Il confine divide, ponendo un limite che salvaguardia il proprio
spazio vitale dall’invadenza dell’altro, permette di custodire la propria identità
proteggendola dal diverso. Il confine garantisce la sicurezza personale e nazionale,
ponendo una linea di demarcazione tra il “di qua” e il “di là”. A difesa dei confini
si ergono muri tra Usa e Messico, tra le due Corre, in mezzo all’isola di Cipro,
appena oltre lo stretto di Gibilterra, in Cisgiordania, tra Arabia Saudita e Yemen,
Botswana e Zimbabwe… C’è comunque il rischio che il confine diventi un “confino”,
una chiusura che alla fine mortifica e imprigiona.
Il confine unisce, come lascia intendere il prefisso “con”: lega
chi sta di qua con chi sta di là, rendendoli “confinanti”. La linea che è frammezzo
non è più di separazione ma di congiungimento. L’altro che sta davanti, sia esso
una persona, un territorio, uno stato, è una promessa, apre al dialogo, al confronto,
allo scambio.
“Creare ponti al posto di barriere”, continua a ripetere papa Francesco, e invoca “una cultura dell’incontro, capace di far cadere tutti i muri che ancora dividono il mondo, e non accada più che persone innocenti siano perseguitate e perfino uccise a causa del loro credo e della loro religione. Dove c’è un muro, c’è chiusura di cuore. Servono ponti, non muri!” (9 novembre 2014, nel 25° della caduta del muro di Berlino).
Il confine, il limes – non solo tra gli stati, ma anche sul pianerottolo di casa con la famiglia accanto – è il luogo della vicinanza, dell’appuntamento. È la soglia, fatta per essere varcata. È apertura a ciò che sta di fronte. È invito alla condivisione con il diverso che, perché tale, arricchisce e completa. Diamo spazio al desiderio di orizzonti “sconfinati” di pienezza e libertà.
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