sabato 26 dicembre 2020

Due icone della santa Famiglia



 

Da un po’ di tempo ho messo sulla mia scrivania la statua della Famiglia di Nazaret che mi regalarono nel 2013 al termine del mio viaggio in Madagascar. Una scultura in legno che a me sembra molto bella.

Giuseppe è la figura più grande. Sta in piedi e guarda Maria e Gesù in atteggiamento di gioiosa contemplazione e di protezione. Si coglie con evidenza la consapevolezza del suo essere capofamiglia. È lui infatti che prende in sposa Maria, assume la paternità legale di Gesù, gli impone il nome, organizza il viaggio a Betlemme, difende la famiglia fuggendo in Egitto, decide di tornare in patria, valuta la situazione e sceglie di abitare a Nazaret… Papa Francesco ci ha regalato una lettera, Patris corde, nella quale disegna il ritratto di questo padre tenero, accogliente, premuroso, coraggioso e intraprendente, lavoratore, umile e nell’ombra, che mette in luce la sposa e il figlio, sostenendoli nella loro crescita: Patris corde, Giuseppe che ama “con cuore di padre

La seconda figura è Maria, ritratta in ginocchio, che tiene tra le braccia il bambino e lo guarda con affetto. Sappiamo tutto di lei: custodiva Gesù così come “custodiva nel suo cuore” le sue parole e tutto quando accadeva attorno a lui.

Gesù, piccolino, è al centro della statua e guarda in alto, verso i genitori. È lui, in effetti, che “sostiene” la famiglia. Giuseppe e Maria vivono per lui ed è lui che dà senso alla loro vita.

Sono tre persone che sanno “prendersi cura” l'uno degli altri. Prendersi cura è uno dei temi centrali dell’altra grande lettera del Papa, Fratelli tutti. I fascisti avevano come motto “Me ne frego”, i cristiani “Me ne prendo cura”.


E qui spunta la seconda icona della mia festa della santa Famiglia. La mattina di Natale trovo sulla porta della mia stanza una scatolina con dentro un piccolo Gesù Bambino, made in China naturalmente, niente a che fare con la statua artigianale della santa Famiglia. C'è anche un bigliettino e un cioccolatino... Basta così poco per farmi avere un piccolo tonfo al cuore: è il regalo di un membro della mia comunità che proviene da un Paese particolarmente difficile, il Pakistan. Mi piace che mi abbia pensato, che in certo modo si sia preso cura di me… La famiglia è fatta anche di questi piccoli gesti.
Prendersi cura gli uni degli altri, è questo che assicura l'unità della famiglia e che compagina la società.

Possiamo ora tornare alle parole del Papa che leggiamo nella sua lettera su san Giuseppe:

Dobbiamo sempre domandarci se stiamo proteggendo con tutte le nostre forze Gesù e Maria, che misteriosamente sono affidati alla nostra responsabilità, alla nostra cura, alla nostra custodia. Il Figlio dell’Onnipotente viene nel mondo assumendo una condizione di grande debolezza. Si fa bisognoso di Giuseppe per essere difeso, protetto, accudito, cresciuto. Dio si fida di quest’uomo, così come fa Maria, che in Giuseppe trova colui che non solo vuole salvarle la vita, ma che provvederà sempre a lei e al Bambino. In questo senso San Giuseppe non può non essere il Custode della Chiesa, perché la Chiesa è il prolungamento del Corpo di Cristo nella storia, e nello stesso tempo nella maternità della Chiesa è adombrata la maternità di Maria. Giuseppe, continuando a proteggere la Chiesa, continua a proteggere il Bambino e sua madre, e anche noi amando la Chiesa continuiamo ad amare il Bambino e sua madre.

Questo Bambino è Colui che dirà: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). (…) Da Giuseppe dobbiamo imparare la medesima cura e responsabilità: amare il Bambino e sua madre; amare i Sacramenti e la carità; amare la Chiesa e i poveri. Ognuna di queste realtà è sempre il Bambino e sua madre.

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