mercoledì 31 marzo 2010

Corona: uso improprio n. 3

Uso la corona in altri modi “impropri”. Faccio scorrere ad esempio i dieci grani (quelli che si impiegano per le “Ave Maria”) più quello che divide le decine (per il “Padre nostro”) recitando con calma, in maniera meditativa, sia il Padre nostro che l’Ave Maria, scandendo le parole ad una ad una.


0: Padre nostro
1: che sei nei cieli
2: sia santificato il tuo nome
3: venga il tuo regno
4: sia fatta la tua volontà
5: come in cielo così in terra.
6: Dacci oggi il nostro pane quotidiano
7: rimetti a noi i nostri debiti
8: come noi li rimettiamo ai nostri debitori
9: e non ci indurre in tentazione
10: ma liberaci dal male.

0: Ave Maria
1: piena di grazia
2: il Signore è con te
3: tu sei benedetta fra le donne
4: e benedetto il frutto del tuo seno
5: Gesù.
6: Santa Maria
7: Madre di Dio
8: prega per noi peccatori
9: adesso
10: e nell’ora della nostra morte.

José Damián Gaitán de Rojas, professore di teologia spirituale a Madrid, mi comunica: Quello che hai scritto sull'"uso improprio" della corona va tanto d'accordo con la pratica tradizionale della preghiera a modo di ripetizione di parole, formule, litanie, ecc. Sono dell'indicazioni molto belle. Questo stile di preghiera serve tanto a fare proprie verità e realtà le più diverse, ed è via ad una vera e propria preghiera contemplativa di paradiso in paradiso. Certo, che sempre c'è bisogno come di un'anima, perché non diventi una cosa formalistica e vuota, cioè, di formule senza contenuto vitale. Questo metodo si può utilizzare pure come una realtà imposta dal di fuori, e allora può diventare una cosa negativa, come un lavaggio del cervello. È l'ambivalenza delle cose umane. Ma ecco lì anche la nostra sfida.

martedì 30 marzo 2010

Hai espresso quello che ciascuno di noi potrebbe scrivere

Hai espresso nel titolo di questo libro quello che ciascuno di noi potrebbe scrivere in una sua lettera aperta all'umanità di oggi: La Bibbia, storia di Dio e mia! Se è vero, com'è vero che tutto quello che è accaduto nelle vicende dell'A.T. dice S. Paolo, è accaduto come in figura (in enigmate) per noi oggi, quanto è vero che quell'oggi di Paolo è diventato anche il nostro oggi! Perché Gesù è presente nella sua Chiesa per la sua promessa, per il suo comandamento, per il suo corpo, per il dono dello Spirito dato sulla croce, lo stesso Gesù di 2000 anni fa, anzi.. disvelato nei secoli dai fondatori, dai carismi, dalla sapienza dei santi, dalla vita e riflessione della Chiesa e dunque la nostra storia (di oggi) è anche la Sua, che si porta dietro tutta la sua eredità culturale e storica del popolo d'Israele. Basta disvelarla, avvicinando i due orizzonti di significato che finiscono poi per intrecciarsi e creare quella “fusione d'orizzonte” che porta la mia storia in Lui e la Sua storia in me. Grazie, dunque, perché nei tuoi scritti come nelle tue parole (ricordo ancora la tua bellissima o-melia a Loppiano, seguita per televisione) dai corpo a quel sentire del cuore che il Signore suggerisce come in un bisbiglio di vita all'anima e di cui desidero mettere in comunione con te qualcosa (in allegato) di intimo. Pino Palocci

lunedì 29 marzo 2010

Perchè tanto spreco?

Era alla fine dell’università quando sentì la chiamata (ma cosa sentono, come lo sentono? il mistero permane e non me ne capacito). Gli amici insorgono contro il progetto folle: “Hai studiato tanti anni, stai per laurearti brillantemente, hai già proposte allettanti d’impiego. Sei impazzito?”.
I discorsi degli amici non lo scalfiscono di un’ette, tanto è forte e limpido il desiderio di seguire Gesù e di diventare missionario: “Ho imparato a costruire strade: ciò aprirà le vie al Signore!”.
Ma quando la laurea arriva veramente e le offerte di lavoro si fanno incalzanti e seducenti, il dubbio lo assale. Perché sprecare gli anni più belli? Perché sprecare tanto impegno e tanto studio? Per preparare le vie al Signore non mi servono i miei sette anni di università. Devo proprio buttarli al vento?
Anche quella mattina, come ogni giorno, entra in chiesa. Si legge il vangelo di Maria di Magdala che profuma i piedi di Gesù. In un intenso gesto d’amore la donna non soltanto lo aveva accolto in casa sua, ma aveva comprato un vaso di profumo di nardo di ingente valore e non esitò ad infrangerlo per Gesù. “Perché tanto spreco?”, si udì gridare mentre la fragranza dell’odore riempie la casa. “Lo ha fatto per me”, rispose Gesù.
Francesco ascolta quel dialogo con in mano la sua laurea di ingegnere: “Sì, anch’io l’infrango ai tuoi piedi, la spreco per te”.

domenica 28 marzo 2010

La storia di Dio e la mia

Tre anni fa, all’Avana, per tre serate consecutive, lessi e parlai della Bibbia con un centinaio di cubani. Oggi quell’esperienza meravigliosa è diventata un libro edito da Città Nuova, La storia di Dio e la mia.
Un titolo curioso, ma davvero la Bibbia è la storia di Dio e la nostra storia, racconta di Lui e di noi, di tutti noi, di tutti gli uomini e le donne che vivono oggi, che hanno vissuto e vivranno sulla terra.
La Bibbia mi appassiona come credente, perché so che in essa Dio mi parla con parole che possiedono uno spessore e una profondità che altre parole non hanno, siano esse di filosofi, di politici, di poeti. Per me sono «parole di vita»: contengono la vita e la comunicano, fanno vivere la persona umana in tutta la sua interezza.
Leggo la Bibbia ogni giorno, la studio, la prego, cerco di lasciarmi guidare dal suo insegnamento. Mi appassiona come uomo, amante dell’umanità, perché vi vedo dipinta la bellezza della natura; sento l’incanto e la meraviglia davanti allo sbocciare della vita in tutte le sue espressioni ed età. In essa ritrovo i grandi valori umani presenti in tutte le culture, i sentimenti comuni a ogni uomo, a ogni donna; incontro la saggezza di molti popoli; riconosco i comuni miti antichi; seguo le gesta paradigmatiche di uomini e di genti.
Mi appassiona come amante delle arti, perché vi ritrovo i simboli, le storie, i riferimenti che hanno ispirato letteratura e musica, scultura e pittura, poesia e teatro, impregnando di divino e di cielo il genio dell’umanità. Poeti, pittori, scultori, scrittori, musicisti, registi, hanno letto la Bibbia non soltanto come un immenso repertorio iconografico e simbolico, ma anche come uno dei codici fondamentali di riferimento espressivo e spirituale.
La Bibbia, «grande codice» dell’umanità, è il punto di riferimento imprescindibile della nostra cultura, la stella polare a cui si sono orientati tutti, credenti e non credenti, quando hanno cercato il bello, il vero e il bene, magari anche per respingerne la guida e vagarealtrove. Non ci si può non confrontare con questa grande opera. Non potrebbe essere anche una comune fonte di ispirazione per la vita di credenti e non credenti, giovani e adulti, o almeno il punto di partenza per un confronto critico per affinare il cuore e ricercare le motivazioni più profonde del vivere?

sabato 27 marzo 2010

Corona: uso improprio n. 2

Nei boschi dell’Ucraina ho inventato un altro uso improprio della corona di corda con 100 nodi (ma funzione anche con la corona mariana). Penso che Dio è Padre e lascio scorrere i grani della ciotky “ricordandogli” che è Padre del Signore nostro Gesù Cristo (e uno), che è Padre mio (e due), ma anche Padre di mio padre, e di mia madre (e due, e tre), e anche di quell’altra persona che conosco e che attende il suo aiuto, e anche di quell’altra che non crede più, e anche, e anche... Ma quanta gente conosco, e quanta attende una preghiera da me… e quale preghiera più bella che metterla nel cuore del Padre. E mentre gli ricordo che è Padre di lui o di lei, mi ricordo anche che lui o lei è mio fratello o mia sorella. E avanti, un nome dopo l’altro e la fratellanza si dilata…
Pensa, in questi due giorni di elezioni, quanti politici devo ricordare al Padre che sono figli suoi!

venerdì 26 marzo 2010

Corona: uso improprio n. 1

Ho già accennato alla storia della corona che, in forme diverse è passata di mano in mano: indù, buddhiste, cristiane, musulmane… Ognuno la usa in modo diverso, alcuni soltanto per sfregarla tra le mani e farne uscire un rumore che accompagna la preghiera. Quando nel 2000 sono stato in Ucraina ho scoperto la ciotky, una corona di corda con cento nodi che lì, nella tradizione orientale, serve per recitare la preghiera del cuore: una litania infinita nella quale si ripete costantemente il nome di Gesù.
Appena me l’hanno regalata ho iniziato il primo uso improprio di una corona. Penso che Dio è padre e lascio scorrere i grani della ciotky dicendogli che è grande, buono, onnipotente, radice, creatore del cielo e della terra. Gli dico: “Tutto ami, a tutto dai vita, tutto sostieni, misericordioso...”. A mano a mano che le dita lasciano passare ad uno ad uno i nodi del rosario nuovi nomi del Padre mi affiorano sulle labbra, sempre più veri, sempre più belli... Non pensavo fossero tanti. Ad ogni grano una realtà di Dio. Lo vedo nell’atto di generare il Figlio, lo vedo nell’atto di aspettare fiducioso il figlio minore che se n’è andato di casa... I cento grani della ciotky passano in un soffio, ma posso subito ricominciare pensando che Lui è Madre. L’amore si veste ora di nuove forme e di nuovi nomi e miei cento grani sono nuovamente vaporizzati. Ma posso chiamarlo fratello e amico, e sposo e l’amore si mostra sempre più profondo e la lode di Dio più adorante.
Poi passo al Figlio, Dio da Dio (un grano), Luce da Luce (un altro grano), Dio vero da Dio vero (un altro grano), generato non creato (un altro grano), della stessa sostanza del Padre (un altro grano), bellezza (un altro grano), splendore, forma del creato... Quando poi passo ai nomi di Gesù che trovo nel vangelo non mi bastano più 100 grani: Via, Verità, Vita, Pastore buono... La lode allo Spirito mi fa scoprire l’intimità stessa di Dio l’Amato, l’Amante, l’Amore...
Se mi ritrovo tra le mani la corona del rosario mariano con le cinque decine è lo stesso, la uso per far passare tra le dita tutti gli attributi e le lodi di Dio. Proprio un uso improprio…

giovedì 25 marzo 2010

Maria tutta carismatica

L’annuncio dell’angelo è un intervento del tutto inatteso nella vita di Maria (cf Lc 1, 26-38). Per quanto potesse essere preparata e pronta, grazie alla concezione immacolata, l’elezione ad essere madre del Figlio dell’Altissimo non era né prevedibile né dovuta. Perché “piena di grazia”, ricolmata della pienezza del carisma e della benevolenza di Dio? Perché scelta tra tutte le figlie di Israele? Perché lo Spirito creatore, datore dei carismi, scende proprio su di lei e l’Altissimo l’adombra con la nube della sua presenza? Per puro dono, per pura grazia. Non c’è un perché all’amore.
L’annuncio dell’angelo è annuncio di una missione: «Concepirai un figlio». Tutto è talmente nuovo e stupefacente che le prime parole di Maria sono un’esclamazione di meraviglia e insieme la richiesta di ulteriore illuminazioni per meglio comprendere come potrà realizzarsi il disegno di Dio e come lei potrà collaborare. Davanti a Maria si dischiude un futuro nuovo, una missione affidatale da Dio e che Dio stesso porterà a compimento.
Questo è il carisma, Dio che si rende presente nella storia perché ha un disegno d’amore da attuare. È una luce che si brilla nel cuore di una donna, di un uomo e svela un progetto divino. È un evento inatteso e talmente grande e nuovo da lasciare sorpresi fino al turbamento. È resa davanti alla Potenza dell’Altissimo, accoglienza piena e incondizionata, servizio alla Parola: «Ecco, sono la serva del Signore. La tua Parola si compia in me». È l’inizio di un evento che consente alla Parola di farsi carne, di farsi storia. Maria, terreno buono, custodisce la Parola rivelata e accolta, la lavora (meditava nel suo cuore), la fa crescere, la dona... Inizia l’interazione tra la Parola e Maria, tipo del dinamismo carismatico della Chiesa.
La Vergine è l’immagine della progressiva comprensione della Parola tramite i carismi. La Chiesa è la Vergine che, come Maria e perché fatta Maria, accoglie la Parola e in essa ogni parola del Vangelo, i carismi. La Chiesa è la Madre che, come Maria e perché fatta Maria, genera la Parola e fa fiorire tutte le parole, i carismi.

Così nel mio prossimo libro Carismi, Vangelo che si fa storia.

mercoledì 24 marzo 2010

A Mbassene la pompa funziona!

Oggi ho seguito con attenzione i telegiornali per vedere se davano la notizia che mi ha mandato p. Celso dalla Guinea Bissau, ma niente, nessuno l’ha trasmessa. Eppure è una notizia importante: “Ieri siamo stati nel villaggio di Mbassene per mettere a posto una pompa a mano di un pozzo, che non funzionava da tanto tempo. Ora funziona, come puoi vedere”. Per la gente del villaggio di Mbassene è una notizia di prim’ordine, vitale! Invece al telegiornale ho visto tante notizie... mortali. Peccato!

martedì 23 marzo 2010

Alla Garbatella quel 13 ottobre 1949

Ancora una giornata intensa di lavoro, quel 13 ottobre 1949, piena di contatti con persone le più varie: deputati, religiosi, casalinghe, studenti... Chiara Lubich era a Roma da pochi giorni e subito, assieme ad altre compagne… Era giunta la prima volta nella capitale due anni prima, nel 1947… Adesso, nell’ottobre del 1949, dopo un’estate di fuoco sulle Dolomiti, era nuovamente in città. Aveva preso dimora in un appartamento alla Garbatella, in piazza Oderico da Pordenone, 1; quartiere appena fuori città, nelle vicinanze della basilica di San Paolo fuori le mura. Era una zona storicamente "rossa" ed operaia, con costruzioni moderne, disegnata come borgata a misura d'uomo, nell’alternanza di antiche villette di sapore medievale, condomini moderni, spazi verdi e ambienti pubblici.


Così inizia un mio articolo apparso sull’ultimo numero di Unità e Carismi. Riporto due testi inediti di Chiara Lubich rispettivamente del 13 ottobre 1949 e del 2 settembre 1950. Il primo è una sua esperienza, il secondo una meditazione frutto dell’esperienza. Il confronto fra i due scritti mostra come Chiara donava le sue esperienze traducendole in sapienza.

Mi giunge intanto un primo riscontro: Ho letto il tuo articolo su Unità e Carismi sul come donare l'esperienza: è stupendo lo farò leggere ad altri. Il brano del diario di Chiara e la prima stesura della meditazione su Maria mi hanno commosso, senza fare paragoni mi ci sono ritrovata. Questo numero della rivista è bellissimo me lo leggerò pagina dopo pagina gustandomelo, grazie per il lavoro che svolgete per tutti.

lunedì 22 marzo 2010

Formichine sì, formichine no

Una suora del Cottolengo scrive:Ho letto il commento sulle formichine sul blog e visto la foto sul sito di Città Nuova e relativo commento alla mattinata di sabato.
A me era piaciuta l'idea delle formichine non tanto "perchè tutte uguali, tutte che si muovono all'unisono". Di fatto se appena conosci un pò le suore ci si rende conto che non è così, anche quelle del Cottolengo, anche le più anziane; anche se qualcuno ancora oggi tenta di livellare tutto e renderci tutte uguali. E' più facile "gestire" la comunità. Tanto non ci si riesce...
Mi era piaciuta l'idea della forza nascosta, del cuore che solo Dio vede. Coglie ciò che ci ha insegnato il Cottolengo: tagliare corto dove gli altri filano lungo, le opere di Dio devono appalesarsi da sè sole e tanto meno se ne parla tanto meglio riescono. Con questo non voglio dire che non bisogna dire e dirsi le meraviglie che Dio compie "L'anima mia magnifica il Signore ...Grandi cose ha compiuto in me l'onnipotente", ma anch'io sono scevra dalle esaltazioni di me stessa e delle cose che si fanno. A me dicono che la penso così perchè sono "di clausura", Forse...
Forse il fatto che le suore del Cottolengo non l'abbiano mai particolarmente colpita rientra un pò nella loro identità. lavorare, pregare studiare ma sempre in Domino...
Anche se a volte questo è stato un pò travisato.
Pensieri a caldo di chi ha appena letto...
Deo gratias e a risentirci

Le formichine non mi piacciono

Metto in comune un messaggio che mi è arrivato:
Vedo sul sito web di Cittanuova un bel riassunto della giornata sulla vita consacrata celebrata all'Urbaniana il 20 marzo. Anche il tuo comento sul blog. Ma mi domando: da dove hanno tirato fuori quella fotografia? Non ce n'è una bella fotografia dell'incontro di ieri o un'altra che risponda meglio al carisma di Chiara per la vita consacrata? Quella di adesso sembra corrispondere di più a quello che hai scritto recentemente sul tuo blog sulle suore formichine. Certo che quella visione aveva, e forse ancora ha, dei valori. Ma io preferisco l'altro discorso del "sinodo delle donne". E penso che anche santa Teresa d'Avila, santa Teresa de Lisieux, Edith Stein e Chiara, tra tante altre, sarebbero dello stesso parere. Anche certe visioni della Madonna hanno servito per tenere sottomessa la donna; la figura di Maria come appare nel Magnificat è un'altra.

sabato 20 marzo 2010

Unità e Carismi compie vent'anni

La prima volta che partecipai ad un incontro al Centro Mariapoli di Rocca di Papa, nel settembre del 1970, rimasi affascinato dalla varietà dei religiosi presenti, espressione della grande diversità carismatica con la quale lo Spirito Santo fa sempre nuova la Chiesa e piena di vita. Ognuno di loro usava ancora indossare l’abito caratteristico che li rendeva, ai miei occhi di giovane non ancora religioso, persone di riguardo. Sembravano portare su di loro, quali legittimi eredi, il peso di antiche tradizioni, di storie di santi, di grande dedizione alla Chiesa e ai popoli. Nello stesso tempo li vedevo contenti, freschi, giovani, come fossero alle origini delle loro famiglie, i primi compagni dei fondatori. Era come se un sole li illuminasse, ravvivando i colori dei loro carismi. Era come se un’unica acqua rinverdisse le piante secolari dei loro Istituti. Erano affascinati dall’ideale dell’unità. “Tutti uno”, anche Francescani e Gesuiti, Domenicani e Carmelitani, Pallottini e Redentoristi…
Rimasi colpito dal rapporto che c’era tra loro: una fraternità che sembrava abolire ogni diversità, la volontà di camminare insieme sulla via della santità, la totalità della loro scelta di Dio. Pochi giorni dopo ci sarebbe stata la mia consacrazione a Dio. In quell’incontro decisi che avrei vissuto la vita religiosa insieme con loro. Nell’unità avrai trovato la linfa costante che avrebbe alimentato il carisma che Dio aveva dato alla mia famiglia religiosa.
In quei primi incontri di religiosi al Centro Mariapoli di Rocca di Papa e poi sulle Dolomiti e poi nelle nazioni più diverse era già abbozzato il programma della nostra rivista: comunicare tra di loro e con tutta la Chiesa la sapienza di cui Dio ci aveva fatto dono e i frutti di vita che essa aveva portato; leggere alla sua luce le attese e le sfide e lasciarsi da essa ispirare nel trovare le risposte; spalancarsi sui nuovi orizzonti che lo Spirito oggi dischiude e portare a compimento aspetti ancora germinali insiti nei carismi.
È parte dell’editoriale del primo numero del 2010 di “Unità e Carismi”, giunto al so ventesimo anno di vita. Oggi nell’aula magna dell’Urbaniana, all’incontro di studio organizzato dal Claretianum e dal Movimento dei focolari, tante esperienze, una più bella dell’altra. Ho pensato che potevo aggiungere anche questa mia, piccola piccola.

venerdì 19 marzo 2010

Si racconta che, quando David ebbe finito il libro dei Salmi, si sentì molto orgoglioso. Egli disse a Dio: “Padrone del mondo, chi fra tutti gli esseri che hai creato canta più di me la tua gloria?”. In quel momento sopraggiunse una rana che gli disse: “Davide, non inorgoglirti! Io canto più di te in onore di Dio” (Sefer ha-haggadah).


Giorno dopo giorno in questi mesi ho pregato con i salmi, uno al giorno, accompagnati dal commento di Ravasi. Oggi sono giunto all’ultimo salmo, che termina coinvolgendo tutti nella lode al Signore: «Ogni essere che respira dia lode a Jhwh!».

giovedì 18 marzo 2010

Guinea Bissau: dal mio amico Celso

Ciao Fabio! Domenica sono stato in un'isola, chiamata Carabane, per una preparazione alla Pasqua con un gruppo del Gana. Venivano anche dalle isole vicine, cantando e a suon di tamburi. Ti mando una foto con una canoa e un gruppo di loro mentre arrivano. E' stata una bella giornata.

mercoledì 17 marzo 2010

Formichine, la forza nascosta


Sono in compagnia di una persona originalissima, Giuseppe Benedetto Cottolengo. Sto seguendo una tesi sulla sua opera, la “Piccola casa”. Mi sono tornate in mente le formichine…
Me le trovai davanti la mattina presto, nella penombra della grande chiesa del Cottolengo a Torino. Un centinaio. Tutte nere. Tutte rigorosamente uguali come lo sono le formichine nere. Non si distinguevano le une dalle altre come avviene per tutte le formichine nere.
Avevo trascorso quattro anni dei miei studi al Cottolengo di Torino, ma le suore del Cottolengo non avevano attirato la mia attenzione, come abitualmente non l’attirano le mille formichine nere che si agitano laboriose sui terreni.
Adesso mi sembrava di vederle per la prima volta. Pregavano all’unisono, si alzavano all’unisono, si segnavano all’unisono, s’inginocchiavano all’unisono, lasciarono la chiesa all’unisono. Ma prima che se ne andassero m’ero preso il tempo per guardarmele ad una ad una, per quanto me lo consentisse la luce scarsa, nel tentativo di cogliere qualche eccentricità, qualche differenziazione, o almeno qualche caratterizzazione che le distinguesse l’una dall’altra. Forse era la lontananza del mio punto d’osservazione, ma non notavo alcuna diversità. Formichine.
Vent’anni, quaranta, cinquanta e più e più. Sempre lì, accanto agli stessi ammalati, ai corpi rattrappiti, alle menti lontane, come madri che assistono con amore i figli. Sempre lì, nei lunghi corridoi con le tante stanze, luoghi non più anonimi perché da loro resi casa, persone non più sole perché da loro fatte famiglia.
Vent’anni, quaranta, cinquanta e più e più. Gli stessi gesti ripetuti da quando erano giovani. Lavare mani rattrappite, accarezzare un volto sbilenco, imboccare chi non ha più braccia, giocare col bambino deforme, consolare il rantolo del vecchio, pettinare i capelli su un volto spento…
Chi si ricorda più di loro? Chi le conosce? Nascoste nel villaggio del dolore e dell’amore, con i brevi tragitti dalla chiesa all’ospizio, dalla cella all’orto… Ignote ai più. E se lo scoraggiamento avesse il sopravvento? E se facesse capolino la vanità e la voglia d’apparire? E se pretendessero finalmente d’essere loro oggetto d’attenzione e d’amore? E invece rimangono lì, fedeli, dimentiche di sé, dedite a quegli infelici che, grazie ad esse, non sono più tali.
Formichine? Sì, al mio sguardo superficiale. Ma all’occhio di Dio ognuna è diversa, singolare, unica. Lui le conosce ad una ad una, irripetibili capolavori dall’inestimabile valore.

martedì 16 marzo 2010

Anche i monaci buddhisti nel movimento dei religiosi?

Nel mio primo viaggio in Thailandia, 20 anni fa, i monaci buddhisti li vedevo da lontano. Scattavo foto di nascosto, cercavo di carpirne qualche segreto, ma continuavano a rimanere inaccessibili, forse mi incutevano anche un po’ di timore. Poi Chiara mi ha coinvolto negli incontri di dialogo buddhista-cristiano e quelle persone misteriose, avvolte nei semplici abiti arancione del buddhismo theravada o in quelli neri e ricercati del buddhismo mahayana, hanno acquistato volti concreti di amici e di fratelli, con nomi e storie personali. Lentamente ho imparato a conoscerli, sia a Roma, che in Giappone, come pure nei successivi viaggi in Thailandia.
Così inizia il mio breve articolo appena apparso sulla rivista “Mariapoli”, con il titolo "Anche i monaci buddhisti nel movimento dei religiosi?"

domenica 14 marzo 2010

«A rivederci», mi ha detto l’ultima volta che l’ho incontrata

10 anni fa la cittadinanza romana a Chiara Lubich. Oggi, anniversario della sua morte, in Campidoglio, in un pomeriggio intensissimo ho partecipato alla rievocazione di alcuni dei suoi momenti più belli: in USA con i musulmani, in Africa a Fontem, in Brasile con l’economia di comunione, a Roma nell’azione Roma-Amor… Numerose le testimonianze.
Due anni fa, mentre Chiara stava morendo, partii per Cuba. In aereo scrissi:
«Nessuno è mai tornato dall’al di là a dirci se il cielo esiste veramente». Quante volte abbiamo ascoltato o forse pronunciato parole simili, soggiogati dal dubbio, specie quando vediamo ricoprire di terra persone care.
É vero, nessuno è mai tornato. Ma c’è chi vi è andato! pur rimanendo tra noi. Sono i mistici, uomini e donne rapiti nell’estasi, che hanno udito e visto le cose del cielo. Chiara è una di questi.
Donna del nostro tempo è aliena da fenomeni estatici, manifestazioni esteriori, particolari languori. Eppure, figlia nel Figlio, è stata introdotta dallo Spirito nel seno del Padre. Donna di comunione ci ha resi partecipi di quanto ha visto («non con questi occhi – era solita ripetere –, ma è proprio come vedessi…»), e ci ha messo in cuore una struggente nostalgia di Paradiso.
La sua non è stata l’esperienza di una mistica solitaria e isolata. Ella ha saputo coinvolgerci in essa al punto da renderci consapevoli delle realtà più vere e profonde nelle quali siamo immersi: «Siamo tanto in Dio da essere l’intimo di Dio».
Ma se noi siamo lì, in Dio, anche chi grazie alla morte dimora lì vive qui con noi. E’ come se Chiara avesse squarciato quella impenetrabile barriera che separa cielo e terra e ristabilita la comunione, mai interrotta, tra morti e vivi: «Io li sento vicini: sento che mi aspettano».
Quali rapporti tra loro e noi? Loro sono coinvolti dalla comunione dei Tre, che vivono l’uno per l’altro, l’uno nell’altro, l’uno dell’altro. Noi possiamo vivere la stessa vita del cielo, perché Gesù l’ha portato da lassù, condensandola nel comandando dell’amore scambievole. Ed anche tra cielo e terra c’è lo stesso legame d’amore che va e che viene: «No, non sono perduti i nostri fratelli… Essi vivono nella celeste patria e, attraverso Dio, in cui sono, possiamo continuare ad amarci a vicenda». Noi li amiamo ricordandone esempi e parole, onorandone le tombe, invocandone l’aiuto. Loro ci amano standoci vicino, in-tercedendo per noi. Siamo un’unica famiglia in attesa di riunirci. «A rivederci», mi ha detto l’ultima volta che l’ho incontrata.

sabato 13 marzo 2010

Carismi, salvaguardia e sviluppo della novità


Eccellente il seminario che oggi si è concluso all’Istituto teologico Sophia. Mi ha colpito soprattutto la metodologia e il coinvolgimento di tutti. Il prossimo numero della rivista “Sophia” ne riporterà gli atti. L’inizio del mio intervento non è stato come lo avevo preparato, ma l’ho formulato, “nuovo”, nei seguenti termini:
“Non c’è niente di nuovo sotto il sole” (Qoèlet 1,9). L’affermazione cinica di Qoèlet è sconfessata dall’evento Cristo. È avvenuto qualcosa di radicalmente “nuovo”: Dio si fa uomo. In Cristo è ormai tutti nuovo ed è lui la radice di ogni innovazione.
Nel “Nuovo” Testamento Gesù parla di comandamento nuovo, nuova alleanza, otri nuovi; i suoi discepoli parleranno lingue nuove; nuova e mai udita è la sua dottrina. Paolo conosce una pasta, un uomo, una creatura, una via nuovi.
La novità è ormai data, definitivamente. Gesù lascia tuttavia intravedere una ulteriore novità, escatologica. Ecco allora la creazione nuova, nella quale si berrà un vino nuovo. L’Apocalisse mostra la novità escatologica dove tutto sarà nuovo: nome, cantico, cieli e terra, Gerusalemme… tutte le cose sono nuove.
Tra il nuovo dell’evento Cristo e il nuovo escatologico il vecchio è in agguato: “il vecchio mangia il nuovo”. La tentazione della Chiesa è quella di ripiegare sul passato, sul già vissuto perché offre più sicurezze e richiede meno impegno.
A salvaguardia della novità evangelica Gesù manda il suo Spirito. I carismi sono gli interventi dello Spirito nella storia della Chiesa volti a garantire la novità evangelica, a esplicitare le novità germinali in essa contenuta, e a guidare la Chiesa e con essa l’intera creazione verso la novità escatologica.

venerdì 12 marzo 2010

La Summa theologica e il tappo dello champagne

Sono a Loppiano, all’Istituto Universitario Sophia per il Seminario accademico (12-13 marzo 2010) dal titolo “L’innovazione culturale. Fenomenologia e prassi”. Dovrò intervenire sul tema “I carismi e l’innovazione culturale nella storia della Chiesa”. Il titolo che ho dato alla mia relazione può sonare un po’ strano: “La Summa theologica e il tappo dello champagne”. Non sono tutte e due una innovazione culturale? Se per cultura si intende tutto il vissuto umano nelle sue più varie espressioni… e il tappo dello champagne, come lo stesso champagne sono invenzioni dei benedettini…

Inizio così il mio tema:
Niente di più spirituale… dello Spirito Santo. Ma lo spirituale non si contrappone al vissuto storico concreto, non è avulso dalla realtà umana in ogni sua dimensione. È proprio per opera dello Spirito Santo che il Verbo prende carne nel seno della Vergine Maria e si fa uomo, entrando nel tessuto storico del suo tempo e della sua cultura, diventandone protagonista. È per opera dello Spirito che Gesù di Nazaret, nella sua morte e risurrezione, è proclamato Signore e penetra intimamente nel cosmo e nella storia d’ogni tempo per portarli al loro compimento.
Così è di tutto quanto è toccato dallo Spirito. Ogni uomo, ogni donna da lui resi “spirituali” sono da lui resi co-attori della sua azione ricreatrice. I doni che egli effonde su di loro, i carismi, non li sottraggono alla storia, anzi li abilitano ad operare in essa con nuova lucidità ed energia.
Il carisma accende una luce non soltanto sul mistero di Dio, illumina non soltanto il volto di Cristo e le sue parole dilatando l’anima su sguardi di conoscenza sempre più ampie e profondi e infondendo il dono della sapienza, ma creano anche una nuova capacità di leggere i “segni dei tempi”. Poiché lo Spirito scruta e conosce i segreti di Dio (cf 1 Cor 2, 11), sa scrutare e riconoscere anche i segreti del cuore dell’uomo e li rivela a quanti egli chiama a collaborare alla sua opera di salvezza. Dà loro occhi nuovi per vedere le urgenze della Chiesa e della società civile; li porta a percepire in profondità i concreti bisogni, le necessità, le aspirazioni, gli aneliti e i gemiti più profondi della gente che vive attorno ad essi, fino a suscitare il desiderio di offrire una risposta adeguata impegnandosi in prima persona.

mercoledì 10 marzo 2010

Un pensiero che ti porta

Una meditazione al giorno, per quindici giorni. È così che ho letto il libro di Florence Gillet. Mi piace che ogni testo di Chiara viene contestualizzato. I commenti sono molto delicati, rispettosi, invitanti a vivere.

martedì 9 marzo 2010

Ancora sulla Thailandia

Sulla rivista Missioni OMI una lettera ai lettori per raccontare ancora della mia esperienza in Thailandia... (clicca qui). Intanto riguardo al glob ecco ancora un messaggio: "Grazie per tutti questi pensieri , i tuoi e quegli di tanta gente che non conosco ma che mi fanno dono delle loro riflessioni; mi sembra in questo modo di crescere nel cuore e nella mente, è grazia di Dio che si manifesta attraverso il prossimo".

lunedì 8 marzo 2010

La grazia e l’impegno

“Quando hai sentito la vocazione?”. Domanda semplice, che abbiamo rivolto mille volte a religiosi, sacerdoti e suore. La rivolgo anche al giovane monaco buddhista che mi accompagna nella visita al monastero. Appena formulata mi mordo le labbra: domanda sbagliata! Nel mondo buddhista, non c’è nessuno che ti chiama, non c’è nessuno che ti salva.
È l’inizio dell’editoriale pubblicato su “Missioni OMI” (clicca qui) nel quale rievoco ancora impressioni dalla Thailandia.
Sul glog: Ho appena letto il tuo blog e mi congratulo con te perché con i tuoi messaggi di inspirazione e provocazione non solo fai pensare la gente ma susciti il coraggio e concedi lo spazio per manifestarsi con il "bello" e la "ricchezza" che portano con sé e che vale la pena condividere piuttosto che tenere nascosto. D'altra parte non ci ricorda Gesù' che la lu-ce va messa sul candelabro e non sotto letto, affinché chi entra veda la luce? (Firmato)

domenica 7 marzo 2010

C'è qualche altro che cerca l'ispirazione nei Vangeli

Ho letto il tuo ultimo post (Dove trovare l'ispirazione?) e ne sono rimasta colpita.Quello che hai scritto è talmente vero, così sofferto da commuovere, nel senso etimologico del termine, e insieme restare assorti di fronte a questa civiltà incivile che dilaga. Tutti contro tutti, chi urla, chi spinge, chi ruba. Nessuno per nessuno. Salvezza? Il Vangelo. Sul mio comodino ho la copia che mi regalasti quando ci conoscemmo, ormai tanti anni fa. Prima di addormentarmi, leggo. Ne leggo un numero di linee sempre variabili, può capitare di fermarmi subito perché la parola è più grande di me e non ne sopporto il peso oltre. Mi è caro questo spegnere lo sguardo nella grazia e nella verità Sua. Al mattino è quasi corsa, la lettura è meno filosofica ma più pragmatica, mi aiuterà nell'oggi, ad essere migliore, meno ipocrita, più buona, leale. Fin da bambina ho sempre pensato che Gesù fosse da qualche parte a guardarmi, a seguirmi nella vita indicandomene la via, poi mi arrabbiavo perché mi ricordavo che dovevo essere atea, come tutti gli intelligenti. Eppure continuavo: sempre da bambina mi sussurravo, comportati come se ti vedesse sempre, così non sbaglierai. Aveva ragione san Bernardo a temere l'oscurità: è al buio che l'anima si complica, sbattendo di cecità. Il vangelo è luce e non si tratta di metafora stucchevole, è luce vera.
Questo mio paese non lo comprendo davvero più. La vita politica è degradata per colpa di tutti, in parlamento le parole dignità e decoro sono scomparse. Onestà e rettitudine non vi abitano da decenni. Ho paura di un paese furbo, mercenario ed intollerante. In questo paese i deboli, i timidi, i malati, i lontani, sembrano non avere più diritto di cittadinanza. Spero nella buona parte del mio paese che amo, spero e credo.
Grazie per la tua presenza. (Messaggio firmato)

sabato 6 marzo 2010

Dove trovare l'ispirazione?

«Leggo ogni giorno i Vangeli… per me è come dare ogni giorno la corda all’orologio…». Così faceva Federico Sciascia quando, ancora pochi anni fa, ogni mattina, appena svegli, si caricava l’orologio. Era un’operazione meccanica, automatica, che dava il senso di un nuovo inizio, del tempo che riparte. Oggi non è più necessario, l’orologio è alimentato dalla batteria. Ma forse ciò di cui ci sarebbe ancora bisogno è iniziare la giornata con una carica ideale, ammorbati come siamo da tanta stupidità quotidiana riversataci addosso come cultura, dalle risse politiche, specie in tempo di elezioni, dalle polemiche della magistratura, dalle notizie sulla corruzione amministrativa.
L’organismo umano e la mente si assuefanno al peggio, per un meccanismo salutare di autodifesa, e producono anticorpi contro le tossine sociali. Si salva l’equilibrio psichico ma insieme si affievolisce o si spegne la speranza del nuovo, lasciando il posto al cinismo o all’apatia. Possiamo attenderci ancora qualcosa di bello? Si aprono ancora davanti a noi proposte creative per le quali valga la pena impegnarsi e lottare? E se ogni mattina si accendesse un lampo di ispirazione al vivere quotidiano? Chissà che non si possa cercare un senso alla giornata proprio nel Vangelo, come faceva Sciascia, o il drammaturgo Bertolt Brecht che confidava: «Quale libro leggo di più? Non ridete: la Bibbia». Anche Mario Luzzi, da grande poeta, scriveva candidamente: «Tutta la poesia moderna non potrebbe prescindere dal Vangelo. Il Vangelo è poesia esso stesso nel senso di poiesis che crea l'esigenza di pensieri, crea pensieri nuovi, esalta l'esistente e l'essente nello stesso tempo. Fa sentire così vivo il mondo…».
Siamo ancora in attesa che Benedetto XVI ci doni l’Esortazione apostolica a seguito del Sinodo sulla Parola di Dio nella vita della Chiesa. Si rivolgerà ai cristiani per indicare nel Vangelo la bussola per un orientamento sicuro nella giungla delle idee (o della mancanza di idee). Ma un libro così va ben al di là d’ogni credenza. Vale la pena tenerlo sul comodino, per dare la carica alla giornata.

venerdì 5 marzo 2010

Ho due cittadinanze ma continuo ad essere straniera – Occhio per occhio / 3

Apprezzo la riflessione che hai avviato attorno alla tematica "uno per uno..." e alla “misura” secondo giustizia. Anche a me hai portato alla riflessione sulla tematica... Quan-do si vive una vita da missionaria “ad gentes” (e questo lo dico con una esperienza di 42 anni sulle spalle), una delle esperienze che viviamo, in un certo senso, è il trattamento ri-servato all’immigrante.... Egli sarà sempre un “povero sociale” e nel senso biblico... Fa-cilmente viene considerato colpevole perché diverso, ignorante e senza “diritti’ perché straniero...
Come cristiani la risposta ci verrebbe subito da Gesù che c’invita ad offrire l'altra faccia, al perdono, ad amare il nemico, ecc... Ma nel caso l’altro non la pensa come Gesù, certamente il dialogo con l’altro, specialmente il dialogo della vita, ci aiuta a chiarire l’idea e perfino a trovare la giusta "misura", oltre che il valore presente nell’altro, il quale non sarà più “un nemico e colpevole” , semplicemente perché diverso o straniero...
Sono sicura di questo e so per esperienza che dopo il dialogo sincero e leale l'altro e il diverso - anche l'immigrante - lo scopriamo come una persona che ci arricchisce perché ha anch’egli e anche lei qualcosa da offrirci. Ho due cittadinanze – che mi servono soltanto per presentarle all’ufficio della questura e negli aeroporti – ma come missionaria continuo ad essere “straniera”; anche se ne avesse 10 di cittadinanze non mi sarebbe ancora suffi-ciente. Per una missionaria il mondo intero è la sua patria, ma non deve dimenticare che la sua Patria vera, il suo traguardo, è il cielo.

giovedì 4 marzo 2010

non trovo differenza alcuna tra il chiedere uno o venti - Occhio per occhio / 2

Una ulteriore opinione, che arricchisce la riflessione.
Era molto più umana la legislazione che, per uno, chiedeva il risarcimento di uno: perché non trovo differenza alcuna tra il chiedere uno o venti? Questa umana legislazione non è alla base della pena di morte? E che forse non è, questa, pratica disumana? Gesù è quella luce vera che illumina tutti gli uomini, come ci dice Giovanni. Tutti, appunto. Per quale fondamento giuridico e filosofico potrei io, offesa, pensare di spegnere una di quelle luci, anche se per miseria sono, queste, offuscate? Recentemente sono ritornata in visita alle fosse ardeatine e la commozione che ti assale davanti a quella distesa di nomi, di anonimi, di vite, di speranze è davvero immensa e non penso che l'immensità possa dipendere dal numero. Scorrendo con le mani il profilo delle bare, una accanto l'altra, mi rendevo conto di non "contarle", calavano nel cuore tutti come uni, uno + uno + uno...teoria che non potrà fare mai somma. Non so se sono stata chiara

Perché chiudere gli occhi davanti alla realtà? Occhio per occhio /1

Mi è giunta la prima risposta:
A dire il vero mi ha un po' sorpresa non quello che lei scrive, ma l'ipotetica censura dell'editore!!! E mi domando: perché chiudere gli occhi davanti alla realtà? Perché continuare ad anestetizzarci di fronte al male o ad esorcizzarlo, magari negandolo? A me non è capitato di leggere un cartello del tipo descritto (ma l'aria che respiriamo è satura di questo gas ma-lefico!), ma se esiste o in qualche tempo è esistito non si può lasciare che continui a "grida-re" col suo essere - o essere stato - in bella mostra, minando le coscienze sempre più fragili di tanti italiani che tranquillamente si definiscono cristiani e cattolici, eppure vogliono vi-vere in pace identificando sempre nell'altro, lo straniero o l'immigrato, il capro espiatorio del male presente nella società. E noi, che crediamo in certi valori, dovremmo stare alla finestra e giustificare magari con la prudenza in nostro rimanere inerti??? Credo che una re-azione di questo genere ci renderebbe conniventi!!! Non riesco a capire poi a chi quell'af-fermazione può risultare "disturbante"... Non so se ho centrato il problema, né se le mie riflessioni a caldo servono a qualcosa... Posso solo dire che credo in quello che ho scritto e condivido perfettamente la sua conclusione: dietro a questa tendenza c'è davvero la caduta del valore e del rispetto per la persona umana. Grazie per questa opportunità di riflessione. Buona serata

Inflazione della persona umana

Sto correggendo le bozze del mio nuovo libro: La storia di Dio e la mia.
L’editore è perplesso se lasciare o meno una frase che definisce “molto forte”.
La trascrivo, nella speranza che qualcuno mi dia un parere:

La legge del taglione, comune a tutta l’area mediorientale, è fatta propria
della Bibbia, ma è applicata esclusivamente al colpevole,
non a una terza persona. «Occhio per occhio, dente per dente»
è divenuto un proverbio per indicare la vendetta. Tutto il
contrario. Il risarcimento per un danno o un’offesa deve essere
sempre proporzionato. Fosse stato sempre così, nella storia
umana non avremmo conosciuto le decimazioni (non uno per
uno, ma dieci per uno!). Non avremmo avuto le Fosse ardeatine...
Su un pannello stradale vicino all’edicola dove compro
il giornale leggo da tempo la scritta: “Per ogni italiano ucciso,
derubato, violentato, venti di loro”, dove i “loro” sono evidentemente
gli immigrati, senza distinzione tra chi ha o non
ha il regolare soggiorno, tra chi ha assunto la cittadinanza italiana
e chi non ancora. Era molto più umana la legislazione
che, per uno, chiedeva il risarcimento di uno. Oggi, l’inflazione
della persona umana è arrivata al punto da esigere venti
per uno!

martedì 2 marzo 2010

Padre Zago, il mio maestro

Grazie per avermi fatto ricordare il mio "maestro" in missiologia - Marcello Zago.
Quando ho iniziato i miei studi l'ho avuto come professore all'Urbaniana ma subito mi è diventato un "maestro" lui stesso come missionario.
E' vero - lo confermo anch'io - che lui ci ha lasciato come testamento l'invito al dialogo! E basterebbe che assimilassimo questo suo testamento per fare dei "miracoli" nella nostra missione come avvenne con Gesù incontrandosi con la samaritana...
Ero al primo anno di missiologia e sono stata subito colpita da questa "consegna" di. P. Zago - il dialogo - tanto che avevo deciso di fare la mia tesi di baccalaureato e, magari, poi di licenza, con lui, sul "Dialogo personale" nella Catechesi (baccalaureato) e nella e-vangelizzazione (licenza).
Ma il piano di Dio ha cambiato i miei perché dopo pochi mesi di scuola egli è diventato Superiore Generale e non ha potuto accompagnare la mia tesi sul "Dialogo personale nella Catechesi" (baccalaureato), mettendo appunto qualcosa di quanto avevo imparato da P. Zago. Con lui mi sono immersa alla "scuola" di un altro grande maestro Paolo VI. Come parlare di dialogo senza andare a sentire Paolo VI nella sua "Ecclesiam Suam"?
Oggi mi hai fatto rinvenire alla memoria tutto questo e, soprattutto, mi sono sentita risuonare l'invito a rivedere il nostro essere e metodo missionario, quanto corrisponde a questa "consegna" di P. Zago, ossia come viviamo il dialogo nella vita e nella missione, special-mente nel contatto con chi la pensa diverso da noi. Sr. Dulci

lunedì 1 marzo 2010

Marcello Zago, uomo del dialogo

Quando è partito per il cielo, il primo marzo 2001, ci ha lasciato come testamento l’invito al dialogo:
“Ogni persona umana è ciò che c’è di più grande nell’universo, è degna di ascolto e di rispetto. È un mistero che si svela solamente con il dialogo. Essa si realizza e si perfeziona nel dialogo e nella comunione interpersonale […]. Se abbiamo un vero amore per l’altro, se vogliamo conoscere il nostro fratello buddhista, senza etichette aprioristiche, e crescere insieme dobbiamo accettare e coltivare il dialogo. […] Il dialogo aiuta a crescere non solo le persone ma anche i popoli. L’umanità ha progredito nella storia, anche se con spinte incerte e difficili, grazie agli incontri tra uomini, tra civiltà e culture. Le religioni stesse si sono arricchite al contatto con altre tradizioni e culture. […] La virtù fondamentale del dialogo è la carità. Certo ogni forma di dialogo esige rispetto e amore per l’altro. Ma per il cristiano la carità verso gli altri si innesta in quella di Dio, che condivide con noi il suo amore. È un amore divino che è entrato nel mondo e che si è incarnato nel Cristo. Anche il dialogo quindi raggiunge e tiene conto dell’uomo concreto, anche se la sua sorgente è nella carità divina. E il dialogo assume le qualità stesse della carità: è universale, graduale, premuroso, fervente e disinteressato, senza limiti e senza calcoli, comprensivo e adattato a tutti".