giovedì 15 ottobre 2020

L’aceto, una spugna, una canna: un gesto vano

 


Un uomo soltanto sentì compassione.

Attorno c’era solo la gazzarra, il vilipendio, la derisione. “Ha salvato gli altri e non può salvare se stesso!... È il re d’Israele, scenda ora dalla croce e crederemo in lui…”. I passanti, i capi dei sacerdoti, gli scribi, gli anziani, gli stessi ladroni crocifissi con lui lo insultano e se ne fanno beffe.

Fino a quando Gesù esplode in quel grido inatteso e drammatico: “Elì, Elì, lemà sabastàni”. La natura si è resa conto di quanto sta accadendo e si fa buio su tutta la terra. Gli uomini invece continuano a sghignazzare: “Vediamo se viene Elia a salvarlo!”.

Un uomo soltanto sentì compassione. E corse a prendere una spugna, a inzupparla nell’aceto, a fissarla su una canna, ad accostarla alla bocca di Gesù.

Corse. Dove? Era così angusto lo spazio sul Golgota. Non c’era bisogno di correre. Quel verbo dice piuttosto la sollecitudine, la premura di quell’uomo anonimo che si è commosso sentendo il Figlio di Dio che grida l’abbandono di Dio.

È l’unico che si fa accanto a Gesù in tutta la Passione. Prima di lui Simone di Cirene, che gli prende la croce e se la pone sulle sue spalle. Ma non è mosso da compassione: è sequestrato e costretto a forza dai soldati. Quest’uomo anonimo dell’aceto non ha altra motivazione per quel suo gesto se non la compassione: con-passione, sente nelle sue ossa la stessa passione che Gesù sta vivendo sulla croce. E compie un gesto tanto gratuito e generoso quanto inutile, che non allieva per nulla la passione di Gesù. Infatti subito dopo Gesù grida di nuovo, come prima, forse ripetendo ancora: “Elì, Elì, lemà sabastàni”. E con quel grido sulla bocca muore.

Un gesto vano quello dell’uomo di cui non rimane nome, anche lui vano, svanito nel nulla.

Quando siamo davanti a qualcuno che soffre vorremmo fare chissà che cosa per condividere quel dolore, per con-patire con chi patisce. Spesso non indoviniamo, poniamo gesti inefficienti, vani, che svaniscono nel nulla. Rimane soltanto l’aver con-patito.

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