lunedì 30 settembre 2013

Modelli di orazione negli Istituti di vita consacrata

Modelli di orazione negli Istituti di vita consacrata: lettura generazionale.
È il titolo del mio ultimo articolo apparso su “Sequela Christi”, 2013/1, p. 161-170.

Eccone l’incipit:

Lungo la sua storia millenaria la vita consacrata ha saputo trovare differenti modalità per vivere la preghiera, elaborando tecniche, itinerari e arricchendola di contenuti e di interpretazioni teologiche. Questo ricco patrimonio di esperienza e di dottrina è uno dei tesori più preziosi che essa custodisce e che è chiamata a trasmettere alle nuove generazioni perché, attraverso di esse, venga ulteriormente arricchito e condiviso con tutto il popolo di Dio.

Tratteggio brevemente questo cammino e le esigenze del passaggio generazionale nel  momento attuale, suggerendo tre piste di riflessione: la ricchezza dei modelli di preghiera legati ai diversi carismi, le sensibilità nel campo dell’orazione che emergono dai nuovi carismi e dalla vita della Chiesa di oggi, il possibile arricchente dialogo tra la tradizione e le esigenze odierne.

domenica 29 settembre 2013

29 settembre 1970




29 settembre 1970. A Marino, sette giovani pronunciano i primi voti nelle mani di P. Leo Deschâtelets, superiore generale degli Oblati, in una semplicità esterna e una intima indicibile gioia. Ad uno di loro il Superiore generale aveva dato una sua foto con dietro una parola di sant’Eugenio de Mazenod, tratta dalla Prefazione alle Costituzioni e Regole: "Ut proferatur Regnum Christi!", quasi una parola d'ordine per la sua vita religiosa. Allora non si usavano le foto. Rimangono soltanto poche righe di alcuni giorni prima.


5 settembre: Il pensiero costante: Dio... Ho sentito come soltanto lui conta, solo l’unione con lui. Se lui è l’amore, se lui è la vita, se lui è l’essere, solo in lui ci realizziamo. E questo entrare in Dio è qualcosa di tanto silenzioso, di tanto profondo... Quest’anno a un certo punto ho sentito che dovevo perdere tutto, staccarmi da tutto... Ma era un lavorìo direi negativo. In questo mese invece la presenza di Dio voleva dire assenza del resto. Non è che prima si fa il vuoto e poi viene Dio, ma viene Dio e tutto eclissa, tutto brucia col suo calore.



19 settembre: L’amore vale più di tutto e allora tutto si deve perdere per mantenere l’amore. Solo questo vale in questi giorni, l’essere con Gesù in mezzo, vivere momento per momento, fermi... E con grande semplicità, con la mitezza di Gesù, pronto a tutto per l’amore dei fratelli... Questa è la vocazione. Essere uno. Il senso della vita è Dio. Uno solo con lui.


venerdì 27 settembre 2013

La Madonna del saluto



La parte inferiore della basilica e quella attuale,
in alto, dove si intravede il mosaico
San Gregorio Magno era molto devoto dell’immagine della Vergine che si venera nella chiesa dei santi Cosma e Damiano. In quella chiesa aveva tenuto anche la XIII Omelia. 
L'antica entrata della basilica, sulla Via Sacra

Un giorno passando per il Foro romano non si fermò a salutare la Vergine come soleva fare. Allora lei gli apparve poco oltre e lo rimproverò dicendogli: Gregorio, perché più non mi saluti? Il Papa tornò indietro, entrò in chiesa, e le chiese scusa.
Da allora fu chiamata la Madonna del saluto, poi storpiato in Madonna della salute. Così almeno racconta la tradizione…

giovedì 26 settembre 2013

Nella basilica dei santi Cosma e Damiano


Erano gemelli. Nati in Arabia, si dedicarono alla cura dei malati dopo aver studiato l'arte medica in Siria. Ma erano medici speciali, non si facevano pagare.  La loro cura dei malati divenne strumento efficacissimo di apostolato. Durante il regno dell'imperatore Diocleziano, forse nel 303, il governatore romano li fece decapitare.
Oggi, nella loro festa, sono stato a trovare i loro corpi sepolti nella basilica romana a loro dedicata, i santi Cosma e Damiano, costruita dal papa Felice IV nel 526, riunendo due antichissimi edifici pagani, a ridosso della Basilica di Massenzio, lungo la via Sacra.

Il mosaico dell’abside domina l’intero edificio, monumento dell’arte romana che stava passando dal paganesimo alla nuova fede, e che rifiorirà secoli più tardi con Pietro Cavallini e Giotto. Attorno al Cristo Redentore, fra nubi rosse e gialle, i nostri santi Cosma e Damiano con le coroni del martirio, presentati da Pietro a Paolo. Una scena maestosa e insieme pienamente umana.
Nel medioevo i Fori romani si riempirono gradatamente di terra e vennero sommersi fino a diventare il campo vaccino, dove pascolavano le mandrie. Metà basilica era sotterra. Così nel 1600 il pavimento fu innalzato tagliando a metà la chiesa. Il mosaico dell’abside ne ha sofferto: è stato tagliato e ha perduto la lontananza ottimale da terra che rendeva ragione delle sue proporzioni. Nella parte inferiore è rimasta quella che adesso è la grande cripta, dove, sotto il piccolo altare, riposano le spoglie dei due fratelli.

È un’oasi di pace, di silenzio, di preghiera, nella quale è bello rifugiarsi, tagliando fuori la Roma rumorosa e festosa dei turisti e del traffico. Mi pare il luogo ideale per pregare i due santi medici per i nostri ammalati.

mercoledì 25 settembre 2013

Storia di Cristo, di Giovanni Papini

 In biblioteca ho trovato la prima edizione della Storia di Cristo, di Giovanni Papini, edita a Firenze nel 1921, con la sua firma. Una rarità. Ho cominciata a leggerla. È il Papini di sempre, non importa se l’ha scritta dopo la conversione: caustico, diritto, senza peli sulla lingua, con un linguaggio ricchissimo.
I suoi sono capitoli brevissimi, incisivi, capaci, in poche righe, di rievocare tempi e luoghi del Signore. È difficile interrompere la lettura. Lui stesso definisce il suo scritto “Un libro vivo, che renda più vivo Cristo, il sempre vivente, con amorosa vivezza, agli occhi dei vivi”.
È proprio vero, come si legge nella sua introduzione, che “Ogni età deve riscrivere il suo Evangelo”, anche se “Nessuna vita di Gesù, anche se la scrivesse uno scrittore di genio più grande di quanti furono, potrebbe essere più bella e perfetta degli Evangeli. La candida sobrietà dei primi quattro storici non potrà esser mai vinta da tutte le meraviglie dello stile e della poesia. E ben poco possiamo aggiungere a quello che dissero”.
Il libro inizia:
“Gesù è nato in una Stalla.
Una Stalla, una vera Stalla, non è il lieto portico leggero che i pittori cristiani hanno edificato al Figlio di David, quasi vergognosi che il loro Dio fosse giaciuto nella miseria e nel sudiciume…”

martedì 24 settembre 2013

Un calendario per Papa Francesco



Un calendario con foto straordinariamente belle, scattate da professionisti, stampate in alta definizione. Un impeccabile prodotto tipografico. È in primo che vedo per il 2014. È interamente dedicato a Papa Francesco, una foto al mese. Guardo la prima, gennaio: in primo piano un ostensorio e dietro, appena percepibile, il papa che lo sostiene per la benedizione. Foto eccellente! Mi dico subito: Calendario intelligente; mette Gesù in primo piano e il Papa a servizio del Corpo di Cristo. Secondo mese: febbraio, il Papa con il calice della messa al momento dell’elevazione dopo la consacrazione. Con meno entusiasmo mi ripeto: Gesù in primo piano e il Papa a servizio del Corpo di Cristo. Terzo mese: Papa Francesco in preghiera solitaria nella cappella di Santa Marta. Sì, è in adorazione davanti al Corpo di Cristo. E avanti: bellissime immagini del volto del Papa, senza luogo né tempo. Arrivo a dicembre angosciato.
Va bene il Corpo di Cristo, ma dov’è la Carne di Cristo di cui continua a parlare il Papa quando si rivolge ai poveri, ai carcerati, ai rifugiati, ai disoccupati? Nel calendario patinato non c’è traccia. Va bene in Papa sempre raccolto in preghiera nella cappella, ma dove sono le periferie verso cui invita ad andare e dove lui stesso di reca, da Rebibbia e Lampedusa, dal Centro Astalli al Sulcis? Mi sembra un tradimento verso il Papa e il suo messaggio.
Perché dobbiamo ridurre sempre tutto a devozionismo? Perché annacquare e banalizzare il messaggio forte del Papa?
Mi piacerebbe fare un calendario con altre foto del Papa: il Papa abbracciato dal lavoratore sardo con casco e orecchino; il Papa che lava i piedi tatuati dei carcerati di Rebibbia, che accarezza la pancia di una mamma incinta, che abbraccia l’handicappato, circondato dagli emigrati.

Verrebbe fuori un calendario non bello, forse scandaloso, ma vero.

lunedì 23 settembre 2013

Festa di Padre Pio

Festa liturgica di san Pio da Pietralcina, una delle più significative figure della fede cristiana che hanno irradiato il secolo Ventesimo e che continuano a illuminare l’inizio di questo nuovo millennio.
Mistico infiammato d'amore per Gesù Cristo, strenuo combattente contro il Male, grande taumaturgo, viva icona del Cristo crocifisso, sicura guida spirituale, oggi vogliamo ricordarlo soprattutto nella sua umile e silenziosa testimonianza della misericordia di Dio, che ha saputo esprimere in mille modi: dall’accoglienza delle persone insicure e dubbiose, alla costruzione della Casa del Sollievo, dall’intensità della sua preghiera d’intercessione al ministero della confessore esercitato per 58 anni, “in piena disponibilità – come ricordava Giovanni Paolo II – nei confronti delle anime, di quelle soprattutto impigliate nei lacci del peccato e nelle angustie della miseria umana” (23 maggio 1987).
San Pio conosceva la malizia del peccato perché conosceva l’amore infinito di Dio. Per questo era sempre disposto ad accogliere i peccatori, piccoli e grandi, consapevoli o ignoranti del proprio peccato. Sapeva essere duro ed esigente oppure comprensivo e clemente, in base alle disposizioni di chi si rivolgeva a lui, sempre con l’unico scopo di condurre alla conversione, facendosi strumento della infinita misericordia di Dio. Viveva, soffriva, pregava per la conversione dei peccatori, quelli che venivano a lui, quelli di cui aveva notizia, quelli che non avrebbe mai incontrato ma che sapeva lontani da Dio.
“Iddio – scriveva san Pio – mostra la sua potenza più nella nostra conversione, che nel trarre dal nulla il cielo e la terra, poiché vi è più opposizione tra il peccato e la grazia, che tra il nulla e l'essere. Il nulla è meno lontano da Dio che lo stesso peccatore” (Epist. II, p. 199).

domenica 22 settembre 2013

Carisma: profezia di un mondo nuovo.

Con questo titolo si è svolto oggi un appassionante e partecipato laboratorio organizzato dalla rivista Unità e Carismi, all’interno del grande evento LoppianoLab.
L’avvio ai lavoro ci è stato offerto da Papa Francesco, nell’ormai celebre intervista alla Civiltà Cattolica, dove alla domanda: «Qual è oggi nella Chiesa il posto specifico dei religiosi e delle religiose?», risponde con sicurezza: «I religiosi sono profeti. Sono coloro che hanno scelto una sequela di Gesù che imita la sua vita… Nella Chiesa i religiosi sono chiamati in particolare ad essere profeti che testimoniano come Gesù è vissuto su questa terra, e che annunciano come il Regno di Dio sarà nella sua perfezione…. Pensiamo a ciò che hanno fatto tanti grandi santi monaci, religiosi e religiose, sin da sant’Antonio abate. Essere profeti a volte può significare fare ruido, non so come dire… La profezia fa rumore, chiasso, qualcuno dice “casino”. Ma in realtà il suo carisma è quello di essere lievito: la profezia annuncia lo spirito del Vangelo».
Le numerose esperienze donate durante il laboratorio, quelle preparate in antecedenza e quelle emerse spontaneamente dai partecipanti - una cinquantina -, hanno mostrato come il Vangelo che penetra nella vita è capace di trasformare famiglia e società, perché crea persone nuove, evangeliche. Non si può trovare altrove la convinzione per un agire onesto, per la legalità in economia, per la costruzione della cosa pubblica in politica, per il passaggio dall’io che crea criminalità, al noi che genera condivisione.

Il tema del grande laboratorio di Loppiano è stato: Costruire l’Italia. Come si può pensare di costruire l’Italia senza i carismi? L’Europa si è costruita attorno ai carismi di Benedetto, Francesco… Non bastano progetti innovativi nel campo sociale, economico, politico. Essi vanno coadiuvati e informati da progetti formativi, da valori e convinzioni, ispirati al Vangelo, come soltanto i carismi sanno fare. Essere dunque lievito, come diceva il Papa, profezia che annuncia lo spirito del Vangelo.

sabato 21 settembre 2013

Unità e Carismi, che bella rivista!

Certo, se non ce lo diamo noi che è una bella rivista…
No, è bella veramente!
Anche se è un caso che l’ultimo numero di intitoli proprio “Carismi e bellezza”:
Incastonata nel gruppo editoriale Città Nuova è più bella ancora.
A LoppianoLab la redazione di Città Nuova ha mostrato come lavora unita.
Lo stesso ha fatto la redazione di Unità e Carismi, che ha rivisitato la sua idealità e ha sognato il suo futuro informatico…
Il primo numero apparve nel 1990. Nell’editoriale si affermava: “Unità e carismi. Questo binomio ci sembra espressivo di uno degli aspetti più rilevanti del cammino che la vita religiosa sta compiendo ed è chiamata a compiere oggi. Per costruire l’unità i religiosi possiedono degli strumenti di valore e di portata unici, i carismi elargiti dallo Spirito che hanno dato origine alle differenti Famiglie religiose.
Uno degli obiettivi fondamentali che si prefigge la nostra rivista è: favorire il più possibile l’unità tra tutti i religiosi, in cui la diversità dei doni ci componga in armonia. Inoltre, i religiosi, nel loro insieme, devono vivere la più ampia comunione con tutte le altre vocazioni nella Chiesa per porsi con tutti a concreto servizio del mondo intero.

In questo cammino verso l’unità siamo guidati da una luce particolare offertaci dalla spiritualità del Movimento dei Focolari, che mette in dinamismo la vita religiosa, portandola ad essere se stessa: esigenza di santità, segno profetico delle realtà future, servizio alla Chiesa e al mondo intero.

venerdì 20 settembre 2013

Perché il tramonto è così bello?


Ecco come ho visto il tramonto dalla terrazza di casa
(le montagne le ho aggiunte di mia iniziativa…)
Ma perché il tramonto affascina sempre?
Forse perché i colori sono sempre diversi?
Perché abbraccia l’infinito?
Perché colora cielo, mare e terra?
Perché giunge al termina della giornata e infonde senso di riposo?
Perché richiama il volo verso il cielo alla fine della vita?
Forse perché della fatal quïete
Tu sei l'imago a me sì cara vieni
O sera!...
Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme
che vanno al nulla eterno…

Così Ugo Foscolo, pur non sapendo tuttavia che l’Eterno non è nulla, ma pienezza di Vita

giovedì 19 settembre 2013

Da Buenos Aires dell’Argentina alla Bonaria di Cagliari

L’Arcivescovo Giovanni Angelo Becciu, Sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato del Vaticano, racconta perché Papa Francesco andrà in Sardegna al santuario di Bonaria il 22 settembre.

Un giorno, il Santo Padre mi spiegò come Buenos Aires (Bonaria), la capitale dell’Argentina, dovesse il suo nome all’approdo in quel lido di un gruppo di marinai sardi che, nel 1580, suggerirono o imposero all’esploratore spagnolo Juan de Garay di dare alla nascente città il nome del santuario di Cagliari, Nostra Signora di Bonaria. Al vedere l’interesse del Papa verso quel santuario e sapendo che nell’immediato non sarebbe ritornato in Argentina, mi venne spontaneo dirgli: perché non si consola andando a fare visita alla vicina “Buenos Aires” della Sardegna? La mia voleva essere una semplice battuta. Pochi giorni dopo arrivò l’annuncio del suo viaggio a Cagliari!
Si racconta che il 25 marzo 1370 una nave, proveniente dalla Catalogna, si trovò in difficoltà al largo di Cagliari per via di una violenta e improvvisa tempesta e che per non affondare si alleggerì gettando il suo carico in mare, tra cui una cassa ingombrante. Appena questa toccò l’acqua, la tempesta si placò e la cassa arrivò placida sulla spiaggia cagliaritana. I frati del convento mercedario, sito sul colle di Bonaria prospiciente la spiaggia, aprirono la cassa e trovarono all’interno una grande statua in legno di carrubo della Vergine Maria che teneva con una mano in braccio il Bambino Gesù e nell’altra una candela accesa. La Madonna, raffigurata nella statua, prese quindi il nome di Nostra Signora di Bonaria, dal luogo in cui venne rinvenuta.


mercoledì 18 settembre 2013

Appuntamento a LoppianoLab

 Convegno nazionale annuale del Gruppo Editoriale Città Nuova

Sabato 21 settembre 2013

9.30-10.45: Auditorium di Loppiano
Plenaria, “Custodire l’Italia, condividere per unire”

11.00-13.00:
Centro Internazionale di spiritualità “Claritas”
Unità e Carismi: una rivista al servizio della comunità
a cura della redazione

15.30-19.00 “Custodire l’Italia, generare un presente di legalità”
Laboratorio centrale di LoppianoLab 2013

Prima sessione
15.30-16.30 Far emergere la legalità sommersa:
Gianni Bianco, giornalista Tg3
Giuseppe Gatti, magistrato, Direzione Distrettuale Antimafia di Bari
Maria Teresa Morano, imprenditrice calabrese, Consiglio direttivo FAI, già presidente
Andrea Bigalli, coordinatore di Libera Toscana
in dialogo con i portavoce dei laboratori di LoppianoLab

Seconda sessione
16.30-16.50 Cooperare per vincere. Campagna “No slot machine”:
Leonardo Becchetti, economista Università Tor Vergata di Roma
Gabriele Mandolesi, campagna “Economia e felicità“

Terza sessione
17.30-19.00 Ricostruire le reti. Un esperimento, in connessione tra:
Comunicazione (Giangiacomo Schiavi, Corriere della Sera)
Economia (Luigino Bruni, economista, coord. Commissione int.le EdC)
Famiglia (Ezio Aceti, psicologo dell’età evolutiva, Famiglie Nuove)
Lavoro (Paola Vacchina, Consiglio nazionale ACLI, presidente ENAIP)
Politica (on. Pier Paolo Baretta, sottosegretario Min. Economia e Finanze)
Università (Piero Coda, preside Ist. Universitario Sophia)

in dialogo con i portavoce dei laboratori di LoppianoLab
Modera: Maddalena Maltese, redazione Città Nuova online

Domenica 22 settembre

9.30-11.30: Auditorium di Loppiano
Unità e Carismi. Forum tematico: “Carismi: profezia di un mondo nuovo”, con sr. Tiziana Longhitano sfr, Pont. Univ. Urbaniana, sr. Alessandra Smerilli, Pont. Fac, Scienze dell’educazione Auxilium. Coordina p. Fabio Ciardi, Claretianum (Univ. Lateranense)

12.15-12.45 “Custodire l’Italia: impegno per tutto l’anno”
Sintesi in plenaria dei risultati dei laboratori

Coordina Michele Zanzucchi, direttore rivista Città Nuova.

martedì 17 settembre 2013

Normale convivialità



Le giornate non sempre sono fatte di eventi straordinari come viaggi per il mondo, pubblicazioni di libri e articoli, partecipazione a manifestazioni oceaniche… Il più delle volte la giornata trascorre nella più grande normalità, con i fatti minimi di ogni giorno.
Forse la bellezza della vita è proprio data dallo scoprire la bellezza di ogni attimo.

È quello che ho pensato quando mi hanno dato questa foto scattata ieri sera a cena. Niente di più semplice di cenare in casa, con gli amici di casa: il superiore generale, Ted che torna stanco dal lavoro (ma felice, a giudicare dal sorriso), Celso che viene dalla Guinea Bissau…

lunedì 16 settembre 2013

La forza rigenerante dei carismi

Gli Istituti apostolici sono ancora in grado di offrire contributi significativi alle società contemporanee? I carismi, che sono alla loro origine e ne hanno guidato la crescita e gli apporti pastorali e sociali, hanno ancora una forza dinamica, una capacità propositiva e propulsiva; sono capaci, per la loro natura pneumatica, di continuare a generare nuova vita attorno a loro? È questa la domanda che guida la presente riflessione. Essa non trova risposta adeguata se non ci si interroga sulla capacità rigenerativa che i carismi hanno nella vita interna degli stessi Istituti, nella loro crescita, nel costante rinnovamento. I due aspetti, che potremmo chiamare ad extra e ad intra, sono strettamente interdipendenti. Partiremo da quest’ultimo per risalire al primo. Occorre tuttavia ricordare che alla domanda iniziale ne soggiace un’altra, altrettanto importante: gli Istituti apostolici sono in grado di cogliere gli apporti delle società contemporanee, così come è avvenuto alle loro origini nei confronti delle culture nella quali sono nati? Non si può pretendere di offrire apporti “generativi” se non si è disposti ad essere a propria volta “generati” dalle culture, ossia senza un dialogo con le società nelle quali i carismi sono chiamati ad essere presenti e a operare.
Così inizia un mio articolo apparso sulla rivista Sequela Christi.
Vedi:

domenica 15 settembre 2013

Corredentrice

Gesù ha compiuto la missione, affidatagli dal Padre, di riportare a casa i figli dispersi quando è stato innalzato sulla croce: “allora attirerò tutti e me”. È quanto abbiamo meditato ieri, festa dell’Esaltazione della Santa Croce. Oggi, festa di Maria Addolorata ai piedi della Croce, ricordiamo che anche lei ha compiuto la missione che il Figlio le ha affidato: generare a vita nuova i figli di Dio nella nuova maternità a cui dall’alto della Croce la chiamava: “Donna, ecco tuo figlio”.
Gesù non le dice: “Donna, ecco un altro tuo figlio”, quasi che il discepolo prediletto che le era accanto, e con lui tutti i credenti che esso rappresentava, si affiancasse all’Unico figlio. Dicendole “Donna, ecco tuo figlio”, sembra quasi che inviti Maria a rinunciare alla maternità divina nei suoi confronti per accettare, al suo posto, l’umanità salvata, rappresentata dal discepolo che Gesù amava, aprendo in tal modo Maria ad una maternità universale, a diventare Maria della Chiesa. Gesù nuore per risorgere presente in ogni uomo e donna, nella pienezza del nuovo Corpo mistico. Maria è chiamata a ritrovare suo Figlio risorto in ogni discepolo.
Come ricordano i Padri della Chiesa, il dolore che Maria non provò nel parto del Figlio di Dio, lo prova ora nella generazione del Corpo di Cristo che è la Chiesa: la spada profetizzata da Simeone gli trapassa l’anima. È il suo modo di cooperare all’opera del Figlio suo. Niente di divino viene generato se non attraverso la croce e il dolore. Per diventare Madre della Chiesa, Madre di Misericordia, Madre dei peccatori, deve come perdere la maternità di Gesù. Maria sente l’immane dolore dell’abbandono da parte di suo figlio che la staccava da sé: “Adesso è lui tuo figlio”; così come Gesù sente l’immane dolore dell’abbandono da parte del Padre quando, senza parola, indica nell’umanità come il figlio del Padre e lui grida: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”
Con questo suo atto di fede, d’amore e di abbandono obbediente, Maria non perde la sua maternità nei confronti del Figlio, ma la dilata, così come Gesù nel suo abbandono non perde la sua unione con il Padre, ma la condivide con l’umanità redenta. Eppure il riscatto del mondo del peccato e la nuova creazione devono passare per quel momento di buio, di prova, di dolore.

sabato 14 settembre 2013

Vermicino: piccola luce sul monte


La comunità oblata di Vermicino ha compiuto quarant’anni. Ricordo come fosse adesso quando vi approdammo nel giugno 1973: ero alla guida di un pulmino rosso della Fiat. Ci accoglieva il Cuore Immaco­lato di Maria, a cui la casa era dedicata. Quella scritta che campeg­gia sulla porta d'ingresso, "Al Cuore Immacolato di Maria", è sempre stata per me la dedicazione vera della casa e di ognuno di noi che in essa abbiamo abitato. Vi ho vissuto fino al 1990.
Quante persone giravano allora attorno alla comunità: parenti, amici, amici degli amici, tanti giovani… Quanta vita! Era una piccola luce sul monte, che faceva luce e attirava. Era sempre festa a Vermicino. Che bei tempi quelli!
Oggi sono tornato. Quante persone! Parenti, amici, amici degli amici, tanti giovani, volti noti e nuovi volti… Quanta vita! È una piccola luce sul monte, che fa luce e attira. C’è sempre festa a Vermicino. Questi tempi sono ancora più belli!

venerdì 13 settembre 2013

Il Concilio dono per gli Oblati



Sulla rivista “Missioni OMI” è apparso un mio articolo sugli Oblati al Concilio Vaticano II:
Termino scrivendo:

Se è vero che gli Oblati hanno offerto un loro apporto al Concilio, è ancor più vero che il Concilio ha dato un indicibile apporto agli Oblati. Ha rinnovato la loro visione della Chiesa e della missione, ha aperto gli orizzonti sul mondo moderno, ha riportato alle sorgenti pure della Parole e della Liturgia.
Già al termine della prima sessione, il Superiore generale si rendeva conto dei grandi cambiamenti gli esso portava e avrebbe portato alla vita della Congregazione. Il 31 dicembre 1962, incontrandosi con gli studenti dello scolasticato internazionale di Roma, comunicava loro le sue prime impressioni. Iniziò parlando di Giovanni XXIII: «Nei suoi discorsi e nei suoi interventi si avverte che è guidato da Qualcuno; un Altro lo dirige, l’ispira… Ha una luce speciale, una forza speciale, un ottimismo, una grande sicurezza…». Poi esprimeva la gioia per l’apertura ecumenica, per la nuova visione di Chiesa che già stava emergendo, per il modo nuovo con cui ormai si capiva che si sarebbe dovuto annunciare il Vangelo: «Il missionario deve innanzitutto conoscere la mentalità del mondo nel quale vive, non deve aver paura di respirare l’aria di questo mondo… Bisogna amare la gente, così come essa è… Se la Chiesa cerca di essere Chiesa di oggi per poter meglio conquistare gli uomini a Cristo, anche i suoi ministri devono essere uomini di questo tempo».
Per gli Oblati e per la Chiesa intera era già iniziato il grande rinnovamento conciliare.


giovedì 12 settembre 2013

Le vacanze sono finite: che bello!

Su l'ultimo numero di Città Nuova è stato pubblicato l'editoriale che mi era stato chiesto:

Sì, purtroppo le vacanze sono finite. Non tutti hanno avuto la possibilità di un periodo prolungato al mare, in montagna, di un viaggio all’estero, ma tutti hanno avuto modo di distanziarsi un po’ dal solito lavoro quotidiano, magari andando in piscina in città o strappando qualche giorno di gita sulle colline vicine. Personalmente ho avuto la ventura di uno straordinario inatteso viaggio nello Sri Lanka. Per lavoro, ma questo non mi ha impedito di godere di una natura d’incanto, del contatto pur veloce con siti archeologici che mi hanno riportato indietro di 2500 anni, con scene di vita di una cultura lontanissima dalla mia. Ma anche di costatare da vicino le rovine e i drammi lasciati da 30 anni di una guerra appena terminata, poco conosciuta ma non meno crudele.
Siamo tutti tornati al lavoro di ogni giorno, al ritmo spesso ripetitivo delle solite cose, forse reso ancora più monotono dal riaffiorare di quel senso di libertà, di spensieratezza e di evasione che ogni vacanza porta con sé. Per gli studenti riappare l’orizzonte ristretto della classe, dei libri, dei professori, così contrastante con quello sconfinato e un po’ euforico delle compagnie del mare. È come avessimo vissuto in qualche modo in quel “virtuale” che possiamo costruire secondo i nostri gusti e d’improvviso ci ritroviamo nel “reale” così come ci viene offerto dalla vita, spesso senza possibilità di scelta o vie di fuga.
Purtroppo. O non potrebbe essere un’opportunità? Potremmo provare a scoprire angoli inesplorati del nostro vivere quotidiano, a guardare con occhi nuovi le persone di sempre. Non starà anche qui il segreto per contribuire a risolvere i problemi che ritroviamo immancabilmente nel “mondo reale” e che continuano ad assalirci, sempre i soliti, sempre più grandi noi: politica, finanza, lavoro, sicurezza, etica sociale…,  davanti ai quali si sentiamo dei nani? Il reale potrebbe rivelarsi più affascinante e provocante del virtuale. Ognuno torna al proprio “posto di combattimento”, con grinta, con convinzione, con fiducia, per affrontare la battaglia per una società più vera, più umana. Che bello poter ricominciare!

mercoledì 11 settembre 2013

Le parole della preghiera / 7


Adesso che si era coalizzato con il cielo, apa Pafnunzio poteva entrare nella preghiera, in così grande compagnia.
Non ancora. Dopo essere salito nel più alto del cielo, prima di affrontare la preghiera doveva posare il suo sguardo attorno, fino agli estremi confini della terra. Non poteva adorare, amare, ringrazio, chiedere perdono, intercedere, senza farsi voce di ogni creatura, inanimata e animata.
Avevano stelle e alberi, animali e fiumi avere una voce segreta per adorare e ringraziare il loro Creatore? Forse sì, ma apa Pafnunzio voleva ugualmente unirli a sé nella preghiera.
Sapevano i peccatori domandare perdono? Sapevano chiedere i disperati e i bisognosi? Sapevano dire a Dio Ti amo quanti si erano abbrutiti nel vizio o erano schiavi delle ricchezze e del potere? Apa Pafnunzio non voleva lasciarli soli; voleva portarli con sé nella sua preghiera.
Le sue cinque parole erano sempre rivolte a nome di… e ogni giorno portava a Dio il mondo intero.


martedì 10 settembre 2013

Le parole della preghiera / 6


Nell’estrarre dalla sua bisaccia le parole della preghiera, apa Pafnunzio ripeteva l’abituale viaggio che lo conduceva prima in alto, poi lo dilatava fino agli estremi confini della terra. Saliva in alto e chiedeva di entrare nella Gerusalemme del cielo per incontrare angeli e santi e i tanti che aveva conosciuto e che lo avevano preceduto nel ritorno a casa. Si sedeva a conversare con i genitori, con gli anziani che aveva incontrato nel suo itinerario nel deserto e con i quali aveva condiviso la solitudine, con i vecchi del villaggio che sapeva avevano lasciato la terra. Ormai si era popolata di amici la casa di lassù. Dopo essersi intrattenuto con loro li invitava ad unirsi alla sua preghiera. Altrimenti sarebbe stata troppo povera e troppo debole. Loro che stavano al cospetto dell’Altissimo sapevano come adorare, amare, ringrazio, chiedere perdono, intercedere. Si riservava per ultimo l’incontro con la Madre, la Regina del cielo.  Adesso che si era coalizzato con il cielo, poteva entrare nella preghiera, in così grande compagnia.

lunedì 9 settembre 2013

Le parole della preghiera / 5


Gli restava l’ultima parola: Ti chiedo grazie. Era la più povera, la meno stimata dai maestri di spirito. Eppure apa Pafnunzio aveva scoperta che la preghiera di domanda era nobile al pari delle altre. Al pari dell’adorazione, perché chiedere è riconoscere l’onnipotenza di Dio; al pari della dichiarazione d’amore, perché non si vergogna di domandare; al pari del ringraziamento perché è fiduciosa di ricevere; al pari del chiedere perdono, perché nasce dalla medesima consapevolezza di povertà.

Cosa chiedeva per sé apa Pafnunzio? La fedeltà al Vangelo e di non separarsi mai dall’Amore. Poi la preghiera puntava decisamente verso gli altri: piccoli, soli, poveri, quanti subivano violenze e ingiustizie, ma anche violenti e ingiusti perché si convertissero, oppressi da calamità naturali e da guerre, ammalati e carcerati, moribondi perché fossero accolti da braccia di misericordia e perché fossero chiuse per sempre le porte dell’inferno.

domenica 8 settembre 2013

Il sacro Cingolo di Prato

Tommaso mostra agli apostoli
la cintura ricevuta dalla Madonna


Come si sa, il Cingolo o la Cintola della Madonna, quello che Maria Assunta diede apparendo a san Tommaso apostolo, è conservato gelosamente nel duomo di Prato, in una straordinaria cappella trecentesca, autentico capolavoro d’arte.
Si ha notizia di altre cinture della Madonna conservate altrove, ma sono made in Cina, l’unica, quella autentica, è a Prato.
Così anche oggi si è perpetuata la tradizione dell’ostensione al popolo della preziosa reliquia, singolo del legame che unisce la città con la Madre.
Essa lega anche potere civile e potere religioso. Il forziere che la custodisce – l’altare stesso della cappella – è chiuso con tre chiavi, due di pertinenza del Comune e una del Capitolo della cattedrale: sindaco e vescovo devono convenire insieme per aprirlo e richiuderlo.

È la missione di Maria: legare in unità: è Madre!

sabato 7 settembre 2013

Le parole della preghiera / 4


Il ringraziamento e la lode portavano apa Pafunzio a contemplare la bellezza delle opere del Signore e a gioire del suo infinito amore.
Ma immancabilmente, in mezzo a tanto splendore di luce, s’apriva improvvisa una terribile voragine nera: aveva sciupato i doni del suo Signore. Come era stato ingrato verso il Datore dei doni. Gli sembrava di vivere come sotto l’effetto di un malefico incantesimo: quanto toccava si guastava, aveva la capacità di rovinare l’opera di Dio. Gli si apriva davanti la sua vita di peccato: aveva tradito l’Amore.
Era tempo di estrarre dalla bisaccia la quarta parola del suo cammino di preghiera: Ti chiedo perdono.
Era una parola liberatoria. Per questo era una parola insidiosa. Perché chiedeva perdono? Per mettere la coscienza a posto? Per evitare di cadere nelle fiamme inestinguibili della Geenna? Sentiva davvero il dolore dei peccati? Il dolore di aver rattristato l’Amore? La sua domanda di perdono era veramente espressione di amore?
Quella quarta parola gli usciva bene dalle labbra soltanto dopo che aveva ripetuto con sincerità le altre tre parole: soltanto dopo aver compreso nell’adorazione chi è Dio, soltanto dopo aver sperimentato il suo amore col dirgli Ti amo, soltanto dopo aver conosciuto l’immensità e la gratuità dei suoi doni col dirgli grazie, poteva capire la gravità del suo peccato.
Sì, ciò che ad apa Pafnunzio dispiaceva non era il castigo che si attirava con il suo peccato, non la vergogna del tradimento e dell’adulterio, non il giudizio dei suoi fratelli. Ciò che addolorava apa Pafnunzio era l’aver addolorato l’Amore. L’amore del suo Dio era così grande da entrare nel buio della sua rivolta, da assumere il suo peccato e inchiodarlo sulla croce dove s’era fatto inchiodare. Ripetere Ti chiedo perdono era riconoscere il culmine dell’amore, riconoscersi e identificarsi con l’Amore all’estremo della sua espressione.
Bastava lasciarsi guardare negli occhi, come aveva fatto Pietro dopo il suo tradimento. Gesù non gli aveva detto nulla, l’aveva guardato soltanto. Lui non gli aveva risposto nulla, aveva soltanto pianto perché attraverso quello sguardo era passato l’appassionato amore di Colui che dava la vita per gli amici. Bastava avere il coraggio di affrontare quello sguardo e non fuggire a nascondersi per paura dell’incontro con la Verità.
Ti domando perdono; e la misericordia inondava l’anima di apa Pafnunzio. Adesso sì che poteva ripetere, con intensità nuova e con ancora più sicurezza: Ti adoro, ti amo, ti ringrazio…

venerdì 6 settembre 2013

Le parole della preghiera / 3

Apa Pafnunzio poteva dire Ti amo perché Gesù l’aveva amato per primo. L’iniziativa non era sua, la sua era soltanto una risposta d’amore all’Amore. Come poteva non essere grato nel sentirsi amato personalmente da un Dio che è Amore!
Era dunque il momento di estrarre dalla propria bisaccia la terza parola della preghiera: Ti ringrazio.
Subito mente e cuore gli si spalancavano su cielo a terra. Ringraziava d’essere stato creato e ringraziava del creato e, come creatura, ringraziava a nome del creato con il quale si sentiva solidale. Ringraziava per il sorgere del sole, sempre nuovo, e per il suo tramonto, sempre nuovo, e per la luna e per le stelle e per gli uccelli del cielo e per i pesci del mare. Ringraziava per la cella che lo custodiva e lo raccoglieva in preghiera, per il mantello che lo riparava dal freddo, e per quelli che l’avevano tessuto. Per la rugiada che manteneva in vita i fiori del deserto, per il pane che ogni giorno il Padre del cielo gli procurava, e per quelli che coltivavano le messi nelle pianure lontane…
Lo ringraziava della Parola di cui ogni giorno si nutriva, della misericordia che Dio che ogni giorni lo rinnovava, della chiamata a seguire il suo Signore nel deserto, dei fratelli della laura che lo seguivano con lui…
Ringraziava anche per quanto non era possibile vedere, ma di cui conosceva l’esistenza, le innumerevoli schiere di angeli del cielo, più popolato e più ricco della terra e dei mari.
A mano a mano che il ringraziamento si dilatava dagli estremi della terra al più profondo dell’anima, dagli abissi dei mari ai vertici dell’adorabile Santissima Trinità, esso si trasformava in canto di lode e in giubilo: Opere tutte del Signore, lodate il Signore…
Il ringraziamento tornava ad essere adorazione ed espressione d’amore.

giovedì 5 settembre 2013

Le parole della preghiera / 2

L’adorazione di apa Pafnunzio sfociava nell’abbraccio dell’abisso con il bacio e l’abbraccio al suo Dio.
Era il momento di estrarre la seconda parola dalla bisaccia: Ti amo.
Sembrava la più facile. Tutti la usavano e la ripetevano in mille variazioni, fino a farle perdere valore.
Ma nei Vangeli questa parola non si trovava. Riferivano altre espressioni di adesione al Signore: Ti seguirò…, darà la mia vita per te... Quando non apparivano addirittura parole di distanziamento: Allontanati da me, che sono un peccatore.
Come avrebbe avuto l’ardire, la confidenza, lui povero monaco peccatore, di rivolgere al Signore la parola dell’intimità: Ti amo.
Dirgli ti amo non era esprimere un sentimento, ma disporsi all’azione: Non chi dice Signore, Signore, mi ama, ma chi compie la volontà del Padre mio.
Quella parola implicava l’adesione totale alle sue parole, al suo insegnamento. Dirgli: Ti amo, avrebbe voluto dire essere disposto ad amare ciò che lui ama, il Padre, i fratelli. Avrebbe voluto dire compiere la sua volontà, che è donarsi agli altri, dare la vita per gli amici, amare quelli che non ti amano.
Per la verità, c’era stato uno nel Vangelo che aveva osato dirgli apertamente: Ti amo. Quello stesso che gli aveva detto di allontanarsi da lui perché peccatore.
Ma quanto gli era costato quel: Ti amo. Era spassato per il tradimento. Era possibile soltanto perché fioriva dalla consapevolezza del proprio peccato. Poteva dirgli: Ti amo, perché prima gli aveva detto: Allontanati da me; ambedue espressioni sgorgate dallo stesso amore.
Soprattutto quel: Ti amo, di Pietro, era stato possibile perché risposta ad una esplicita richiesta: Mi ami? Tante cose aveva chiesto Gesù lungo i Vangeli ai discepoli, alle folle, ai farisei… Mai a nessuno aveva chiesto: Mi ami?
Apa Pafnunzio esitava a dare alla sua preghiera la parola dell’amore. Sarebbe stata sincera? Eppure poteva esserci parola più adeguata per rivolgersi a un Dio che è Amore?
Si sentiva incalzato dalla domanda pressante di Gesù: Mi ami? Mi amo veramente?
E gli disse finalmente: Ti amo.

Perché il cuore ha bisogno di dire: Ti amo.

mercoledì 4 settembre 2013

Le parole della preghiera / 1

La preghiera di apa Pafnunzio era quella di ogni monaco. Recitava a memoria i salmi, l’antica preghiera d’Israele che Gesù aveva fatto propria. Scivolavano quieti sulle sue labbra come l’acqua sui greti limpidi. Spesso si arrestava su una parola o sull’altra, soprattutto quando lo scorrere del salmo gli conduceva immagini dell’amore misericordioso di Dio, della sua costante presenza nella vita dell’uomo:
Tu sei sempre con me
Come padre mi prendi per la mano destra
Mi fai camminare accanto a te
Dio grande e misericordioso
Lento all’ira e grande nell’amore…
Alle volte lasciava che gli affiorassero dal cuore, come polla d’acqua fresca, parole di Vangelo che lo saziavano più del pane.
Spesso rimaneva in silenzio, senza parole alcuna, godendo della sola presenza.
Ma quando il cammino della preghiera si inceppava e l’anima si ritrovava come smarrita, ricorreva ad una tecnica semplice che apa Giovanni gli aveva insegnato al principio della sua vita solitaria.
Aveva in serbo cinque parole, come i cinque sassi nella bisaccia di David, pronti a essere lanciati verso Dio.
Iniziava con la prima parola: Ti adoro. E subito estraeva dal suo tesoro nascosto la confessione di Tommaso: Signore mio e Dio mio.
Spesso gli bastava. La ripeteva lentamente. Si sentiva invaso dalla lue. Non aveva bisogno di toccare il foro dei chiodi e quello della lancia. Credeva semplicemente: Signore mio e Dio mio. Era la sua adorazione.
Altre volte l’adorazione si dilatava all’apparire di un’altra parola del Vangelo: Tu sei il Santo di Dio. E il Santo di Dio lo conduceva al Padre Santo con il quale vive nell’unità dello Spirito Santo. Sì, Dio è il Tre volte Santo: Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell’universo…
Non aveva bisogno di toccare; credeva, e nel credere la sua adorazione.
Ricordava tuttavia che questa parola, adorare, aveva a che fare con il bacio. Adorare non significava portare la bocca al dio per baciarlo?
L’adorazione di apa Pafnunzio sfociava allora nel mare infino dell’amore, con il bacio e l’abbraccio al suo Dio e del suo Dio.