sabato 31 ottobre 2020

Chiamati a diventare santi


 

P. Joseph Fabre, primo successore di Eugenio de Mazenod alla guida della Congregazione, ha contribuito in modo determinante a mantenere vivo il senso della famiglia e la memoria del Fondatore e del suo spirito. Dai contemporanei egli fu riconosciuto come autentico continuatore dell’opera di Eugenio de Mazenod, al punto che il primo compagno del Fondatore poteva scrivergli: «Certamente piangeremo sempre il nostro primo Padre, ma lasciate che ve lo dica: questo Padre non se n’è andato del tutto, vi ha lasciato il suo spirito e il suo cuore».

Consapevole di non poter riempire il vuoto lasciato dalla morte del Fondatore, di non poter parlare con la stessa autorità e passione, p. Fabre si dichiara tuttavia pronto a lasciarsi “animare dal suo spirito”, così da potersi costantemente rinnovare, insieme a tutti gli Oblati, “nello spirito della nostra santa vocazione”, e camminare sulle sue orme. Ecco dunque il suo messaggio:

A cosa siamo chiamati, miei cari fratelli? A diventare santi, a lavorare efficacemente per la santificazione delle anime più abbandonate. Questa è la nostra vocazione [...]. Dobbiamo lavorare attivamente con generosità alla nostra santificazione, vale a dire, meditare ogni giorno in modo più serio e più a fondo, i doveri del nostro stato, conoscere sempre meglio le virtù che Dio esige dall’anima, perché pervenga con un comportamento sempre più religioso alla pratica degli sacri doveri. [...]

Lavorare per la santificazione degli altri, esercitando il ministero, è una bella missione, ma questa è solo una parte di una sana vocazione; suppone la prima come principio e sorgente di fecondità. Infatti, potremo efficacemente e in modo soprannaturale corrispondere alla grazia del ministero, senza una chiara conoscenza, un profondo senso della necessità di santificarci? [...]

La negligenza che ci priva di fervore e santità, priverebbe le anime del frutto e della ricompensa di questo fervore e questa santità.

venerdì 30 ottobre 2020

Ancora in cammino, insieme



Mi ha telefonato una carissima amica, anziana. Voleva raccontarmi un sogno che aveva avuto. Si trovava in cima ad una scala ripida e buia, con gradini piccoli. “Come faccio a scendere? – si domandava – è troppo difficile per me, troppo pericoloso, non posso farcela”. Ecco allora una mano che prende la sua, una stretta forte che le dà sicurezza. Riesce così a scendere senza difficoltà fino all’ultimo gradino. A quel punto si volge indietro e vede me: era mia la mano che l’aveva sorretta e accompagnata nel suo cammino.

Gli psichiatri hanno pane per i loro denti.

Alla mia amica quel sogno ha semplicemente lasciato una grande gioia… e anche a me. Mi ha ricordato che il viaggio che ci porterà in Cielo dobbiamo percorrerlo insieme: è questo che ci dà certezza della meta.

 

Un sogno simile l’aveva avuto Pacomio. La Vita copta racconta che poco prima di morire l’abate vide la grotta oscura e tenebrosa. «Guardò ancora e vide che tutti i monaci della congregazione, procedevano l’uno dietro l’altro, tenendosi stretti per il timore di perdersi, a causa della profonda oscurità. Quelli che aprivano la marcia, avevano, per rischiararsi, la piccola luce di una lampada; solo quattro fratelli la vedevano, mentre gli altri non vedevano assolutamente nulla. Pacomio guardava il loro modo di procedere: chi smetteva di stare accanto a colui che lo precedeva, si perdeva nell’oscurità, insieme con quelli che lo seguivano». Allora Pacomio chiamò per nome uno per uno i fratelli prima che si staccasse dagli altri e gli gridò: «Tieniti attaccato a chi ti precede, per non perderti!».

giovedì 29 ottobre 2020

Ancora in cammino verso il Cielo: Teodoro Studita



Le lezioni sulla storia della vita consacrata mi danno l’occasione di donare tante perle della spiritualità, come questa di Teodoro Studita. Sì, siamo in tempi lontani, nel primo millennio (826), ma la sua testimonianza è attualissima. Nel suo testamento testimonia la gioia (come già san Colombano nel blog di ieri) di partire per la meta ultima del suo santo viaggio.

Le sue parole – rivolte ai monaci, che attende presto con lui in Paradiso – mi sembrano particolarmente adatte in questa vigilia della festa dei santi e della commemorazione dei defunti:

 

Mi rallegro e sono contento di andare da questo mondo verso il cielo, dall’oscurità alla luce, dalla schiavitù alla libertà, da una terra straniera alla vera dimora nella terra paterna, da paesi forestieri ed appartenenti ad altri - perché … io sono forestiero, ospite come tutti i miei padri (cfr. Sal 39(38), 12) – verso la mia patria. Ancora più coraggiosamente dichiaro che ritornerò al mio Maestro, al mio Signore ed al mio Dio che la mia anima ha amato e che io ho riconosciuto come Padre, anche se non l’ho onorato come figlio. L’ho acquisito rinunciando a tutto, anche se non l’ho servito come un servitore fedele. (…)

Mi aspetto di vedere, accogliere ed abbracciare ognuno di voi quando vi allontanerete dal mondo. Perché ho fiducia che la sua bontà, oggi come allora, ci conserverà tutti anche nel secolo a venire, avendo osservato i suoi comandamenti, per cantare le lodi della sua santa potenza.

mercoledì 28 ottobre 2020

In cammino verso la patria: l'insegnamento di Colombano

 

Come altri irlandesi andò in esilio volontario, abbandonando patria, lingua, costumi. Partì con dodici compagni facendosi pellegrino di Cristo: Britannia, Gallia, Svizzera, e finalmente l’Italia, Bobbio, da dove partì per il Cielo, ultima definitiva meta del suo pellegrinare.

Ho ripercorso questo itinerario avventuroso di san Colombano (540-615) assieme ai novizi e novizie dei castelli romani per i quali dove ormai tenere le lezioni via zoom… Siamo confinati a casa, ma i racconti ci portano ancora in giro per il mondo, a seguito dei nostri grandi santi.

Dalle Regole che ha scritto san Colombano appare come un uomo duro, intransigente, quasi disumano nella sua severità.

Eppure possiede tratti di profonda tenerezza, specialmente quando si rivolge al suo Signore:

“Tu sei tutto per noi (…). Ti prego, o Gesù, di ispirare i nostri cuori col soffio del tuo Spirito e di trafiggere col tuo amor le nostre anime, perché ciascuno di noi possa dire con tutta verità dal profondo del suo cuore: Fammi conoscere l’amore dell’anima mia (Ct 1, 7). Desidero che quelle ferite siano impresse in me, o Signore. Beata l’anima che è così trafitta dalla carità, che cerca la fonte, che beve, e che, bevendo, ha sempre sete, e desiderando sempre attinge, e assetata sempre beve; così, l’anima amando, sempre cerca, e nel so essere piagata, viene risanata” (Istruzioni, XIII, 1-3).

Ma la grande lezione che ancora oggi Colombano ci dona è quello del “pellegrinaggio”: non abbiamo quaggiù la nostra città stabile, siamo di passaggio, in cammino verso la patria vera:

“Non amiamo la via più della patria, per non perdere la patria eterna (…). Conserviamo salda in noi questa convinzione, così da vivere nella via come viandanti, come pellegrini, quali ospiti del mondo, sena legarci ad alcuna passione, senza desiderio alcuno dei beni terreni, ma in modo tale da colmate le nostre anime della bellezza delle realtà celesti e spirituali, cantando con la virtù e con la vita: «Quando verrò e apparirò davanti al volto di Dio? Infatti l’anima mia ha sete del Dio forte, vivo. (Sal 42, 3)” (Istruzioni, VIII, 2).

martedì 27 ottobre 2020

Sogno un’Europa…

 

Ogni giorno porta in dono qualcosa. Oggi l’Osservatore Romano mi ha portato in dono la lettera del Papa sull’Europa. Indirizzata al Segretario di Stato Vaticano, essa racconta quattro sogni che papa Francesco ha in cuore quanto pensa al nostro continente:

Sogno un’Europa amica della persona e delle persone. Una terra in cui la dignità di ognuno sia rispettata, in cui la persona sia un valore in sé e non l’oggetto di un calcolo economico o un bene di commercio…

Sogno un’Europa che sia una famiglia e una comunità…  Essere famiglia significa vivere in unità, facendo tesoro delle differenze, a partire da quella fondamentale tra uomo e donna…. Un’“Europa comunità”, solidale e fraterna, saprà fare tesoro delle differenze e del contributo di ciascuno per fronteggiare insieme le questioni che l’attendono, a partire dalla pandemia…

Sogno un’Europa solidale e generosa. Un luogo accogliente ed ospitale, in cui la carità – che è somma virtù cristiana – vinca ogni forma di indifferenza ed egoismo. Essere solidali significa condurre chi è più debole in un cammino di crescita personale e sociale così che un giorno possa a sua volta aiutare gli altri. È come un buon medico che non si limita a somministrare una medicina, ma accompagna il paziente fino alla piena guarigione.

Sogno un’Europa sanamente laica, in cui Dio e Cesare siano distinti ma non contrapposti. Una terra aperta alla trascendenza, in cui chi è credente sia libero di professare pubblicamente la fede e di proporre il proprio punto di vista nella società.

Infine il Papa conclude… con il vangelo di oggi, del lievito nella pasta:

I cristiani hanno oggi una grande responsabilità: come il lievito nella pasta, sono chiamati a ridestare la coscienza dell’Europa… Li esorto dunque ad impegnarsi con coraggio e determinazione ad offrire il loro contributo in ogni ambito in cui vivono e operano.

lunedì 26 ottobre 2020

Nelle mani di Dio


 

Sembra un moto di rassegnazione. Quando non c’è più speranza, quando non c’è più niente da fare, non ci rimane che dire: “Mettiamoci nelle mani di Dio”, come dire: Sarebbe meglio come avrei pensato io, ma siccome le cose non vanno per questo verso, dobbiamo purtroppo metterci nelle sue mani…

Invece dove essere più sicuri che nelle mani di Dio? C’è di meglio?

Lui sa cosa è meglio per noi e lui può attuarlo.

Ogni sera, a compieta, prima di addormentarci, ripetiamo:
“Nelle tue mani, Signore, affido il mio spirito…”. Sono le parole con cui Gesù stesso si è consegnato al Padre.

È l’atto più intelligente e più indovinato che possiamo fare.

sabato 24 ottobre 2020

Le nonne di Campoli: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”

 


Zia Nicolina, zia Vincenza e zia Maria, con tre bambini ospiti del centro di accoglienza di Campoli del Taburno, un piccolo paesino della provincia di Benevento. Sembra che questa sia, o almeno sia stata, una foto “virale”, come si dice nel web.

Sembra che questa sia, o almeno sia stata, una foto “virale”, come si dice nel web.

La vedo soltanto adesso perché è stata citata questo pomeriggio nella lezione inaugurale dell’anno accademico del Claretianum che aveva come tema "Migrazioni: Provocazioni per la teologia della vita consacrata a partire della quotidianità.

Mi sembra il più bel commento al Vangelo di questa domenica: “Amerai il Signore tuo DioAmerai il tuo prossimo come te stesso”.

venerdì 23 ottobre 2020

Il contributo dei religiosi alla nuova ecologia



Le case comuni della vita consacrata. Un rinnovato stile di vita per i religiosi alla luce della Laudato si’. È il titolo del nuovo libro di Onofrio Farinola, appena edito dalle Edizioni Messaggero di Padova. 
L’autore mi ha chiesto l’introduzione che trascrivo in parte: 

Papa Francesco, coerente con il proprio nome, affrontando il tema ecologico, ha additato, come paradigmatico, il rapporto di san Francesco con la natura. (…) La lettera Laudato si’ lo indica come punto di partenza per una nuova coscienza cosmologica, eppure il rapporto dei “consacrati” con la natura inizia con la nascita stessa del monachesimo, che fa “fiorire il deserto”: quei luoghi aridi e solitari vennero ingentiliti dalla presenza di monaci e monache. Da allora il monachesimo ha continuato a prendersi cura del creato. Basterà ricordare cosa hanno rappresentato nella storia dell’agricoltura i monasteri di Bobbio, Pomposa, Farfa, solo per restare in Italia, oppure l’apporto dato alla silvicoltura e alle scienze forestali da Camaldoli a Vallombrosa. I monaci hanno piantato foreste e curato pascoli, incanalato acque e prosciugato paludi, bonificato terreni incolti e favorito nuove colture, insegnando a popolazioni intere le tecniche agronomiche e il senso del lavoro, in obbedienza a Dio che ha affidato la terra all’uomo. Di qui la «cura del lavoro ben fatto» come impone la Regola benedettina. (…) Assieme alla cura della terra, che forniva gli alimenti per il sostentamento proprio e dei poveri, monaci e religiosi si sono dedicati alla cura del corpo e della mente delle persone che vivevano attorno a loro, sviluppando la scienza delle erbe e la farmacopea. Tutto questo ha favorito e sviluppato l’amore e il rispetto per natura.

Poi è arrivato il progresso tecnologico, basato sull’equivoco che si potessero usare le risorse della natura in modo illimitato. Più ancora l’equivoco di fondo riguarda il concetto stesso di sfruttamento della natura inteso come possibilità e positività di una crescita indefinita del potere dell’uomo sulle cose. (…)

Finalmente si è preso coscienza che il problema ecologico è fondamentalmente un problema etico, un problema di rapporto di noi uomini e donne con la natura, un problema che riguarda il nostro modo di agire. Dalla cosiddetta “cosmologia classica”, che vede l’uomo distinto dal creato e come suo dominatore, si è passati alla cosiddetta “nuova cosmologia”, una concezione olistica, vede l’uomo come parte del creato, sua ultima e massima espressione, autocoscienza del cosmo (…), aiutando a prendere coscienza della profonda interdipendenza che lega umanità e cosmo.

Finalmente si rileggere in modo nuovo il racconto biblico della creazione che, contrariamente a questo si è a lungo pensato, non dà assolutamente facoltà di sopraffazione sulla natura. (…) L’uomo e la donna sono amministratori di una realtà di cui non sono i padroni. Il creato è opera di Dio, è di Dio, e Dio nel suo amore lo dona alle persone umane. Queste non possono allungare la mano sul mondo e dire “è mio”. Esse piuttosto si vedono porgere il mondo dalla mano di un Altro che gli dice “è per te”. L’umanità si vede consegnare un’opera meravigliosa. (…)

Consegnando il cosmo all’umanità Dio ha voluto renderla responsabile dell’intera natura. Ha fatto l’uomo e la donna a immagine e somiglianza sua proprio perché potessero essere i suoi collaboratori e con lui continuare a dif­fondere la vita. (…) All’idea del dominium subentra il tema della responsabilità ambientale. (…)

Per continuare l’azione di Dio l’uomo deve poter conoscere il piano di Dio e quindi essere in comunione con lui, in un rapporto profondo di amicizia e di amore. Senza un rapporto vivo con Dio suo creatore egli non può svolgere la missione di coltivare con amore la terra. In effetti quando con il peccato l’uomo si stacca da Dio non è più capace di custodire il mondo nella bellezza e nell’armonia nelle quali era stato creato. (…) Ed ecco che qui s’innesta l’apporto specifico della vita consacrata, nata per “quaerere Deum” e per scoprire il suo disegno sulla creazione e sulla storia. Il rapporto persona-natura non è mai distaccato dal rapporto Dio-uomo e Dio-natura. Il religioso e la religiosa sono chiamati a entrare in questo rapporto vitale che nasce dallo stesso atto creativo. Nella natura dovrebbero saper cogliere l’autorivelazione di Dio e il dono che egli fa di sé.

Ma come cogliere la presenza di Dio nelle cose, il suo amore provvidente che tutto sostiene e che continuamente crea? Occorre uno sguardo puro, che sappia vedere con l’occhio stesso di Dio. Occorre la capacità di contemplazione, di preghiera, di meraviglia… Non fa parte tutto questo della vocazione della vita consacrata? Soltanto a queste condizioni la natura diventa un messaggio divino e mostra come ogni suo elemento è in relazione d’amore con l’altro, quasi riflesso della relazione d’amore trinitaria. Se tutto è opera di un Dio che è Amore, di un Dio che è Trinità, ossia rapporto di comunione, tutto porta il suo timbro e in tutto potremo scoprire la presenza dell’Amore.

Soltanto così nasce il rispetto per il creato, nella coscienza di essere parte di esso e con esso in cammino verso i cieli nuovi e la terra nuova. (…)

Questo implica una conversione a livello personale e comunitario, che domanda un ripensamento del proprio stile di vita, la responsabilità davanti al consumo, l’attenzione all’ambiente, cominciando dalla cura per la propria casa.

Soprattutto occorre andare alla radice del problema, rompendo la logica egoistica di una cultura basata sul dominio, sulla sopraffazione, sull’avere. (…) È la stessa logica perversa che spesso guida i rapporti umani: voglio possedere l’altro, asservirlo a me, usarlo per i miei interessi. Deve subentrare una logica nuova. Chi di noi non ha speri­mentato, almeno una volta, la gioia del donare? Quando rendo felice una persona, quando faccio un regalo ad un amico, quando offro il mio aiuto a chi è nel bisogno, mi sento contento. Quando amo sento come una pienezza di vita in me, mi sento realizzato. L’apostolo Paolo ricorda un detto del Signore secondo il quale «c’è più gioia nel dare che nel ricevere».

Credo che il problema ecologico troverà la sua risposta nella misura in cui sapremo dare una risposta al problema umano. Ossia saremo capaci di ridare l’armonia alla natura solo nella misura in cui sapremo trovare un’armonia tra noi uomini e donne. (…)

Qui forse è l’apporto più realista che i carismi possono offrire. (…) Religiosi e religiose (…) possono insegnare le parole del Vangelo, come esse si realizzano e quali sono i frutti che portano tra di loro. Se sapranno aiutare chi sta loro attorno a vivere la reciprocità dell’amore allora anche ogni intervento sulla natura sarà compiuto tenendo conto non solo di sé stessi, ma anche degli altri, dei popoli e dei paesi vicini, degli altri continenti. Si avranno costantemente presenti anche le generazioni future, perché‚ tutti siamo legati da un rapporto di amore.

 

giovedì 22 ottobre 2020

Condividere i doni: tra cielo e terra

 


Per la copertina del mio libro Condividere i doni. Laici e consacrati insieme per la missione, ho scelto un quadro di Van Gogh: “Notte stellata sul Rodano”,
Ove il cielo si specchia sulla terra
E la terra nel cielo
In sincero scambio di doni.

Chissà se ho indovinato…

mercoledì 21 ottobre 2020

Quelli che sono a Roma


 

“Quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata”.

È l’indirizzo con cui si apre la Lettera di Paolo ai Romani. Che gioia sapere che a Roma siamo amati da Dio e chiamati alla santità! Oggi come allora.

La lunga lettera termina dando volti concreti a quelli che sono a Roma”, ed ecco apparire 27 nomi, dietro i quali ci sono intere comunità di cristiani che si riuniscono nelle loro casa:

Febe, Prisca e Aquila, Epèneto, Maria, Andrònico e Giunia, Ampliato, Urbano, Stachi, Apelle, Aristòbulo, Erodione, Narciso, Trifena e Trifosa, Pèrside, Rufo, Asìncrito, Flegonte, Erme, Pàtroba, Erma, Filòlogo e Giulia, Nereo e Olimpas.

A parte Prisca, Aquila e forse Rufo, gli altri sono illustri ignoti… a noi, ma notissimi a Paolo.

Che gioia sapere che a Roma, in mezzo a scandali, ruberie, mafie, ci sono cristiani che hanno un nome! Oggi come allora.

martedì 20 ottobre 2020

Eugenio, contemporaneo di Cristo

Il ricordo della beatificazione di 45 anni ha suscitato altri ricordi… Ecco cosa ricevo:

Sì! Che tempi. Paolo VI: che forza la sua parola di fuoco, che ha trasfuso in quell'avvenimento. Quella del papa fu parola veramente nel filone dell’Evangelii nuntiandi. La beatificazione avvenne dopo l’elezione di p. Jetté a superiore generale; fu lui, il pomeriggio della beatificazione, a chiamare Eugenio: Contemporaneo di Cristo. Quel giorno erano presenti anche gli Oblati espulsi dal Laos...

Che bello iniziare la giornata con questo ricordo. Ho incontrato Eugenio de Mazenod proprio con questo libro, La scelta dei poveri, senza che sapessi nulla degli autori. Nel 1991 conoscevo gli Oblati da qualche mese ed ero immersa in altre letture e in un altro genere di vita. Lo sguardo e l’esperienza di Eugenio mi ha fulminata, mi sono innamorata persa di lui e della sua passione per Cristo, la Chiesa, le persone. Portavo nel portafoglio l’immagine che era sulla copertina del libro... e a qualcuno che non volevo più mi venisse dietro avevo fatto intendere che era la foto di un mio corteggiatore! Nel 1993 andando per la prima volta nel focolare a Reggio Calabria ho subito visto questo piccolo librino in bella vista nel loro soggiorno. Mi sono così subito sentita a casa.  Sarà contento San Eugenio di come l’ho amato e seguito? E di come amo le persone, i poveri?

lunedì 19 ottobre 2020

45 anni fa Eugenio de Mazenod veniva proclamato beato

 

19 ottobre 1975. Era l’Anno santo, ed era la Giornata missionaria mondiale: poteva esserci occasione migliore per la beatificazione di sant’Eugenio de Mazenod?

Fui coinvolto nel lavoro concreto della preparazione. Tra l’altro dovetti curare, assieme a Gino Lubich e Giovanni Casoli, una sua biografia popolare: La scelta dei poveri Questo mi impedì di portare a termine la licenza in Ecclesiologia al Laterano, ma mi aprì altre strade, come sempre quando ci si fida di Dio…

Quante cosa potremmo ricordare di quel giorno. Ma forse la più bella sono le parole di Paolo VI: la definizione di sant’Eugenio come “Appassionato di Cristo e totalmente donato alla Chiesa”, assieme all’interpretazione del suo appello a lasciarsi invadere dallo Spirito di Pentecoste: “Questo Pastore e questo Fondatore, autentico testimone dello Spirito Santo (…), rivolge un richiamo fondamentale a tutti i battezzati, a tutti gli apostoli di oggi: lasciatevi invadere dal fuoco della Pentecoste e conoscerete l’entusiasmo missionario!”

domenica 18 ottobre 2020

Mi ha mandata a seminare, non a raccogiere

 


“Leonella, come mia nonna paterna”, dico a chi mi regala il libro dei suoi scritti. “Sì, mi risponde, è il nome da religiosa, ma il nome di battesimo era Rosa”. “Come mia nonna materna!”.

Uccisa a Mogadiscio nel 2006, 12 anni dopo suor Leonella Sgorbati è proclamata beata. Sto leggendo i suoi scritti, luminosi come lo era lei.

Mi piace ciò che scrive in una lettera del 19 settembre 1991: “Povera gioventù lasciata a sé stessa… senza cura. La vigna da seminare è veramente enorme e una si sente povera. Qui ci vorrebbero dei santi… A volte mi viene la tentazione di voler vedere dei frutti… e il Signore mi ricorda che mi ha mandata a seminare, non a raccogliere”.

In questa giornata missionaria mondiale è bene ricordarlo.

sabato 17 ottobre 2020

Il cristiano attaccato all'appiccapanni


“Date a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio”.

Impressionante: Gesù affianca Cesare a Dio. O meglio, l’impegno nel mondo politico-sociale a quello religioso.

Si è cristiani non soltanto in chiesa, ma anche in parlamento, in ufficio, a scuola, a casa. Il sacerdozio battesimale lo si esercita nella preghiera e nel lavoro. Non era questo il senso dell’ora et labora?

Mi sembra di risentire Igino Giordani: “Immettere nello sforzo politico l’anelito a Dio (…) equivale a dare alla politica un’anima e quindi uno slancio, sì che essa diventi impeto di santificazione. Sia sacerdozio regale: apostolato di uomini politici… E che, quando entriamo in Parlamento appendiamo il nostro abito di cristiani all’appiccapanni?

venerdì 16 ottobre 2020

La bellezza delle vocazioni

 


Sembra incredibile, ma ci sono ancora giovani che si decidono a seguire Gesù nella vita consacrata. Me li ritrovo davanti, una sessantina, da tutta Italia, con qualche presenza di altri Paesi europei. Ma c’è anche una vietnamita e due egiziane… Belli, sorridenti... lo si vede anche dietro le mascherine. Altri sono collegati via internet.

Inizio il mio corso sulla storia della vita consacrata. Con la solita premessa: contenti della vostra vocazione, ma senza montarvi la testa, non siete migliori degli altri. E parlo della bellezza delle differenti vocazioni della Chiesa, una più bella dell’altra.

Prima delle distinzioni punto sull’unità di tutto il popolo di Dio e ricordo le parole di Giovanni Crisostomo: «Gesù Cristo non usa né il nome di laico, né quello di monaco. Questa distinzione è stata introdotta dagli uomini. Le Scritture non la conoscono… È dunque un errore mostruoso credere che il monaco debba condurre una vita più perfetta, mentre gli altri possano fare a meno di preoccuparsene… Quelli che vivono nel mondo e i monaci devono arrivare a un’identica perfezione» (Contro gli oppositori della vita monastica, 3,14).

È quello che dirà il Concilio Vaticano II 1500 anni più tardi! «Non c’è che un popolo di Dio scelto da lui: “un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo” (Ef 4,5); comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia di adozione filiale, comune la vocazione alla perfezione; non c’è che una sola salvezza, una sola speranza e una carità senza divisioni» (Lumen gentium, 32).

giovedì 15 ottobre 2020

L’aceto, una spugna, una canna: un gesto vano

 


Un uomo soltanto sentì compassione.

Attorno c’era solo la gazzarra, il vilipendio, la derisione. “Ha salvato gli altri e non può salvare se stesso!... È il re d’Israele, scenda ora dalla croce e crederemo in lui…”. I passanti, i capi dei sacerdoti, gli scribi, gli anziani, gli stessi ladroni crocifissi con lui lo insultano e se ne fanno beffe.

Fino a quando Gesù esplode in quel grido inatteso e drammatico: “Elì, Elì, lemà sabastàni”. La natura si è resa conto di quanto sta accadendo e si fa buio su tutta la terra. Gli uomini invece continuano a sghignazzare: “Vediamo se viene Elia a salvarlo!”.

Un uomo soltanto sentì compassione. E corse a prendere una spugna, a inzupparla nell’aceto, a fissarla su una canna, ad accostarla alla bocca di Gesù.

Corse. Dove? Era così angusto lo spazio sul Golgota. Non c’era bisogno di correre. Quel verbo dice piuttosto la sollecitudine, la premura di quell’uomo anonimo che si è commosso sentendo il Figlio di Dio che grida l’abbandono di Dio.

È l’unico che si fa accanto a Gesù in tutta la Passione. Prima di lui Simone di Cirene, che gli prende la croce e se la pone sulle sue spalle. Ma non è mosso da compassione: è sequestrato e costretto a forza dai soldati. Quest’uomo anonimo dell’aceto non ha altra motivazione per quel suo gesto se non la compassione: con-passione, sente nelle sue ossa la stessa passione che Gesù sta vivendo sulla croce. E compie un gesto tanto gratuito e generoso quanto inutile, che non allieva per nulla la passione di Gesù. Infatti subito dopo Gesù grida di nuovo, come prima, forse ripetendo ancora: “Elì, Elì, lemà sabastàni”. E con quel grido sulla bocca muore.

Un gesto vano quello dell’uomo di cui non rimane nome, anche lui vano, svanito nel nulla.

Quando siamo davanti a qualcuno che soffre vorremmo fare chissà che cosa per condividere quel dolore, per con-patire con chi patisce. Spesso non indoviniamo, poniamo gesti inefficienti, vani, che svaniscono nel nulla. Rimane soltanto l’aver con-patito.

mercoledì 14 ottobre 2020

Mai vergognarsi dei nostri fratelli


Siamo fuori contento liturgico, ma è sempre il tempo opportuno per leggere la Passione di Gesù, specie se alla luce della passione che vive oggi la nostra umanità.

Mi sono risuonate in maniera nuova le parole di Pietro nel cortile del sommo sacerdote nei confronti di Gesù: “Non conosco quell’uomo” (Mt 26, 74). Come, non lo conosci? Proprio tu che sei stato sempre con lui, che ti ha scelto come pietra su cui costruire la sua Chiesa…

Quanto sono diverse da quelle, pur drammatiche, pronunciate da Caino: “Sono forse custode di mio fratello?”. Anche Caino prende le distanze da Abele, ma comunque lo chiama “fratello”. Pietro lo chiama “quell’uomo”. Quell’uomo? Non ha più neppure un nome…

Succede lo stesso quando qualcuno cade in disgrazia, specialmente nell’opinione pubblica. Allora nessuno lo conosce più. Chi? Di chi state parlando? “Non conosco quell’uomo”. Mai vergognarsi dei nostri fratelli, anche se avessero commesso nefandezze. Tanto più se fossero calunniati come Gesù. Mai vergognarsi di condividere il destino del fratello. 

martedì 13 ottobre 2020

Cassiodoro, la forza della cultura


Cassiodoro. Chi ha fatto studi classici ne ha una certa reminiscenza, ma rimane un pensatore lontano, che si perde nei tempi della fine dell’Impero romano. Ieri nella basilica di Santa Maria in Trastevere, è riapparso attualissimo. L’occasione era la cerimonia di assegnazione del Premio Cassiodoro alla sua XI edizione. È stato consegnato al cardinale Gianfranco Ravasi, al rettore della Sapienza Eugenio Gaudio, al superiore generale dei Paolini Valdir José de Castro, al medico e scrittore Cesare Catananti e alla presidente del Movimento dei Focolari Maria Voce.

Prima della consegna dei riconoscimenti un’ariosa presentazione della figura di Cassiodoro da parte del cardinale Ravasi, Andrea Riccardi e dei sei volumi (3.500 pagine) dei suoi commenti ai salmi, tradotti in italiano da monsignor Antonio Cantisani, vescovo emerito di Catanzaro Squillace, amicissimo degli Oblati che ha voluto nella sua diocesi.

Ravasi ha spiegato che «nell’imponente bibliografia di Cassiodoro, senatore, intellettuale e, infine, anche monaco, si allarga l’orizzonte particolare da lui riservato alla voce dei Salmisti biblici, una voce che continua a risuonare quasi da due millenni, non solo nella Sinagoga ma anche nella Chiesa».

Riccardi ha messo in luce i tempi difficili in cui Cassiodoro ha operato alla fine di un mondo, quello romano, e all’alba di una nuova epoca, quella dei Goti, favorendo l’incontro fra le due civiltà e adoperandosi a costruire ponti e non muri.

Cassiodoro ha creduto che il cristianesimo dovesse diventare cultura e ha contribuito con lo studio dei padri della Chiesa e dei grandi autori della civiltà romana alla nascita di una nuova stagione culturale e cristiana. In particolare, attraverso il concetto di civilitas indica tanto il rispetto delle leggi e dei princìpi della Romanità quanto la convivenza sociale, giuridica ed economica di Romani e stranieri fondata sulle leggi.

Una serata che ci ha fatto respirare e ci ha fatto comprendere ancora di più il valore della cultura per il riscatto di una società che rischia ancora di precipitare nella barbarie. Anche Cassiodoro è rimasto sulla breccia, offrendo il suo contributo fino alla fine, arrivata a 95 anni, senza mai arrendersi, continuando a sperare.

lunedì 12 ottobre 2020

Via dell’Umiltà


Via dell’Umiltà: dalla Cassia porta a Nepi. Le Missionaria della Consolata abitano lungo questa strada, il cui nome si addice a queste suore semplici e gioiose.

Due anni fa ero stato da loro per avviare lo studio sul carisma. Hanno lavorato sodo, coinvolgendo tutti i membri dell’Istituto. Oggi sono tornato per una supervisione sul cammino che stanno svolgendo.

Per l’occasione ho ripreso in mano i miei primi appunti sulla metodologia scritti nel lontano 1976. Mi sono sembrati sempre attuali. Tra l’altro scrivevo:

"Una ricerca sul carisma e sulla spiritualità del Fondatore penso vada impostata in modo dinamico. Si tratta, cioè, di seguire il Fondatore nella sua esperienza, così come è venuta crescendo, per poi poterne cogliere gli aspetti essenziali e universali. Questo metodo, cioè, aiuta a discernere meglio gli elementi dominanti che sono stati alla base delle sue scelte e che lo hanno sorretto lungo tutta la sua vita. Si possono inoltre cogliere gli interventi dello Spirito che hanno reso determinanti alcune scelte in particolari momenti di prova o di ricerca della volontà di Dio. Si può cogliere, soprattutto, la linea pedagogica usata da Dio per far nascere il carisma e per far maturare gradatamente e pienamente la risposta personale e la realizzazione del carisma nel gruppo. Ciò aiuterà anche noi Oblati di oggi, in quanto, oltre a penetrare più facilmente il carisma nel vivo della sua dinamicità, ci permette di cogliere e di conoscere l’iter formativo che, pur rispettando la vocazione personale e irripetibile di ognuno, ogni Oblato è chiamato a ripercorrere nelle tappe essenziali per assimilare e rivivere il carisma".

 


domenica 11 ottobre 2020

Claudio, un amico

 Claudio, un amico. È partito per il cielo in silenzio, in pochi giorni… 

Era la festa della Madonna del Rosario. A lei aveva dedicato il suo ultimo studio, che spero sia presto pubblicato.

Tra i suoi whatsapp trovo piccole perle come:

- Il 1° aprile del 1980 entravo in focolare a Palermo...: lo scherzo più bello che Dio mi abbia fatto in tutta la mia vita! 🙌😇🌈

- Oggi festa di s. EUGENIO de MAZENOD fondatore degli Oblati di Maria Immacolata!!! In festa con te Fabio e tutti i carissimi nostri fratelli Oblati nel mondo!

- Caro Fabio questa mattina mi sei venuto in cuore e così tra poco ti ricorderò a Gesù nella messa affidandoGli quanto porti nel tuo cuore.


sabato 10 ottobre 2020

Non sai cosa ti perdi, amico!

Il Signore preparerà “un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati” (Isaia 25, 6). 

Se Isaia scrivesse oggi eliminerebbe dal menù le vivande “grasse”. In ogni caso non sempre quando si va a un banchetto si va soltanto per mangiare. In effetti, sempre secondo il profeta Isaia, Dio invita alla sua mensa, preparato in cima a un monte, per mostrare il suo volto e farsi conoscere. Non solo, ma “Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto”.

Gesù ha in mente questa immagine di Isaia quando racconta la parabola del re che ha preparato il banchetto per le nozze del figlio. Una volta che gli invitati saranno seduti a tavola chissà che doni eccezionali riceveranno: entreranno nelle grazie del re con tutti i vantaggi che questo comporta.

È Dio che ha un tesoro da offrirci, l’intimità con lui: si darà a conoscere, eliminerà la morte per sempre, asciugherà ogni lacrima, ci farà traboccare di gioia… 

Chi se ne importa! Sedersi a tavola con Dio? E perché? Abbiamo i nostri panini. Ascoltare l’invito di Gesù? Abbiamo tanti altri inviti più interessanti: lo sport, internet, gli amici, la movida, gli affari… Grazie, un’altra volta, adesso sono impegnato.

Non sai cosa ti perdi, amico!

 

venerdì 9 ottobre 2020

Parlate a Dio come ad un amico

In questi giorni ho letto un testo di sant’Alfonso de Liguori che come sempre è un grande maestro della vera pietà popolare. Ecco il suo invito:

Prendete l’abitudine di parlare a tu per tu con Dio, familiarmente, con fiducia e amore, come con l’amico più caro che avete ed il più affettuoso. (...)

Non è richiesta un’applicazione continua dello spirito che vi faccia dimenticare gli affari, né il riposo. La sola cosa richiesta è, senza tralasciare le altre occupazioni, di comportarvi con Dio come agireste con le persone che vi amano e che amate, nelle diverse circostanze che si presentano. Il vostro Dio è sempre con voi, anzi dentro di voi: “In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17,28). Chi vuole parlargli non deve fare anticamera, per carità: Dio desidera vedersi trattare senza cerimonie. Parlate con lui dei vostri affari, progetti, preoccupazioni, paure, di tutto quanto vi interessa. L’essenziale, lo ripeto, è che lo facciate senza disagio e a cuore aperto. Dio infatti non parla all’anima che non gli parla e che perciò capirebbe difficilmente la sua voce, non essendo abituata a conversare con lui. (...)

È vero che dobbiamo sempre il massimo rispetto a Dio; ma quando vi fa il dono di sentire la sua presenza e vi spinge a parlargli come al migliore amico, lasciate andare il cuore liberamente e con tutta la fiducia.

giovedì 8 ottobre 2020

Città Nuova cambia: Cambia con Città Nuova

Con il numero di ottobre 2020 “Città Nuova” cambia veste... e altro!

L’idea di uno strumento che collegasse quanti erano entrati in contatto con il Movimento dei focolari si fece strada già nei primi anni del secondo dopoguerra. Divenne impellente con le Mariapoli, che dal 1950 cominciarono a tenersi all’ombra delle Dolomiti. Il 14 luglio 1956, sabato, la rivista vide la luce: 70 copie uscite da un ciclostile ad alcol. Al primo numero fecero immediatamente seguito le edizioni dei giorni 16, 20, 24 luglio e 1° agosto, con una tiratura che, dalle 70 copie dell’esordio, salì prima a 120 e a 150, poi a 180, per toccare il tetto delle tre centinaia ad inizio agosto. 

Dalle Dolomiti, la redazione si trasferì a Roma: un tavolino con due sedie, due biro e mezza risma di carta, il tutto inserito in uno stanzone da disbrigo e da dispensa, fra pile di libri, mazzi di ombrelli, materassi accatastati. Don Pasquale Foresi dirigeva l’iniziativa, Danilo Zanzucchi impaginava e disegnava, Guglielmo Boselli, Spartaco Lucarini, Gino Lubich e Giordani scrivevano, Bruna Tomasi batteva a macchina, Vitaliano Bulletti pensava alla spedizione. Il 15 gennaio 1957 fu distribuito l’ultimo esemplare tirato con il ciclostile: 4 mila copie. Poi qulcuno ricordò che da qualche secolo era stata inventata la stampa...

Per il solo mese di ottobre Città Nuova offre la possibilità di ricevere gratuitamente la copia cartacea o DFP della rivista. Per riceverlo basta scrivere a rete@cittanuova.it

 

mercoledì 7 ottobre 2020

Tenerezza / 4

Chissà perché, ma questo tema della tenerezza continua a trovare eco. Ecco quanto mi scrive un’amica dal Canada: 

è un grande privilegio condividere la tenerezza con i bambini con disabilità.  A volte è l’unico modo di comunicazione che possono avere e che possono comprendere.  La tenerezza è il mio messaggio diretto di amore per loro, con quale vorrei esprimere l’amore di Dio per loro. Ma è anche il messaggio che loro rivolgono a me. 

Quando i loro genitori prendono coscienza di questo amore che ho per i loro figli, sono anche toccati, si rendono conto che gli altri si prendono veramente cura del loro bambino tanto quanto loro (una tenerezza a un amore inviati solo da Dio!). 

A volte, ricordo ai genitori che quando arriveremo in Paradiso, tutte le nostre disabilità spariranno e che i loro bambini ci diranno la gioia che hanno provato in quello che abbiamo detto o vissuto con lui o lei; diranno quanto è stato importante per loro l’amore e la tenerezza che abbiamo mostrato loro.


martedì 6 ottobre 2020

Il segreto del Rosario: la semplicità

Chissà, forse la lettera sul Rosario che papa Francesco ha scritto a maggio scorso è passata un po' sotto silenzio… Vale la pena rileggerla – è così breve! – oggi 7 ottobre, nella festa della Madonna del Rosario:

È tradizione pregare il Rosario a casa, in famiglia... Perciò ho pensato di proporre a tutti di riscoprire la bellezza di pregare il Rosario a casa nel mese di maggio. Lo si può fare insieme, oppure personalmente; scegliete voi a seconda delle situazioni, valorizzando entrambe le possibilità. Ma in ogni caso c’è un segreto per farlo: la semplicità; ed è facile trovare, anche in internet, dei buoni schemi di preghiera da seguire…

Cari fratelli e sorelle, contemplare insieme il volto di Cristo con il cuore di Maria, nostra Madre, ci renderà ancora più uniti come famiglia spirituale e ci aiuterà a superare questa prova.

lunedì 5 ottobre 2020

Tenerezza / 3

Un’altra testimonianza di “tenerezza” che fa seguito al mio blog. Sempre una maestra della scuola per l’infanzia. Si vede che la tenerezza ha molto a che fare con i bambini. Ma non solo!

 Dopo tanta assenza a scuola, sono iniziate le lezioni in presenza... tanta confusione, tanta incertezza per il futuro, tanto bisogno di stabilità e i bambini forse sono quelli che soffrono di più ma in silenzio, il loro dolore non si sente, non fa rumore e nemmeno notizia... Parlo della vita semplice di ogni giorno.

La tenerezza, invece, il bambino è il primo a sentirla. Se io sono Gesù, il bambino che si abbandonano ai grandi, lo sente immediatamente. Dopo un po’' di timidezza, di sguardi “con occhioni grandi e pieni di lacrime”, stupiti, sembrano voler dire con sorpresa: “Oh, ma allora c’è qualcuno che mi vuole bene”! Così incominciano i “sospiri di sollievo”. Io asciugo le lacrime e inizia un rapporto di fiducia... Hanno sentito la tenerezza di Dio... Il bambino inizia a crescere, a staccarsi dalla mamma perché ha incontrato un’altra MAMMA, “Gesù” che gli vuole bene!

Non è affatto facile nel mondo in cui viviamo andare contro corrente e mettere tenerezza dove non c’è...

domenica 4 ottobre 2020

La Parola in noi, noi nella Parola


Pochi giorni fa, il 30 settembre, papa Francesco ci ha consegnato una Lettera apostolica per celebrare il 16° centenario della morte di san Girolamo.

Non credo l’abbia scritta lui, stile e linguaggio sono molto distanti dal suo modo di scrivere. È una lettera asciutta, e in questo senso rispecchia lo stesso Girolamo, rigoroso e sempre attento alla lettera.

Dallo scritto del Papa Girolamo appare un autentico gigante, che con la sua traduzione della Bibbia ha segnato la storia, la cultura, la lingua della Chiesa di tutti i tempi.

Bello l’esordio della Lettera, nel quale è racchiuso sinteticamente tutto il contenuto:

«Un affetto per la Sacra Scrittura, un amore vivo e soave per la Parola di Dio scritta è l’eredità che San Girolamo ha lasciato alla Chiesa attraverso la sua vita e le sue opere. (…) Questo amore si dirama, come un fiume in tanti rivoli, nella sua opera di infaticabile studioso, traduttore, esegeta, profondo conoscitore e appassionato divulgatore della Sacra Scrittura; di raffinato interprete dei testi biblici; di ardente e talvolta impetuoso difensore della verità cristiana; di ascetico e intransigente eremita oltre che di esperta guida spirituale, nella sua generosità e tenerezza. Oggi, milleseicento anni dopo, la sua figura rimane di grande attualità per noi cristiani del XXI secolo».

Altrettanto bella la conclusione nella quale Girolamo viene detto “Biblioteca di Cristo”, riferendo a lui le parole con cui Girolamo aveva definito Nepoziano: “Con la lettura assidua e la meditazione costante aveva fatto del suo cuore una biblioteca di Cristo”.

Scrive dunque il Papa: Girolamo è «una biblioteca perenne che sedici secoli più tardi continua a insegnarci che cosa significhi l’amore di Cristo, amore che è indissociabile dall’incontro con la sua Parola. Per questo l’attuale centenario rappresenta una chiamata ad amare ciò che Girolamo amò, riscoprendo i suoi scritti e lasciandoci toccare dall’impatto di una spiritualità che può essere descritta, nel suo nucleo più vitale, come il desiderio inquieto e appassionato di una conoscenza più grande del Dio della Rivelazione». 

 

Mi è sempre piaciuta questa  che è diventata la definizione di Girolamo, “Biblioteca di Cristo”. Egli ha talmente interiorizzato la Parola di Dio da averla tutta dentro.

Ma mi piace anche l’immagine contraria, quella che si riferisce a san Francesco d’Assisi, di cui Tommaso da Celano scriveva che egli “abitava” le Scritture: «Una volta, trovandosi a Roma in casa di un cardinale, fu interrogato su alcuni passi oscuri [della Bibbia] ed egli espose con tanta chiarezza quei concetti profondi, da far pensare che abitasse in permanenza le Scritture» (FF 691).

Sette secoli più tardi Paul Claudel scriveva a sua volta: «… non chiedetemi come leggo la Bibbia; io non leggo, ma abito il testo sacro, là è la mia stabile dimora».

La Parola in noi, noi nella Parola, in una reciprocità che arriva alla mutua immedesimazione, continuazione del Verbo che si fa carne.