. Quanta gratitudine, per i tanti che conosciamo, per i tanti che non conosciamo.

domenica 29 gennaio 2023

Un rapporto personale


In continuità con quanto ho scritto questi giorni sulla persona, oggi, pregando i misteri della resurrezione, mi sono visto davanti le donne e Maria Maddalena, gli apostoli e Tommaso: due scese analoghe. In entrambe Gesù si manifesta prima a tutto un gruppo, poco dopo a una singola persona del gruppo.

Mi è sembrata una conferma dell’amore di Gesù per tutti e per ciascuno, del suo modo di rapportarsi: cura tutti e ciascuno.

La fede di tutti ha bisogno di essere appropriata e vissuta nella fede personale di ognuno, sempre unica. La fede di ognuno deve potersi rispecchiare nella fede di tutti.

sabato 28 gennaio 2023

Beatitudini: specchio del nostro vivere

Ascolto le beatitudini e in esse vedo riflesso Gesù. Sono la sua biografia. Rivelano la sua identità.

Povero di spirito e puro di cuore: è luminosa trasparenza di Dio. Si è fatto talmente vuoto e niente da far passare tutto e solo Dio. Ha pianto su Gerusalemme facendosi carico della nostra durezza di cuore, e ha pianto sull’amico morto condividendo ogni nostro soffrire. Ha patito persecuzione e ingiustizia come gli ultimi della terra. Ha fatto suo ogni nostro male così che sempre potessimo scoprirvi la sua beatitudine. Mite e misericordioso ha rinunciato a ogni forma di violenza e di vendetta, dimenticando il male che gli abbiamo fatto e rendendo bene per male. Ci aspetta sempre, con pazienza, anche quando ci fermiamo o ci perdiamo e sempre ci perdona. Ha provato fame e sete di giustizia, di rapporti veri, smascherando ipocrisie e falsità, e ha costruito relazioni d’armonia e di pace.

Ascolto le beatitudini e scopro come egli mi vede, come mi vorrebbe.

Mi vuole povero di spirito e puro di cuore per possedere soltanto Dio, in pienezza, senza costruirmi idoli vani.

Mi insegna a scoprire la forza della beatitudine in ogni mia pena, in ogni patire. Ma prima ancora mi insegna a soffrire e piangere non su di me, in inutili ripiegamenti, ma con chi soffre e chi piange, partecipando e condividendo.

Mi mostra come l’amore copre lo sgarbo dell’altro, si sforza di perdonarlo e sempre spera in lui.

Mi ricorda che non posso starmene in pace finché c’è guerra e ingiustizia attorno a me. E non debbo darmi pace se non lavoro per la giustizia e non costruisco la pace.

Ascolto le beatitudini e vi vedo riflesso il volto della Chiesa come tu l’hai voluta.

Non cerca appoggio nel potere, né ripone fiducia nelle ricchezze, ma solo in Dio, suo unico Signore. Soltanto se semplice, povera e pura potrà godere delle beatitudini e mostrare a tutti le ricchezze e la bellezza del Cielo.

Nella condivisione delle angosce dei poveri e delle persecuzioni degli ultimi trova la certezza dell’adempimento della sua missione: portare il regno dei cieli. Non nel plauso, nel consenso, nell’adulazione, ma nella derisione, nell’emarginazione, nella contestazione, nel rifiuto la somiglianza piena con Cristo e quindi la verità dell’essere suo corpo.

Mite e misericordiosa rifiuta ogni arroganza, accoglie tutti, cammina con tutti, serve tutti, madre e sorella.

Difende i poveri, i deboli, chi patisce ingiustizia e lotta per la pace, con tutte le sue forze, finché non sia instaurato il regno di amore e di pace.

venerdì 27 gennaio 2023

Buone notizie dal Vaticano


 

Dalla grande finestra della sala dei congressi si spalanca piazza san Pietro in tutta la sua bellezza. Per due giorni ho avuto davanti questa visione dall’alto. Sono con 21 consultori del Dicastero per il clero e una ventina di membri, sotto la guida dal cardinale. Anche quattro laici – due donne e due uomini –, due suore… Una squadra meravigliosa che in poche ore si è amalgamata in maniera sorprendete.

L’11 ottobre scorso Papa Francesco mi ha nominato consultore di questo Dicastero. La notizia ha fatto abbastanza scalpore, sono finito addirittura in prima pagina del giornale “Toscana Oggi”. Da anni sono consultore del Dicastero per la vita consacrata, ma questo non fa notizia…


Abbiamo iniziato con la presentazione di quanti lavorano in questo Dicastero e abbiamo visita tutti gli uffici, l’archivio, la biblioteca, la cappella, le salette di rappresentanza… Don Lazzaro (così vuole essere chiamato il Cardinale) ha fatto davvero casa a tutti. È sua questa iniziativa di non interpellare soltanto individualmente l’uno o l’altro consultore per singoli problemi, ma di radunare tutti insieme contemporaneamente in autentico stile sinodale, per condividere temi, problemi, proposte riguardanti le vocazioni, i seminari, i diaconi, i preti, le situazioni economiche delle diocesi… Ci siamo resi conto del lavoro immane che si sbriga in quelle stanze, dove giungono richieste da tutto il mondo, e dove si esercita un autentico servizio al Papa a cui tutti si rivolgono.

Quante cose brutte si dicono del Vaticano. Noi abbiamo visto cose belle…




 

giovedì 26 gennaio 2023

Sempre col Papa



La strada del Papa è in salita. Perché un attacco così diretto? 
Perché sta seguendo la via di Gesù.

Noi sempre col Papa.

mercoledì 25 gennaio 2023

Sperimentare di persona

 

Va bene la testimonianza degli altri, può essere eccellente, ma infine devo fare io la mia esperienza personale.

Sto leggendo gli inizi del ministero di Gesù e nel Vangelo di Giovanni questo è un dato costante. Chi mette in dubbio la testimonianza del Battista: “Ecco l’agnello di Dio”? Eppure i suoi discepoli devono andare di persona a conoscere Gesù: “Maestro, dove abiti?”, e andarono e stettero con lui. Era necessaria l’indicazione del Battista, ma poi dovevano fare la loro insostituibile esperienza. Andrea testimonia che ha incontrato il Cristo, ma Pietro deve andare a incontrarlo di persona. Filippo lo testimonia a Natanaele, ma ci vuole un incontro a tu per tu con il Maestro. La Samaritana racconta di Gesù alla gente della sua città, ma alla fine le dicono: “Crediamo non perché ce l’hai detto tu, ma perché noi stessi abbiamo udito…”. E alla fine del Vangelo stessa scena: Gli apostoli non credono alla Maddalena, devono vedere loro stessi il Risorto; Tommaso non accetta la testimonianza degli apostoli fino a quando non si trova davanti al Risorto.

Possiamo ascoltare, leggere, avere testimonianza eccezionali…, ma senza un rapporto personale, senza coinvolgimento… Ti portano fino a un certo punto, poi l’ultimo passo
devi farlo tu. Non si crede mai per interposta persona. È sempre frutto di un a tu per tu.

martedì 24 gennaio 2023

Persone responsabili: come?

La settimana scorsa sul blog ho scritto sul senso di responsabilità che ogni persona è chiamata ad assumersi nel proprio ambito familiare, sociale, ecclesiale… Questo vuol dire, mi ha chiesto qualcuno, che dobbiamo essere in continua agitazione e portare avanti programmi su programmi?

Sono tante le modalità di assumersi le proprie responsabilità ed essere pienamente attivi. Dipende dal compito che si ha, dall’età, dalle energie… Più si va avanti nella vita e più tutto si essenzializza, si semplifica. L’impegno andrebbe coniugato sempre più con la leggerezza. Certamente occorre svolgere le proprie mansioni con impegno, serietà, coscienza; fare con generosità la propria parte in tutto e con tutti; essere creativi… Ma ci sono anche altri modi. Ad esempio:

Pregare, mettendo tutto nelle mani di Dio che vede e provvede, con piena fiducia, sapendo che tutto e tutti sono suoi e che tutto e tutti gli stanno a cuore più di quanto non lo stiano a noi.

Accettare con amore la propria impotenza davanti a situazioni che non hanno soluzione, nella consapevolezza che anche questo patire porta frutto.

Testimonianza la bellezza e la gioia delle proprie scelte, senza pretese né giudizi.

Il mondo la abbiamo ricevuto in dono quando siamo venuti al mondo. La lasciamo in dono a chi ci segue…

 

domenica 22 gennaio 2023

Ucraina 23 anni fa

Rileggo una pagina del mio diario del 2000:

Ho assistito ad entusiaste manifestazioni popolari di fede. Il giorno della Trasfigurazione, che il calendario orientale colloca il 19 agosto, è anche il giorno del ringraziamento per i frutti della terra. Ogni famiglia va a messa con un mazzo di fiori guarnito con una mela o un altro frutto. A L’viv la chiesa della Trasfigurazione è troppo piccola per contenere la gente. (Anche le altre chiese di città e di villaggio sono troppo piccole; viaggiando vedo più gente fuori di quanta ce n’è dentro). Quest’anno ricorre il decimo anniversario della riapertura della cattedrale di L’viv. Per l’occasione l’afflusso della gente è più numeroso del solito. Giungono dalla varie parrocchie, in processione, con in testa gli stendardi.

L’unico modo per poter seguire la celebrazione stando fuori, come capita a me, è quello di seguire il movimento degli stendardi che, sulle gradinate e nella piazza, si muovono a ritmi cadenzati, quasi prostrandosi ogni volta che dentro si ripete il nome della Santa Trinità.

Al termine della Santa Liturgia il Patriarca esce a benedire i frutti della terra. È una benedizione consistente: gli inservienti sono armati di capaci secchi d’acqua. Quindi la processione: in testa gli stendardi portati da uomini e donne in costume, segue uno stuolo di monache, i preti, il patriarca benedicente e infine gente a non finire, che si ammassa in maniera caotica. Gli uomini cantano a squarciagola con voci potenti: i cosacchi dovevano cantare allo stesso modo! È una festa di massa.

Mentre rileggo le mie pagine di diario guardo le foto di allora. Quelle pubblicate su “Missioni OMI” non ce l’ho più perché non mi sono state rese. Ma le rivedo comunque sulla rivista. Ho davanti a me, da molti giorni, la foto che pubblicai sull’ultima pagina. Mi piace guardare quella bambina in braccio al padre, con un gran fiocco in testa, contenta. E penso a dove sarà adesso che avrà sui 27 anni. E suo papà? Cosa avrà fatto la guerra nella loro famiglia? Una guerra lontana, ma con volti concreti…

sabato 21 gennaio 2023

Domenica della Parola di Dio. Un’esperienza

Domenica della Parola di Dio.

In uno dei miei libretti a tiratura limitata (di questo mi sembra ne ho fatto 4 copie) ho raccontato il mio rapporto con la Parola di Dio:

Il giorno dell’Epifania del 1962 mio padre mi regalò il libro dei Vangeli, «Per esserti oasi di pace e di ristoro alla tua formazione evangelica», come scrisse nella dedica. Avevo tredici anni. Quel libro segnò una tappa nuova del mio viaggio nella Sacra Scrittura.

Venticinque anni più tardi, come diacono, iniziai ad annunciare la Parola di Dio nella parrocchia dei santi Pietro e Paolo all’EUR. Ogni domenica, in Quaresima, parlavo del vangelo con una gioia mai provata prima d’allora. Alla fine della messa lasciavo alle persone una pagina con alcune note su come accogliere e viverla Parola di Dio. La domenica di Pasqua annotai: «Mai come oggi tante persone davanti a me. Mai le parole mi sono uscite con tanta abbondanza e convinzione. Mi sembra d’essere un profeta! Penetrano le mie parole, come pioggia di primavera. Vedo la gente rinverdire, pervasa da una gioia soave e profonda, la stessa che mi canta in cuore. Il sole di Pasqua illumina di nuova luce. Parlo a duemila persone, anzi ad una sola persona: tutte fuse dall’amore. Come un profeta annuncio il Cristo Risorto vivo e presente. È bello parlare di Lui». Vent’anni più tardi quei foglietti distribuiti all’EUR divennero la presentazione del Vangelo e Atti degli Apostoli di Città Nuova, che dal 1997, continua ad essere stampato in numerose edizioni.

L’anno precedente, 1996, avevo iniziato a pubblicare sulla rivista “Nuova Umanità” quattro fortunati articoli, frutto della frequentazione della Scuola Abbà, cenacolo di vita e di studio attorno a Chiara Lubich che ha forgiato la mia vita e il mio pensiero: Ogni Parola di Dio contiene il Verbo, Vivere la Parola per essere la Parola, Lampada per i miei passi è la tua parola, I carismi parole di Dio vive.

È del 2003 il libro Fuoco è la tua Parola. Come vivere il Vangelo, che contiene le meditazioni offerte durante gli esercizi spirituali alla conferenza episcopale della Repubblica Ceca, cui fa seguito Luce è la tua Parola, con altre meditazioni del medesimo ritiro. Il sottotitolo di questo secondo libro – Dialogo interreligioso e annuncio del Vangelo – non era felice, sarebbe dovuto essere: La Bibbia nella vita della Chiesa.

Sono seguiti altri articoli, riguardanti soprattutto la Parola di Dio e la vita consacrata, fino all’ultimo libro in materia: Carismi, Vangelo che si fa storia.

  

Nel frattempo erano nati altri libri riguardanti la Bibbia, legati a momenti e circostanze particolari.

Parlaci di Lui. I racconti di Cafarnao (2007) è l’eco del mio primo viaggio in Terra Santa nel giugno 1977. «Tutto mi parla – scrivevo allora –, da Nazaret al Tabor, da Gerusalemme a Gerico. Tocco il Dio fatto carne. Non l’Assoluto incomunicabile, non l’Ente inaccessibile, non il mistico Uno, non il Motore immoto, ma un Dio capace di percorrere le nostre strade, di condividere la nostra debolezza e fragilità, di stancarsi e di aver sete e fame, di addolorarsi e di piangere, di provare turbamento e commozione: un Dio dal cuore di carne». Ne è nata una piccola pièce teatrale e, in Brasile, un audiolibro, che accompagna il volume tradotto in portoghese.

Essere Tua Parola, del 2008, è una serie di testi scelti di Chiara Lubich, piccolo omaggio in occasione della sua morte.

Nel 2010 appare La storia di Dio e la mia. La Bibbia fonte di ispirazione per l’uomo, nato a Cuba, all’Avana, nell’Aula Bortolomeo de Las Casas. «Per tre sere consecutive – ho scritto nell’introduzione –, mi sono trovato con un pubblico vivace ed eterogeneo: non credenti, militanti del Partito, agnostici, credenti cattolici, greco-ortodossi, protestanti... Insieme abbiamo letto testi di poeti, contemplato immagini di grandi artisti, ascoltato brani musicali, visto frammenti di film, tutti ispirati alla Bibbia. Abbiamo ascoltato la Bibbia stessa con le sue sorprendenti descrizioni della natura, della bellezza dell’uomo e della donna, con l’espressione dei sentimenti e dei valori umani. Per chiederci infine se questo grande codice culturale non fosse anche una comune fonte di ispirazione per la vita di credenti e non credenti, o almeno il punto di partenza per un confronto critico per affinare il cuore e ricercare le motivazioni più profonde del vivere».

Nel 2009 pubblico Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore. Facciamo festa con il Vangelo di Luca (2007), seguito da In cerca di perle preziose. Facciamo festa con il Vangelo di Matteo (2010) e Il seme germoglia e cresce. Facciamo festa con il Vangelo di Marco (2014). Non si tratta dei classici commenti ai vangeli festivi, ma del frutto di una singola esperienza, come ho raccontato nel secondo volume: «“Quando vado in chiesa la domenica spero sempre di tornare a casa piena di gioia, di luce, di speranza, così da poter affrontare la settimana con una nuova carica di vita divina. Invece qualche volta, alla fine della messa, mi ritrovo avvilita e triste per le parole ascoltate nell’omelia”. Anziana, non vedente, sola anche se attorniata da figlie e nipoti, mia mamma mi aveva confidato questo suo patire. “Ogni domenica condividerò con te la mia lettura del Vangelo e la mia preghiera”, le risposi con slancio. Così è stato. Domenica dopo domenica, per tre anni, sono rimasto fedele alla promessa inviando, via e-mail a chi poteva leggerglielo, il mio piccolo colloquio con il Signore. Così è nato questo libro. A sera la mamma mi telefonava, felice». I miei scritti avevano già raggiunto il loro scopo.

 

Non sono un biblista, ma la Bibbia non è un libro soltanto per gli addetti ai lavori, è Parola di Dio rivolta ad ogni uomo, anche a me. Ho scritto sempre da semplice credente.

I miei studi biblici sono stati essenziali e insieme incisivi. Ricordo con gratitudine i professori di Torino: Mauro Làconi, Dalmazio Colombo, Anselmo Dalbesio. Ho poi continuato a leggere saggi e commenti, in modo regolare, quotidiano, sistematico, portando avanti la lectio divina libro per libro, nella traduzione di Nardoni prima, poi in quella della CEI, con l’aiuto di autori come Fabris, Ghidelli, Vanni, Maggioni, Ravasi, Segalla, Penna, Léon-Dufour, Schnackenburg, Schürmann… Ho letto i Vangeli della Cittadella, la collana di commenti esegetici e spirituali di Città Nuova… Ma anche commenti spirituali come quelli di Divo Barsotti e prima ancora quelli dei Padri della Chiesa, primo fra tutti Origene, e di scrittori medievali. Una lettura particolarmente bella e piacevole, nella sua essenzialità e i moltissimi spunti di erudizione, sono stati i dieci volumi della Bibbia della famiglia curata da Ravasi negli anni Ottanta.

venerdì 20 gennaio 2023

Te prego aiutame

 


Passando per Viale Trastevere mi sono fermato ancora una volta davanti al muro con l’immagine della Madonna attorniata dagli innumerevoli ex-voto. Una scena sempre bella, soprattutto di sera.

Mi hanno attirato lo sguardo due scritte a pennarello, una in siciliano e una in romanesco, per la loro sincerità e semplice devozione:

"Maronnuzza aiutami. Tony Siracusa".

"Te prego aiutame".




giovedì 19 gennaio 2023

Bellissima!

Cinque anni fa sul mio blog avevo pubblicato la foto di un mosaico che sta su una parete nel nostro archivio, precisamente nello studio dell’archivista generale. Ho sempre inviato il posto d’archivista… per il semplice fatto che mi sarebbe piaciuto avere la mia scrivania davanti a un mosaico così bello.

https://fabiociardi.blogspot.com/2017/12/immacolata-figlia-di-dio-padre.html

In questi giorni, da un deposito a Vermicino, è apparso il disegno originario dell’artista, Mario Barbieri, da cui lo Studio Mosaici Monticelli di Roma ha realizzato il mosaico. Il dipinto è molto molto più bello del mosaico.

Da oggi è nel mio studio! Più nessuna invidia per lo studio dell’archivista.

Questa estate, l’ultimo giorno delle “Vacanze Paradiso” in Francia, parlando di Maria ho insegnato ai bambini una parola italiana: “bellissima”. E tutti i bambini, guardando Maria, ripetevano: Bellissima!

Adesso ce l’ho nel mio studio: Bellissima!



mercoledì 18 gennaio 2023

Dal noi a un nuovo io

Ho tenuto finalmente la mia conferenza al Claretianum, terminando con il passaggio dal noi all’io, prendendo come icona il ritorno in Galilea dei discepoli dopo la resurrezione.

Il Risorto attende i suoi discepoli in Galilea perché vuole dare loro l’opportunità di ricominciare dopo il fallimento: lo hanno rinnegato, tradito, abbandonato… Li attende per un incontro che segni un nuovo inizio. Non come se nulla fosse accaduto, ma proprio perché tutto è accaduto. È un ricominciare nella consapevolezza della propria fragilità, senza più presunzioni (“Darò la mia vita per te”: Gv 13, 37), fatti nuovi dalla misericordia, provocati dall’amore (“Mi ami tu?”: Gv 21, 15ss).

L’io maturato nell’esperienza con il Signore, l’io ritrovato dopo essersi lasciati coinvolgere dall’esperienza della sequela fatta insieme al “noi” dei Dodici, non è un super io, un io potenziato, ma un io umile, che pone la fiducia nell’amore misericordioso di Dio e per questo è capace di misericordia.

In quell’incontro sul lago, dopo aver radunato i suoi attorno alla tavola, Gesù si rivolge direttamente a Pietro e lo interpella in prima persona, chiamandolo per “nome e cognome”, con grande solennità: “Simone di Giovanni!”. Con la stessa serietà l’aveva chiamato quando l’aveva incontrato la prima volta, all’inizio del Vangelo (Gv 1, 42). Questa seconda chiamata è in continuità con la prima, ma è anche diversa: il primo io di Simone non è più lo stesso dopo il passaggio attraverso l’esperienza del “noi” che lo ha coinvolto nell’intera vicenda del Maestro.

Con la solennità dell’appello, “Simone di Giovanni!”, Gesù si rivolge proprio a lui, ritaglia la sua persona dagli altri sei discepoli seduti alla medesima mensa e la pone direttamente davanti a sé, a tu per tu. Pietro non si perde in una comunità anonima e spersonalizzata, ma è chiamato a ritrovare la propria identità in una nuova pienezza. Gesù lo interpella perché – davanti a tutti, e prima di tutto davanti a sé stesso – affermi in maniera nuova la sua scelta: “Mi ami?”. È una domanda seria, ripetuta per ben tre volte, che cade su un triplice tradimento con il quale Pietro ha affermato solennemente: “Amo me più di te e per difendere la mia vita rinnego la tua”.

Gesù non si lascia scoraggiare dal tradimento, crede nella prima chiamata ed offre una nuova possibilità: “Adesso, dopo tutto quanto è accaduto, mi ami di più?”. Il “di più” della richiesta di Gesù si rapporta esplicitamente agli altri discepoli presenti: “più di costoro”, ma forse allude anche ad un di più di intensità rispetto al passato. È un amore maturo, che fiorisce dal proprio nulla, ora riempito dall’amore misericordioso del Signore che ha assunto e consumato in sé il nulla di Pietro.

Al primo incontro gli aveva cambiato il nome in “Cefa”, Pietro, pietra. Vedeva il futuro dell’apostolo, fondamento della Chiesa. Ma non poteva ancora affidargli il suo gregge; prima doveva essere temperato dal dolore, dalla prova, perché dal peccato e dall’amaro pianto (cf. Lc 22, 62) fiorisse un nuovo amore: «Tu sai che ti voglio bene». Ecco l’umanizzazione, la persona pienamente realizzata. La “parola” pronunciata da tutta l’eternità, l’identità di Simone, è ora giunta a compimento: nasce l’uomo nuovo. Soltanto adesso il Risorto può dirgli: «Pasci i miei agnelli… pasci le mie pecore» (Gv 21, 15-17). Adesso la missione di Pietro diventa efficace perché a compierla è Cristo stesso identificato con lui.

La domanda di Gesù non può essere evasa, non consente alibi, tanto è personale e diretta, senza contorni. Quando Pietro gli domanda del discepolo amato, Gesù non accetta di rispondere e lo riporta alla responsabilità personale: Non gli dice soltanto “seguimi”, come la prima volta, ma “tu, seguimi”: “tu”, unicità irrepetibile e necessaria, carica di responsabilità. Inizia una vita nuova, un coinvolgimento pieno e totale nel progetto del Signore Risorto.

Il Risorto lungo i secoli continua a ripetere la stessa parola, rivolge ad ognuno di noi la stessa domanda; non in maniera astratta e generica, ma dopo averci interpellati ad uno ad uno, personalmente, premettendo nome e cognome: “Fabio Ciardi, mi ami?”. Non posso guardarmi attorno per vedere a chi si sta rivolgendo. La domanda ha nome e cognome, non ci sono alibi, possibilità di omonimie. Inevitabilmente vengono alla mente i tradimenti, i rinnegamenti, i fallimenti. Il Risorto li conosce bene. Nonostante tutto continua a chiedere se lo amiamo. Ha ancora fiducia, offre veramente la possibilità di ricominciare in novità di vita. Quante volte chiederà: “Mi ami tu? Mi vuoi bene?”. Una in più del tradimento, per dare l’opportunità che l’ultima nostra parola sia: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». È la metamorfosi dell’io: «Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2, 19-20). Occorre essere una cosa sola con lui perché egli affidi una missione, in modo che sia lui a compierla.

La persona pienamente umanizzata, realizzata nel suo disegno, può adesso operare anche da sola, perché non è più sola, ma sempre espressione della comunità con la quale ha vissuto e con la quale è maturata. Non è più sola perché in lei vive il Risorto. L’io conosce una nuova stagione, si è fatto più umile, sincero, la sua azione acquista tratti materni e insieme paterni, senza maternalismi o paternalismi, nella consapevolezza che ad agire non è più lui, ma Cristo che vive in lui, e di cui è semplice strumento. Poiché rimane al suo posto, quello del servizio, acquista la capacità di “pascere”, di edificare, senza velleità di voler apparire, senza assumere posizioni di comando, senza dittature culturali, senza le interferenze dell’orgoglio e del prestigio, nel rispetto e apprezzamento della diversità, nella valorizzazione della ricchezza dell’altro.

È un processo in costante divenire, mai compiuto, non necessariamente lineare, dove si continuano a sperimentare fasi precedenti, ripartendo sempre da dove si è iniziato, ma con intensità diversa, abissi ancora più abissali, vette ancora più eccelse, affidandosi docilmente alla conduzione dello Spirito.

martedì 17 gennaio 2023

Sguardo e memoria

 

Guardiamo il mondo una sola volta, nell’infanzia.

Il resto è memoria.

(Louise Glück, nobel per la letteratura nel 2020)

lunedì 16 gennaio 2023

Dall'io al noi all'io

Eccoci dunque al passaggio dall’io al noi, un tema molto diffuso, un ulteriore segno dei tempi. Basterà far riferimento a una intervista televisiva a Papa Francesco, il 10 gennaio 2021. Parlando delle situazioni di crisi presenti in ogni Paese sollecitava chi ha compiti di responsabilità politica ad anteporre la logica del bene comune alla promozione personale, il “noi” all’“io”. «La classe dirigenziale – spiegava il Papa – ha il diritto di avere punti di vista diversi e anche di avere la lotta politica. È un diritto: il diritto di imporre la propria politica. Ma in questo tempo si deve giocare per l’unità, sempre. Non c’è il diritto di allontanarsi dall’unità. (…) Ma se i politici sottolineano più l’interesse personale all’interesse comune, rovinano le cose». In definitiva «tutta la classe dirigenziale non ha diritto di dire “io”… deve dire “noi” e cercare una unità di fronte alla crisi». Allargava poi gli orizzonti: «un politico, un pastore un cristiano, un cattolico anche un vescovo, un sacerdote, che non ha la capacità di dire “noi” invece di “io” non è all’altezza della situazione».

Dobbiamo prendere atto che, a partire dal Concilio, la teologia della comunità e il cammino per la sua attuazione si è intensificato. Lentamente, oltre alla difficoltà dell’attuazione, è subentrato un certo rigetto di questo progetto, forse per un equivoco, quasi pensando che la vita di piena donazione comunitaria – che è sempre un “morire” – si esaurisse in una fase kenotica, senza portare alla piena realizzazione di sé. Oggi la proposta di Giovanni Paolo II è “aggiornata” dal magistero di Papa Francesco che preferisce parlare di comunità poliedrica.

Personalmente penso che il progetto comunitario sia rimasto incompiuto perché ci è fermati al passaggio dall’io al noi, senza poi compiere il successivo passaggio, dal noi all’io. Eppure Gesù insegna: dà la vita, ma «per poi riprenderla di nuovo» (Gv 10, 17). Il lui c’è il passaggio, se così possiamo dire, dall’io al noi, che consiste nel dare la vita per il suo gregge. Ma non si ferma lì. Una volta donata la vita – ed è un passaggio di morte – la riprende di nuovo e in maniera nuova: è il Risorto, diverso da quello che era prima di aver vissuto il mistero pasquale.

Come per Gesù, per ognuno di noi dopo il passaggio dall’io al noi c’è l’ulteriore passaggio all’io: «chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16, 25). Non si tratta di un semplice ritorno al precedente io. Il donarsi interamente agli altri nella vita comunitaria, il condividere con gli altri e il ricevere dagli altri, produce un arricchimento dell’io. Quando entra nella comunità l’io ha un certo spessore, dopo, quando torna in sé, trova una nuova pienezza sia perché il dare l’ha maturato, sia perché è accresciuto dal dono degli altri.

Ma c’è qualcosa di ancora più profondo. Quando la comunità è veramente tale, in essa inabita Cristo Signore che tutti trasforma in sé. Ricordiamo le parole di Perfectae caritatis: «Con l’amore di Dio diffuso nei cuori per mezzo dello Spirito Santo (cfr. Rm 5,5), la comunità come una famiglia unita nel nome del Signore gode della sua presenza (cfr. Mt 18,20)». La comunità è la comunità del Risorto, vive della sua presenza. In essa ogni membro è trasformato da questa presenza, è trasformato in Cristo Risorto, che diventa il suo vero io. Non che Gesù si sostituisca all’io della persona, piuttosto si adatta alla persona, vive in lei e fa fiore in lei la “parola” da Dio pronunciata da tutta l’eternità, la sua identità più vera.

Il futuro di ogni comunità dipenderà dalla capacità di un coinvolgimento reciproco, attivo, voluto, di tutti i membri in questo passaggio dall’io al noi all’io trasfigurato dal e nel Risorto.

domenica 15 gennaio 2023

La preghiera dei bambini

Interrompiamo i blog seriosi e facciamone uno davvero serio, come lo sono i bambini. Questa mattina avrei dovuto fare loro una “catechesi” sulla preghiera, ma l’hanno fatta a me rispondendo alle domande che rivolgevo loro. Cominciamo da: “Conoscete una preghiera?”. E subito: “Il segno della croce”. Iniziamo bene… E abbiamo fatto proprio il segno della croce! L’aveva detto Papa Francesco in una catechesi: “Fare il segno della croce quando ci svegliamo, prima dei pasti, davanti a un pericolo, a difesa contro il male, la sera prima di dormire, significa dire a noi stessi e agli altri a chi apparteniamo, chi vogliamo essere. Per questo è tanto importante insegnare ai bambini a fare bene il segno della croce… Non dimenticare: insegnare ai bambini a fare bene il segno della croce”.

La preghiera più gettonata è l’Angelo di Dio… Poi viene il Padre nostro, col quale abbiamo concluso il nostro incontro, tenendoci per mano, in cerchio.

Ma abbiamo sperimentato la preghiera in tanti altri modi, con le mani giunte, in silenzio, chiudendo gli occhi e parlando a Gesù a tu per tu… dicendoci poi cosa gli avevamo detto… Quante belle sorprese. Soprattutto quando abbiamo pregato per la pace.

Infine ognuno ha colorato un forziere, mettendoci dentro le parole più preziose che ognuno aveva. Un bambino è venuto orgoglioso con il suo forziere che conteneva una parola per lui veramente preziosa: “Forza Napoli!”.





sabato 14 gennaio 2023

La preghiera: stare nella braccia del Padre





Giovanni Battista testimonia che Gesù è il Figlio di Dio.

Continuano ad arrivarmi riscontri sul libro Il respiro dell’anima. Le prendo come un invito ad andare in profondità nel rapporto con Dio e nel testimoniare, come il Battista, che Gesù è il Figlio di Dio. Ecco, ad esempio quanto mi giunge:

“In questi giorni sto meditando sul tuo libro sulla preghiera e dal cuore nasce un profondo GRAZIE! È bellissimo ma la parola è strausata. Conquista l'anima, con gli scritti di Chiara e altri ma un grazie anche a te che li incastoni nel punto esatto a loro dovuto per cui è un tutt'uno con quello che scrivi e che vivi altrimenti non sarebbe possibile una tale sintonia. Interpreti le varie situazioni che vive l’essere umano, cogliendone i limiti ma sublimandoli nell'amore a Gesù in cui tutto scompare e annega per trovarsi nel Tutto, in Dio solo. Grazie ancora perché attraverso questo libro aiuti tanti a rendere vicina e possibile l’unione con Dio…”

La meditazione continua ad essere il mio cibo di base quotidiano… sono i Salmi che mi hanno nutriti, dato inspirazione per la vita quotidiana. Il tuo recente libro Il respiro dell’anima mi va direttamente all’anima. Mi parla tantissimo. Non puoi immaginare la gioia e l’emozione nei miei occhi. Grazie. Sicuramente, secondo la legge di Dio, son le tue lacrime che hanno permesso questo dono”.

Sì, l’unione con Dio è la realtà che può e deve abbracciare e informare ogni attimo della vita, anche quando non c’è il tempo di pensare a lui; è frutto dell’amare e del soffrire, dell’adempimento della sua volontà; la si può avvertire vivissima in certi momenti di luce e in quelli di prova sentirne la lontananza… La è una manifestazione privilegiata di questo rapporto, è “espressione – come scriveva Tommaso d’Aquino – del desiderio che l’uomo ha di Dio”.

Questa attrazione verso Dio – affermò Benedetto XVI quando diede inizio alle catechesi sulla preghiera –, che Dio stesso ha posto nell’uomo, è l’anima della preghiera, che si riveste poi di tante forme e modalità secondo la storia, il tempo, il momento, la grazia e persino il peccato di ciascun orante”. Essa “non è legata ad un particolare contesto, ma si trova inscritta nel cuore di ogni persona e di ogni civiltà. Essa è un atteggiamento interiore, prima che una serie di pratiche e formule, un modo di essere di fronte a Dio prima che il compiere atti di culto o il pronunciare parole… è il luogo per eccellenza della gratuità, della tensione verso l’Invisibile, l’Inatteso e l’Ineffabile”.

Si può dunque non soltanto interrogarci su Dio, pensare a lui, ma addirittura ascoltarlo e parlare con lui in un dialogo chiamato che, secondo la celebre definizione della preghiera lasciataci da Teresa d’Avila, diventa un autentico rapporto di amicizia con Colui dal quale sappiamo di essere amati”.

Domani dovrò spiegare queste cose ai bambini. Inizierò col mostrare alcune foto di bambini in braccio alla mamma, alla zia, al nonno… e domanderò: “Secondo voi questo bambino è contento? Perché?”. La preghiera è proprio affidarci alle braccia del Padre…

venerdì 13 gennaio 2023

Persona responsabile

Continuo a preparare la mia relazione per il Claretianum e continuo a rimanere fisso nell’idea che ogni membro di un gruppo o di una famiglia carismatica è chiamato ad assumersi la responsabilità di portare avanti il carisma di cui è stato reso partecipe.

Rimane vero quanto afferma l’antica istruzione Mutuae relationes. Si riferisce ai religiosi, ma vale per ogni persona che si ritrova in mano un dono di Dio: «Anche ai singoli religiosi certamente non mancano i doni personali, i quali indubbiamente sogliono provenire dallo Spirito, al fine di arricchire, sviluppare e ringiovanire la vita dell’istituto nella coesione della comunità e dare testimonianza di rinnovamento» (al n. 11).

Prima occorre riconoscere di essere dotati di doni personali proveniente dallo Spirito, poi attuare una sequela di verbi particolarmente significativi, attivi, dinamici: “arricchire, sviluppare e ringiovanire”.

Arricchire significa offrire il proprio apporto personale, sempre nuovo. Con il carisma vissuto dal nostro gruppo abbiamo ereditato un patrimonio che è stato alimentato dalle generazioni che ci hanno preceduto. Non soltanto non possiamo disperdere o dilapidale il capitale, ma dobbiamo farlo fruttare ulteriormente. Occorre metterci del proprio: è il nostro patrimonio! E ci è stato consegnato dallo Spirito, che ce ne rende responsabili e al quale dovremo rendere conto.

 Sviluppare fa supporre che il carisma, nella sua ricchezza, contenga elementi non ancora pienamente espressi che attendono di essere portati alla luce. Qui occorre intraprendenza, sperimentazione, creatività, senza assumere passivamente, senza ripetere pigramente quanto già detto e fatto.

Ringiovanire dice che nelle modalità con cui il carisma è stato vissuto vi sono aspetti ormai desueti, legati a un contesto storico e culturale ormai superato e quindi bisognosi di essere attualizzati in altri contesti culturali, con sensibilità contemporanee.

È una missione riconosciuta alle singole persone e di cui ogni persona deve farsi carico.

L’ultimo articolo della Regola degli Oblati mi sembra particolarmente eloquente in merito: «Con la sua oblazione [l’atto della professione religiosa], ogni Oblato assume la responsabilità del patrimonio comune della Congregazione espresso nelle Costituzioni e Regole e nella tradizione di famiglia. Lo si esorta a lasciarsi guidare da queste norme in una fedeltà creativa all’eredità trasmessa da sant’Eugenio de Mazenod» (C 168).

Il patrimonio della mia Congregazione – qui si fa riferimento primariamente al carisma, ma si suppongono tutte le realtà ad esso legate, da quella economiche a quelle istituzionali, apostoliche… – è dunque affidato ad ogni singolo membro; un patrimonio che chiede di essere amministrato con fedeltà creativa. Ognuno deve sentirci responsabile del carisma e della vita del proprio gruppo e mettere a suo servizio le proprie doti, senza rassegnazioni o pigrizie, ma con audacia e creatività.

giovedì 12 gennaio 2023

Persona con missione

Preparando la mia conferenza per il Claretianum ho di mira religiosi e religiose, e penso alla missione che ognuno è chiamato a compiere in maniera creativa e responsabile. Ho comunque davanti ogni persona, perché ognuno ha una missione da compire. Lo sguardo mi si rivolge verso Gesù l’”uomo perfetto”. In particolare mi risuonano tre che lo riguardano e che, di riflesso, riguardano tutti noi.

La prima: «Dio ha tanto amato il mondo da mandare il Figlio unigenito…» (Gv 3, 16). Ogni persona è chiamata a rispecchiarsi in questo momento e in questa azione di Gesù. Come lui siamo mandati da Dio, espressione del suo amore per l’umanità. Non siamo freelancer, individui che svolgiamo un’attività da soli, in autonomia, pensando soltanto a noi stessi. Abbiamo un mandato, siamo dei mandati. Questo mi mette davanti alle nostre responsabilità: abbiamo una missione da compiere, dataci direttamente da Dio al momento quando ci ha creati. La vita non è uno scherzo, ma il tempo nel quale adempiere il compito affidato.

La seconda parola: «Un corpo mi hai preparato… Ecco io vengo…  per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10, 5.7). Il corpo indica la concretezza della persona, in tutte le sue componenti umane. Gesù si è dato totalmente, anima e corpo, alla missione che il Padre gli ha affidato. Ogni persona è tale se pone tutte le energie ricevute – “un corpo mi hai dato” – al servizio della missione. Mette a disposizione del progetto di Dio – “vengo per compiere la tua volontà” – creatività, fantasia, energie, passione… tutti i talenti di cui è dotata. Amministra con rigore il proprio tempo, lavora con dedizione e fatica, disciplina il proprio corpo e il proprio spirito perché siano pronti a rispondere ad ogni richiesta che viene dalla missione.

La terza parola: «Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10, 45). La persona non vive per sé ma per gli altri. Si leva qui l’ammonimento evangelico: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16, 25). La persona si realizza non pretendendo, ma dando, dandosi.

Non c’è futuro per la società se non si mettono le persone in condizione di essere propositive, se le persone non si fanno carico della famiglia, delle istituzioni, della società… in tutti i suoi aspetti.

 

mercoledì 11 gennaio 2023

Centralità della persona

Ognuno è unico, irrepetibile, perfino indispensabile, nonostante l’adagio che ci vuole “unici, ma non indispensabili”. Siamo indispensabili perché voluti da Dio che nella costruzione del mondo non crea elementi opzionali, doppioni, gadget inutili.

In ognuno è innato un anelito alla pienezza di vita, al compimento del proprio essere. Un elemento che accomuna ogni pensiero, sia religioso che ateo. L’umanesimo cristiano si caratterizza per il suo rispecchiarsi nel Verbo, nel quale la persona è pensata, “sognata”, creata, per giungere a diventare, in lui, quello che è chiamata ad essere. Dio da sempre, nel momento stesso in cui genera il Figlio, in lui “dice” la nostra parola, il nostro verbo, il nostro essere. Nell’atto di pronunciare la Parola – il Verbo, il Figlio –, ogni persona è detta, è figlia, chiamata all’esistenza, con la vocazione ad essere, nel Verbo, dio come lui è Dio. È questa la realtà più vera della persona: il disegno che Dio ha su di lei e che non passerà mai, perché esso la costituisce nella sua dignità.

Il cammino della vita è la progressiva scoperta di ciò che sono e che sono chiamato a essere, della mia collocazione nel mondo e nella storia.

Se sono fedele nell’attuare il progetto che Dio ha su di me – e che scopro gradualmente, a mano a mano che vivo – trovo la piena realizzazione di me, l’appagamento.

Questo anche all’interno della vita consacrata, come ha rilevato Papa Francesco il 7 novembre: “La vita religiosa si comprende solo da ciò che lo Spirito fa in ciascuna delle persone chiamate. C’è chi si concentra troppo sull’esterno (le strutture, le attività...) e perde di vista la sovrabbondanza di grazia che c’è nelle persone e nelle comunità”.

La vita consacrata è sì una struttura e si articola in strutture, come ogni altra realtà umana, ma la sua realtà profonda e originaria è data dalle persone che la compongono.

Fra una settimana darò la conferenza semestrale all’Istituto Claretianum. Inizierò proprio dalla centralità della persona…

 

martedì 10 gennaio 2023

Il quarto dei Magi: un antieroe

Il blog sul quarto Mago ha avuto successo. Abitualmente ci sono poco meno di 300 visite al giorno. Per “Il quarto dei Magi” ce ne sono state oltre 3.000. Perché? Prima di tentare una risposta leggo alcuni dei numerosissimi commenti arrivati:

- Allora c’è speranza anche per me. - È bello ricordarci che, come quarto e comunque come operaio dell’ultima ora, ognuno è accolto da Lui come dono. C’è tanta consolazione, tanta poesia e tanta verità in queste bellissime parole che ci regali. - Noi siamo il quarto re che, smarriti per il mondo, alziamo gli occhi al cielo per ritrovare noi stessi e Gesù... che attende proprio la nostra miseria, per tradurla con amore in gioia. - Che esame di coscienza: il quarto che si è perso e ha disperso il suo tesoro in 1000 cose inutili veniva da nord! Noi europei abbiamo il dovere di rivedere le nostre superbe scelte e ricominciare, donando i nostri peccati a Lui ma anche chiedendo scusa a tutti e anche a noi, al nostro disegno nel mondo che abbiamo disperso. Una buona occasione per ri-cominciare a camminare e... arrivare almeno il prossima anno. - Un messaggio bellissimo e ci riempie di speranza nella misericordia di Dio. - Hai perfettamente ragione quando dici che esiste il quarto. Lui aspetta il nostro Dono più Grande e più Bello, i nostri peccati, perché solo attraverso questi doni. Lui ci Dona la Pace, l'Amore e la Gioia. I tre Doni che Lui riceve dai Magi ce li Ridona con la Sua Morte e Resurrezione. È un continuo Gioco d'Amore che si perpetua nel tempo. - Quante volte mi sento come il quarto, ho solo i miei peccati da offrire. - Questo racconto mi ha commosso. Tutti noi continuamente sprechiamo tempo e risorse senza trovare Gesù, e magari lo troveremo solo l’ultimo momento della vita: senza più nulla, salvo la sua misericordia immensa. - Siamo stati felici di scoprire il quarto Re Magio e soprattutto il messaggio che trasmette dove tante volte ci riconosciamo. - Grazie di questo bellissimo messaggio dal quarto dei Magi. Credo che ognuno di noi si ritrova. - Questo scritto che mi ha riempita di gioia per quest’amore misericordioso che Gesù ha per me, per te, per noi nonostante le nostre miserie. Non sapevo di questo quarto Re e mi è piaciuto tanto. Ed è ognuno/a di noi. Mi ha portato a credere ancora di più nell’amore misericordioso di Gesù. - È molto profondo, ci mette davanti a noi, a quello che siamo e alla gioia immensa di un bisogno di misericordia, che ci viene regalata! - Mi pare di assomigliare al quarto magio, forse lo siamo un po' tutti. - Avevo sempre avuto difficoltà a pensarmi come uno dei tre re magi, ma col quarto mi ritrovo in pieno. - L’importante è arrivare sotto la sua croce e inginocchiarsi… lui saprà dare un senso a tutti i nostri peccati. - Davvero siamo come il quarto dei Magi e anche per noi saranno quelle le parole che Gesù ci dirà. - Mi trovo in questo quarto Mago. - Bellissima l'esperienza del quarto, dal peccato la vita nuova. - Troppo bello! C'è speranza anche per me...

Potrei continuare a riportare molti altri messaggi. Perché tutti si ritrovano in questo quarto più che negli altri tre? Forse perché abbiamo bisogno di avere come modello non degli eroi – irraggiungibili – ma degli antieroi, con i quali possiamo identificarci.

Lo stesso successo avuto con il libro di Giovanni Santolini, un antieroe, che per questo sa farsi amare. Spero lo stesso successo con il libro che sta per uscire su Simonetta Magari, un’altra antieroe che proprio per questo saprà renderci vicino e attuabile il suo esempio.

Ci sentiamo tutti piccoli, poveri, bisognosi di misericordia…

 

lunedì 9 gennaio 2023

Tempo ordinario

 

Sono stato nella comunità di Marino per guidare il ritiro mensile. Avrei voluto portare in dono un pane, ma non ce l’ho fatta a passare dal forno e mi sono presentato a mani vuote. Avrei potuto portare il panettone, che m’è rimasto, ma volevo portare proprio un pane, a significare che la festa di Natale è finita ed è iniziato quello che la liturgia chiama “tempo ordinario”. I tempi straordinari sono quelli della festa e vorremmo che finissero mai. Abbiamo paura dei tempo ordinari, quasi fossero tempi morti. Infatti è appena finito Natale ed ecco subito attaccato il carnevale.

Il tempo ordinario fa bene. Come la pioggia fine fine di oggi. Non è quella torrenziale che provoca frane, smottamenti, inondazioni. Quella di oggi è una pioggia “ordinaria”, che non si fa notare troppo e che fa bene alla terra.

“Ordinario” spesso lo si usa in senso negativo, peggiorativo e lo si affibbia a ciò che non ha valore, di poco conto, insignificante, se non scadente. La sua etimologia è invece interessante, viene da “ordo, ordinem”, le cose messe in ordine, in fila. Mia mamma per alcuni anni ha fatto l’ordinatrice. Vedevo come lavorava all’orditoio: disponeva i fili in ordine, preparava l’ordito, che poi la spola del telaio, con la trama, avrebbe portato al tessuto. Non c’è stoffa senza l’ordito.

Ci vogliono i momenti un po’ caotici e gioiosi della festa, così come ci voglio anche quelli nei quali gli avvenimenti si succedono “ordinati”, come i fili dell’ordito. Nella semplicità, nella quotidianità, nella fedeltà alle piccole cose, nella ripetitività. Forse anche un po’ nella monotonia. Ma la crescita ha bisogno di tempo, di calma, di continuità… come lo scendere silenzioso della pioggia di oggi.

domenica 8 gennaio 2023

Pregare sempre, come?

 

Quando pregare? La tradizione ebraica e quella cristia­na, al pari di altre culture religiose, hanno individuato ritmi e tempi precisi, soprattutto all’inizio e al termine della giorna­ta. Ma l’insegnamento evangelico è chiaro: occorre «pregare sempre, senza stancarsi mai» (Lc 18, 1), ripreso più volte da Paolo, ad esempio in 1 Tessalonicesi: «Pregate incessante­mente» (5, 17).

Com’è possibile pregare sempre? La tradizione cristia­na ha dato molte interpretazioni… «La preghiera è continua – ha scritto un grande maestro e amico, Ermanno Ancilli – quando è continuo l’amore. L’amore è continuo, quando è unico e totale. Intesa in questo modo, la preghiera è sempre possibile in qualsiasi circostanza e in mezzo a qualsiasi occupazione. […] sarebbe impossibile in­terromperla, come sarebbe impossibile interrompere il respi­ro. […] Il cristiano non prega soltanto quando direttamente e immediatamente si rivolge a Dio coi suoi esercizi devoti, ma ogni volta che per amor suo, qualunque sia il quadro del­le sue occupazioni, egli esercita il bene con qualsiasi opera di zelo, di carità, di penitenza, di umile nascosto servizio. […] Vista così, la preghiera […] si identifica con l’essenza stessa nella vita».

È quanto ho cercato di spiegare ai tanti giovani in questi giorni passati insieme a Loppiano, con gioia profonda.