venerdì 31 ottobre 2014

La santità: un sogno che non rimane tale

Festa di Tutti i Santi. Sant'Eugenio de Mazenod, ha nutrito un desiderio sempre crescente di santità. L’ha desiderata per sé e per tutti coloro ai quali era rivolto il suo ministero: voleva condurre le persone ad essere prima ragionevoli, poi cristiani e infine aiutarli a diventare santi. L’ha desiderata per gli Oblati, che supplicava: «In nome di Dio, siamo santi». Ha creato la comunità oblata come un luogo di santificazione, ha abbracciato la vita religiosa come mezzo efficace di santificazione, ha scelto la missione come ministero nel quale santificarsi e santificare. Ha compreso e costantemente sottolineato l’intrinseco  
legame tra santità e missione. Ha vissuto in modo da raggiungere la santità.
Per lui infatti la santità è un divenire dinamico, un cammino costante che dura tutta la vita. Gli Oblati, leggiamo nella Prefazione, «devono lavorare seriamente a diventare santi, […] vivere […] in una volontà costante di giungere alla perfezione». «Niente limiti alla nostra santità personale», esclamava uni dei nostri superiori generali, p. Léo Deschâtelets leggendo questo testo.
Già nella Supplique adressée aux vicaires généraux capitulaires d’Aix, il primo documento programmatico della nuova comunità (25 gennaio 1816) Eugenio aveva scritto: “Il fine di questa società non è soltanto quello d lavorare alla salvezza del prossimo, dedicandosi al ministero della predicazione» I suoi membri «lavoreranno all’opera della propria santificazione conformemente alla loro vocazione».
La Prefazione della Regola successiva conferma: «lavorare più efficacemente alla salvezza delle anime e alla propria santificazione», «per la propria santificazione e per la salvezza delle anime».

La comunità è proprio in vista della santità. Occorre una “santificazione comune”, aveva scritto al suo futuro primo compagno, proponendo un primo incontro fra tutti i futuri componenti della comunità: «ci aiuteremo l’un l’altro con i nostri consigli e con tutto quando Dio ispirerà ad ognuno di noi per la nostra santificazione comune».

Alla fine della vita, quasi a sintetizzare il proprio ideale di vita, scrive ai missionari del Canada: «prego ogni giorno perché la grazia di Dio vi mantenga tutti nella più alta santità. Non capirei altrimenti la vita di sublime dedizione dei nostri missionari».

Il suo non è rimasto un sogno. È divenuto una realtà: «Preti santi, ecco la nostra ricchezza!», diceva guardando la sua famiglia religiosa.
Queste parole dicono che la santità, nella congregazione degli Oblati, non è solo un ideale. Essa è stata vissuta da tanti dei suoi membri. La Chiesa ne ha riconosciuti ufficialmente 25 e un’altra schiera sta per essere proclamata santa. Per sant’Eugenio era normale ritenere che nella sua famiglia «tutti i membri lavorano a diventare santi nell’esercizio dello stesso ministero e nella pratica esatta delle stesse Regole». La morte santa degli Oblati era per lui la certezza che il suo ideale di vita poteva essere realmente vissuto: «La porta del cielo - scriveva in occasione della morte di p. Victor Arnoux, nel 1828 – è al termine del sentiero sul quale siamo incamminato».
Altre volte, guardando ai suoi Oblati, scrive: «In mancanza di virtù mie, mi vanterò di quelle dei miei fratelli e dei miei figli, e sono fiero delle loro opere e della loro santità».

L’esempio della santità di Eugenio e di tanti Oblati continui a tenere desto in noi il desiderio e l’impegno verso la santità. «Noblesse oblige - scriveva un altro superiore generale, mons. Dontenwill in occasione del primo centenario della Congregazione -. Figli e fratelli di santi, dobbiamo lavorare a essere santi noi stessi». Vale ancora di più oggi che stiamo per celebrare il secondo centenario.


giovedì 30 ottobre 2014

La preghiera del Rosario è semplice



Al termine del mese di ottobre dedicato alla Madonna del Rosario, trovo un pensiero bello di un amico, Jesús Castellano:

La preghiera del Rosario è semplice. Non richiede un luogo particolare, non un libro, non una pausa silenziosa. Possiamo pregare ovunque, per strada, in macchina, sui mezzi pubblici, passeggiando. Richiede solo un po’ di attenzione della mente e del cuore. È utile anche contro lo stress, perché si tratta di una preghiera che porta pace al cuore e alla mente. Essa, con l’aggiunta di un intenzione ad ogni mistero, come faceva il Beato Giovanni XXIII, permette di entrare in comunione con tutti e intercedere, con Maria, per la salvezza di tutti.


mercoledì 29 ottobre 2014

Il Sole di Paolo Crippa




Conoscevo Paolo Crippa soltanto per i piccoli schizzi a china che apparvero su Città Nuova negli anni Sessanta, poi confluiti nella prima edizione del libro Meditazioni.
Finalmente ho avuto l’occasione di incontrarlo e di vedere alcune delle sue opere. Un colloquio e una visione che mi hanno spalancato nuova luce nella comprensione di certa arte contemporaneo, di cui è un eminente esponente.
Ho letto questo suo scritto del 1966:

“Le mie composizioni pittoriche circolari intitolate Sole sono strutture di colore-luce che tendono verso un’immagine arriva e che cercano d’interpretare ed esprimere la forza, l’energia sempre viva ed attuale. Mi pare di aver intuito un centro vitale al quale tutte le forze misteriosamente convergono in unità e da cui divergono succedendosi, messaggere del processo evolutivo, del senso umano e universale.

L’idea del Sole vuole essere un messaggio d’amore, il simbolo della realizzazione di noi stessi nella volontà eterna".

martedì 28 ottobre 2014

Che bello il mercoledì!


Se il lunedì è bello, cosa sarà domani, mercoledì?
Qualcuno mi ha fatto notare, a proposto di quanto ho scritto ieri sul lunedì, che la domenica non è soltanto il primo giorno della settimana, ma anche l’ultimo. Un paradosso come quello di Cristo che si definisce il Primo e l’Ultimo, l’Alfa e l’Omega.
Sì, la domenica non è soltanto il giorno in cui Dio iniziò l’opera della creazione, ma anche il giorno della nuova creazione, quello dei cieli nuovi e della terra nuova.
La settimana è in fuga verso la domenica, come la grande storia dell’umanità e del cosmo - al pari della mia piccola storia - è protesa verso il suo compimento. La vita, come la settimana, è chiamata a sfociare nell’abbraccio del Risorto che, Ultimo e Omega, ci attende per introdurci nei cieli nuovi e nella terra nuova.
Che bello il mercoledì!


lunedì 27 ottobre 2014

Che bello il lunedì


Oggi è lunedì, il primo giorno della settimana, il meno amato.
Ci si alza più presto del sabato e della domenica appena trascorsi, si riprende il lavoro…
Veramente, secondo il calendario della Chiesa, questo giorno si chiama Feria secunda. Il primo giorno non è il lunedì, ma la domenica. Il lunedì è il secondo giorno della settimana.
Gesù è risorto il primo giorno dopo il sabato. Da quel giorno prende il via la settimana: la nostra è una settimana pasquale, tutta illuminata dalla luce del Risorto, una settimana festiva e festosa, da risorti.
Il giorno in cui inizia il lavoro settimanale non è il lunedì, ma la domenica. È infatti in quel primo dei sette giorni che Dio intraprese la grande opera della creazione. Il nostro lunedì è giorno sì di lavoro, ma in continuazione con l’opera di Dio: creiamo con lui!
Che bello il lunedì!


domenica 26 ottobre 2014

La parete del cuore di Jacopo da Lentini

 Leggendo la deliziosa pagina mensile che Paola Mastrocola scrive sul Domenicale, ho scoperto che anche a lei la parola “parete” della celeberrima poesia di Jacopo da Lentini richiama il sostantivo piuttosto che il verbo.
In quella poesia la parola “parete”, significa sembrate, siete. Mastrocola confessa candidamente che a lei viene invece da pensare alla “parete” nel senso di muro. Lo stesso per me.
Il poeta si sente avvinto (ma da poeta par suo utilizza il verbo “distringere”) dall’amore per la sua donna e come un pittore ne dipinge il ritratto nel proprio cuore così da poterla vedere sempre, anche quando è lontana.
Meravigliosamente
un amor mi distringe
e mi tene ad ogn’ora.
In cor par ch’eo vi porti,
pinta come parete,
e non pare di fore.
Eccola l’amata, dipinta sulla “parete” della propria stanza interiore, una stanza segreta, nella quale l’immagine affrescata rimane nascosta all’esterno: è l’intimo segreto del poeta.
Riprendendo in mano il mio tema su “La stanza segreta”, per uno dei prossimi giovedì a sant’Eustachio, trovo questa immagine particolarmente calzante. Nell’interiorità, lentamente, si accende una luce e si può riscoprirvi un’immagine affrescata, l’immagine di Dio. A differenza di Japoco Lentini con il ritratto dell’amata, non siamo stati noi a dipingere questa immagine. Vi è stata impressa fin dall’inizio. Non siamo stati creati a sua immagine e somiglianza? C’è. Non sempre la scorgiamo perché forse manca la luce sofficiente o perché siamo distratti, attratti da tante altre immagini esteriori, senza il tempo per guardare dentro con calma.
Eugenio de Mazenod fa invece come Lentini, come un «pittore che copia il modello». Cosa fa un pittore? «Mette il modello nella sua luce migliore, lo guarda attentamente, lo fissa, cerca di imprimere l’immagine nel suo spirito, traccia poi sul foglio o sulla tela qualche linea che confronta con l’originale, le corregge se non sono esattamente conformi, altrimenti continua». Eugenio fa lo stesso con Cristo l’«amabile modello al quale debbo e voglio con la sua grazia conformarmi». Inizia così a guardarlo e ritrarlo sulla parete della sua stanza segreta nelle diverse prospettive: «come mio Redentore, mio Capo, mio Re, mio Maestro e mio Giudice». Non lo sa, ma muovendosi in questo modo, non fa altro che portare alla luce l’immagine che già è in lui. C’è.
Non un’immagine affrescata, un foto bella ma immobile e fissa, senza vita.
C’è. Ed è una presenza viva.
Siamo stati creati a immagine e somiglianza di Dio.
Gesù è l’immagine del Dio invisibile (cf. Col 1, 15).
In lui ritroviamo la nostra immagine, l’identità più profonda: Dio, la roccia da cui siamo stati intagliati.


sabato 25 ottobre 2014

Dolce è vedere la luce




E Dio disse: Sia la luce. E la luce fu fatta. E Dio vive che la luce era buona. E divise la luce dalle tenebre (Genesi, 1, 3-4)

Le stelle sono buchi nel cielo da cui filtra la luce dell’infinito (Confucio)

Dolce è vedere la luce (Euripide)

La luce rende i colori che sono in potenza in atto (Aristotele)


Rifletterò tutto il resto della mia esistenza su ciò che è luce (Albert Einstein)

La luce è tutto. Esprime ideologia, emozione, colore, profondità (Federico Fellini)

È la luce che disegna il buio, o è il buio che disegna la luce? (Corrado Maltese, 1976)

Si può fare un poco di luce nel buio, ma non si può fare un po’ di buio nella luce (Bruno Munari, 1990)

Infine c’è stato anche chi ha osato dire: “Io sono la luce”.


venerdì 24 ottobre 2014

Il volo nell'Infinito di Giovanni Davì


Nel 2000 l’artista Giovanni Davì mi chiese di scrivere la presentazione di un suo commento grafico alla meditazione di Chiara Lubich “Ho un solo sposo sulla terra”, che rimane una tappa del suo amore di artista e di figlio spirituale di Chiara.
Lo stesso anno pubblicai alcune pagine del mio diario col titolo: Sotto lo sguardo di Dio. Giovanni Davì lo commentò con i suoi disegni, a cominciare da quello di copertina: una persona alla finestra, quasi volesse uscire dalla sua stanza, da se stesso, proteso verso l’infinito: cielo e mare; un tema che appare in altre opere; l’espressione del suo anelito?
Il 19 ottobre scorso, a 86 anni, Giovanni ha spiccato il volo. Ha lasciato la sua stanza e si è slanciato nell’Infinito.
Così scrivevo introducendo il suo libro:


La mistica - Chiara Lubich - dall'Alto, in pienezza di luce, contempla il mistero dell'uomo e il senso del suo dolore. È la pagina appassionata e realista sullo Sposo Abbandonato che, scritto a metà del 1900, dà senso alle tragedie dell'intero secolo, dall'atomica ai gulag, dalla shoa agli eccidi delle dittature.
L’artista - Giovanni Davì - condotto dall'esperienza estetico nel mondo della fatica e dell'umile condizione umana, vi coglie l'anelito a trascendersi. Sono i colori infuocati e le figure drammatiche, la sincerità e l'emotività del tratto, che da mezzo secolo caratterizzano il suo disegno e la sua pittura.
L’esperienza mistica di Chiara Lubich è capace di toccare le corde dell'artista, facendole vibrare di fronte all'insondabile mistero.
L’esperienza estetica di Giovanni Davì entra in comunione con l'esperienza mistica di Chiara Lubich, dalla quale è stata anche formata, ne accoglie il mistero e lo ridice, in quanto è possibile, nel suo modo.
I due percorsi s'incontrano con l'Uomo sospeso al legno, rivelazione di Dio e dell'uomo. In Lui mistica e arte colgono la condizione umana, la interpretano e insieme l'esprimono, la trasfigurano e le indicano il suo compimento.
Da queste pagine di alta poesia e di immagini vibranti, Gesù Abbandonato, il Dio del nostro tempo, interpella ognuno di noi e domanda di essere detto anche dalla musica e dalla filosofia, dall'architettura e dall'urbanistica, dalla politica e dalle scienze, dalla vita stessa, in una sinfonia di voci che dica la ricchezza insondabile del Figlio dell'uomo.

giovedì 23 ottobre 2014

Rosso polacco




L’arrivo della prima giornata di freddo mi ha riportato al freddo della settimana scorsa in Polonia. Ho rivisto i bei colori rossi di quell’autunno avanzato.


mercoledì 22 ottobre 2014

L’orario “schedulato” dell’Alitalia e gli Stati Generali dell’italiano nel mondo


Foto di Cagliari
Domenica scorso, dopo una giornata intensa, ho potuto finalmente leggere il giornale, grazie al ritardo del volo dell’Alitalia che mi ha consentito di sedermi con calma in sala d’attesa all’aeroporto di Cagliari. Il tabellone degli orari indica che, contrariamente al tempo “schedulato”, la partenza è stimata con quasi due ore di ritardo.
“Schedulato”? Chiedo a una giovane impiegata dell’Alitalia chi scrive gli annunci sugli schermi. Le faccio notare che quella parola non è italiana e non è neppure più inglese. Con sicurezza mi sento rispondere che si tratta di una parola italianissima, tipica del genere letterario dell’aeronautica.

Mi siedo, apro il giornale, e con gradita sorpresa trovo l’inserto in inglese, quello vero, non del tipo “schedulato”. Leggo anche dell’italiano, seconda lingua del mondo, e degli Stati Generali della Lingua italiana nel Mondo. Mi domando se prima di insegnare la lingua italiana nel mondo non la si debba insegnare a casa nostra. A cominciare dal Parlamento della spending review, job act, question time… Non dovrebbe essere la prima istituzione pubblica a difendere e promuovere la lingua italiana? Occorrerebbe poi passare alla Rai, fino all’Alitalia. Più che di ignoranza si tratta di pigrizia mentale.

Torno dalla paziente impiegata e le mostro il giornale. Con una certa sufficienza mi chiede se sono un professore. Me ne fa quasi una colpa. Professore, sinonimo di pedanteria, di ignoranza del progresso lessicale e delle tendenze alla moda. Le domando se rivolgendosi al suo ragazzo le è mai successo di chiedergli conferma dell’appuntamento schedulato.

martedì 21 ottobre 2014

Eugenio de Mazenod si incontra con Gaspare del Bufalo


Tutti conoscono Fontana di Trevi, pochi la chiesetta accanto di Santa Maria in Trivio (= all’incontro di tre strade, da cui deriva la parola Trevi). Una grande storia, quella della piccola chiesa, che inizia con la costruzione voluta dal generale bizantino Belisario, in segno di pentimento per avere mandato papa Silvestro in esilio nell’isola di Ponza, dove morì nel 537.
Non potevo lasciar terminare la giornata senza una visitina alla chiesa per onorare san Gaspare del Bufalo che è lì sepolto e di cui oggi è la festa.
L’11 Aprile 1826 sant’Eugenio de Mazenod annota nel suo diario: «Visita al canonico del Bufalo, per conoscere l’Istituto dei Missionari del preziosissimo sangue». Nel 1832, al tempo del secondo soggiorno romano, s’incontrò nuovamente san Gaspare del Bufalo. Insieme parlarono della possibilità di una fusione tra i due gruppi di missionari. Gli scrisse anche una lettera in merito. S. Gaspare mandò a chiamare p. Giovanni Merlini, suo uomo di fiducia e futuro successore nella direzione generale dell’Opera, per trattare il progetto in profondità.
Fondata nello stesso periodo di quella degli Oblati (15 Agosto 1815), la Congregazione del Preziosissimo sangue aveva lo stesso scopo, la predicazione della Parola di Dio attraverso il ministero delle missioni al popolo, in risposta all’abbandono in cui sono ridotte le popolazioni dello stato Pontificio. La Regola, come quella degli Oblati, inizia con una prefazione che analizza i mali della Chiesa e propone i necessari rimedi: «Nello sconvolgimento de’ tempi nei quali piacque a Dio di riserbarci, e nella necessità della riforma de’ popoli volle il Signore, ricco delle sue Misericordie, suscitare un mezzo valevole a riparare il torrente delle iniquità, a riordinare il cuore dell’uomo ed a santificare le anime coll’apprestare gli ajuti i più opportuni alla coltura delle medesime. (…) Siamo ora in tempi, ne’ quali conviene realmente animare e Clero e Popolo alla bramata riforma».
Dopo esserci incontrato con sant’Eugenio, Merlini annotò, sul retro della lettera di sant’Eugenio: «Mons. D’Icosia desidera unire la sua Congregazione con la nostra del P.mo Sangue. Nulla si è concluso perché non si son voluti togliere i voti. In Francia è tale istituzione e nel 1832 si contano 6 Case». Per sant’Eugenio il voti erano essenziali nel progetto della sua opera, così come la libertà dai voti per quella di san Gaspare.
Questa la lettera di sant’Eugenio, scritta in italiano:
  
Per il R.mo Sig. Canonico del Buffalo
Ho letto con attenzione il transunto [le Regole] e le altre carte favoritemi dal Rev.mo Sig. Canonico del Bufalo e ne sono rimasto veramente edificato. Vedendo quanti buoni sacerdoti applicati ad una vita così santa e a un ministero cotanto rilevato più mi è rincresciuto che le mie viste non habbiano potuto essere gradite.
Quando proposi alla Venerabile Arciconfraternita del Preziosissimo Sangue di unirsi alla nostra minima Congregazione dell’Immacolata Concezione fui mosso da un vero desiderio di moltiplicare il bene della Chiesa di Dio e, se considerava da una parte l’acquisto di un si gran numero di ottimi sacerdoti come una benedizione per la nostra Congregazione, sian pur certi, che nella sincerità di quel zelo che Dio mi dà per veder perfezionata tutta la sua santa opera, stimava che sarebbe un gran vantaggio per la pia unione dell’Arciconfraternita del Preziosissimo Sangue di confondersi in una Società innalzata al grado di Congregazione Religiosa nella Chiesa, nella qual Congregazione avrebbe la Pia Unione trovato lo stesso spirito, lo stesso ministero e pressoché le stesse regole e di cui avrebbe formato la maggior e certamente la non meno interessante porzione. Mi pareva che l’Arciconfraternita guadagnava in perfezione e stabilità e che se dall’unione progettata la Congregazione prendeva un nuovo lustro e una più grande estensione conseguentemente Dio benedetto dovea esser molto più glorificato, la Chiesa meglio servita, le anime maggiormente ajutate nei loro bisogni spirituali.
Questi sono stati i miei pensieri. Tuttora penso lo stesso, lasciando a Dio di riconoscere a tutti quei degnissimi sacerdoti che formano la pia unione e della Arciconfraternita del Preziosissimo Sangue, la gran virtù di quei voti, che a torto spaventano alcuni. Del resto facendo quel passo ho ubbidito alla ispirazione del Signore che me lo additava come di sua gloria, ne lascio l’esame e la responsabilità a chi ha più lumi e grazie di me, e mi quieto nella pace di un cuore che comunque debba succedere dirà sempre con fidu­cia “particeps ego sum omnium timentium te”.
+ Carlo Gius. Eug.
Vescovo d’Icosia
s.g.c.m.i

lunedì 20 ottobre 2014

Con Paolo VI alla Madonna di Bonaria



Domenica non sono andato in piazza san Pietro per la beatificazione di Paolo VI. Appena tornato dalla Polonia, sono invece volato in Sardegna e nel pomeriggio ho potuto pregare nel santuario di Bonaria, a Cagliari. Sono stato ugualmente in comunione con Paolo VI che venne in questo santuario io 24 aprile 1970, aprendo la strada ai suoi successori, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, fino a papa Francesco. Una grande statua e un bell’affresco ne ricordano la visita.
“Se vogliamo essere cristiani – disse in quella circostanza – dobbiamo essere mariani, cioè dobbiamo riconoscere il rapporto essenziale, vitale, provvidenziale che unisce la Madonna a Gesù, e che apre a noi la via che a Lui ci conduce”.

Come ogni santuario che si rispetti anche questo ha la sua bella storia e le sue leggende.
Era il 25 marzo 1370 quando, attaccato dalla tempesta, il mercatile salpato dalla Spagna dovette gettare in mare il suo carico. Appena gettata l’ultima cassa ecco la bonaccia. Tutta la merce cola a picco, eccetto la casa che raggiunge la riva. Nessuno riesce ad aprirla, cosa che invece riesce facilissima ai frati Mercedari che giungono dalla vicina chiesa. Dentro una statua bellissima della Madonna con il Bambino e con una candela accesa in mano.


Fuori del santuario il tramonto rosato, la brezza fresca, il profumo del mare mi fanno intendere il perché di questo nome: Bonaria.
Riascolto le parole di papa Francesco proclamate proprio qui: “Oggi sono venuto in mezzo a voi, anzi siamo venuti tutti insieme per incontrare lo sguardo di Maria, perché lì è come riflesso lo sguardo del Padre, che la fece Madre di Dio, e lo sguardo del Figlio dalla croce, che la fece Madre nostra. E con quello sguardo oggi Maria ci guarda. Abbiamo bisogno del suo sguardo di tenerezza, del suo sguardo materno che ci conosce meglio che chiunque altro, del suo sguardo pieno di compassione e di cura…. Nel cammino, spesso difficile, non siamo soli, siamo in tanti, siamo un popolo, e lo sguardo della Madonna ci aiuta a guardarci tra noi in modo fraterno. Guardiamoci in modo più fraterno!... Impariamo a guardarci gli uni gli altri sotto lo sguardo materno di Maria!”



Poznan alle origini della Polonia cristiana



Non posso lasciare Poznan senza un’occhiata alla città. Soltanto una passeggiatina serale per dare uno sguardo alla cattedrale sull’isola del fiume Warta, la più antica della Polonia, dove, nel 966, fu battezzato il primo sovrano polacco: nascevano qui il cristianesimo e la nazione polacca. Nazione e cristianesimo, dopo mille anni, sono saldi e pieni di vita.


Poi sulla sponda sinistra del fiume dove, dal 1200, si è sviluppata la Città Vecchia (Stare Miasto): la piazza del mercato vecchio e le numerose palazzine medievali, il collegio e la chiesa dei Gesuiti, le strade di sapore medieuropee…


Una città d’incanto. Un assaggio soltanto, quanto basta per lasciarsi stupire.


sabato 18 ottobre 2014

Paolo VI beato lo stesso giorno di Eugenio de Mazenod




 
“Cristo Gesù è il centro della storia e del mondo; egli è colui che ci conosce e che ci ama; egli è il compagno e l’amico della nostra vita” (Manila, Omelia del 29 novembre 1970).
Quando lo chiamava per nome – “Cristo Gesù” – Paolo VI aveva un tono forte e deciso. Sapeva di chi parlava.
Con Cristo, la Chiesa, la Chiesa di Cristo – l’Ecclesiam suam – e l’uomo e il mondo di oggi, al quale “Noi guardiamo con immensa simpatia. E se anche il mondo si sentisse estraneo al cristianesimo e non guardasse a noi, noi continueremmo ad amarlo perché il cristianesimo non potrà sentirsi estraneo al mondo” (6 gennaio 1964).
Il 19 ottobre 1975 – felice coincidenza il 19 ottobre 2014 – Paolo VI, proclamando beato Eugenio de Mazenod, lo definì “Un appassionato di Gesù Cristo, totalmente dedito alla Chiesa”. È la definizione che si può dare a Paolo VI.