domenica 30 novembre 2014

Bell’Italia: Avezzano


 

Quante volte ho attraversato la Marsica, eppure non ho mai pensato di fermarmi ad Avezzano. Cittadina modesta, nasconde segrete bellezze ed offre un’accoglienza singolare. Quanta sobrietà e dolcezza in queste terre di provincia. Proprio adatta per presentare il libro di un ignoto semplice monaco del deserto come apa Pafnunzio. Ora non più ignoto, ma amato da una ottantina di persone interessatissime, come per me non è più ignota, ma amatissima, l’umile Avezzano. Scambio di doni! 

sabato 29 novembre 2014

Ad Avezzano con apa Pafnunzio

Domenica 30 novembre, appuntamento ad Avezzano con apa Pafnunzio.
Per l’occasione ho trovato un altro inedito dell’apa.

Era uno dei tanti monaci perduti nel deserto. Persona semplice, senza rinomanza alcuna. Eppure, con il passare degli anni, la frequentazione delle sante Scritture, apprese ormai a memoria e ripetute con assiduità, gli avevano reso familiare il mondo di Dio e quello degli uomini. Con la mente spaziava lontano, al punto da ritenersi quasi un saggio, come gli antichi padri del deserto. Ne trovava conferma nelle visite che riceveva, pur di tanto in tanto, da persone che giungevano da lontano per avere un consiglio, una parola di sapienza. A volte, nella sua debolezza e presunzione, si sorprendeva perfino a guardare con una certa superiorità e sufficienza gli altri monaci della laura che, al suo confronto, gli parevano rozzi e incolti. Neppure la coscienza dei propri peccati, ben più gravi dei monaci suoi fratelli, lo dissuadeva da pensieri di tanta stoltezza.
Ne ebbe pietà il suo Signore, che mandò a lui un mendicante, povero e lacero. Appena apa Pafnunzio lo vide comparire sulla soglia della propria cella, fu mosso a compassione e lo accolse con la bontà che gli era solita. Fu sufficiente lo scambio di poche parole perché l’apa si rendesse conto dell’ignoranza del mendicante che aveva dinnanzi. Lo trattò con sufficienza e con superiorità, consapevole del divario che lo divideva dal povero.
Questi, ignorando i pensieri insani dell’apa, gli aprì il cuore e gli narrò il sogno della notte appena trascorsa. Lo stesso Signore gli era apparso. “Sono contento di te”, gli aveva detto “perché so che mi ami e che vivi soltanto per me. Per adesso non posso mostrarti ancora il mio volto, ma tornerò presto da te e allora vedrai il mio volto”. Il povero aveva veduto soltanto i piedi del suo Signore e una cascata di raggi di luce: gli era bastato perché il cuore si illuminasse e si colmasse di gioia indicibile.
“A me il Signore non è mai apparso, neppure in sogno”, penso Apa Pafnunzio. “Perché appare a lui, persona di così poco valore e senza cultura, e non a me che medito giorno e notte le Scritture e che ho dilatato la mente suoi grandi misteri?”
Dopo che il povero, rifocillato, si fu rimesso in cammino, l’apa si rannicchiò in un canto della cella e rimase a lungo in silenzio. Infine si percosse il petto, vergognoso alzò lo sguardo verso l’icona appena alla parete, e così parlò al suo Signore: “Se questa notte fossi apparso a me in sogno, avresti potuto dirmi che sei contento di me? Avrei potuto contemplare i tuoi piedi ed essere avvolto dalla tua luce? Quanta sapienza nell’ignoranza del povero, quanta ignoranza nella mia scienza. Ti riveli agli umili e resisti ai superbi”.
Uscì in fretta e corse a visitare quello che riteneva l’infimo dei suoi fratelli. Gli si prostrò davanti e gli chiese con accento sincero: “Apa, dimmi una parola”.


venerdì 28 novembre 2014

Papa Francesco ci scrive…


Aspettavamo una Lettera del papa in occasione dell’Anno della Vita Consacrata e proprio all’ultimo minuto è arrivata.
Prima dei contenuti mi hanno colpito piccoli (?) dettagli di forma.
Innanzitutto si rivolge prima alle consacrate e poi ai consacrati. Abitualmente non è così; ci si indirizza prima agli uomini poi alle donne. Poteva però il papa ignorare che 4 su 5 persone consacrate sono donne? Non è soltanto cavalleria o un modo di dire “politicamente corretto”, è una autentica attenzione.
Poi, fin dalla prima riga, il coinvolgimento personale: scrive non soltanto come Successore di Pietro (non per niente la sua è una Lettera “apostolica”), ma come “fratello vostro, consacrato a Dio come voi”. Soltanto Francesco poteva presentarsi come papa fratello, sia perché Gesuita, sia perché il nome stesso glielo consente: per san Francesco tutti sono fratelli e sorelle. Anche in questo caso non si tratta di una “captatio benevolentiae”, perché tutta la lettera è una sincera condivisione di gioie, problemi, speranze… Il plurale, ripetuto costantemente, non è né maiestatico né di umiltà; si tratta di un plurale reale: il papa vi è dentro tutto intero, assieme a tutti noi.

Infine mi pare un po’ nuovo l’indirizzarsi, in una lettera diretta a consacrate e consacrati, a una grande varietà di soggetti. Prima di tutto, naturalmente ai giovani religiose e religiosi, non soltanto come speranza di futuro, ma come reale risorsa del presente. L’appello è tuttavia molto più ampio. Si rivolge ai laici che condividono, con le persone consacrate, ideali, spirito, missione, incoraggiandoli “a vivere quest’Anno della Vita Consacrata come una grazia che può rendervi più consapevoli del dono ricevuto”. Era ora che si coinvolgesse l’intera “famiglia carismatica” degli Istituti, che va ben al di là delle persone consacrate. Attorno ad ogni Istituto è infatti presente una ricca pluralità di soggetti. È poi la volta dell’intero popolo cristiano “perché prenda sempre più consapevolezza del dono che è la presenza di tante consacrate e consacrati, eredi di grandi santi che hanno fatto la storia del cristianesimo”.
C’è poi un “oso”, che introduce l’invito rivolto “alle persone consacrate e ai membri di fraternità e comunità appartenenti a Chiese di tradizione diversa da quella cattolica”, perché anche loro partecipino all’iniziativa dell’Anno della vita consacrata, così  che “cresca la mutua conoscenza, la stima, la collaborazione reciproca, in modo che l’ecumenismo della vita consacrata sia di aiuto al più ampio cammino verso l’unità tra tutte le Chiese”. Lo sguardo di allarga poi al “fenomeno del monachesimo e di altre espressioni di fraternità religiose presente in tutte le grandi religioni”, che non può essere ignorato nella celebrazione dell’Anno sulla vita consacrata.
Infine la lettera si rivolge ai vescovi stessi, invitati a promuovere nelle rispettive comunità i distinti carismi. Il papa chiede loro di essere accanto alle persone consacrate “sostenendo, animando, aiutando nel discernimento, facendovi vicini con tenerezza e amore alle situazioni di sofferenza e di debolezza nelle quali possano trovarsi alcuni consacrati, e soprattutto illuminando con il vostro insegnamento il popolo di Dio sul valore della vita consacrata così da farne risplendere la bellezza e la santità nella Chiesa”. Francesco ne dà per primo l’esempio!


giovedì 27 novembre 2014

Medaglia miracolosa a sant'Andrea delle fratte


27 novembre, festa della Madonna della medaglia miracolosa, a ricordo dell’apparizione a Caterina Labouré, il 27 novembre del 1830. Vestita di un abito di seta bianca, racchiusa in una cornice ovale, quasi a delineare il bozzetto di una medaglia, contornata da una scritta in lettere d’oro: «O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi», invocazione allora inusuale. È l’origine della famosa medaglia, coniata a partire da quella visione. Quando, nel 1854, Pio IX definirà il dogma dell’Immacolata Concezione, riconoscendo che «era una verità tenacemente custodita nel cuore dei fedeli», potrà fondarsi anche sul fatto che c’erano già almeno dieci milioni di cristiani che portavano la medaglia miracolosa.
Vale la pena fare una passeggiatina a Sant’Andrea delle fratte, una chiesa sorta nel XII secolo in una zona di Roma, che come rivela il nome, allora era in mezzo a campi e orti (qualcosa rimane ancora nel chiostro!).
Rimarremo affascinati dall’architettura del Borromini, dai due splendidi angeli scolpiti nel marmo dal Bernini, realizzati per il ponte di Castel Sant’Angelo, ma che il papa Clemente IX Rospigliosi ritenne troppo belli per essere esposti alle intemperie (in realtà sembra che volesse appropriarsene e spedirli a Pistoia, città natale della sua famiglia… ma morì poco dopo).
Ma ciò che subito attrae appena siamo in chiesa, è la terza cappella di sinistra dedicata alla "Madonna del Miracolo", che il 20 gennaio 1842 apparve ad Alfonso Ratisbonne: entrato in chiesa soltanto per ammirarne le bellezze architettoniche finì per convertirsi ed essere battezzato.
L’immagine della Madonna – quella della medaglia miracolosa – è di una particolare bellezza, dolcezza, con una spiccata femminilità. Invita alla confidenza…

Appena pochi anni dopo l’apparizione a Caterina Labouré, il Direttorio per i novizi dei Missionari Oblati, raccomandava già: «Faranno bene a portare sempre su di essi una piccola medaglia  miracolosa del’Immacolata Concezione, avendo cura di baciarla di tanto in tanto e di recitare la preghiera che vi è impressa».


mercoledì 26 novembre 2014

Sul Palatino, nella cella di san Leonardo da Porto Maurizio


Nel giorno della festa di san Leonardo da Porto Maurizio, non si può non fare una visita al conventino di san Bonaventura al Palatino, come usava fare sant’Eugenio quando si trovava a Roma.

Il 22 febbraio 1826 scrive:
Sono stato a dire Messa a San Bonaventura, nella casa del ritiro del padri francescani (vi tornerà anche il un mese più tardi). Il Beato Leonardo da Porto Maurizio è morto in questa santa casa... ho detto Messa all’altare principale sotto il quale si trova il beato Leonardo, con l’abito religioso... La vista di questo santo corpo mi ha ispirato una profonda venerazione. Mi sono ricordato tutto quello che aveva sofferto nel difficile ministero delle missioni, e mi sono raccomandato al santo che ottenga a me, e tutti i nostri, un'ampia partecipazione nello spirito che lo animava durante tutto il corso della sua vita... Siamo stati quindi a visitare la stanza dove il Beato ha reso l'anima a Dio; è stata trasforma in cappella... Il buon padre vicario mi ha parlato con emozione di diversi tratti della vita di questo grande servo di Dio.

Il 22 novembre 1954, mentre si trova a Roma in occasione della proclamazione del dogma dell’Immacolata, sant’Eugenio narra a Tempier:
Sono stato a visitare la cella dove era dimorato il beato Leonardo da Porto Maurizio e da dove era salito al cielo. Come mi sentivo a mio agio in quel piccolo sacrario da dove mi sono allontanato con tanto vivo dolore. Uscendo di lì e rientrando in chiesa per tornare a venerare ancora una volta il santo corpo del beato dicevo tra me: fra breve dovrò ritornare nei bei saloni del Quirinale per vedervi sfilare tutte le umane grandezze. Ma che cosa sono paragonandole a quello che qui mi delizia tanto! Né provai altri sentimenti quando le vidi sotto i miei occhi.


Se quaggiù non avessimo l’adorabile Eucaristia



Oh! Se quaggiù non avessimo l’adorabile Eucaristia, l’Emmanuele, Gesù con noi, questa terra sarebbe troppo triste, la vita troppo dura, il tempo troppo lungo; ma bisogna ringraziare la divina bontà che ci ha lasciato questo Paradiso d’amore, questo Gesù velato, questa colonna di nubi e di fuoco del deserto.


Sono stato con la commissione degli studi sul carisma di san Pier Giuliano Eymard, presieduta dal superiore generale dei Sacramentini. Uno scambio fruttuoso di esperienze, iniziative, progetti… e il regalo di questo libretto con un pensiero per ogni giorno del santo. Quello appena citato il pensiero per oggi. Basta questo per cogliere la sua passione per l’Eucaristia.

lunedì 24 novembre 2014

Se vuoi andare in fretta...




Se vuoi andare in fretta vai da solo,
se vuoi andare lontano vai in compagnia.

Ieri mi hanno ricordato questo proverbio africano.
Oggi, al santuario di san Vittorino Romano, l’ho messo in pratica,
vivendo in unità con gli amici…

domenica 23 novembre 2014

Secchi e Tacchini astrofisici alla ricerca della Verità


Angelo SECCHI (1818-1878), uno dei più attivi e fecondi iniziatori dell’astrofisica moderna, fondatore e direttore dell’osservatorio astronomico di Roma. La sua produzione sembra “rappresentare piuttosto l’operosità di un corpo scientifico che quella di un solo individuo” (Carrara, 1903).
Pietro TACCHINI (1838-1905), un altro dei grandi organizzatori della ricerca nel campo dell’astrofisica, direttore dell’osservatorio astronomico di Palermo.
Gesuita il primo, anticlericale il secondo, che tra l’altro scrive: “Io non sono di quelli che pretendono all’infallibilità,  figurati non credo neanche a quella del papa, ma invece mi piace avere delle conferme e dei confronti …” (Tacchini a Respighi, 1872); “bisogna convenire che preti e frati è sempre roba cattiva” (Tacchini a Cacciatore, 1870).
Eppure tra di due si attiva una attivissima e fruttuosissima collaborazione, una reciproca stima, un’autentica amicizia, affettuosa e cordiale, unita ad una sollecitudine premurosa,  come dimostrano ad esempio questi stralci del carteggio:
“… quando lei ritornerà da Torino io sarò ancora a Modena e per ciò la sequestro fin d’ora, cioè voglio che al ritorno si fermi almeno un giorno a Modena in casa mia, così mangeremo là il zampone che dovevamo mangiare a Roma …” (Tacchini a Secchi, Palermo 2 novembre 1875).
“Io sono sempre mezzo ammalato dalle febbri e mi hanno consigliato ad andare a prendere un po’ d’aria natia. Domani dunque … partirò per andare a Modena […] … se [Lei] va [a Torino], si ricordi che la voglio a Modena almeno per un giorno” (Tacchini a Secchi, Palermo 19 Novembre 1875).
Questo e molto di più ci hanno raccontato in un’interessantissima conferenza Ileana Chinnici (dell’Osservatorio Astronomico di Palermo) e Antonella Gasperini (dell’Osservatorio Astrofisico di Arcetri) alla presentazione del loro libro: “Alle origini dell’astrofisica italiana: il carteggio Secchi-Tacchini 1861-1877”, con la presenza del direttore della Specola Vaticana e di altri studiosi del campo.
Se la ricerca scientifica è sincera, barriere culturali e prevenzioni religiose cadono da sé, nella cammino comune di giungere alla Verità.


sabato 22 novembre 2014

L'Africa bella di Wilfried Joye



Ricevo un bel libro di Wilfried Joye, uno dei non pochi artisti Oblati (anche se tutti gli Oblati sono un po’ “artisti”), con alcune delle sue opere e con poesie e preghiere, ispirate ad esse, di una certa Bernie Muller. 




P. Wilfried  è nato in un piccolo delle Fiandre, in Belgio, nel 1939. Ha avuto il privilegio di ricevere lezioni di arte da due Artisti di talento; Boniver (paesaggista) e Geukens (pittore), che gli insegnarono storia dell'arte. Diventato Oblato fu mandato come missionario in Sud Africa, dove ha continuato il suo interesse per l’arte e i contatti con grandi artisti. I suoi dipinti ritraggono soprattutto la vita rurale e le varie situazioni umane. Spesso sono di carattere religioso. In tutti comunque è presente la sacralità della vita e la gioia della speranza. Il suo stile è fortemente influenzato dall'espressionismo fiammingo (Servaes, Permeke, De Smet, Brusselmans) e dal suo amico di lunga data, il pittore padre Claerhout, anche lui Oblato. 


Mi piace vedere nei quadri di p. Wilfried un’Africa trasfigurata e bella, tutta spirituale.

venerdì 21 novembre 2014

Presentazione di Maria al tempio

21 novembre, Presentazione di Maria al tempio.
Forse non abbiamo mai letto il Protovangelo di Giacomo, nel quale si narra della presentazione di Maria al tempio.
[7, 2] Quando la bambina compì i tre anni, Gioacchino disse: “Chiamate le figlie senza macchia degli Ebrei: ognuna prenda una fiaccola accesa e la tenga accesa affinché la bambina non si volti indietro e il suo cuore non sia attratto fuori del tempio del Signore”. Quelle fecero così fino a che furono salite nel tempio del Signore. Il sacerdote l’accolse e, baciatala, la benedisse esclamando: “Il Signore ha magnificato il tuo nome in tutte le generazioni. Nell’ultimo giorno, il Signore manifesterà in te ai figli di Israele la sua redenzione”. [3] La fece poi sedere sul terzo gradino dell’altare, e il Signore Iddio la rivestì di grazia; ed ella danzò con i suoi piedi e tutta la casa di Israele prese a volerle bene. [8, 1] I suoi genitori scesero ammirati e lodarono il Padrone Iddio perché la bambina non s’era voltata indietro. Maria era allevata nel tempio del Signore come una colomba, e riceveva il vitto per mano di un angelo.
Chissà come sono andate le cose. In ogni caso è una bella leggenda che dice come Maria, fin da piccolina si era data tutta a Dio.

Quando pensiamo alla “consacrazione” il pensiero va spontaneo a Maria, tutta intenta nelle cose di Dio, inabitata dallo Spirito, raccolta a custodire e meditare le Parola del Figlio suo. Non a caso questa giornata è dedicata alla vita contemplativa.
In questi ultimi decenni  il tema della consacrazione si è radicalizzato sempre più, fino a farne la cifra identificativa della vita detta appunto “consacrata”. Per l’esortazione apostolica Redemptoris donum essa è addirittura «una nuova consacrazione» che costituisce «una nuova vita per Dio in Cristo Gesù» (n. 7). Cosa significa, come afferma Perfectae caritatis, che essa è «un'espressione più perfetta» della consacrazione battesimale (n. 5)? Può esserci una consacrazione più perfetta di quella battesimale?
Forse si vuole semplicemente indicare che si tratta di una presa di coscienza sempre più profonda della nostra totale dipendenza da Dio, di rispondere ai suoi continui appelli, della scelta di essere pienamente conseguenti con la realtà del nostro battesimo. Così sembra indicare la stessa Redemptoris donum: la consacrazione è «nuova mediante la consapevolezza e la scelta; nuova mediante l'amore e la vocazione; nuova mediante l'incessante “conversione”». La consacrazione è dunque un processo di crescita, una decisione che si rinnova di giorno in giorno, un rapporto che matura lungo tutta la vita, un dialogo con Dio che chiama e che si fa «risposta d'amore: amore di donazione» (Redemptoris donum 8).

giovedì 20 novembre 2014

Il “vescovo polare” davanti alla modernità



Il 20 novembre 1933 moriva Ovidio Charlebois. Era nato a Oka, nella Provincia del Québec (Canada,) il 17 febbraio 1829. Entrato nel noviziato dei Missionari Oblati nel 1862 , una volta diventato sacerdote, si dedicò all’evangelizzazione tra i nativi nell’ovest del Canada. Nominato primo Vicario Apostolico del Keewatin, fu ordinato vescovo nel 1910. Tra difficoltà estreme organizzò il suo immenso Vicariato, che comprendeva popolazioni indiane e eschimesi, dando esempio di una pazienza e umiltà ammirabili. Fu lui a promuovere la proclamazione da parte di Pio IX di santa Teresa di Gesù Bambino a patrona delle missioni. Il suo motto episcopale era: “A Gesù per Maria”.
La costruzione della ferrovia che avrebbe attraversato il Canada fu fonte di progresso e anche di corruzione. Preoccupato per la sua diocesi, scriveva così ai suoi missionari:

Miei cari padri e fratelli [di fronte a ciò che noi chiamiamo civiltà, che sta arrivando con la costruzione della ferrovia] un missionario, un apostolo dovrebbe mostrare più zelo e coraggio. Il diavolo e il mondo si danno la mano per portare a perdizione i nostri [indiani]; il nostro dovere è quello di organizzare e contrapporre una lotta vigorosa e sostenuta. Il nostro nemico è potente, ma cosa abbiamo da temere? Non dobbiamo Dio dalla nostra parte? Cerchiamo dunque di essere veri soldati di Cristo. Il nemico dispiega le forze del male, e allora? Noi più zelo che mai. La routine e lo status quo di una volta non sono più sufficienti. Dobbiamo suscitare in noi nuovo coraggio e mostrare nuovo slancio.
Prima di tutto, miei carissimi padri e fratelli, indirizziamo lo zelo verso noi stessi. Lavoriamo con nuova energia alla nostra santificazione. Se aumenta il male, la nostra santità deve aumentare in maniera proporzionale. Usiamo il principio degli opposti. Vediamo nella nostra popolazione che lo spirito di preghiera diminuisce? Preghiamo di più e meglio. Si manifesta una diminuzione di fede? Viviamo con maggiore spirito di fede e di amore la nostra perfezione. Aumenta l’amore per godimenti e piaceri? Amiamo e pratichiamo la mortificazione con più ardore. La crescita dell’intemperanza e della vita licenziosa ci strappa lamenti? Stiamo in guardia, temiamo di mostrare la  minima tendenza per gli alcolici; che la nostra purezza sia irreprensibile. Con tali sentimenti e tale comportamento saremo forti e potenti. La nostra lotta contro lo spirito deleterio che invade i nostri cristiani sarà più efficace. Le nostre parola avrà un’efficacia salutare per convertire e salvare.
Poi si deve pensare ai nostri fedeli. Trovandosi esposti ai più grandi pericoli di perversità e di perdizione, è nostro dovere fornire loro nuovi mezzi di difesa e di salvezza. Ciò che era sufficiente una volta non lo sarà più per il futuro. Il primo di questi mezzi è una formazione più perfetta. L'ignoranza è la fonte di tutti i mali... (Circolare, 23 settembre 1912)

mercoledì 19 novembre 2014

Ogni giorno dice qualcosa


Il mio computer, che sa contare, mi dice che questo è il 1748 blog che scrivo. Sarà mai possibile che ogni giorno abbia sempre qualcosa da dire? Sì, semplicemente perché ogni giorno ha qualcosa da dire a me.
Il giorno di oggi mi ha regalato, di prima mattina, un bell’arcobaleno. Non quello atmosferico, ma quello della prima lettura della liturgia del giorno, tratta dal libro dell’Apocalisse: “Fui rapito in estasi. Ed ecco c’era un trono in cielo… Un arcobaleno simile a smeraldo avvolgeva il trono”. Sarà bello, in paradiso, essere avvolti da un arcobaleno! (e poi d’un verde smeraldo!).
Subito dopo uno scritto di papa Benedetto: “La natura… ci parla del Creatore e del suo amore per l’umanità”.
Che giornata luminosa!


lunedì 17 novembre 2014

Il Grand Hotel e la cultura che salva la vita



È sera quando devo parcheggiare in via di Monte Brianzo. Come al solito trovare un posto è come vincere un terno all’otto. Il solito vecchietto parcheggiatore abusivo mi fa cenno di entrare in uno spazio libero, ma gli faccio notare che è riservato. Allora me ne propone un altro: troppo sulla curva che immette sul lungotevere. Allora davanti alla Mercedes: occuperei parte delle strisce pedonali. “Ho capito, mi fa il vecchietto, per lei dovremmo costruire il Grand Hotel”. Mi arrendo a parcheggiare con le ruote davanti sulle strisce pedonali. Quando esco di macchina noto che si è appena liberato un posto, risalgo, faccio retromarcia e mi piazzo nel punto giusto. “Grazie per il Grand Hotel”, dico al mio ometto e gli do un immeritato euro. “Come ti chiami?”, gli domando, mentre scende una pioggerellina fine fine. “Antonino”. “Ma non sei di Roma”. Tra i denti mi risponde: “Dicono che sono un terrone”. “Di quale terra?”. “Calabrese”. “Beh, non sei proprio in fondo in fondo”. Rincuorato da questa considerazione mi confida: “Sono fortunato. Mi salvo perché non bevo e non mi drogo. Inoltre leggo molto. La cultura salva la vita!”.


domenica 16 novembre 2014

Tutti a tavola, l’ossessione di Dio


Giovedì scorso, come al solito, un altro momento di dialogo a sant’Eustachio, questa volta con Heike Vesper, luterana. Siamo entrati in campo minato, l’Eucaristia. Eppure è stato un bel colloquio.
Sono partito dall’ossessione in Dio di volersi sedere a tavola con noi. A cominciare dal paradiso terrestre, quando a sera scendeva a cena con Adamo ed Eva. Una volta che i due sono spariti gli è rimasta questa idea fissa, questo desiderio spasmodico di sedersi a tavola con noi. Lungo tutta la Bibbia lo ripete in mille modi, non pensa che a preparare una mensa per noi. Gesù inizia il suo ministero con le nozze di Cana e lo termina con l’ultima cena, promettendo di bere di nuovo il vino con noi nel Regno. Sì perché nel Regno dei cieli staremo a tavola da mattina a sera; Dio sta preparando un grande banchetto, nel quale lui stesso si cingerà e ci servirà: parola di Gesù! Non a caso Gesù era chiamato “mangione e beone”: lo troviamo a banchetto da Simone, in casa di amici; con Zaccheo si invita addirittura lui stesso a pranzo…
Ha scelto bene, perché stare assieme a tavola è il momento più bello della giornata e il banchetto di nozze è la festa più bella che possa esserci. In fondo a Dio non interessa mangiare e bere, quando stare con noi, trovarsi in famiglia, a casa. Da no credere!

sabato 15 novembre 2014

Il seno del Padre, luogo di Dio

Il ritiro degli Oblati a Sacrofano è terminato con lo sguardo alla morte! Tutto il contrario di quanto si faceva un tempo, quando si cominciava proprio con il pensiero della morte. Esso serviva a mettere un salutare timore, a pentirsi dei propri peccati, a fare una buona confessione: soltanto allora poteva iniziare davvero il ritiro. Erano saggi, una volta.
La scelta parlare della morte alla fine è dovuta al tema del ritiro: i luoghi di Dio, ossia dove Dio ci attende al varco, dove possiamo incontrarlo. E ne abbiamo visti tanti. Ma a volte possiamo facilmente eluderli ed evitare l’incontro con Dio. Ma c’è un appuntamento a cui non ci si può assolutamente sottrarre, l’ultimo, il più importante. È proprio l’appuntamento con la morte, “dalla quale nessuno omo vivente po’ scappare”. È l’incontro decisivo che, sperando nella infinita divina misericordia, ci introdurrà nel luogo definitivo, il seno del Padre. È questo finalmente il “luogo di Dio” per eccellenza, quello verso il quale siamo incamminati.
Dovrebbe esserci sempre presente come la meta. È la meta che dà senso ad ogni viaggio. A secondo di quella che sarà la destinazione finale mi attrezzo in un modo o in un altro: quando vado nell’Africa equatoriale mi equipaggio diversamente da quando vado nel nord Canada. Inoltre se ho chiara la meta so in che direzione andare, altrimenti il mio cammino si trasforma in un girovagare senza né capo né coda.
Vale la pena pensare spesso al Paradiso, abituarci a conversare con quanti sono già là. Ci aiuta a capire il senso della vita e come viverla.


venerdì 14 novembre 2014

I luoghi e i tempi di Dio






I luoghi di Dio continuano ad essere l’oggetto del ritiro che ho cominciato a guidare lunedì alla Fraterna Domus, a Sacrofano, in questa splendida campagna romana. Quali sono i luoghi nei quali Dio ci attende, si lascia trovare? L’abbiamo scoperto nella natura, in noi stessi, nell’altro, nella Parola, nell’Eucaristia, nella comunità… E dov’altro? Ma non diceva il vecchio catechismo che “Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo”? Non possiamo imprigionare Dio in un luogo: si nasconde e si manifesta nei luoghi e nei modi più impensati, lungo tutta la nostra giornata, come a lui piace.
Certo ci sono luoghi nei quali forse lo si può avvertire particolarmente presente: un santuario, una cappellina solitaria, la Terra Santa dove Gesù ha lasciato la sua ormai in maniera indelebile e dove ogni pietra parla di lui.
Ci sono anche momenti particolari, come questo ritiro, oppure un incontro formativo, un evento festoso, un pellegrinaggio, la domenica.
Dipende da noi riconoscerlo. Lui c’è sempre, siamo forse che a volte non ci siamo. Occorrono occhi e cuore puri e aprirgli ogni volta che bussa.
In ogni caso Lui sa come farsi presente in un modo o nell’altro. Gli apostoli si erano barricati nel cenacolo, ma non c’era catenaccio che potesse tener fuori il Risorto: ora come allora egli entra quando vuole e come vuole, anche a porte chiuse.


giovedì 13 novembre 2014

Bacio di pace



Prosegue il ritiro immersi nella natura autunnale di Sacrofano. Lontano all’orizzonte la cupola di san Pietro è sicuro punto di riferimento.
Nonostante le remore poste da un certo documento che invita ad un abbraccio di pace composto e limitato al vicino, la nostra assemblea si lascia andare a effusioni di affatto calorose, rispondenti alla esigenze di una vera fraternità. Si sembra si ripeta quanto leggo nei detti dei padri del deserto:
«Un anziano diceva: “Spesso, quando il diacono diceva: “Scambiatevi l’abbraccio di pace!”, ho visto lo Spirito santo sulla bocca dei fratelli”» (Serie anonima, 87).


mercoledì 12 novembre 2014

Un sogno per l'anno della vita consacrata

Per tutta la settimana sono a Sacrofano, una splendida località nella campagna romana, guidando il ritiro annuale di un bel gruppo di Oblati. Ma ormai sono abituato alla bilocazione e oggi pomeriggio ho avuto un bell’incontro con 25 membri di consigli generali di altrettanti istituti religiosi, che ho invitato a casa mia per parlare insieme della “famiglia carismatica”. Tra loro qualche superiore generale, vicario generale… Attorno ad ogni famiglia religiosa convergono migliaia di laici o di altri istituti religiosi o laicali sorti da essa, che ne condividono il carisma. Quali sono i rapporti con questi gruppi? Quale la formazione, la collaborazione nella missione? È stato uno scambio interessantissimo che continueremo.
Ho lanciato una proposta comunicando un sogno. Per l’anno della vita consacrata che inizierà a fine novembre sono previste tante iniziative. Manca qualsiasi riferimento a questi laici che condividono il carisma e che fanno ormai parte della grande famiglia carismatica di ogni Istituto.
Perché, tra i tanti eventi, non ne promuoviamo uno che porti a Roma tutti questi laici? Due giorni assieme per condividere le esperienze, per prendere coscienza di questo grande fronte carismatico, per  rendere cosciente la Chiesa intera di questo fenomeno che coinvolge milioni di persone. Ridarebbe nuova fiducia agli istituti stessi. Chissà cosa ne penserebbe papa Francesco. Bisognerebbe proporglielo.


martedì 11 novembre 2014

Dio ti guarda



Quante volte i bambini, vedendo i grandi intenti a parlare tra di loro, si mettono a gridare o fanno i matti per attirare l’attenzione? Non sopportano di venire trascurati. Oppure, mentre giocano, domandano ripetutamente di essere guardati. Un genitore, per chiedere ad un’altra persona di prendersi un attimo cura del proprio bambino, spesso usa l’espressione: “Me lo guardi?”. Essere sotto lo sguardo di una persona amata dà sicurezza, protezione, non fa sentire soli. Se nessuno ci guarda è come non essere; non si esiste mai da soli. La tristezza dell’anziano è quella di sentirsi trascurato, senza che nessuno lo degni di uno sguardo.
“Dio ti guarda”: un’affermazione che mette paura, perché dà l’impressione di uno sguardo inquisitore pronto a punire al primo sbaglio.
“Dio ti guarda”: un’affermazione che invece denota uno sguardo premuroso e pieno di affetto, che sta attento che tu non ti faccia male, pronto ad intervenire per ogni necessità; uno sguardo che dà la certezza di non essere soli ad affrontare le prove della vita; uno sguardo sorridente, che accompagna costantemente il nostro cammino; la sicurezza di una presenza amorosa.


lunedì 10 novembre 2014

San Martino: una vita in un gesto

Siamo giunti alla festa di san Martino di Tours. Ricordo ancora il racconto della maestra delle elementari. Era una delle grandi epopee – tutta raccolta in un gesto – che popolava la mia mente bambina e che vi è rimasta indelebile. Oggi me la lascio raccontare di nuovo da Paolo VI, come lo fece 50 anni fa nell’udienza dell’11 novembre 1964.

La vostra visita odierna cade nel giorno in cui la Chiesa celebra la festa d’uno dei suoi Santi, più popolari e più gloriosi, San Martino, Vescovo di Tours, morto alla fine del quarto secolo (nel 397, lo stesso anno della morte di S. Ambrogio), e tuttora famoso per l’episodio di Amiens. Martino era allora ufficiale della guardia imperiale a cavallo, forse non ancora ventenne; s’incontrò un giorno d’inverno alle porte della città con un povero mendicante, intirizzito e spoglio, a cui nessuno badava. Martino non aveva denaro con sé, ma aveva fin d’allora grande cuore in sé: che fare?: con un magnifico colpo di spada taglia in due la sua clamide, cioè la sopravveste militare, e ne dà una metà al mendicante. La notte successiva, Martino (che non era ancora battezzato) vede Cristo in sogno coperto con la parte del suo mantello, ch’egli aveva dato al povero sconosciuto, e sente Cristo che dice: Martino, ancora catecumeno, mi ha coperto con questa veste (Sulpicio Severo, Vita Beati Martini, P.L. 20, 162). Questa scena ha fatto la delizia degli artisti, ma ancor più quella dei cristiani, che hanno visto in essa un anticipato riflesso della parola di Gesù all’ultimo giudizio: «Quando avete beneficato uno dei miei minimi fratelli, l’avete fatto a me». È una parola stupenda e formidabile: Gesù si mette al posto di ogni uomo sofferente; chi soccorre lui, soccorre Gesù.
Conosciamo bene questa sentenza del Signore, la quale ha la virtù d’una rivelazione: Gesù è presente nel povero, nel sofferente, nell’ignudo, nel carcerato. Dove l’umanità patisce, Gesù patisce. Dove il volto umano piange, si scopre, dietro, il volto di Cristo piangente. L’uomo minorato diventa una specie di sacramento, cioè di segno sacro di Cristo (Bossuet, Oeuvres, III, 192 e 477). Qui la mistica diventa principio della sociologia cristiana.


domenica 9 novembre 2014

Santa Maria della Vittoria canta ancora vittoria



Il matrimonio di un amico mi ha portato nella chiesa di santa Maria della Vittoria. L’occasione per una passeggiata lungo la dritta via XX settembre che da Porta Pia porta fino al Quirinale, sotto un intenso e gradito luminosissimo sole. La storica giornata del XX settembre 1870, con l’entrata dei Bersaglieri attraverso la braccia di porta Pia, dà il nome alla strada. Lontano, all’altro estremo della porta, si vede l’obelisco di piazza Quirinale posto da Giulio II. Ai Bersaglieri bastava una bella passeggiata, come ho fatto io, per giungere alla residenza del Papa Re. A differenza di me trovarono ville sparse nella campagna. Oggi la strada è fronteggiata dagli imponenti palazzi ministeriali costruiti a fine Ottocento. Nella bella piazza san Bernardo, a metà della via, il grande fontanone del Mosè, la chiesa rotonda di san Bernardo, la chiesa di santa Susanna e quella di santa Maria della Vittoria: basterebbe una piazza così per fare una città!

La chiesa di santa Maria della Vittoria anche questa mattina ha attratto centinaia di visitatori, che vanno difilato a fotografare l’estati di santa Teresa d’Avila, uno dei capolavori del Bernini, per poi scappare via (Nessuno degna di uno sguardo la scultura che le fa da pendant nella cappella opposta, con un angelo che sveglia san Giuseppe dal sonno. Il povero Domenico Guidi aspettò che morisse Bernini per scolpirla… aveva ragione!). Ma è tutta la chiesa che merita di essere goduta con calma, uno dei più puri esempi di barocco classico, ricca di stucchi, di marmi preziosi e di ori. La sua fortuna è dovuta alla battaglia di Praga del 1620. Una battaglia sfortunata, combattuta tra cristiani che si facevamo guerra: cattolici da una parte, protestanti dall’altra. La vittoria dei cattolici fu attribuita ad un’immagine della Madonna, sfigurata dai protestanti e poi portata trionfalmente a Roma, proprio in questa chiesa. In sacrestia grandi pitture illustrano le armate schierate l’una contro l’altra. Il dialogo ecumenico era di là da venire.

Oggi invece il dialogo ecumenico l’ho visto sotto i miei occhi: si sono sposati un cattolico e un’ortodossa. La piccola immagine della Madonna posta sull’altare maggiore ha cantato nuovamente vittoria, non per la sconfitta degli eretici, ma per la loro comunione.