giovedì 31 dicembre 2020

Le dimensioni del tempo

 


 

Un nuovo anno. Mai così tanta incertezza. Timori e attese, frustrazioni e speranze. Allora centelliniamoli questi giorni che Dio ci dona.

Da quando egli è venuto nella nostra storia, il tempo s’è aperto sul cielo e ogni attimo attinge all’eterno, ha acquistato una dimensione verticale, ci congiunge a Dio che si rende presente in ogni presente. 

E il tempo si protende in avanti, in dimensione orizzontale, verso la piena realizzazione del nostro vivere, verso l’incontro con la Vita. 

Buon anno così, vissuto con pienezza.

mercoledì 30 dicembre 2020

Le solite riflessioni di fine d’anno

 


Cosa resterà di questo 2020?

Cercando un documento nell’archivio mi sono imbattuto in una cartella che custodisce le numerose note manoscritte dei ritiri personali di p. Jean Drouart, dal 1929 al 1986. Chi mai andrà a leggerle. Cosa rimane di quei ritiri? Quello che p. Drouart ha vissuto durante quei ritiri, il rapporto con Dio costruito in quei giorni.

Accanto vedo le note manoscritte dei viaggi apostolici e scientifici nel Labrador che p. Louis Babel ha compiuto tra il 1866 e il 1875: tre volumi di cui uno con minuziose mappe. Chi mai le leggerà? Forse qualche studioso… Cosa rimane? Quello che p. Babel ha vissuto in quei viaggi, gli incontri con le persone, la condivisione che ne ha fatto con gli amici…

Accanto, due grandi volumi scritti con una grafia piccolissima, quasi indecifrabile, di p. J. Batayron. È la storia della diocesi di Jaffna nello Sri Lanka, dal 1845 al 1893, 992 pagine. Chi mai la leggerà? Cosa rimane? L’amore con la quale l’ha scritta…

Questo passaggio rapido davanti a uno scaffale dell’archivio pone anche a me la domanda: cosa rimarrà di questo anno? La risposta mi è chiara come mai: il presente degli attimi vissuti con amore; detto diversamente: l’amore col quale è vissuta ogni azione. Solo quello rimane. Tutto il resto sono tracce vuote, forse segni di quell’amore vissuto. Gli archivi insegnano sempre…

Per fortuna ho ancora un giorno!

martedì 29 dicembre 2020

Strenna natalizia: Pagine di frontiera

 

Pagine di frontiera è il titolo della strenna natalizia di quest’anno.

Il primo grande viaggio fu in Corsica, con tutta la famiglia. Erano gli anni Sessanta. Andammo a Bastia da Livorno, in nave, per rivedere i luoghi nei quali il babbo aveva vissuto durante la guerra.

Il primo volo in aereo venne all’improvviso, fine anni Settanta. Il Padre provinciale mi inviò, dall’oggi al domani, in Inghilterra, per riaccompagnare a casa p. Carlo Bertolini, che si era ammalato e che non poteva affrontare il viaggio da solo. Andata e ritorno con una notte di permanenza in una cittadina di cui non ricordo neppure il nome.

Da allora i voli non si contano più, da un Paese all’altro, da un continente all’altro. E i confini?

Mi torna spesso alla mente l’immagine di Novecento, il protagonista dell’omonimo monologo di Alessandro Baricco. Nato su una nave, divenuto adulto, Novecento decide finalmente di lasciare per la prima volta quella che era sempre stata la sua casa. Mentre l’equipaggio lo saluta, egli inizia a scendere lentamente la scaletta verso il molo. “Fu al terzo gradino che si fermò. Di colpo”. Più tardi la spiegazione: “Tutta quella città ... non se ne vedeva la fine... La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine? (…) Non è quel che vidi che mi fermò. È quel che non vidi. (…) lo cercai ma non c'era, in tutta quella sterminata città c'era tutto tranne… C’era tutto. Ma non c’era una fine. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo. (…) Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce”.

Il confine pone un limite che protegge e de-finisce. È come una linea. Di qua ci sono io. E di là chi c’è? Un nemico? Oppure qualcuno che mi offre l’opportunità di uscire dal mio limite per un incontro arricchente? Il confine è una linea di demarcazione che mi relega in una chiusura autarchica, sicuro tra le proprie mura, oppure è un luogo comune di contatto che mi apre sull’altro, diventando, come dice la parola, un “fine comune”? 

Le mia Pagine di frontiera sono la testimonianza di un orizzonte che si dilata e si fa casa.


lunedì 28 dicembre 2020

Padre Santino in contemplazione davanti al Bambino

 

Un anno fa, il 1° dicembre 2019, papa Francesco andava a Greccio per firmare la sua lettera sul presepe. Pochi giorni dopo, l’11 dicembre, padre Santino mi scriveva per donarmi una sua esperienza di contemplazione, vissuta assieme a san Francesco e a papa Francesco. Sicuramente si sarà trovato nella cappellina accanto alla sua stanza, dove era stato approntato il presepe. In questi giorni ho riletto quella lettera, anch'io davanti al mio presepe:

Carissimo Fabio,

questo pomeriggio mi tornava l'immagine di San Francesco davanti al bambino Gesù e mi chiedevo cosa avrà provato in quel momento davanti a quel bambino. La risposta non è stata commozione, ma unesperienza profonda, indicibile di quanto Dio ci ama.

Quel bimbo era l'amore del Padre non solo reso visibile, ma coinvolgente il nostro cuore perché, accogliendolo, anche noi diventassimo figli amando come lui ama. E questa è la strada per costruire la pace, una convivenza fraterna nella comunione, perché l'amore che è stato diffuso nei nostri cuori è un amore di comunione, un amore che genera comunione.

Allo stesso tempo ho pensato alla Parola di Dio, proprio perché quel bimbo che è venuto è il Verbo incarnato è la Parola del Padre.

Nello stesso tempo ho sentito il bisogno di chiedere il dono del silenzio proprio per raccogliere la Parola. Perché? Perché noi siamo portati a collocare la parola, ogni parola, ogni discorso, nel nostro contesto, farne quindi oggetto di riflessione, di verifica, di analisi e in base a questo valutiamo il discorso, la parola, un intervento. Ma qui entriamo con quel bimbo in un'altra realtà: la Parola efficace trasmette vita, in essa è il Padre con il Figlio suo che opera e l'operare di Dio mira a trasformare ogni cuore di pietra in cuore di carne, come la carne di Gesù che è dono totale di sé, il cui culmine è nel dono sulla croce, dove non solo sconfigge il maligno ma trasforma la convivenza umana in una nuova creazione, la cui legge fondamentale è l'amore reciproco come tra le persone della Santissima Trinità. Non ha chiesto Gesù, nella sua preghiera del Padre, che tutti siano una cosa sola come noi? Come noi! Abbiamo bisogno di silenzio, silenzio contemplativo, ricco di gratitudine e prorompente gioia.

Questa, mi dicevo ancora, è la sorgente della passione apostolica, della compassione, del farsi pellegrini lungo le strade della società per portare a tutti la buona notizia e condurre le persone a Gesù, il Salvatore, il Maestro, la Luce e la Vita.

Non finirei più di dire su questa esperienza contemplando insieme a San Francesco e in comunione col papa Francesco quel bambino nelle braccia di Maria e con Giuseppe custode, il giusto.

Maria Immacolata nostra madre e maestra ci prenda per mano e allarghi il nostro cuore sull'umanità nella passione per lui.

domenica 27 dicembre 2020

Lasagne e lezioni


 


“Grazie del suo bellissimo messaggio. Mi scusi se non ho riposto subito. Negli ultimi giorni abbiamo lavorato tanto per dare un po' di gioia attraverso un cibo speciale ai nostri amici senzatetto di Roma.  Il 24 abbiamo fatto la lasagna di Natale per 300 persone che sono sulle strade. È stata la più grande avventura della mia vita, non avevo mai cucinato le lasagne per così tante persone”.

È un messaggio WhatsApp arrivato in risposta agli auguri di Natale che avevo inviato a una suora Claretiana. Appena l’ho letto ho gioito. Le foto che mi ha allegato sono eloquenti di per sé.

Nello stesso tempo ho provato un piccolo dispiacere. E io, mi sono detto, cosa faccio di concreto per gli altri? Solo discorsi…

Non passa neppure un minuto che la suora mi manda un altro WhatsApp, questa volta audio e mi dice che con lei ci sono tre giovani suore che studiano al Claretianum e che seguono con tanto interesse le mie lezioni. “Non può immaginare quanto sono contente. Le attendo con impazienza, poi a tavola mi raccontano tutto quello che hanno imparato… Perché non viene a pranzo da noi… Ormai di lasagne siamo pratiche!”.

Chi prepara le lasagne e chi prepara le lezioni… Forse la storia delle diverse membra del corpo mistico è proprio vera.

sabato 26 dicembre 2020

Due icone della santa Famiglia



 

Da un po’ di tempo ho messo sulla mia scrivania la statua della Famiglia di Nazaret che mi regalarono nel 2013 al termine del mio viaggio in Madagascar. Una scultura in legno che a me sembra molto bella.

Giuseppe è la figura più grande. Sta in piedi e guarda Maria e Gesù in atteggiamento di gioiosa contemplazione e di protezione. Si coglie con evidenza la consapevolezza del suo essere capofamiglia. È lui infatti che prende in sposa Maria, assume la paternità legale di Gesù, gli impone il nome, organizza il viaggio a Betlemme, difende la famiglia fuggendo in Egitto, decide di tornare in patria, valuta la situazione e sceglie di abitare a Nazaret… Papa Francesco ci ha regalato una lettera, Patris corde, nella quale disegna il ritratto di questo padre tenero, accogliente, premuroso, coraggioso e intraprendente, lavoratore, umile e nell’ombra, che mette in luce la sposa e il figlio, sostenendoli nella loro crescita: Patris corde, Giuseppe che ama “con cuore di padre

La seconda figura è Maria, ritratta in ginocchio, che tiene tra le braccia il bambino e lo guarda con affetto. Sappiamo tutto di lei: custodiva Gesù così come “custodiva nel suo cuore” le sue parole e tutto quando accadeva attorno a lui.

Gesù, piccolino, è al centro della statua e guarda in alto, verso i genitori. È lui, in effetti, che “sostiene” la famiglia. Giuseppe e Maria vivono per lui ed è lui che dà senso alla loro vita.

Sono tre persone che sanno “prendersi cura” l'uno degli altri. Prendersi cura è uno dei temi centrali dell’altra grande lettera del Papa, Fratelli tutti. I fascisti avevano come motto “Me ne frego”, i cristiani “Me ne prendo cura”.


E qui spunta la seconda icona della mia festa della santa Famiglia. La mattina di Natale trovo sulla porta della mia stanza una scatolina con dentro un piccolo Gesù Bambino, made in China naturalmente, niente a che fare con la statua artigianale della santa Famiglia. C'è anche un bigliettino e un cioccolatino... Basta così poco per farmi avere un piccolo tonfo al cuore: è il regalo di un membro della mia comunità che proviene da un Paese particolarmente difficile, il Pakistan. Mi piace che mi abbia pensato, che in certo modo si sia preso cura di me… La famiglia è fatta anche di questi piccoli gesti.
Prendersi cura gli uni degli altri, è questo che assicura l'unità della famiglia e che compagina la società.

Possiamo ora tornare alle parole del Papa che leggiamo nella sua lettera su san Giuseppe:

Dobbiamo sempre domandarci se stiamo proteggendo con tutte le nostre forze Gesù e Maria, che misteriosamente sono affidati alla nostra responsabilità, alla nostra cura, alla nostra custodia. Il Figlio dell’Onnipotente viene nel mondo assumendo una condizione di grande debolezza. Si fa bisognoso di Giuseppe per essere difeso, protetto, accudito, cresciuto. Dio si fida di quest’uomo, così come fa Maria, che in Giuseppe trova colui che non solo vuole salvarle la vita, ma che provvederà sempre a lei e al Bambino. In questo senso San Giuseppe non può non essere il Custode della Chiesa, perché la Chiesa è il prolungamento del Corpo di Cristo nella storia, e nello stesso tempo nella maternità della Chiesa è adombrata la maternità di Maria. Giuseppe, continuando a proteggere la Chiesa, continua a proteggere il Bambino e sua madre, e anche noi amando la Chiesa continuiamo ad amare il Bambino e sua madre.

Questo Bambino è Colui che dirà: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). (…) Da Giuseppe dobbiamo imparare la medesima cura e responsabilità: amare il Bambino e sua madre; amare i Sacramenti e la carità; amare la Chiesa e i poveri. Ognuna di queste realtà è sempre il Bambino e sua madre.

venerdì 25 dicembre 2020

Santo Stefano, ricolmo di Spirito Santo

Santo Stefano. Ho sempre negli occhi il bel duomo di Prato con la pietra verde e le volte di colori di fuoco. Fin da ragazzo vi ho celebrato la festa ed è una festa rimasta nel cuore. Quando ho potuto sono sempre stato presente. Altre volte la missione mi portava lontano, come nel 1988 quando, proprio la mattina di santo Stefano, partii da Prato per Lisbona. Ricordo quel viaggio in treno verso Fiumicino meditando sul nostro santo e lo Spirito Santo. Sono andato a ricercare le note di quel giorno. Semplici, essenziali, mi ridonano un momento di comunione con lui:

In treno, Prato-Roma, 26.12.1988

S. Stefano, pieno di Spirito Santo, frutto dello Spirito Santo, Lo Spirito gli dà forza, sapienza, contemplazione.

Gli dà la forza per affrontare il mondo giudaico con franchezza e coraggio, per affrontare il martirio.


Gli dà sapienza per penetrare le Scritture, cogliere il disegno di Dio, pronunciare parole di persuasione, insegnare.

Gli dà la visione di Dio e del Figlio suo aprendogli i cieli alla contemplazione.

Lui che rimproverava ai giudei di resistere allo Spirito di lascia da lui guidare docilmente.

Proprio perché animata dallo Spirito la sua vita diventa carità, come dice bene la seconda lettura dell’Ufficio di oggi. L’amore che ieri Gesù ha portato sulla terra (non ci ha donato il suo Spirito?) ha animato in tutto Stefano e lo ha condotto in cielo. Non è per amore che ha servito i poveri, ha annunciato la Parola, ha proclamato e difeso la verità, ha perdonato i nemici, ha aderito completamente a Gesù fino a bere il suo stesso calice e condividere il suo destino di morte e di gloria? L’amore è diffuso nei nostri cuori dallo Spirito che ci è stato donato: ecco Stefano, primo frutto dell’Opera di Cristo, eccolo pieno di Spirito Santo, pieno di carità.

Anch’io ho bisogno di questo, di Spirito Santo, di carità, di sapienza, di forza, di luce, di amore. Di che altro abbiamo bisogno?

giovedì 24 dicembre 2020

Un Natale diverso e sempre lo stesso


 

 

Un Natale diverso, quello di quest’anno. Mi trovo in quarantena fiduciaria. Come tanti. Siamo tutti in zona rossa: senza parenti, senza la tradizione, senza poter uscire di casa. Per qualcuno sarà un Natale vissuto da solo... Le circostanze nelle quali siamo costretti a vivere possono diventare l’occasione per andare al cuore dell’evento, riscattandolo da riduzioni a sentimento o consumismo. Preoccupazione principale era diventata il regalo da scegliere, il menù da preparare; preoccupazione ottima se espressione d’attenzione a quelli di casa, se un modo per rinsaldare i legami d’amicizia. Ma il Bambino rischia di rimane sempre nell’angolo, presenza cara e patetica, ma irrilevante!

Proviamo a rimetterlo al centro? È il solo a possedere una risposta convincente allo smarrimento, all’inquietudine, alla paura, quando non alla rabbia, alla ribellione di questi giorni. Un Dio che rinuncia ai cieli, che si spoglia della sua regalità per farsi uno di noi, bambino, fragile, bisognoso di tutto.

Davanti a un bambino anche un cuore scettico o indurito si abbandona alla tenerezza. Non è debolezza o sentimentalismo, è istinto per la difesa del debole, innato senso di protezione che scatta spontaneo. Le barriere ideologiche cedono e fiorisce la simpatia. Quale obiezione a un Dio che non si impone ma si rimpicciolisce, si fa bambino e subito condivide povertà, persecuzione, esilio, le nostre miserie? Non ha mai abbandonato la nostra storia sapendo compartire ogni nostra esperienza umana. Si rende presente in ogni solitudine e si fa compagnia, in ogni disperazione e si fa speranza, in ogni tensione e si fa concordia. “Non ci ha guardato dall’alto, da lontano – ha ricordato papa Francesco questi giorni –, non ci è passato accanto, non ha avuto ribrezzo della nostra miseria, non si è rivestito di un corpo apparente, ma ha assunto pienamente la nostra natura e la nostra condizione umana”. Davanti al presepe, ha continuato il Papa, “possiamo diventare un po’ bambini rimanendo a contemplare la scena della Natività, e lasciare che rinasca in noi lo stupore per il modo ‘meraviglioso’ in cui Dio ha voluto venire nel mondo. Questo farà rinascere in noi la tenerezza”.

Se sapremo farci avvolgere dallo stupore, dall’incanto del Natale, quando lasciamo il presepe ci sorprenderà rivedere quel Bambino nel volto dei nostri bambini. Forse lo riconosceremo sul volto dei nostri vecchi, del vicino di casa. Lo penseremo accanto agli ammalati che non possiamo visitare, ai parenti lontani... Tanti contatti ci sono preclusi ma egli è nato anche lì dove non possiamo andare: è l’Emmanuele, il Dio con noi, in noi, tra noi.

Sarà un Natale diverso, sarà il Natale di sempre, quello vero: la riscoperta della più semplice delle verità: Natale è lui, è quel Bambino!


mercoledì 23 dicembre 2020

La leggenda dei Re Magi / 2


 

– È vero che siete re?

– I re magi, vero? No, non siamo re. Siamo astronomi. Scrutiamo i cieli. I cieli parlano e lui li ascoltiamo. Tutti possono ascoltare la loro voce, ma nessuno si pone in ascolto. Le stelle sono silenti, a chi sa ascoltarle raccontano storie meravigliose.

– Come la stella che avete visto e che avete seguito? Cosa vi ha detto?

– Il cielo è la mappa della terra. Vi sono disegnate tutte le nazioni e le stirpi e i popoli della terra. Puoi vedervi l’Egitto e la Persia, la Grecia e l’India lontana. Quello che accade lassù annuncia quel che accade quaggiù. Vi sono tracciati i confini anche della piccola nazione d’Israele, ed è proprio nella sua mappa celeste che abbiamo visto accendersi una stella luminosa come mai se n’erano viste. Era il segno che quaggiù, in quella piccola nazione, era nato un grande personaggio, certamente un re, la cui luce sarebbe rifulsa nel mondo con la stessa brillantezza che possedeva la sua stella nel cielo.

– Era proprio una stella? Non si sarà trattato, come in questi giorni, della congiunzione di Giove e Saturno? 

– Quante ipotesi hanno sostenuto i vostri astronomi! La nostra testimonianza è per loro un autentico rompicapo e i loro calcoli non tornano mai. I nostri invece risultarono infallibili. Sapevamo per certo che nel regno di Giuda stava per nascere o era nato un grande re.

Come sono belli i Magi del mio presepe. Sono stati scolpiti in Germania, dono di Thomas Klosterkamp. Sono ancora estasiati, non si sa bene se a contemplar le stelle o il bambino Figlio di Dio. La stella li aveva guidati nel senso che aveva indicato loro la regione della Giudea, ma trovare il bambino sarebbe stato come trovare un ago in un pagliaio. Una volta giunti nella terra designata, la stella non aveva ulteriori indicazioni: era come fosse sparita.

ì Fu così che vi risvolgeste al re d’Israele.

– Che altri meglio del re avrebbe potuto dirci dov’era nato il nuovo re?

– Siete andate proprio nella tana del lupo. Non sapevate che Erode era un re crudele, che aveva ucciso una delle sue mogli, alcuni figli, un centinaio di persone che sospettava complottassero contro di lui? Avete rischiato grosso anche voi.

– Non sapevamo. Siamo studiosi, sempre con la testa tra le nuvole, ma nel senso vero della parola! Ci siamo subito resi conto di quanto fossimo diversi. Noi ci eravamo incamminati da lontano alla ricerca della luce, lui invece non si mosse: nessuna passione per la verità. Poi sapemmo che anche i pastori, appena seppero del bambino, si dissero subito: “Andiamo a vedere”, e si incamminarono in fretta. Erode no, non si mosse, incollato sul suo trono, preoccupato della poltrona, incapace di meraviglia e di novità. Disse a noi di cercare. Perché non si mise alla ricerca con noi? Avrebbe trovato, come noi trovammo.

– Come faceste a trovare, tra tanti villaggi, tra tanti nati?

– La stella! Tornammo a rivedere la stella! Che gioia quando ci apparve di nuovo. Ci mettemmo addirittura a correre. Ci precedeva veloce e ci condusse alla casa del re. Si fermò proprio sulla sua casa.

– Una stella che corre e che si ferma su una casa? Siete proprio sicuri? Comincio a dubitare sulla vostra professionalità scientifica.

– Non era più la stella che avevamo visto apparire nella mappa del cielo dove era disegnato il regno d’Israele. Era la luce d’un angelo, era un angelo di luce, la stessa d’un angelo.

– E voi sareste degli astronomi?

– Lo eravamo. Ora siamo dei credenti.

– E cosa trovaste?

– Ci immaginavamo chissà quale reggia, chissà quale corte e quale re. Invece una casa addossata a una grotta e un bambino come tutti i bambini, con attorno soltanto il babbo e la mamma. Ma era tutto più luminoso del cielo. Era il cielo caduto sulla terra. Regale, celeste, divino. Cademmo prostrati e adorammo.

martedì 22 dicembre 2020

Sonetto senza rime di apa Pafnunzio


Or che la morte s’è fatta vicina
più bella ancora la vita mi appare.
Solo apprezzi davvero quando sfugge
il dono grande che avevi tra mano.

Apa, sei mesto e ripiangi il passato?
al maestro chiesero i discepoli.
Temi forse dover lasciare il mondo
le sue bellezze gli affetti e gli amici?

Non guardo indietro, in avanti io guardo
proteso ad altra vita e altra bellezza
nostalgia cede il passo alla speranza.

Gli amici con me porto e altri trovo
là dove vado. Compiuta è la mia via.
Solo non lascio chi resta in cammino.


lunedì 21 dicembre 2020

La leggenda dei Re Magi in tempo di Covid

 


Il presepe è già pronto. Manca soltanto Gesù Bambino, che nascerà fra pochi giorni.

L’anno scorso avevo scritto un racconto che aveva come protagonisti il bue e l’asino. Avevo promesso che quest’anno avrei scritto un racconto sui Magi. Ma chi poteva prevedere l’epidemia del Covid-19?

Nel nostro presepe i Magi sono già arrivati. Non sono però nei pressi della grotta. Se ne stanno alla larga, sul pianoforte.

– Come mai siete arrivati così per tempo? – ho domandato loro – Gli altri anni arrivavate puntuali il sei gennaio, all’Epifania.  

– Quest’anno non potevamo presentarci all’ultimo momento. C’è la zona rossa. Bisognava venire prima, quando le frontiere erano ancora aperte.

– E adesso cosa fate tutto questo tempo lì impalati sul pianoforte?

– Abbiamo iniziato la quarantena, come previsto dal decreto ministeriale.

– Vedo che non avete con voi i regali…

– Abbiamo preferito spedirli con Amazon, è più sicuro.

Poveri re Magi, mi sembrano un po’ tristi. Quando mi sono avvicinato per interrogarli si sono coperti lesti lesti con la mascherina.

– Siete già passati a salutare il Re Erode?

– Quest’anno abbiamo pensato che fosse meglio evitare il contatto, è anziano, non vorremmo creargli problemi. Poi ormai, dopo tanti anni, abbiamo capito che tipo è, meglio stare alla larga.

 Da Gerusalemme siete comunque passati, vero?

 Quando ci hanno visto arrivare con i cammelli e il seguito, alcuni ci hanno accolti entusiasti: Finalmente tornano i turisti. Altri invece ci hanno preso a male parole: Ricomincia l’invasione dei clandestini.

 Ma come siete giunti fin qui?

 La storia sarebbe lunga. I voli sono sospesi. Inoltre col passaporto di un Paese arabo non si può entrare in Israele. Come al solito siamo arrivati per vie ignote: ci lasciamo guidare da una stella… Se segui una stella non c’è controllo che tenga.

 Mi piacerebbe sapere da dove venire, e quando avete visto la stella…

 Noi siamo qui, sul pianoforte, in quarantena fiduciaria. Quando vuoi possiamo raccontarti…

domenica 20 dicembre 2020

Il dono di una vita vissuta

 


Ieri ho passato tutto il pomeriggio ha sistemare le sue carte. Era il trigesimo della morte. Ho continuato anch’oggi e continuerò domani. Non immaginavo che avesse scritto tanto. Centinaia di conferenze, articoli… I temi sono sempre quelli della formazione e della vita religiosa.

In ogni scritto si sente che parte dalla propria esperienza, dona sempre qualcosa di sé. Ne trovo la conferma in una pagina di diario del 24 luglio 1974: «La tentazione che abbiamo è dare agli altri la “sapienza” che abbiamo avuto dono di conoscere… senza che essa ci modifichi interiormente, senza che ci faccia nuovi. Anche lo studio della teologia e della S. Scrittura può essere così, solo “conoscenza”… e non un incontro con il Verbo che ci “svela” il Padre, ci introduce nella Trinità, ci apre sull’umanità come Dio la vede…».

Più avanti, al 21 ottobre 1974 un'altra chiave di lettura del suo insegnamento:

«Da qualche giorno vivo con un senso di silenzio profondo nello spirito: il silenzio che nasce come da un incontro con una persona che ti è Madre e che non è di questa terra. Un incontro che ti ha cambiato o ti va cambiando profondamente.

È stato qualche giorno fa: la sensazione nitida della presenza viva di Maria. Che era lì. Che abitasse in casa. Una sensazione rapida, ma netta.

Non è la prima volta che accade. Ma prima era il sentire lei e Gesù persone viventi, reali e presenti: che ti chiamavano, con il loro star lì, ad una comunione con loro piena. Ma questa volta è stato diverso.

Mi sono accorto dopo dalle tracce lasciate nella mia anima: una decisione a servire Dio solo, un amore alla Chiesa, una maggior relatività nel riguardo delle cose, un perdere la stessa comunità…

Ma è solo sabato, per l’unità fatta con Micor a telefono, che mi si è centrato illuminandolo il senso dell’incontro. L’ho sentito (…) soprattutto come un incontro che ti faceva partecipe della realtà del sì di Maria Desolata, ma non tanto nella dimensione del “perdere”, quanto nella dimensione di “Madre della Chiesa”, anche se ho sentito le due dimensioni inscindibili, ma è la seconda che ha preso il mio spirito come luce trasformante e di cui ho vissuto tutto ieri pieno di profonda gratitudine. (…) E che Maria mi chiamasse a partecipare a riviverla nei dolori della Chiesa… a rivivere Lei così!

Non so dire altro. Solo che è nato il bisogno, dal profondo del cuore, di una nuova scelta di Dio, come conseguenza dell’incontro e della realtà…».

sabato 19 dicembre 2020

Niente è impossibile a Dio

 


«Come è possibile?», domandi. È la prima delle parole che ti sentiamo pronunciare nel Vangelo, e non è l’ultimo interrogativo che poni. «Perché ci hai fatto questo?», chiederai più tardi al Figlio che ti ha lasciato per rimanere a Gerusalemme. Vuoi andare a fondo nelle cose, penetrare nel mistero, in una ricerca sincera e spesso sofferta, che porti a un’adesione consapevole e convinta.

Com’è difficile comprendere i disegni di Dio: sovrastano infini­tamente i nostri progetti e spesso sembrano contraddirli, negar­li. Come si concilia il tuo non conoscere uomo con l’annuncio di una maternità? A mano a mano che la tua vita si snoderà in una sequenza del tutto inedita e imprevedibile, sopraggiunge­ranno altri nuovi interrogativi: «Cos’è mai questo racconto di pastori che hanno visto angeli in cielo?», «Che senso ha l’an­nuncio di Simeone nel tempio?», «E le parole che, sempre nel tempio, mi rivolge il figlio dodicenne?».

«Sarà possibile – ecco ora la domanda cruciale – che si compia in me quello che Dio mi chiede? Non è troppo grande? Ce la farò?».

Tutto è più grande di te, che pure sei così grande. Sei pur sempre una creatura umana e la rivelazione del mistero non può non lacerare la mente e il cuore, che devono di­latarsi all’infinito, come infinito è il mistero. Tutta la tua vita sarà un crescere progressivo verso la pienezza, un costante adeguamen­to all’infinita totalità di Dio; un cammino fatto di interrogativi, ascolto, accoglienza delle parole di Dio, per custodirle con cura, meditarle con assiduità, approfondirle, penetrarle.

Sei veramente una di noi. Provi quello che anche proviamo. Spesso anche a noi sembra troppo difficile affrontare le situazioni nelle quali veniamo a trovarci: «Com’è possibile?». Davanti alle prove della vita, specie quando sembravano troppo diffici­le, impossibili da sostenere, da risolvere, tornavano alla mente le parole dell’angelo: «Nulla è impossibile a Dio». 

Maria, fa’ che quelle parole risuonino anche nel nostro cuore. Soltanto da questa certezza può nascere l’arrendevole fiducia, la speranza, la consegna nelle mani dell’Onnipotente: «Avvenga per me secondo la tua parola».

 

venerdì 18 dicembre 2020

Regali di Natale: antiche stampe!

 



Regali di Natale! Quest’anno più attesi e più apprezzati di sempre, viste le restrizioni fisiche cui siamo sottoposti. Ed ecco mi arriva una grande busta. Sorpresa! Una pagina originale della rivista “Le monde illustré” del 1 giugno 1861, p. 352, che annuncia la morte di Eugenio de Mazenod con una bella litografia ripresa da una foto di M. Pierre-Petit (1832-1909), all’avanguardia nella tecnica fotografica; realizzò una serie di ritratti di ecclesiastici in tutta la Francia.

L’incisione su lastra per la stampa xilografica è di Léon-Louis Chapon (1836-1918), incisore e intagliatore su legno e su rame. La firma dell’artista è posta sotto la spalla sinistra del santo.

L’articolo è firmato Maxime Vauvert.


Non solo. Nella busta c’è anche un opuscolo di 16 pagine di una collezione di testi intitolata “Les contemporains” (n. 417), con il profilo di Mgr Eugène de Mazenod (1782-1861), scritto da P. Mario Devès, omi e pubblicato dalla Maison de la Bonne Presse, Paris 1900.

P. Mario Devès (1867-1940) è stato segretario del superiore generale Louis Soullier, direttore della rivista “Petites Annales”, scrittore fecondo: biografie, poesie, racconti, opere scientifiche…

La narrazione della vita di sant’Eugenio si presenta semplice e avvincente.

Ma che bel regalo, Andrea, grazie, e Buon Natale!!!

giovedì 17 dicembre 2020

Non abbandonarci alla/nella tentazione


 

Due lettori, Sergio e Lina, non meglio identificati, mi fanno una domanda in merito al blog che ho scritto due anni fa: https://fabiociardi.blogspot.com/search?q=non+abbandonarci

Nel titolo e nell'articolo ho notato che riporta “«non più non indurci in tentazione», ma «non abbandonarci nella tentazione». Perché?" ma la vera modifica introdotta non dice «non abbandonarci ALLA tentazione»? Non sono uno studioso, ma mi sembra davvero più corretto «non abbandonarci nella tentazione». È sbagliato forse il titolo?

Il testo italiano nella traduzione della CEI è “non abbandonarci alla tentazione”. Il mio breve scritto contiene un “lapsus freudiano” e tradisce la mia preferenza: “non abbandonarci nella tentazione”.

Premetto che ogni traduzione è interpretazione. Anche il testo greco, da cui traduciamo in italiano, è a sua volta una traduzione dell’aramaico, la lingua nella quale Gesù ci ha dato il Padre nostro. Quale parole ha detto effettivamente Gesù? Le ricostruzioni nella lingua originale sono tutte ipotetiche.

Abbandonarci “alla” tentazione: dà più forza alla testazione, quasi la personifica; da una parte la potente forza del Male, dall’altra il Padre onnipotente; noi in mezzo: chi dei due vincerà?

Abbandonarci “nella” tentazione: si riferisce sia al momento nel quale stiamo per entrare in tentazione, sia a quando vi siamo già dentro. Anche in questo caso chiediamo a Dio che resti al nostro fianco. 

Ormai è fatta. Preghiamo con le parole che i vescovi ci suggeriscono. Il Padre, in ogni caso, non ci abbandona.

mercoledì 16 dicembre 2020

La storia avvincente dei martiri oblati di Spagna




Giovedì 17 dicembre ore 15.00: ancora un'oretta davanti allo schermo, in streaming su omiworld.

Sì, perché ho appena pubblicato il volume di David Lopez sui martiri oblati di Spagna.

E' il nono volume della collezione "Oblatio Studia", supplemento alla rivista "Oblatio".

Questa volta l'opera è voluminosa, 736 pagine, ma occorrono tante pagine per raccontare di tanti martiri e quasi tutti giovanissimi. 

Una storia avvincente ricostruita con documenti inediti.

martedì 15 dicembre 2020

Chiara Lubich, Discorsi pubblici



Siamo così al terzo volume. La pubblicazione delle opere di Chiara Lubich procede. Altre 786 pagine, ma sono soltanto un terzo dei discorsi in ambito civile ed ecclesiale.

Ricordo quando doveva pronunciare il suo primo discorso pubblico. Avrebbe dovuto parlare a Pescare, sulla grande piazza che si apre sul mare, in occasione del Congresso eucaristico nazionale. Mancava ancora un anno e già ci pensava, ne parlava… “Ma perché, si diceva, manca ancora così tanto”. Era perché avrebbe voluto che quello il suo discorso fosse tutto frutto di vita, la sua e quella del suo Movimento: vita, non parole. E chi l’ha più fermata?

Scorrendo il libro percorro con lei le strade del mondo: dall’India al Camerun, da New York a Berna, da Velletri a Buenos Aires, dalla Tailandia alla Polonia. Si incontra con giovani, politici, vescovi, luterani, ebrei, buddisti, musulmani, animisti… Prima di leggere un discorso mi figuro l’ambiente, le persone, i contatti. Va nei luoghi più diversi, negli ambienti più impensati e la sua presenza si fa messaggio, costruisce unità. Speriamo che nel collegamento internet di giovedì sera riesca a trasmettere quello che ho vissuto stando con Chiara e quello che mi ha trasmesso.

L’evento in diretta youtube

Il volume, da poco in libreria, sarà presentato per la prima volta sul canale YouTube di Città Nuova – https://www.youtube.com/user/cittanuovatv –giovedì 17 dicembre h 21.00. Condurrà la presentazione Stefania Tanesini, ufficio comunicazione del Movimento dei Focolari. Interverranno Donato Falmi, Direttore della collana Opere di Chiara Lubich; Vera Araujo, sociologa e curatrice del volume; Fabio Ciardi, OMI, Coordinatore Centri Studi Scuola Abbá, Movimento dei Focolari; Pasquale Ferrara, ambasciatore, docente IUS e LUISS.


lunedì 14 dicembre 2020

Assumere il limite

 


Quest’anno le mie “Lectio brevis” hanno come oggetto la letteratura sulla spiritualità oblata. Tra i tanti autori la settimana scorsa ho presentato Alfred Yenveux (1843-1903). Per vent’anni è stato cappellano nel santuario di Montmartre a Parigi. Ha scritto un trattato sul Sacro Cuore in cinque libri, tradotto in diverse lingue, compreso l’italiano. Era chiamato “il santo di Montmartre”.

Ha pubblicato anche due volumi di commento alla Regola oblata. All’inizio delinea in poche pagine la spiritualità oblata. Mi colpisce quello che per lui è il primo carattere distintivo della nostra famiglia. Lo desume dalla qualifica di “parva Congregatio” (piccola Congregazione) che trova all’inizio della Regola. Parva non si riferisce all’esiguità del numero dei suoi membri o all’importanza delle sue opere, ma alla “loro umiltà, alla loro modestia e alla loro semplicità”, senza rivalità nei confronti degli altri ordini o congregazione, verso i quali occorre invece mantenere una grande stima.

“Parva” mi fa pensare anche a tutti i nostri limiti, alle fragilità che ci sono tra di noi. Chi è all’altezza della vocazione? Sapienza è accogliere le nostre debolezze, l’inadeguatezza, essere riconciliati con le nostre povertà. E come sarà il futuro? Avremo energie e capacità per affrontare le sempre nuove sfide? Fiducia e speranza è fidarsi di Dio che nella sua provvidenza vede e provvede anche ai fiorellini del campo.

Sì, “parva”, piccola congregazione, senza pretese: servi inutili che svolgono la missione che Dio ci ha affidato, con gioia e con le forze che abbiamo, fino all’ultimo, “usque ad internicionem”, come scriveva sant’Eugenio nella Regola.

E' un tema che mi è caro. Ne avevo scritto anche qualche anno fa...  https://fabiociardi.blogspot.com/search?q=parva+congregatio


domenica 13 dicembre 2020

Sì sì, verrà ancora

 


A chi piace, a chi non piace... Accontentarli tutti… 

A me il presepe in piazza san Pietro è piaciuto. Rimane da vedere come sarà Gesù Bambino, al momento coperto da un drappo rosso.

Mi assicurano infatti che, nonostante tutto, anche quest’anno tornerà: non si è stancato di noi…

sabato 12 dicembre 2020

Il Vangelo? Ti pianta dentro un seme...

 

“No, non sono io”. “No, non lo sono”. “No”. Tre no secchi secchi!

Ti saresti potuto mostrare un po’ più diplomatico con quanti ti intervistavano. Un po’ di gentilezza non avrebbe guastato. E poi perché non approfittare della popolarità?

Ma tu non sei l’uomo dei compromessi. Distogli l’attenzione dalla tua persona per indirizzarla su Gesù: Tu devi diminuire, Lui crescere.


Sei mandato da Dio ma non sei tu la luce (1, 68), sei il testimone del Cristo ma non il Cristo (1, 20-23), sei l’amico dello sposo ma non lo sposo (3, 27-30), sei la voce ma non la Parola...

Non c’è rammarico in quello che dici, piuttosto la gioia di additare finalmente, ultimo dei profeti, il Signore che viene.

“Così deve essere il vero seguace di Cristo – leggo nel commento dell’amica Liliana Cosi che appare su Il Vangelo del giorno –: uno che arde per il desiderio di annunciare Cristo, testimoniando con la vita che lui c’è, e dove c’è lui ci sono salvezza, misericordia, speranza”.

Nella pagina accanto al breve commento di Liliana, l’esperienza di Beatrice, Loreta, Norbertas e Vida della Lituania. “Siamo un piccolo gruppo di ragazzi amici. Quando è cominciata la pandemia ci siamo impegnati a raccogliere i rifiuti che purtroppo abbondano nei boschi attorno al nostro villaggio. La nostra giornata iniziava molto presto, ma ci alzavamo con sprint, felici di poter contribuire anche noi a rendere più bella la natura, questo dono di Dio. La fatica era ripagata dal pensiero di far felici gli altri e anche dalla vista di creature come cerbiatti, cicogne e conigli”.

Ma quest’esperienza c’entra qualcosa con il Vangelo? Proprio niente! Oppure sì. È questo il bello del Vangelo: ti pianta dentro un seme che poi produce una cosa tutta diversa dal seme. Ti pianta dentro Gesù e poi Gesù agisce, come meglio crede…

venerdì 11 dicembre 2020

70 anni fa: Un cantiere sotto la protezione di san Giuseppe

 


Quest’anno la nostra casa generalizia di via Aurelia compie 70 anni. Il diario della comunità di quel periodo è ricchissimo di particolari. Il primo colpo di piccone fu dato il 25 gennaio 1949, e i lavori furono messi sotto la protezione di san Giuseppe. All’inizio di questo anno dedicato da papa Francesco a san Giuseppe è bello rileggere la cronaca di quel giorno scritta da p. Edmond Servel:

Grande animazione questa mattina a Villa Pacelli. Per primi sono arrivati ​​i lavoratori dell'azienda Soli e Salini. Al mattino, in una giornata limpida e vivace, il Rev.mo Padre Generale e il suo Consiglio, la maggior parte dei Padri della casa generalizia, dello scolasticato e di Via dei Prefetti arrivano a piccoli gruppi.

Al cenno degli architetti, gli operai si incontrano nel luogo dove si vede la cupola di San Pierre, la maggior parte con uno strumento di lavoro in mano.

L’economo prende la parola: “È in questa proprietà, che porta il nome del Papa, che presto verrà eretta la Casa Generalizia degli Oblati, vicinissima alla cupola di San Pietro, quasi a ricevere la luce di Cristo, per diffonderla, sotto il vessillo dell'Immacolata e sull'esempio di San Paolo di cui celebriamo oggi la conversione, a tutti i popoli (…) Gli Architetti, il Signor Ingegnere, e voi, membri della Maestranza e cari operai, quando lavorerete qui con il genio della vostra mente, o la forza delle vostre braccia (…) sarete missionari con noi e la casa che uscirà dalle vostre mani sarà la casa di Cristo e dei suoi apostoli, gli Oblati di Maria Immacolata. Costruire la casa di Cristo e dei Figli di Maria! Come non pensare alla missione che fu quella di San Giuseppe, quando, a Betlemme, in Egitto, a Nazareth, dovette provvedere, forse per la costruzione, in ogni caso alla sistemazione delle abitazioni che accoglievano Gesù e la sua santa Madre? (…)”.

Immediatamente ha luogo la benedizione liturgica della proprietà. Segue la consacrazione a San Giuseppe. Una statua di San Giuseppe racchiusa in una piccola nicchia di legno è stata attaccata a uno dei grandi alberi della proprietà, di fronte a San Pietro. Davanti ad essa l’economo pronuncia la consacrazione:

 Glorioso San Giuseppe, Padre adottivo di Cristo e Sposo della Santissima Vergine Immacolata, eccoci davanti alla vostra immagine, per consacrarvi in modo particolare il cantiere che sta aprendosi oggi in questo luogo, per la fabbricazione di una casa destinata alla direzione di una Famiglia religiosa di Missionari, di cui siete lo speciale Patrono.

Ricordatevi di quello che avete fatto per dare alloggio a Gesù e Maria, e benedirete tutti quanti hanno la responsabilità della costruzione di questa Casa. Ricordatevi che, anche Voi avete lavorato colle vostre mani per guadagnare il pane della Sacra Famiglia, e benedirete tutti questi cari operai che lavoreranno qui, e li preserverete da ogni infortunio come da ogni peccato.

Ricordatevi del filiale affetto che ebbe sempre per voi Monsignor de Mazenod, il nostro venerato Fondatore, prenderete sotto la vostra protezione la Congregazione che fondò, un giorno come questo, più di un secolo fa, con tutti gli interessi spirituali e temporali che la riguardano, in modo che tutti nella fabbricazione di questa casa, lavoriamo per la sola gloria di Dio e la salvezza dalle anime. Così sia!

Il Padre generale dà il primo colpo di piccone… Iniziano i lavori!