venerdì 16 ottobre 2020

La bellezza delle vocazioni

 


Sembra incredibile, ma ci sono ancora giovani che si decidono a seguire Gesù nella vita consacrata. Me li ritrovo davanti, una sessantina, da tutta Italia, con qualche presenza di altri Paesi europei. Ma c’è anche una vietnamita e due egiziane… Belli, sorridenti... lo si vede anche dietro le mascherine. Altri sono collegati via internet.

Inizio il mio corso sulla storia della vita consacrata. Con la solita premessa: contenti della vostra vocazione, ma senza montarvi la testa, non siete migliori degli altri. E parlo della bellezza delle differenti vocazioni della Chiesa, una più bella dell’altra.

Prima delle distinzioni punto sull’unità di tutto il popolo di Dio e ricordo le parole di Giovanni Crisostomo: «Gesù Cristo non usa né il nome di laico, né quello di monaco. Questa distinzione è stata introdotta dagli uomini. Le Scritture non la conoscono… È dunque un errore mostruoso credere che il monaco debba condurre una vita più perfetta, mentre gli altri possano fare a meno di preoccuparsene… Quelli che vivono nel mondo e i monaci devono arrivare a un’identica perfezione» (Contro gli oppositori della vita monastica, 3,14).

È quello che dirà il Concilio Vaticano II 1500 anni più tardi! «Non c’è che un popolo di Dio scelto da lui: “un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo” (Ef 4,5); comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia di adozione filiale, comune la vocazione alla perfezione; non c’è che una sola salvezza, una sola speranza e una carità senza divisioni» (Lumen gentium, 32).

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