domenica 30 giugno 2013

Cronache di normale domenica parrocchiale


Domenica “parrocchiale”, nella chiesa di san Michele, una delle tre parrocchia di Inchicore, tutte e tre affidate agli Oblati. Insieme costituiscono un unico “centro missionario”.

La chiesa era quella dell’esercito britannico di stanza qui a Dublino. Una volta cacciati gli Inglesi la chiesa è passata di mano, dagli Anglicani ai Cattolici. Vecchie storie del passato. In questo periodo vivo qui, nella canonica, assieme al piccolo distaccamento della grande comunità oblata di Inchicore.
La canonica
All’inizio della messa i bambini salutano tutti e vanno in una sala con la catechista che spiega loro il Vangelo e li fa disegnare. All’offertorio arrivano tutti contenti e in fila portare all’altare i loro disegni, per poi continuare a partecipare alla messa con i genitori.
In fondo alla chiesa, e poi fuori, ci sono invece i giovani del “Servizio Giovani Oblati” che vendono dolci per le loro attività: maglietta con il logo, fare determinato, dolci buonissimi!
Due i cori, uno degli adulti, classico con l’organo, e uno dei giovani e dei ragazzi, con le chitarre. Ce n’è per tutti i gusti, basta scegliere la messa più adatta.

Non ci vuole poi tanta creatività per far contenta la gente.

sabato 29 giugno 2013

L’epopea degli operai che costruirono la loro chiesa





Oggi grande festa a Inchicore. Il 29 giugno 1856, festa dei santi Pietro e Paolo, si inaugurava la prima chiesa di legno, che da allora continua ad essere il cuore della missione degli Oblati in Irlanda. La sua costruzione è rimasta epica.

Padre Roberto Cooke, provinciale dell’Inghilterra, era venuto in Irlanda alla ricerca di un luogo per dar vita ad una presenza degli Oblati. Gli Agostiniani di Dublino, presso i quali aveva predicato una famosa missione, lo invitarono ad andare a Inchicore, che allora era fuori città, dove sorgevano i cantieri della ferrovia. La Compagnia ferroviaria vi aveva costruito un vero villaggio con 138 baracche che ospitavano 850 persone. Vicine vi erano le anche caserme dell’esercito britannico con 1600 militari.
Quello stesso anno, era il 1856, p. Cooke comprò nella zona una piccola fattoria dove sarebbe dovuta nascere la prima comunità.
Alla notizia che i missionari sarebbero venuti a Inchicore, scoppiò l’entusiasmo generale. Gli operai decisero di costruire subito una cappella di legno. A sera, al termine dei lavori nei cantieri della ferrovia, 400 operai si presentarono con i loro strumenti da carpentieri e i materiali da costruzione. P. Cooke fu sorpreso di vedere, alle 6 di sera, tutta questa gente. Scavarono le fondamenta e misero la prima pietra. Era il 24 giugno, festa di san Giovanni Battista. La sera seguente stesso numero di persone. P. Cook fece il suo bel discorsetto e gli operai 400 ripresero il lavoro con leva. Per la festa dei santi Pietro e Paolo la chiesa era terminata. Erano appena passata una settimana. Messa solenne, con tanto di coro proveniente dalla chiesa degli Agostiniani.
L’anno successivo prima missione predicata in Inchicore. Tutti gli uomini delle ferrovia erano presenti nella chiesa di legno: macchinisti, ingegneri, tecnici, operai… Gli Oblati confessano dalla mattina alla sera. Venne anche l’arcivescovo di Dublino, era la sua prima visita. Da allora gli operai della zona furono le persone di cui gli Oblati più si presero cura. La chiesa di legno funzionò fino al 1896, quando fu costruita la grande basilica dell’Immacolata. Non era parrocchia, ma il centro della missione per l’Irlanda e oltre.

venerdì 28 giugno 2013

L’opinione pubblica e la convinzione personale

Sembra di vederlo, Pietro, sempre impulsivo
che alza la mano: "Io lo so chi tu sei!"
Paolo sognava la Spagna e forse vi è stato. Non avrebbe mai sognato l’Irlanda (vi sono appena tornato dall’Inghilterra), dove nemmeno i Romani avevano messo piede. È la sua festa, che sempre mi attrae.Quest’anno mi attrae di più Pietro, forse perché già domenica scorsa abbiamo letto nel Vangelo la sua risposta audace alla domanda di Gesù: “E voi, chi dite che io sia?”.
Prima Gesù si informa sull’opinione pubblica: cosa pensa di lui la gente. È importante sapere cosa la gente pensa. Quando posso la mattina mi piace ascoltare la rassegna stampa di radio 3, perché si possono percepire i pareri e gli umori diffusi. Anche Gesù si mostra interessato a cosa pensa la gente e i discepoli appaiono ben informati. Occorre tanto rispetto per le idee altrui.
Questo non esimine dal maturare delle convinzioni personale, senza lasciarsi condizionare dalla mentalità comune, che a volte può coincidere a volte divergere dalla nostra. Occorre il coraggio e la libertà delle proprie idee.
L’idea su Gesù nasce dalla frequentazione della sua persona. Pietro ha potuto esprimere l’idea giusta perché lo seguiva, stava con lui, aveva imparato a conoscerlo. Non gli bastavano le opinioni che sentiva dire sul Maestro, lui si era fatta una sua convinzione personale, anzi gli veniva rivelata dal Padre.
Sì, conoscere Gesù è frutto di una ricerca appassionata e costante, che può durare una vita intera, e insieme è un dono che viene dall’alto, una rivelazione.

L’idea su Gesù è quella che determina la vita.

giovedì 27 giugno 2013

Apa Pafnunzio parla con sua Madre

Maria tutta santa
Vergine piena di grazia
Madre di Dio e Madre nostra
Regina del cielo e della terra
Oso ricordarti che il Figlio tuo Gesù
Mi ha affidato a te come tuo figlio:
“Donna, ecco tuo figlio”
È tuo dovere di madre
Prenderti cura di me
E una madre ama sempre e comunque suo figlio.
E ti ha affidata a me come mia madre:
“Figlio, ecco tua madre”.
Posso dunque guardare a te
Come alla Madre
Sicuro che mi sarai sempre vicina.
“E il discepolo la prese in casa con sé”.
Verrai anche a casa mia?
Non è bella né adorna.
Sarai tu a pulirla e a farla bella
Come solo una madre sa fare.
Allora insieme potremo adorare
Il Dio tre volte Santo
Benedire Colui che viene nel nome del Signore
Ed accogliere la sua venuta.
Così pregava ogni mattina, apa Pafnunzio, prima di rivolgere la sua lode al Signore.

mercoledì 26 giugno 2013

In Inghilterra dal 1840

Gli Oblati arrivarono in Inghilterra grazie al primo Oblato inglese, Guglielmo Daly, che fu mandato qui in avanscoperta nel 1840, per vedere se ci fosse stata la possibilità di una missione per la giovane Congregazione. «Questo viaggio, spiega sant’Eugenio nel suo Diario, è stato intrapreso per esaminare sul posto come sarebbe possibile costituire un gruppo di missionari della nostra congregazione in grado di lavorare per convertire gli eretici inglesi e magari espandersi, se fosse necessario e il numero dei membri lo consentisse, nelle colonie e in nuovi possedimenti conquistati in America e in altre parti del mondo».
Il luogo più adatto sembrò l’Irlanda, ma a poco a poco ci si rese conto che i vescovi irlandesi non vedevano di buon occhio le congregazioni religiose che sfuggivano troppo facilmente alla loro autorità.
Tuttavia molti irlandesi emigravano nelle città industriali dell'Inghilterra dove i vescovi avevano bisogno di sacerdoti e dove c'era già un milione di cattolici su 20 milioni di abitanti. Perciò fu deciso di iniziare in Inghilterra, dove gli Oblati  dove trovarono senza difficoltà una parrocchia nel sudovest dell'isola. Fu poi la volta di Manchester, Liverpool, Leeds, tutte città industriali, poi in Scozia, in Irlanda… Alla morte del Fondatore nel 1861, erano 60 Oblati, distribuiti in 7 case, che lavoravano nelle Isole Britanniche, specialmente nelle missioni popolari e parrocchie, tutte situate in mezzo agli operai, soprattutto irlandesi.
Sant’Eugenio venne in Inghilterra nel 1850 e nel 1857. Tutto suscitò in lui interesse e ammirazione: l'organizzazione perfetta dei trasporti e la loro rapidità, la delicatezza estrema dei vescovi e dei loro cattolici, l'accoglienza entusiastica delle folle, le opere numerose e dinamiche degli Oblati.

Lo stesso interesse e la stessa ammirazione che provo oggi. Gli Oblati si fanno anziani e diminuiscono di numero, ma vanno avanti con coraggio e lavorano con impegno, coinvolgendo molti laici nei progetti missionari.

martedì 25 giugno 2013

Cristiani in Europa, una minoranza?

Il centro di spiritualità degli Oblati in Wistestaton
L’Islam è sempre più presente qui in Gran Bretagna come nel resto dell’Europa. È uno dei punti sui quali riflettono in questi giorni gli Oblati. Pur non essendo uno dei punti principali del loro incontro annuale, mi ha colpito la coscienza che hanno del fatto che lentamente i cristiani in Europa stanno diventando una minoranza. Questo non è dovuto soltanto alla crescente presenza islamica, ma anche all’abbandono da parte dei cristiani della loro fede e del conseguente legame con la Chiesa. È una tragedia, ma può trasformarsi in una grande occasione propizia.
Forse non abbiamo riflettuto abbastanza sul fatto che la Chiesa in Asia è da secoli una piccolissima minoranza, e forse proprio per questo è così viva e dinamica. Forse ci siamo dimenticati che anche nei primi secoli il cristianesimo era una minoranza all’interno dell’Impero romano, così come lo era tra i nuovi popoli del nord e dell’est Europa nei secoli successivi. Non fu quello un momento di grazia per tutta la Chiesa?
Sì, molto probabilmente i cristiani in Europa, come nel resto del mondo, saranno una minoranza, ma potranno essere una minoranza qualificata, profetica, come quella che descriveva la Lettera a Diogneto nel II secolo: “Vivono nella loro patria, ma come forestieri… Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati… In breve, come è l'anima nel corpo, così sono i cristiani nel mondo”. Non è una vocazione straordinaria essere “l’anima del mondo”?

Gesù ci ha paragonati a un piccolo pugno di lievito nella massa, a un piccolo seme, a un piccolo gregge… Non importa essere pochi o molti, importa che Gesù sia in mezzo a noi, in modo che continui ad essere Luce del mondo.

lunedì 24 giugno 2013

Ulisse? Ma quale Ulisse?


È ancora molto fresco, quando arriviamo al porto di Dublino, anche se si annuncia una bella giornata assolata. Appena il ferry è in vista leggo ad alta voce il nome “Ulysses”. E subito Louis: “L’Ulisse di James  Joyce, naturalmente”. “Sarà piuttosto l’Ulisse di Omero”. Quale Omero?

Bastano questi piccoli insignificanti episodi per capire le differenze culturali. Per me Ulisse richiama subito l’eroe dell’Odissea, per un irlandese richiama subito Joyce. Infatti ha ragione Louis: nel salone principale della nave campeggia il ritratto di James  Joyce…
Tre ore e mezzo di navigazione su un mare abbastanza calmo nonostante il forte vento, sotto un cielo di sole. Il mare. Il mare è sempre il mare. Non finisce mai di incantare. Non è mai lo stesso. Anche se mi torna alla mente la famosa frase di Victor Hugo nei Miserabili: “C’è uno spettacolo più grandioso del mare, ed è il cielo, c’è uno spettacolo più grandioso del cielo, ed è l’interno di un'anima”.
Sbarchiamo a Holyhead, nell’isola di Anglesey, separata dal resto del Galles da uno stretto braccio di mare. Altre tre ore di auto attraverso i parchi e le verdi colline del Galles, che lasciano infine il posto alle fertili campagne dell’Inghilterra.
Giungiamo finalmente a Crewe, o meglio a Wistaston, in una antica casa del 1600, costruita sulle fondamenta di una precedente casa del 1200. Gli Oblati vi sono arrivati nel 1920, l’hanno trasformata in un centro missionario per tutta la regione e adesso in casa di incontri e di ritiri. Attorno un parco che invita al silenzio e alla meditazione. Trovo qui gli Oblati della Gran Bretagna e dell’Irlanda, riuniti per il loro congresso annuale…

E a proposito di James Joyce, è lui che ha detto: “Quando hai una cosa, questa può esserti tolta. Quanto tu la dai, l’hai data. Nessun ladro te la può rubare. E allora è tua per sempre.”

domenica 23 giugno 2013

Con san Patrizio nella sua cattedrale

Con san Patrizio nella sua cattedrale
Aveva appena 16 anni quando i pirati lo strapparono dalla Gran Bretagna, la sua terra, e lo vendettero schiavo sulle coste nordiche dell’Irlanda.
Dopo otto anni, al terzo tentativo riuscì a fuggire.
E perché non tornarvi, ora che conosceva lingua e costumi, per portarvi il Vangelo? Papa Celestino aveva già mandato un vescovo, ma questi non era riuscito a entrare nel cuore di quei popoli.
Dopo un periodo di formazione nel monastero di Lérins sulla Costa Azzurra, e aver visitare numerosi piccoli monasteri delle isole tirreniche della Toscana, fu nominato vescovo d’Irlanda e partì con un gruppo di monaci.
I primi battesimi avvennero nel parco dove oggi sorge la grande cattedrale di san Patrizio, oggi la cattedrale è retta dalla Chiesa d’Irlanda, della Comunione Anglicana. Questa sera ho partecipato alla preghiera dei vespri, cantata da uno splendido coro di uomini e ragazzi, e ho goduto dello splendore di questa stupenda basilica.
Ho riletto quanto, negli ultimi giorni della sua vita, contemplando l’opera che Dio aveva realizzato nell’isola, scriveva san Patrizio: “Da dove è venuta a me questa sapienza, che prima non avevo? Io non sapevo neppure contare i giorni, né ero capace di gustare Dio. Come mai dunque mi è stato dato un dono così grande, così salutare, com’è quello di conoscere Dio e di amarlo? Chi mi ha dato la forza di abbandonare la patria e i genitori, di rifiutare gli onori che mi erano offerti e di venire tra le genti d’Irlanda a predicare il vangelo…? Il Signore mi ha fatto il dono inestimabile di rigenerare in lui con la mia opera molti popoli e di portarli alla pienezza della vita cristiana”. 

sabato 22 giugno 2013

La Bibbia dei Kennedy e il Book of Kells

Oggi in tutta l’Irlanda grande commemorazione per i 50 anni della visita di J.F. Kennedy nel Paese di origine dei suoi antenati, pochi mesi prima della sua uccisione.
Quando il bisnonno dovette lasciare l’Irlanda per cercare fortuna in America, portò con sé l’unico bene che possedeva: la Bibbia. Quel libro è passato di generazione in generazione. J.F. Kennedy lo fece portare da Boston alla Casa Bianca, per averlo ancora con sé.
Una volta il libro della Bibbia aveva un valore.
Ne è un esempio straordinario il Book of Kells, il più grande tesoro della cultura irlandese, custodito nel santuario della cultura irlandese, il Trinity College.
È il famoso manoscritto dei quattro vangeli, creato attorno al settimo secolo tra la Scozia e l’Irlanda e poi conservato per quasi tutto il Medioevo nel monastero di Kells.
Nella monumentale biblioteca dell’università un intero padiglione è dedicato esclusivamente all’Evangeliario. Le prime sale documentano la storia e le tecniche di composizione del libro. Hanno ucciso 185 vitelli di latte per ottenere i fogli del libro: pelli di prima qualità. Soltanto una piccola parte del vello è adatta per preparare una pagina di lusso. Il monastero doveva possedere un armento di almeno 1200 bovini.
Il testo è scritto con un inchiostro tratto da comune solfato di ferro, ma per i colori delle decorazioni e delle pitture miniate gli artisti hanno usato pigmenti organici e minerali provenienti dalle lontane regioni del Mediterraneo. Tra i colori più costosi il marrone e il rosso e soprattutto il blu dei lapislazzuli, che venivano dall’unica miniera conosciuta nel Medioevo, che si trovava nientemeno che in Afganistan. Insomma, per questo libro i monaci hanno investito un capitale.
Ma hanno investito anche tempo. Certe pagine per essere scritte e decorate richiedevano anche un mese intero di lavoro. Quanto ci sarà voluto per scrivere i 340 fogli dell’evangeliario?
Il Book of Kells non è un libro. Gerardo Cambrense, nel 1200, lo definiva “opera non di uomini, ma di angeli”, mentre per Umberto Eco è “il prodotto di un’allucinazione a sangue freddo”.
Più semplicemente è l’espressione di un popolo di cui racchiude la cultura. Tutta l’Irlanda, tutto il popolo celtico è espresso in questi fogli, nelle sue miniature, nelle decorazioni, nel volo degli angeli e degli uccelli, nel muoversi dei pesci, dei serpenti e dei leoni, nella solennità di Cristo, di Maria, degli evangelisti. L’intero simbolismo di una nazione è qui codificato in un canone estetico di inestimabile ricchezza e bellezza.

I monaci hanno investito tutto nel Vangelo: beni e talenti. Hanno saputo cogliere in unità Vangelo, cultura e bellezza. Hanno qualcosa da dire anche per l’evangelizzazione di oggi.

venerdì 21 giugno 2013

Dublino: con san Patrizio nella cattedrale di Cristo Re

Cristo con me, Cristo dentro di me
Cristo dietro di me, Cristo davanti a me,
Cristo sotto di me, Cristo sopra di me,
Cristo nella calma, Cristo nel pericolo
Cristo nel cuore di chiunque mi ama
Cristo sulle labbra di amici ed estranei…

Così il cuore del lungo inno attribuito a san Patrizio, che il coro della cattedrale di Cristo Re, a Dublino, canta nella preghiera della sera. Entro per caso della chiesa anglicana, ricca di storia e di monumenti che l’hanno arricchita nei suoi 1000 anni di vita. Il servizio liturgico sta iniziando. Il clero e i dignitari sono vestiti elegantemente con gli antichi abiti di cerimonia. Il coro, formato quasi esclusivamente da giovani, veste di rosso con cotte bianche che giungono fin quasi a terra.
Oggi la preghiera ha una intenzione speciale: Nelson Mandela. Il pensiero mi va spontaneo alla parrocchia centrale di Soweto, costruita dagli Oblati, di cui faceva parte Mandela, centro della resistenza contro l’Apartheid; il grande eroe nazionale è stato immortalato nelle vetrate della parete di sinistra.
Canti e preghiere sono in inglese, le letture della Sacra Scrittura in irlandese. Le musiche sono di grande sonorità, moderne. L’assemblea è raccolta. Intenso momento di preghiera, che per me ha un sapore ecumenico, di comunione con la Chiesa anglicana. Pare di sentirlo:
Cristo con me, Cristo dentro di me
Cristo dietro di me, Cristo davanti a me,
Cristo sotto di me, Cristo sopra di me…

giovedì 20 giugno 2013

Fuga d’amore

Parto di nuovo. Questa volta l’aereo decolla da Ciampino, verso sud. Sorvola veloce il lago di Albano, goccia d’acqua tra le verdi colline dei Castelli Romani, vira verso ovest lasciandosi a sinistra Pomezia e la cupa macchia del parco di Castel Fusano, segue il Tevere che si getta in mare protetto dall’esile molo e dal faro sull’Isola Sacra, per perdersi infine sul Tirreno. Ma all’orizzonte appaiono presto le creste innevate della Corsica, che in poche minuti lasciano il posto a quelle delle Alpi a tratti nascosti da cumuli di nubi che splendono sotto il sole di mezzodì.
Dove mi porterà questa volta il mio volo in cielo?

Una volta, all’inizio di uno dei miei tanti viaggi, scrivevo:

Parto ancora.
Dovrò dire te.
Ancora una volta.
(…)
Nell’oblio lasciamo cadere il passato.
Complici, insieme
trasformiamo questo viaggio:
non è missione

è fuga d’amore.

mercoledì 19 giugno 2013

Tre parole per una scelta di vita: 3. Fiducia

Ascolto sincero, risposta generosa… Eppure ci sono momenti in cui la vicinanza di Gesù, la sua parola, la sua chiamata fanno paura. Non parlo di quel sentimento che nasce quando, davanti alla smisurata grandezza e santità di Dio, ci si sente venir meno. Avverti tutto il tuo nulla, il tuo negativo e gridi, come Pietro: «Allontanati da me, Signore, perché io sono un peccatore». Sì, ci sono momenti in cui più cresce la familiarità con Dio, più scopri la distanza che da lui ti separa e vorresti sfuggire dalla sua presenza.
Penso piuttosto ad un’altra paura, quella che ci assale quando, in un attimo, s’intuisce l’esigenza della chiamata a seguire Gesù. Vivere il Vangelo è una realtà terribilmente impegnativa. Domanda la forza del perdono, il coraggio della condivisione, l’amore dei nemici, la purezza del cuore… Essere cristiani autentici comporta andare contro corrente, fino all’eventualità di essere presi in giro perché non facciamo quello che tutti fanno. E questo può pesare.
Perché Gesù vuole questo da me? Mi chiede troppo, non sono disposto a tanto…
Vedendo la nostra esitazione e paura Gesù potrebbe attenuare le sue richieste, addolcirle per venirci incontro, spiegarsi meglio... Di fatto non ne ritratta nessuna. Piuttosto rincara la dose e si rivolge a noi come si rivolse ai discepoli: «Volete andarvene anche voi?». L’amore non ha bisogno di spiegazioni. Per questo Pietro, a nome anche degli altri, rispose: «Da chi andremo Signore, tu solo hai parole di vita eterna». Pietro probabilmente allora non aveva capito, così come non avevano capito gli altri. Eppure si è fidato di Gesù.
Anche noi, quando abbiamo l’impressione che Dio stia chiedendo qualcosa di incomprensibile, che sembra andare al di là delle forze, quando la sua Parola fa male perché sconvolge i progetti e strappa dal quieto vivere, come Pietro, possiamo fidarci del Maestro, anche se non comprendiamo appieno.

Mi fido perché so che colui che mi parla mi ama e anche quando mi chiede qualcosa che mi sembra assurdo, lo fa spinto dall’amore per me, e per il mio bene.

martedì 18 giugno 2013

Tre parole per una scelta di vita: 2. Generosità


Non basta essere sinceri e cogliere la chiamata che ogni giorno ci viene rivolta. Occorre anche generosità. Potrà sembrare una parola un po’ stantia, dolciastra, buona per altri tempi. Non so trovarne una più adatta. Se Dio chiede qualcosa, perché non digli subito di sì? Non vale la pena stare lì a calcolare se conviene o meno, se ci rimettiamo o se ci guadagniamo.
Rispondigli dandoti totalmente, incondizionatamente, con generosità appunto!
Totalmente. Metti a sua disposizione tutto quanto hai: il cuore, la giovinezza, le forze, l’intelligenza, le tue capacità… Non giocare al risparmio con Dio.
Incondizionatamente. Non mercanteggiare con Dio. Non mettergli delle condizioni per l’adempimento di ciò che ti chiede. E se ti chiede un impegno per tutta la vita, abbi, ancora una volta, l’ardire di dirgli di sì, per sempre: l’amore vero non conosce limiti di tempo.
Con magnanimità, un’altra parola che forse suona superata, ma che nella sua etimologia indica un cuore grande, capace di tutto.
Anche questo atteggiamento di generosità, al pari della sincerità, non si limita al momento della scelta iniziale. Copre tutto l’arco della vita e costruisce l’intreccio del rapporto vero tra Dio e noi.
Certo, ci vuole coraggio per dire sì a Dio. Attorno tutto sembra congiurare contro ideali grandi, decisioni impegnative. Eppure il Vangelo è ancora davanti, che sfida oggi come ieri ed apre orizzonti di una vita autenticamente cristiana, spalancata sull’immensità di Dio e dell’intera umanità.

lunedì 17 giugno 2013

Tre parole per una scelta di vita: 1. Sincerità


Marsiglia. Incontro un piccolo gruppo di giovani. Una cena frugale che dura tre ore: abbiamo tante cose da dirci. Tre parole in particolare risuonano tra di noi. 

La prima è: sincerità. Quando Dio si manifesta e ci chiama non possiamo far finta di non capire. Non possiamo intorpidire le acque della nostra coscienza. Occorre franchezza e limpidezza interiore. Potrai anche dire di no a quanto Dio ti chiede, ma prima sii sincero, non mascherare la sua voce e la tua paura con menzogne più o meno nobili.

Questo non vale solo per la scelta dello stato di vita. È legge del cammino con Dio, preliminare al compimento della sua volontà. Egli avrà sempre qualcosa da comunicarti, avrà sempre da indicarti le tappe del tuo viaggio verso di lui. Bisognerà essere allenati ad ascoltare con sincerità la sua voce, qualunque cosa egli ci chieda.

domenica 16 giugno 2013

Aix: La chiesa della Missione e nella misericordia

Ma cosa ci faccio ad Aix?
I colori della Provenza: la lavanda
Quello che gli Oblati fanno qui da 200 anni: accolgo le persone nella Chiesa della Missione, celebro la messa, confesso nella saletta accanto al presbiterio…
La Regola del 1818 dedica un lungo capitolo a questo sacramento: “Perché Gesù Cristo… ha affidato a noi questa parola di riconciliazione se non perché venga applicata efficacemente ai peccatori… così che siano veramente riconciliati con Dio? Ci ha affidato il ministero della riconciliazione, perché Dio stesso, in Cristo, riconciliava a sé il mondo, senza tener conto dei peccati degli uomini e ponendo in noi la parola di riconciliazione… I missionari accolgano sempre i peccatori con una carità inestinguibile; sappiano incoraggiarli… mostrando loro un cuore pieno di compassione; li trattino, in una parola, come vorrebbero esser trattati essi stessi, se fossero nella loro triste condizione”.
I colori della Provenza: grano e ginestre
I colori della Provenza: grano e papaveri
Gli Oblati, fino al tempo dell’espulsione del 1903, partivano da questa casa per predicare le missioni, aiutavano i parroci della città. Erano cappellani di ospedali, caserme e prigioni. Accompagnavano al patibolo i condannati a morte. La casa ospitava la Conferenza di san Vincenzo di Paoli, aiutavano le famiglie poveri, i ragazzi carbonai che venivano dalla Savoia. Un posto particolare in tutte queste attività l’ebbe p. Ippolito Courtès, superiore per 40 anni. Diede uno straordinario esempio di donazione di sé durante l’epidemia di colera del 1835: per più di un mese si mise notte e giorno a servizio dei lamati e dei moribondi con un gruppo di laici.
La chiesa fu sempre centro di preghiera e di confessioni. Anche dopo le leggi di espulsioni del 1880, quando la chiesa fu chiusa e sigillata, la gente continuava a frequentarla passando per la casa degli Oblati
La seconda espulsione, quella del 1903, fu più violenta. La polizia si presentò in comunità alle 5,15 del mattino, in modo che la gente non potesse reagire. Tutti i mobili furono sequestrati e venduti. Eppure nel 1907 gli Oblati erano di nuovo ad Aix, come semplici cittadini, in una casa a un centinaio di metri dalla chiesa, fin quando, dopo la prima guerra mondiale, l’11 luglio 1922, riaprirono la chiesa della Missione, sigillata dal 1880.
Il cardinal Rodrigue Villeneuve, oblato canadese, di passaggio ad Aix nel 1939, scrisse: “la chiesa mi sembra una missione permanente. Si confessa di continuo”
A proposito delle Piccole Sorelle dei Poveri. Quella che poi divenne la loro casa del Tubet, era stata comprata dagli Oblati nel 1939, perché i Fratelli coltivassero gli orti che servivano al mantenimento della comunità. Una volta che in quella casa nacque la congregazione delle suore, padre Benjamin Salel, che era lì con i Fratelli, rimase per un po’ di tempo come cappellano delle suore.

sabato 15 giugno 2013

Sulle orme di Cézanne alla scoperta del segreto della natura

Quando Paul Cézanne nacque ad Aix in via de l’Opéra, nel 1839, il suo illustre concittadino Eugenio de Mazenod era stato nominato vescovo di Marsiglia da poco più di un anno. I due non si sono mai incontrati, ma hanno condiviso la passione per una città d’una bellezza unica. De Mazenod l’ha fatta conoscere per il mondo intero tramite i suoi missionari, Cézanne tramite i suoi quadri.
Ho percorso la strada che il pittore percorreva ogni giorno, con le sue tele e i suoi pennelli, verso le colline d’intorno, attratto dalla straordinaria natura della Provenza. Sono salito al plateau Bibémus e ho proseguito verso il piccolo lago artificiale Zola.
La montagna della Saincte Victoire è sempre davanti all’orizzonte.
Cézanne non si è mai stancato di dipingerla, in decine di e decine di quadri, in tutte le stagioni dell’anno. Come non si sono stancati gli altri pittori attratti dalla Provenza: Van Gogh, Gauguin, Picasso (di cui ho visto da lontano il castello dove ha vissuto ed è sepolto).
Non ci si stanca mai di ammirare la montagne e i boschi d’intorno e le rocce dai caldi colori che, come scriveva “il Pater Omnipotens Aeterne Deus dispiega davanti ai vostri occhi”. Era sempre insoddisfatto della sua opera. Ancora alla fine della vita scriveva: “Arriverò un giorno allo scopo tanto cercato e così a lungo inseguito? Studio sempre la natura dal vivo e mi pare di fare qualche lento progresso.” Non sono ammirevoli questi artisti sempre alla ricerca della perfezione?
Ho letto che le lunghe camminate a piedi, le escursioni in montagna, gli fornivano un contatto diretto, duro e sofferto, con la natura. Tutta la sua opera non è che un dialogo con le cose, nature morte e paesaggi, oggetti nei quali ha cercato di carpire un segreto attraverso ore di solitaria contemplazione.
Non aveva fretta. Attendeva per ore, nascosto come una lucertola, che la luce cambiasse d'inclinazione sulle rocce della montagna, spiava i mutamenti lenti e solenni della natura. Aveva visto come l'acqua corrode le pietre nel greto del fiume, come il vento lima la roccia soffiando nei crepacci, come gli alberi si piegano e resistono nel turbine di un uragano... Col suo modo di dipingere voleva imitare gli stessi procedimenti della natura.

Della natura diceva: “Bisogna inchinarsi di fronte a quest'opera perfetta. Da essa tutto deriva, per essa noi esistiamo, dimentichiamo il resto.”