Apprezzo la riflessione che hai avviato attorno alla tematica "uno per uno..." e alla “misura” secondo giustizia. Anche a me hai portato alla riflessione sulla tematica... Quan-do si vive una vita da missionaria “ad gentes” (e questo lo dico con una esperienza di 42 anni sulle spalle), una delle esperienze che viviamo, in un certo senso, è il trattamento ri-servato all’immigrante.... Egli sarà sempre un “povero sociale” e nel senso biblico... Fa-cilmente viene considerato colpevole perché diverso, ignorante e senza “diritti’ perché straniero...
Come cristiani la risposta ci verrebbe subito da Gesù che c’invita ad offrire l'altra faccia, al perdono, ad amare il nemico, ecc... Ma nel caso l’altro non la pensa come Gesù, certamente il dialogo con l’altro, specialmente il dialogo della vita, ci aiuta a chiarire l’idea e perfino a trovare la giusta "misura", oltre che il valore presente nell’altro, il quale non sarà più “un nemico e colpevole” , semplicemente perché diverso o straniero...
Sono sicura di questo e so per esperienza che dopo il dialogo sincero e leale l'altro e il diverso - anche l'immigrante - lo scopriamo come una persona che ci arricchisce perché ha anch’egli e anche lei qualcosa da offrirci. Ho due cittadinanze – che mi servono soltanto per presentarle all’ufficio della questura e negli aeroporti – ma come missionaria continuo ad essere “straniera”; anche se ne avesse 10 di cittadinanze non mi sarebbe ancora suffi-ciente. Per una missionaria il mondo intero è la sua patria, ma non deve dimenticare che la sua Patria vera, il suo traguardo, è il cielo.
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