mercoledì 30 giugno 2021

La Badia fiorentina ancora viva dopo 1000 anni




 

È la prima presenza monastica nella città di Firenze: risale alla fine del primo millennio. La Badia fiorentina, pur con l’inconfondibile campanile snello ed elegante se ne sta nascosta. Il Bargello, che si erge proprio davanti, è frequentatissima meta turistica, mentre quasi nessuno conosce il chiostro della Badia che, secondo la sua natura, apparta dalla città e apre sul cielo. Le storie di Benedetto, che racconta nelle lunette del secondo loggiato, continuano a parlare, anche se pochi le ascoltano.









Oggi, grazie alla guida illuminata del priore, Antione-Emmanuel, i tesori dell’Abazia si sono aperti per noi, svelandoci segrete bellezze inimmaginate.







Il tesoro più bello rimane la presenza monastica, a più di mille anni dalla sua fondazione: uomini e donne della Comunità Monastica di Gerusalemme, che ancora cantano le lodi di Dio, lo adorano, e invitano alla preghiera.

martedì 29 giugno 2021

Un buono che è bello


 

“Temevo... l’incontrare un buono che non fosse bello”.

È uno dei tanti bagliori che sprigionano dal libro di straordinaria bellezza che sto leggendo: bello per il contento, bello per la scrittura: Ti ho chiamato per nome. Un’autobiografia, di Serenella Sharry Silvi. Un libro che racconta la ricerca sofferta e ostinata del senso della vita, in una insoddisfazione crescente, nel naufragio d’ogni illusione, fino all’approdo agognato.

Quel buono che non soddisfa se non è bello, spiega perché tante ricerche restano senza risultato, perché tante persone si allontanano dal bene. È l’invito a testimoniare una verità bella, una bontà raggiante.

lunedì 28 giugno 2021

Il Cristo di san Paolo e di Paolo VI

 



Santi Pietro e Paolo? Veramente nella mia parrocchia si è sempre festeggiato soltanto san Paolo: è la parrocchia di san Paolo! Così almeno nel 1957, come ricorda questa foto di allora, che mi ritrae chierichetto, ma c’è anche mia sorella, a destra, mio zio… Una parrocchia piccola, ma c’erano tutti alla processione. Era un evento.

Anche quest’anno mi trovo in questa parrocchia, ma le processioni non ci sono più e san Paolo… chi era costui? Eppure san Paolo continua a essere san Paolo, l’innamorato di Cristo. Nelle sue lettere, ogni volta che lo nomina il discorso si inceppa e va per conto suo, come se Paolo andasse fuori di testa, rapito da quel nome che lo fa impazzire.

Un altro Paolo lo ha imitato, Paolo VI. Come non ricordare il suo discorso a Manila il 29 novembre 1970: “Cristo. Sì, io sento la necessità di annunciarlo, non posso tacerlo… Io sono mandato da Lui, da Cristo stesso, per questo. Io sono apostolo, io sono testimonio… Io devo confessare il suo nome: Gesù Cristo è il principio e la fine; l’alfa e l’omega; Egli è il Re del nuovo mondo; Egli è il segreto della storia; Egli è la chiave dei nostri destini; Egli è il mediatore, il ponte, fra la terra e il cielo… Ricordate e meditate: il Papa è venuto qua fra voi, e ha gridato: Gesù Cristo!”.

Andrebbe letto per intero quell’inno di Paolo VI a Cristo. Come andrebbero lette per intero le lettere di san Paolo che cantano a Cristo…

Siamo cristiani! La nostra vocazione è dunque quella di Paolo, che non sapeva altro che Cristo e Cristo Crocifisso, che era diventato un altro Cristo al punto da non essere più lui a vivere, ma Cristo in lui…

Come Paolo VI dovremmo poter giungere alla fine della vita e dire: «L’avvenimento fra tutti più grande fu, per me, come lo è per quanti hanno pari fortuna, l’incontro con Cristo, la Vita».

sabato 26 giugno 2021

Amore e conoscenza

 


Oggi Gregorio di Nissa mi ha suggerito: «La felicità non consiste nel conoscere qualche verità su Dio, ma nell’avere Dio in se stessi».

E Dante, nel suo Paradiso:
Questo decreto, frate, sta sepulto
a li occhi di ciascuno il cui ingegno
ne la fiamma d’amor non è adulto.

A dire che certe profondità non sono accessibili se non a una mente “adulta”, ossia cresciuta e maturata nell’amore, infiammata d’amore. Certe cose non si possono comprendere se non con l’amore.

E Gregorio Magno: «amor ipse notitia est», l’amore stesso è conoscenza, porta con sé una logica nuova.

E più semplicemente Gesù: «A chi mi ama mi manifesterò».

È questa la sapienza, la conoscenza vera.

Qualcuno mi ha toccato


Che vergogna e che paura quel giorno. E che immensa felicità. Una bufera di sentimenti contrastanti. Mi sentii guarita all’istante. Mi sentii bene nel corpo e nel cuore, come non lo ero mai stata prima d’allora. Un attimo di gioia piena, densa. Ero sazia. Ma fu un attimo. Subentrò subito la paura e la vergogna. Sentii infatti il Maestro che diceva: “Qualcuno mi ha toccato”. Non mi ero fatta notare e speravo che nessuno mi avrebbe notato. C’era tanta gente, chi avrebbe badato a me, una delle tante. A me bastava toccare le frange del suo mantello.

Neanche Lui se ne sarebbe accorto. Da tanto volevo incontrarlo. Ma mi vergognavo. La Legge diceva che le continue perdite di sangue mi rendevano impura. Come avrei potuto incontrarlo? Toccarlo poi sarebbe stato impensabile. Lo avrei contaminato. Da anni le mie energie se ne andavano col sangue. Se n’erano andati anche i beni di famiglia per le cure lunghe, dolorose, inutili. L’emorragia non si arrestava e tornava regolare a svuotarmi le vene. Se solo potessi toccarlo, mi dicevo. Aveva sanato i lebbrosi, non poteva sanare anche me, immonda come una lebbrosa? Pregavo, come ci ha insegnato il nostro padre David: “A te, mio Dio, m’abbandono. Nel tuo amore ricordati di me. In te è la fonte della vita”. E Lui s’è ricordato di me e m’ha aperto la fonte della vita.

I discepoli sembravano infastiditi dalla domanda del Maestro. “Come chi ti ha toccato? Non vedi che tutti ti sono addosso… Cerchiamo di fare del nostro meglio per proteggerti, ma non ne possiamo contro tanto entusiasmo”.

Io lo sapevo che cercava me. Al mio tocco s’era aperta la fonte della vita. L’aveva sentita quella forza risanatrice che da Lui era uscita e che mi aveva investito. Cos’ho fatto mai, mi dissi, come ho osato… Non potevo più nascondermi. Sapevo che Lui sapeva. Non mi rimase che cadere ai suoi piedi, timorosa più dei suoi seguaci che del Maestro.

“Figlia, la tua fede ti ha salvato; va’ in pace e sii guarita dal tuo male”.

La gioia mi avvampò il volto. Ero guarita, sì, ero guarita. L’avevo sentito. Ma con quelle parole il Maestro mi svelava una guarigione più profonda. M’aveva salvato per sempre. “Figlia”, mi aveva chiamato figlia. Mi aveva dato la vita vera. La salute me l’ha donata ormai da quasi vent’anni e mi durerà ancora per quanto lui vorrà. Ma la salvezza me l’ha data per sempre: è il Padre mio per sempre, m’ha dato la vita vera. La salute del corpo, a me donata come a tanti altri incontrati lungo la sua strada, era soltanto il segno d’un’altra salute. Figlia!, mi chiamò figlia, sono la figlia sua.

(Fabio Ciardi, Parlaci di Lui. I racconti di Cafarnao, Città Nuova, Roma 2007)


venerdì 25 giugno 2021

La preghiera: con i remi o con la vela


Come la nave, che solca il mare, dietro a sé non lascia traccia alcuna del percorso fatto, così la nostra anima, condotta dallo Spirito divino, attraversando l’immenso mare e l’abisso delle contemplazioni divine, non dovrebbe vedere, se si volta indietro, per quale strada sia passata, né come a quel dato punto sia giunta.

Se tu avessi considerato tutto questo, carissimo fratello in Cristo, probabilmente non avresti domandato né a me né ad altri che ti fosse suggerito un modo di pregare; ma ti saresti completamente abbandonato, invece, allo Spirito divino, senza pretendere di conoscere né la via, né come ti guida.
Allora tieni a mente che nelle tue orazioni, quando cioè sei in preghiera, il metodo migliore è quello di non avere nessun metodo e che la forma migliore è quella di non avere alcuna forma. Poiché l’orazione nasce da quello Spirito che nei suoi doni è generoso, abbondante e vario, così vari e diversi e quasi infiniti sono i modi e le forme che essa ha.

Ho letto stamani queste parole sapienti del beato Paolo Giustiniani, Trattato sulla preghiera. È la storia della barca a remi e della barca a vela. Si può andare avanti remando, a fatica, oppure ci si può affidare al soffio del vento. Questo vale per l’intero cammino spirituale che conviene percorrere lasciandosi condurre dal soffio dello Spirito, come Dio vuole. La sua conduzione è certamente meglio della nostra e vale la pena fidarsi di lui. E vale anche per la preghiera: mettersi con calma davanti a Dio e lasciarsi guidare con docilità dal suo Spirito, senza troppe complicazioni.

giovedì 24 giugno 2021

San Giuseppe tra le due Trinità



Non avevo mai prestato attenzione alla cappella dell’Albertoni, con la scultura del Bernini, vista dalla cappella Rospigliosi: una fuga di linee perfetta. Per quante volte frequenti lo stesso luogo, come in questo caso la chiesa di san Francesco a Ripa, scopri sempre angolature nuove di nuova bellezza.








Ma oggi mi ha attratto la pala d’altare nella cappella di san Giuseppe, opera di Stefano Legnani, del 1600. La composizione è straordinaria. Giuseppe sta tra cielo e terra, quasi congiungimento. 

La Trinità di lassù si specchia in quella di quaggiù.

Giuseppe, e il Padre, entrambi, in modo diversi padri di Gesù, si guardano, somigliantissimi.

Il Figlio guarda la madre, ambedue somigliantissimi.

Luogo di pellegrinaggio per ogni famiglia, per apprendere rapporti e somiglianze… 






Intanto, sotto l’altare, santa Leonzia si gode la scena…







mercoledì 23 giugno 2021

Giovanni Santolini: il segreto della santità


 

San Giovanni, quanti amici e amiche portano questo nome. Tra i primi quelli che sono già con san Giovanni, come Giovanna Clemente e Giovanni Santolini.

Di quest’ultimo ho cominciato a imbastire una biografia, compito che mi consente una nuova profonda intimità con lui. È risaputo che attorno ai 18 anni nacque in lui un desiderio fortissimi di santità. Ha tentato tutte le vie, anche bizzarre, per incamminarsi verso la santità. Finché, entrando dagli Oblati, tutto si è semplificato e essenzializzato.

Ha compreso che la vita concreta con gli altri membri della sua comunità gli garantiva il cammino quotidiano di santità: «Posso dire, senza presunzione – scrive quando si trova ancora nella comunità di Passirano a Brescia –, che constato in me una maggiore maturità umana e spirituale dovuta al costante sforzo della comunità di crescere insieme nella via della santità». Avrebbe raggiunto la santità vivendo con il Santo vivente in mezzo a quanti il Signore a chiamato alla sua sequela.

Il frutto maturo di questa nuova comprensione della santità è forse espresso in una conferenza tenuta nel 1989 a Ottawa, in Canada, in occasione di un convegno dedicato a “La missione oblata attraverso la comunità apostolica”. Alla conclusione della sua presentazione scrive:

«Siamo uniti nel nome di Gesù Cristo; quindi uniti nella carità, nel Vangelo, nell’amore reciproco. Di conseguenza, uniti per nessun altro motivo, per nessun’altra ragione che Lui. È Lui la sola ragione della nostra unità, Lui, Gesù, il solo motivo del nostro essere comunitario, e non l’apostolato, il ministero, la missione stesso, o non importa quale altre azione possiamo fare, tutte conseguenze… La comunità è dunque missionaria perché è il segno della presenza di Gesù: “Voi ne sarete testimoni” (Lc 24, 38). Essere testimoni della presenza di Cristo è continuare la sua missione. È tutto qui… Bisogna supporre lo sforzo personale di una conversione continua che conduce alla perfezione: una perfezione acquisita non in senso individualista, ma dell’amore reciproco, che ci consente di giungere fino in fondo, grazie alla presenza di Gesù che dobbiamo alimentare. È Lui il perfetto ed è in Lui che dobbiamo trovare la perfezione e dunque l’unità della nostra vita e delle nostre vite».

martedì 22 giugno 2021

Dalla Madonna di san Benedetto

 

San Benedetto in piscinula ha il campanile più piccolo di Roma e la campana più antica di Roma: 1069!

Sarebbe sorta sulla casa degli Anici, famiglia alla quale sarebbe appartenuto san Benedetto. La tradizione vuole che, giunto a Roma per studiare e far carriera, il santo abbia abitato in quella casa, dove sarebbe maturata la sua vocazione monastica. Si indica ancora la stanzetta nella quale avrebbe dimorato.

Oggi per la prima volta sono entrato nella chiesa (sembra che siano 900 le chiese di Roma… non so ce la farò mai a visitarle tutte). Sembra di entrare in un altro mondo, raccolto, silenzioso, un autentico oratorio. E poi l’arte, naturalmente: colonne del tempo dell’Impero romano, pavimento cosmatesco, affreschi... 

Un affresco soprattutto mi attira, una Madonna bella, che chiede di essere pregata.

lunedì 21 giugno 2021

L'eredità dello Spirito

 

“Passiamo all’altra riva”. Con queste parole del Vangelo di domenica scorsa sono andato a visitare, al cimitero di Marino, quelli che sono già passati all’altra riva. Ultimo p. Santino!

Ci sono anche p. Marino Merlo e p. Liuzzo. Ho riletto quanto p. Marino scrisse in occasione della morte di p. Liuzzo, un testamento e un monito:

«Nella storia della Chiesa si nota che i Fondatori, vita natural durante, sono molto precisi e gelosi nel consegnare alle proprie  Famiglie religiose l’eredità del Carisma ricevuto dallo Spirito Santo: nessuno osa aggiungere o togliere qualcosa, tutti sono attenti a cogliere anche le minime sfumature di quel messaggio. Ma quando il Fondatore non è più, allora il dono dello Spirito è consegnato “all’Unità dei membri dell’Istituto”. Ed è solo nell’unità di tutti che può vivere e comprendersi il dono dello Spirito che, ancora una volta, fa di tutti “un cuor solo e un’anima sola”».

Rileggendo sulla lapide i nomi di tutti quelli che sono passati all'altra riva, mi sembra che ognuno ci abbia consegnato un suo dono, di cui siamo eredi e custodi... Speriamo di trasmettere anche noi qualcosa...

domenica 20 giugno 2021

Raccontare

 

Una poesia di tre parole. Ma bastano! C’è poi il titolo: “Istruzioni per vivere la vita”.
È dell’americana, Mary Oliver, scomparsa nel 2019:

Fai attenzione
Meravigliati
Raccontalo.

Sulla prima parola ho tenuto una conversazione domenica scorsa: l’importanza di saper vedere…
La seconda dice l’incanto che può scaturire dal nostro guardare, quando è capace di scoprire il bello, il nuovo, la promessa…
Oggi mi attira il terzo verbo: raccontarlo. Non basta guardare e scoprire, occorre condividere la scoperta. È forse il momento più bello, quando non teniamo per noi quanto abbiamo trovato, ma riusciamo a comunicarlo. Un’esperienza non è mai tale se non è condivisa, solo allora raggiunge il suo compimento perché non più soltanto nostra: diventa comune.

sabato 19 giugno 2021

Passiano all'altra riva

 

“Passiamo all’altra riva”. È un invito a una vita nuova, a ricominciare. Infonde gioia e speranza. Sembra di sentirli, i discepoli, contenti e di riprendere la barca: “Si riparte!”. E noi come loro, ogni volta che intraprendiamo un nuovo cammino, che siamo ingaggiate in una nuova iniziativa.

E poi? L’entusiasmo finisce presto. Il vento soffia contro. Perdiamo il controllo. Sembra di morire. Che disastro, che fallimento… Ma non doveva essere una bella traversata? E poi c’è Gesù con noi. siamo proprio sicuri che è in mezzo a noi. Invece Gesù dorme, sembra non gli interessi niente di quanto sta accadendo. Ci sentiamo abbandonati, soli, perduti.

Non è la parabola di tanti momenti della nostra vita? Gesù ha appena raccontato tutta una serie di parabole, adesso ne fa una vera. Quando ci ritroviamo in brutte acque, cosa fare? Ritrovare il rapporto con lui, a tutti i costi: è lecito gridare! Che ci rimproveri pure: “Perché siete così paurosi?”. Sì, abbiamo paura. “Non avete ancora fede?”. Sì, ne abbiamo troppo poca. E allora? Allora per fortuna ci sei tu che ci dai fiducia e sicurezza. Anche quando non ti sentiamo crediamo che ci sei (vedi che un po’ di fede ce l’abbiamo comunque?). Dormi pure, ma per favore rimani in barca con noi, altrimenti siamo davvero perduti.

venerdì 18 giugno 2021

Sei martiri della carità

 


In un articolo appena scritto per Ekklesía termino con un accenno alle sei Suore delle poverelle di Assisi, morte da autentiche martiri della carità:

Nello Zaire, oggi Repubblica Democratica del Congo, tra il 25 aprile e il 28 maggio 1995, durante l’epidemia di Ebola, in poco più di un mese, sono morte sei Poverelle, tutte infermiere, prendendosi cura dei malati nell’ospedale e curandosi tra di loro. Erano missionarie laggiù da parecchi anni.

All’Ospedale di Kikwit già da tempo affluivano malati, che in brevissimo tempo si aggravavano e morivano. Anche Suor Floralba si ammala e muore di una malattia che ancora non si conosceva.  Suor Clarangela, pur provando uno strano senso di stanchezza, continua il suo servizio generoso ai numerosi malati affetti da quello strano malessere. Un esperto virologo zairese venuto da Kinshasa, esprime subito il sospetto che si tratti di Ebola. Suor Clarangela è presto contagiata e muore il 6 maggio. La stessa sorte tocca a Suor Danielangela, che sta accanto a suor Clarangela fino all’ultimo. Nel frattempo Suor Dinarosa, rimasta all’ospedale a curare i malati, muore il 14 maggio. Suor Annelvira, la Superiora provinciale, accorre da Kinshasa a Kikwit, al capezzale di Suor Floralba e rimane costantemente accanto alle consorelle contagiate. Muore il 23 maggio. Suor Vitarosa, venuta da Kinshasa per la gravità della situazione, si offre a sua volta per la cura delle sorelle malate. Inutili i tentativi di numerosi operatori sanitari che tentano di trattenerla. Si sente chiamata là, pronta per un’offerta estrema di amore! Muore il 28 maggio.

È un semplice elenco di sei nomi. Se leggiamo alcuni dei loro scritti e delle loro storie, come quelli raccolti da Paolo Aresi nel libro L’ultimo dono, pubblicato dall’editrice Queriniana (2010), non sono più semplici nomi: appaiono volti concreti di donne straordinarie che, consapevoli della gravità della situazione, non hanno lasciato il loro posto, continuando a lavorare per servire quanti aveva bisogno, fino all’ultimo respiro. Un gesto estremo non improvvisato, ma frutto di un amore per Dio e di una dedizione straordinaria, eroica ai poveri: “Amore chiede amore” (sr. Danielangela).

giovedì 17 giugno 2021

Basta alzare un po' lo sguardo

 


Anche oggi c’è qualcosa?

C’è sempre qualcosa. Basta alzare un po’ lo sguardo.

Ed ecco questa bella Madonnella all’angolo del palazzo: un quadro del 1600 con una cornice d’angeli d’inizio ventesimo secolo.

Non solo, c’è anche un vaso di gerani.

Cosa vuoi di più?

mercoledì 16 giugno 2021

La storia quinto Evangelo



In un soffio sono arrivato alle ultime pagine di Igino Giordani, un eroe disarmato. Un libro rigoroso e leggero, entusiasta ed entusiasmante.

Oggi, leggendo il penultimo capitolo, ho provato una grande sintonia con l’idea di convergenza tra città di Dio e città dell’uomo, tra vita sociale e missione della Chiesa: la storia universale che assurge a “quinto Evangelo”, inteso come la storia umana in cammino verso l’attuazione del messaggio di Gesù. ”Ogni storia, piccola o grande che sia, è il luogo nel quale l’amore cristiano genera vita, trasforma la società, produce il bene, edifica la città di Dio». La storia come “quinto Evangelo”. 

È la storia di Igino Giordani, può essere la storia mia, la storia tua...


martedì 15 giugno 2021

Eugenio de Mazenod e Pio IX

 


Il cardinale di Toledo era sorvegliato dalla polizia. Avrebbe voluto scrivere al Papa per comunicargli la situazione e avere delle direttive, ma anche la posta era strettamente controllata. Riuscì comunque a far pervenire al vescovo di Marsiglia un plico per il Papa, sapendo che da lì la posta sarebbe arrivata facilmente a Roma. Il Papa, Pio IX, ripose a stretto giro di posta. Casualmente oggi ho visto in Archivio la lettera del Papa, scritta di suo pugno, in italiano, al vescovo di Marsiglia, sant’Eugenio de Mazenod, con la quale allegava la risposta da far pervenire al cardinale di Toledo. È una bellissima testimonianza della riconoscenza del Papa verso Eugenio:

Mons. I.mo

Rimetto la lettera qui acclusa pel Card. Arcivesc. Di Toledo, assicurandola che quella da Lei trasmessami mi pervenne effettivamente.
I sentimenti di affettuoso rispetto verso questa S. Sede che nella sua lettera mi esprime, sono una conferma di quelli che sempre ed in ogni incontro ha manifestati a che formano un bell’elogio della sua condotta verso la Cattedra di S. Pietro, e verso la mia povera Persona.
Riceva l’apostolica Benedizione che di cuore Le imparto.
Datum Romae apud S. Perum die 12 feb.ii 1856
Pius M. IX

lunedì 14 giugno 2021

Siamo italiani!

 


Sono stato all’Hub vaccinale, anche se non è un open day. Nella fila d’attesa si parla del lockdown, del Recovery fund, dello smart working (il lavoro normale sarebbe stupide working?). Sono finalmente introdotto al triage (toh! Una parola francese. E che ci fa da queste parti?). Quando ho finito devo passare dal check-out. Dietro gli sportelli del check-out alcuni giovani (tutti gli impiegati nella Hub sono giovani) ai quali chiedo: Ma non si potrebbe dire un’altra parola invece di chech-out? Certo, mi rispondino: uscita, congedo… E allora perché tutte queste parole inglesi? Si guardano, ridono, e mi dicono: Perché siamo italiani!

domenica 13 giugno 2021

La costante freschezza degli inizi


Ogni tanto spuntano foglietti con appunti di altri tempi. Come questo, semplicissimo, del 24 settembre 1983

Scoperto l’amore di Dio, inebriati dal suo amore, subito nasce in noi il desiderio di comunicare l’esperienza fatta. Non è tanto un parlare quanto un riversare sugli altri la gioia, l’amore che si ha dentro. Scoperto l’amore si comincia ad amare.

E gli altri subito notano che è successo qualcosa, che qualcosa in noi è cambiato.

Amare i fratelli è il primo passo concreto in risposta alla chiamata. Gesù dice “Vieni” e noi andiamo, ma verso dove? Verso i fratelli (Maria da Elisabetta). È la prima cosa che tutti abbiamo cominciato a fare, la prima cosa che insegniamo nei nostri incontri, nei campeggi…

È giusto perché questo è l’ABC del Vangelo. Cominciamo sempre da quelle parole del Vangelo: “Tutto quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avete fatto a me”. È giusto tutto questo? Sì, perché l’amore di Dio riversato nei nostri cuori si riversa naturalmente nei fratelli.

Questo vale solo per gli inizi? Occorre la costante freschezza degli inizi, ricominciare sempre dall’ABC, dall’amore semplice per il fratello… su questo saremo giudicati, sull’amore.

sabato 12 giugno 2021

Il seme cresce comunque




Cresce o no il Regno di Dio? Il numero dei credenti è in regresso, le chiese si trasformano in negozi, i simboli religiosi sono banditi dai luoghi pubblici. Verrebbe da scoraggiarsi.

Ecco allora la parabola del seme che cresce comunque, perché ha in sé una forza inarrestabile.

Non dipende da noi che il Regno di Dio avanzi. Il contadino può dormire o vegliare, «il seme germoglia e cresce», sicuramente. Il Regno di Dio è “di Dio”, e noi crediamo che lo porta avanti lui, per vie misteriose e infallibili. Quella di oggi è una parabola che dà grande speranza e mette a tacere i profeti di sventura: Dio è all’opera, anche quando sembra lontano, anche quando la sua Chiesa - che lavora per il Regno di Dio - è in affanno.

Questo vale anche per ognuno di noi. Ognuno di noi è un seme di Dio, frutto del suo amore. Come il seme lentamente cresce, così ognuno di noi ha la sua crescita, paziente, a volte faticosa, lenta... Ma dobbiamo credere alla vita divina che Dio ha listo in noi e nelle persone attorno a noi. Nel Vangelo di Giovanni si cambierà registro e si dirà che il Padre cura le sue piante, le lavora perché giungano a portare frutto. Siamo dunque in buone mani! La parabola di oggi pone invece l’accento sulla possibilità di vita e di crescita che c’è in noi a prescindere dalle debolezze e cattiverie. È un invito a credere in noi e negli altri, oltre che, naturalmente, nella bontà del Creatore.

Allora, se fa tutto Dio, noi non dobbiamo fare niente? Dobbiamo seminare!!! Il seme cresce per la forza che ha in sé, ma ci vuole pure qualcuno che lo semini. Devo testimoniare il Vangelo. Guai a me se non annuncio il Vangelo. E poi? Se non vedi i frutti? Ci penserà Dio. È solo lui che ha in mano i cuori. Noi siamo servi inutili, facciamo la nostra parte, tutta, il resto, il più, lo fa lui, come e quando lui sa, meglio di quando potremmo immaginare. «Invano vi alzate di buon mattino e tardi andate a riposare, voi che mangiate un pane di fatica: il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno» (Sal 127, 2).

venerdì 11 giugno 2021

Lavorati da Maria


Il Servo di Dio p. Anselmo Trèves omi (Aosta 1875 - Roma 1934) aveva scelto come programma della propria vita e della propria missione oblata: marianizzare per cristianizzare, procurare il regno di Cristo procurando il regno di Maria. Due suoi brevi pensieri in questa festa del Cuore Immacolato di Maria:

Semplificarci e farci piccoli tra le braccia di Maria, accanto al suo Cuore materno, ecco decisamente tutto il nostro programma e tutto il nostro ideale.

Bisogna completamente dimenticare se stessi, distaccarsi da ogni cosa, rinunziare ad ogni punto di vista personale per non lasciarsi guidare che dallo Spirito di Maria, dalla mano di Maria, e perdersi in quel divino crogiuolo. (24 settembre 1927)

A Maria SS. che ha umanizzato Iddio, il compito di divinizzare l’uomo. La sua missione è dunque di lavorare l’anima che si abbandona a Lei perché essa rappresenti al vivo il suo Figlio Dio; sarà perciò necessario dare molti colpi di scalpello e di martello prima di far di noi delle immagini vive e parlanti del suo Gesù! Ma se la lasceremo fare, il suo lavoro sarà presto fatto! Abbandono dunque assoluto e d’ogni istante, in ogni occasione: abbandono cieco! Certo non è facile; quante volte è capitato a me di pregare la Madonna di non colpire sempre o troppo forte! … ci gettiamo nelle sue braccia con la fiducia del bambino il quale sa in chi confida e nelle braccia materne s’addormenta (13 novembre 1926).

giovedì 10 giugno 2021

11 giugno 1899: consacrazione al Cuore di Gesù


 

Il 11 giugno 1899 papa Leone XIII consacrò il genere umano al Sacro Cuore di Gesù. Gliel’aveva suggerito una certa suor Maria del Divin Cuore di Gesù (Maria Droste Zu Vischering), di origine tedesca, ma che era finita in Portogallo. La suora morì a 35 anni, tre giorni prima della consacrazione.

Mi piace quanto la suora avrebbe sentito durante la Settimana Santa del 1890, e che annotò nel suo diario, quasi Gesù le dicesse: «Quando lavori io lavoro attraverso di te. Quando riposi, io riposo in te. In tutto ciò che fai non sarai tu, ma io mediante te. Io vedo coi tuoi occhi, lavoro con le tue mani, parlo con la tua bocca e prego attraverso di te».


mercoledì 9 giugno 2021

Mamme sante

La beata Anna Maria Taigi, di cui oggi è la festa, mi ha sempre attratto per la sua santità quotidiana: una donna umiliata che non si è mai ripiegata su se stessa, ma che ha amato sempre i poveri, i figli, il marito – autentico mascalzone – che alla fine lei ha saputo convertire (s’è fatto prete!). Una vita bella, intensa, nascosta, anche con grazie mistiche. Ogni tanto vado nella chiesa dei Trinitari vicina alla stazione san Pietro a guardarmi i quadri che la ritraggono, oppure a san Crisogono, lungo viale Trastevere, dove il corpo riposa con semplicità sotto l’altare a lei dedicato.

Una santa poco conosciuta. Come tante altre donne, poco conosciute e altrettanto sante. Come Lucia, che conosco oggi, grazie ad una lettera indirizzata a una sua figlia il 31 luglio 1980. Non riesco a credere a quello le leggo, tanto è bello. È davvero la santità nascosta che continua a fare bella la Chiesa, nonostante tutto. Ecco uno stralcio della lettera: 

Una santa poco conosciuta. Come tante altre donne, poco conosciute e altrettanto sante. Come Lucia, che conosco oggi, grazie ad una lettera indirizzata a una sua figlia il 31 luglio 1980. Non riesco a credere a quello le leggo, tanto è bello. È davvero la santità nascosta che continua a fare bella la Chiesa, nonostante tutto. Ecco uno stralcio della lettera:

“È come se Gesù mi togliesse man mano dei veli davanti agli occhi dell’anima facendomi penetrare sempre più in Lui. Fondendomi in Gesù, per suo amore, così come sono, con i miei peccati, le mie miserie, la mia inadeguatezza, e rispondendoGli l’opera sua si compie. Vivendo in Lui,  Egli unisce l’anima ai suoi segreti, al suo lavoro e, tutto in silenzio, lascia vedere ai suoi piccoli ciò che non lascia vedere ai più grandi.

Sono innamorata  pazza di Gesù, del mio  caro Gesù, del mio bel Gesù. So di non essere degna! E’ il suo amore che mi spinge a guardarlo. Col desiderio e il cuore  lo prendo fra le mie braccia, lo stringo, lo bacio, il mio cuore non sa contenere la sua grandezza , la profondità di questi istanti che si avverano in questo mio povero cuore. Sì, mi sono donata tutta a Lui, a Lui solo appartengo, come vorrei consolarlo, supplire a tanto amore mancato!

Non ti scrivo per mia soddisfazione, ma per farti conoscere ed amare sempre più il cuore di chi ci ha dato tutto, per la nostra salvezza.  Il mio cuore si perde nel cuore di Gesù che è soltanto amore. Gesù non chiede altro che i cuori, il suo amore farà il resto. E’ quello che ho cercato di comunicare ai bambini che ho preparato alla Prima Comunione. Oggi ci preoccupiamo di tante cose, ma manchiamo dell’essenziale, non si fa amare  “Colui che è”.

Per seguire Gesù bisogna sparire interamente e lasciar vivere  Gesù in sé.  Non è cosa da poco!  So di non meritare nulla, ma tutto credo, spero, attendo nonostante ciò che sono, mi getto perdutamente nelle braccia del mio Gesù, senza aver paura di quello che sono  e di quello che Lui è per me. Mi addolora la mia imperfezione, eppure sento di possedere il suo Cuore  e ciò vuol dire essere sua sposa. Veramente non ha mai avuto una sposa così povera quanto me, povera da niente; ho capito però che ciò che più conta per far contento Gesù, è la semplicità, è ritornare fanciulla. Lui è tutto! In Lui c’è tutto. L’amore vuole essere amato, non solamente con belle parole, cerca i cuori, questo è il tutto di tutto. Essere sposa di Gesù! Ho compreso la vera realtà: poterlo amare davvero,  dedicarmi, donarmi totalmente a Lui per quel vero amore che il mondo intero non può dare.

Vivere e morire per lo stesso amore. Quest’unione così profonda in Gesù mi scioglie  in Lui, nel suo amore per la sua santa umanità, nonostante quella che sono, l’imperfezione stessa. Gesù guarda solo il nostro cuore. O Gesù seguirti non è cosa da poco. Bisogna non più esistere  ed insieme esistere”.

martedì 8 giugno 2021

Giovanni Santolini, eroe per abitudine


Lo Zaire era al collasso. Il vecchio dittatore, al comando dal 1965, dopo venticinque anni di potere assoluto, prese una decisione inaudita. Il 24 aprile 1990 riunì generali, magistrati, ministri, governatori di province, parlamentari e giornalisti stranieri nel palazzo delle conferenze del Partito unico, il Movimento Popolare della Rivoluzione (Mpr), avvolto nell’uniforme nera da maresciallo, annunciò che, dopo aver ascoltato la voce del popolo, dichiarava la fine del partito unico e l’apertura alla democrazia: tre partiti, stampa libera, sindacati liberi e, entro un anno, libere elezioni. “E che ne sarà del capo in tutto questo?” si chiese Mobutu alla fine del suo discorso. “Il capo di stato è al di sopra dei partiti politici. Sarà l’arbitro o, ancora meglio, la suprema istanza giuridica”. I presenti e quanti seguivano per radio non credevano alle proprie orecchie. Il Paese impazzì di gioia.

Il passaggio sarebbe stato garantito da una “Conferenza sovrana nazionale”, a cui avrebbero preso parte non soltanto politici e personalità di rilievo, ma anche membri della società civile e delle Chiese, provenienti da tutte le province.

La Conferenza ebbe inizio il 7 agosto 1991, con la partecipazione di 2800 delegati. Alla presidenza Mobutu nominò un suo uomo di fiducia, convinto che niente sarebbe cambiato. Se ne convinsero anche i delegati. Il 23 settembre i soldati del centro paracadutisti a Ndjili si ammutinarono, invasero il centro città, saccheggiarono grandi magazzini, negozi, pompe di benzina e abitazioni private. Il popolo, stremato dalla fame e dalla povertà, si unì ai militari. Il saccheggio continuò per giorni e giorni. 117 i morti e circa 1500 i feriti.

Mobutu non reagiva. I suoi soldati potevano fare quello che volevano. Molti sospettarono che fosse stato lui a provocare l’ammutinamento nel tentativo di sabotare la Conferenza.

Dopo il saccheggio fu designato un nuovo presidente dell’Assemblea. Questa volta fu eletto tramite votazione:  Mons. Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo di Kisangani e presidente della Conferenza episcopale nazionale. Era il riconoscimento del ruolo svolto dalla Chiesa in tanti anni di dittatura. I vescovi sotto la guida del cardinal d Kinshasa, Joseph-Albert Malula, si erano mostrarti sempre critici nei confronti del regime. Le cose si mettevano bene per la democrazia, ma si mettevano male per Mobutu che, a gennaio, ordinò la chiusura della Conferenza.

Il 16 febbraio scoppiò la protesta in tutta Kinshasa, organizzata dai cristiani. I vescovi avevano chiesto la riapertura della Conferenza. I preti ne avevano parlato durante la messa domenicale. Qualcuno decise di passare all’azione, nonostante che i vescovi non fossero d’accordo nell’organizzare una marcia.  Dopo la messa delle nove, iniziò il corteo. In più di cento parrocchie di Kinshasa le persone affluirono per le strade. Non c’erano politici, ma semplici fedeli, ragazzi, studenti, giovani genitori, poveri… Marce simili ebbero luogo a Matadi, Kikwit, Idiofa, Kananga, Mbuji-Mayi, Kisangani, Goma e Bukavu. Più di un milione di persone si riversò in strada, si trattava del più grande raduno di massa nella storia del paese. Si parlò della “Marcia della speranza”.

Si unirono anche gli studenti di teologia dei Missionari Oblati. P. Giovanni Santolini, l’unico bianco tra di loro, volle unirsi al gruppo. «No, no, tu non venire perché noi siamo neri, nessuno ci distingue dagli altri, ma tu sei bianco, l’unico! I militari diranno subito: “prendiamo quello là!”». Giovanni partecipa comunque alla manifestazione. Come si poteva facilmente prevedere appena arrivata la famigerata divisione speciale presidenziale, subito si sente gridare: “Prendete quel bianco là!”. Lo rincorrono, lo gettano a terra, lo pestano, lo portano via. Ed ecco intervenire le mamme del corteo, circondano i militari e gridano: “Ah no! Padre Giovanni non si tocca”. I militari rimangono per un attimo disorientati. Fin quando uno gli grida: “Tornate nel tuo Paese, sporco belga!”. E Giovanni: “Veramente non sono belga, sono italiano”. Poi con il suo sorriso disarmante: “Non preoccuparti, capita a tutti di sbagliarsi”.

I disordini continuano, sono ormai all’ordine del giorno. Sempre uno dei giovani Oblati ha la felice idea di andare a liberare due giovani che i militari hanno trascinato via. Li raggiunge e li apostrofa: “Se protestano è anche per il vostro bene”. Poi si rivolge a uno di loro : “Ma tu hai mangiato stamattina?”. Il militare risponde: “No!”. “Ecco vedi, il tuo presidente non ti dà neanche da mangiare. Stamattina i giovani che avete preso protestano per cacciare via questo dittatore e tu li picchi!”. Il militare lascia andare i due giovani. Lo studente oblato contento dice loro: “Li ho convinti!”. Invece il militare era andato a chiamare altri sei colleghi: “C’è là un autentico sovversivo, dobbiamo prenderlo”. Tornano insieme e portano via lui e un altro studente Oblato, che era andato per difendere gli altri. Li trascinano di forza, malmenandoli, verso la prigione. Quanti hanno visto corrono da p. Giovanni: “Hanno preso René, hanno preso Joseph e li stanno portando via”. Giovanni con decisione: “Andiamo a liberarli, se li portano in carcere per loro è finita. Andiamo, andiamo, andiamo!”. Tutti di corsa dietro di lui, una piccola folla che continua a ripetere: “Andiamo, andiamo, andiamo!”. Arrivano su una collinetta da dove vedono i due giovani che vengono pestati dai militari. Il capo comincia a sparare, col mitra. Giovanni si ferma un attimo: “O non ha tirato, o non ha le munizioni, spara a salve, oppure io sono già morto!”. Si rianima subito e riprende a gridare: “Andiamo, andiamo, andiamo. Non ha munizioni, è una finta, andiamo, andiamo!”. Si gira: nessuno dietro di lui, tutti dileguati! È rimasto solo, con accanto Macaire. Continuano ad avanzare con le mani alzate: “Siamo uomini di pace, noi…”. Il militare: “No, no, se avanzate vi sparo contro”. Giovanni si rivolge a Macaire: “Ci ha già sparato, Non è vero, andiamo, andiamo!”. I militari si lasciano avvicinare inizia la discussione: “Questi sono preti, non potete portarli via”. Erano sorpresi che non avessero paura di loro. Giovanni conosce la mentalità del militare zairese: “Se costui non ha paura è certamente perché conosce un capo più importante del mio… è più forte di me; se io gli faccio del male, il suo capo farà del male a me”. È tale la decisione e la sicurezza di Giovanni che i militari rimangono di sasso e lasciano che si riprenda i due giovani Oblati e li porti via con sé…

Dopo due o tre ore vengono altri militari, questa volta per prendere alcuni giovani che per fuggire alle rappresaglie si sono rifugiati nella casa degli Oblati. Entrano e ne portano via uno di loro. Giovanni riparte in azione, senza demordere. Li segue, li ferma e inizia a discutere: “Non avete il diritto di venire a casa nostra e fare questo”. Tra loro c’è uno dei militari che poco prima aveva visto liberare i giovani Oblati ed ora è inferocito. Si mette di traverso e comincia a parlare in una lingua che Giovanni non conosce: “Se osi tornare indietro, ti sparo”. Giovanni non capisce. Tranquillamente prende per il braccio il giovane sequestrato: “Adesso rientriamo a casa e basta, finito”. E il militare: “Se osi passare di qui ti uccidiamo”. I giovani studenti Oblati dall’altra parte del ponticello che porta al seminario fanno segni dispesati perché non passi. Giovanni saluta tranquillamente i militari con un bel: “Ciao!”. Quello che lo minacciava è, ancora una volta, talmente sorpreso che, come tanti altre che avevano seguito la scena, avrà dovuto pensare: “Questo ha certamente dei poteri magici”. E dice un semplice: “Passa”. I giovani gridano: “Il buon pastore quando viene il lupo non scappa!”. Giovanni è diventato un eroe.


Quando Giovanni Santolini raccontava episodi come questi, con il suo solito humor, senza mai drammatizzare, terminava: «Un eroe? Ma è capitato per caso e non ho potuto fare diversamente. Se tu stai lì e dai la vita per questa gente, è normale che gli dai la vita facendo delle fotocopie quado devi fare le fotocopie, scrivendo a macchina quando devi scrivere a macchina, programmando l’orario dei professori quando lo devi fare, andando a una marcia quando devi andare, facendoti pestare… Non è che uno fa l’eroe per fare l’eroe, è che hai talmente l’abitudine di stare attento all’altro che quanto ti dicono: “C’è una persona che ha bisogno…”, tu gli dai una mano; se ti dicono: “Hanno preso quello….”, tu rispondi: “Va bene, andiamo a liberarlo”. Diventi eroe per abitudine, non perché sei un eroe, ma perché hai l’abitudine di fare quello che nel momento presente pensi sia giusto. Non ditemi: “Hai fatto quelle cose? Hai affrontato i militare? Hai rischiato la pelle? Io non avrei mai avuto il coraggio!”. “Ma neanche io ho il coraggio”».

Questa potrebbe essere la prima pagina della biografia che mi è stato chiesto di scrivere a 25 anni dalla morte di p. Giovanni Santolini. Chissà se può andare…

lunedì 7 giugno 2021

Studiare per vivere

 


Studiare, perché? Per vivere! 

Sto rileggendo per l’ennesima volta l’esortazione apostolica di papa Francesco, Gaudete et exultate, e sempre trovo qualcosa d’ispiratore, come oggi:

“Il cristianesimo è fatto soprattutto per essere praticato, e se è anche oggetto di riflessione, ciò ha valore solo quando ci aiuta a vivere il Vangelo nella vita quotidiana”.

domenica 6 giugno 2021

Dio si compromette - Il mio nuovo libro

 

Estrella è sbarcata a Roma dal Sud America per gli studi. Ragazza solare, brillante. Ha davanti un futuro pieno di progetti e di luce. Ci siamo dati appuntamento con un gruppo di amici in una saletta alla periferia della città. Troviamo la porta chiusa. Nessun problema, ci sediamo per terra nell’angusto spazio di un’aiuola, lungo la strada. L’ambiente è un po’ squallido, le macchine ci sfrecciano davanti. Non siamo abbastanza coperti per il fresco settembrino. Niente comunque ostacola la nostra accalorata conversazione.

D’improvviso, fuori contesto, Estrella mi interpella: “Perché non ci parli delle promesse fatte da Gesù? Mi hanno detto che sono tante!”.

Questo libro, ora edito da Città Nuova, è nato da questa domanda estemporanea di Estrella.

Ogni promessa mette a repentaglio chi la pronuncia, mette in pericolo la sua persona, il suo onore, la sua reputazione. Promettere è “mittere-pro”, mandare avanti, mettere in evidenza, sotto gli occhi dell’altro e quindi rassicurare, dare la parola.

Anche Dio quando promette si mette pienamente in gioco, rischiando il tutto per tutto. In ogni sua promessa si compromette.

Promettendo, Dio chiede una relazione di impegno reciproco, anche se non c’è confronto fra il suo impegno (è Dio!) e il nostro, sempre così fragile, soggetto all’umore, al tradimento…

Egli è fedele comunque, senza tenere conto della nostra controparte. Spesso le sue promesse sono formulate in maniera assoluta: promette e basta, a prescindere dalla nostra risposta. Ogni promessa ha alle spalle il ricordo di quanto è stato promesso. Noi dimentichiamo facilmente, Dio no. Egli ricorda la sua alleanza, il suo patto santo e non viene mai meno alle sue parole.

Nelle pagine di questo nuovo libro mi sono limitato a scegliere alcune promesse di Gesù, come mi chiedeva Estrella, anche se nei Vangeli la parola “promessa” (epangelia) non appare mai (c’è sempre una eccezione, naturalmente: Luca 24, 49), così come non appare nell’Antico Testamento. La parola non c’è perché tutto il Vangelo è una “buona novella”, il grande annuncio della salvezza di Dio; Evangelo e promessa hanno la stessa radice, angel, nel significato di annuncio. Dio non ha bisogno di promettere, semplicemente parla, “dice” e basta: la sua parola è sempre profezia che si attua, promessa efficace, dono gratuito, annuncio di salvezza. L’amore crea.

Ripercorrendo queste poche parole di “buona novella” – scelte seguendo l’ordine dei libri biblici – si comprende ancora di più che la storia dell’umanità e le nostre piccole storie personali di uomini e di donne sono un cammino accompagnato costantemente dalla divina promessa, ripetuta in mille modulazioni: “Sarò con voi, sempre”.

Anche la meta è certa e il suo raggiungimento assicurato da altrettante promesse, a cominciare da quella pronunciata da Gesù in punto di morte e con la morte sancita: “Sarai con me in paradiso”.

Il cammino potrà essere difficile, potremo smarrirci lungo il sentiero. Proprio allora dovremo lasciare che il Vangelo ci ripeta le promesse di Dio e le beatitudini ad esse legate. Il cammino si trasformerà in “santo viaggio”.

Buona lettura!


sabato 5 giugno 2021

La processione del Corpus Domini

Penso alle mie tante processioni del Corpus Domini, da quelle della mia città a quelle con Giovanni Paolo II per le vie di Roma. Nel 2012 ero a Toronto in Canada, nel 2016 ad Aix in Francia, nel 2017 in Polonia… 

Ma quest'anno, come lo scorso anno, niente processione, complice la pandemia.

Ma la vera processione è un’altra, quella che dovremmo fare al termine di ogni Messa: portare ovunque Gesù e renderlo presente a casa, nell’ambiente di lavoro, nelle istituzioni sociali, nei luoghi della nostra vita quotidiana, possiamo. Gesù non si fa eucaristia per restare in chiesa, ma per uscire per le strade, per dilatarsi sul mondo intero e lievitarlo verso i cieli nuovi e la terra nuova.

Egli ci trasforma in sé perché la nostra vita diventa sacramento della sua presenza in mezzo all’umanità. Le specie eucaristiche si prolungano nella nostra umanità. Come il pane e il vino servono perché Gesù si renda presente nell’Eucaristia, così le nostre persone servono perché egli sia in noi e cammini con noi, fino a che diventiamo noi stessi eucaristia per il mondo.

Una volta moltiplicati i pani Gesù li diede à ai discepoli «perché li distribuissero alla folla». Non è così anche per noi? Dobbiamo portare l’Eucaristia alla folla. Forse è questa la vera processione del Corpus Domini.

La messa comincia quando finisce. Dovremmo cambiare il congedo e adottare quello di Tonino Bello: «La pace è finita, andate alla Messa».