La
preghiera di apa Pafnunzio era quella di ogni monaco. Recitava a memoria i
salmi, l’antica preghiera d’Israele che Gesù aveva fatto propria. Scivolavano
quieti sulle sue labbra come l’acqua sui greti limpidi. Spesso si arrestava su
una parola o sull’altra, soprattutto quando lo scorrere del salmo gli conduceva
immagini dell’amore misericordioso di Dio, della sua costante presenza nella
vita dell’uomo:
Tu
sei sempre con me
Come
padre mi prendi per la mano destra
Mi
fai camminare accanto a te
Dio
grande e misericordioso
Lento
all’ira e grande nell’amore…
Alle
volte lasciava che gli affiorassero dal cuore, come polla d’acqua fresca,
parole di Vangelo che lo saziavano più del pane.
Spesso
rimaneva in silenzio, senza parole alcuna, godendo della sola presenza.
Ma
quando il cammino della preghiera si inceppava e l’anima si ritrovava come
smarrita, ricorreva ad una tecnica semplice che apa Giovanni gli aveva
insegnato al principio della sua vita solitaria.
Aveva
in serbo cinque parole, come i cinque sassi nella bisaccia di David, pronti a essere
lanciati verso Dio.
Iniziava
con la prima parola: Ti adoro. E
subito estraeva dal suo tesoro nascosto la confessione di Tommaso: Signore mio
e Dio mio.
Spesso
gli bastava. La ripeteva lentamente. Si sentiva invaso dalla lue. Non aveva
bisogno di toccare il foro dei chiodi e quello della lancia. Credeva
semplicemente: Signore mio e Dio mio. Era la sua adorazione.
Altre
volte l’adorazione si dilatava all’apparire di un’altra parola del Vangelo: Tu
sei il Santo di Dio. E il Santo di Dio lo conduceva al Padre Santo con il quale
vive nell’unità dello Spirito Santo. Sì, Dio è il Tre volte Santo: Santo,
Santo, Santo il Signore Dio dell’universo…
Non
aveva bisogno di toccare; credeva, e nel credere la sua adorazione.
Ricordava
tuttavia che questa parola, adorare, aveva a che fare con il bacio. Adorare non
significava portare la bocca al dio per baciarlo?
L’adorazione
di apa Pafnunzio sfociava allora nel mare infino dell’amore, con il bacio e
l’abbraccio al suo Dio e del suo Dio.
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