mercoledì 30 settembre 2020

Tenerezza

«Tenerezza è una parola che oggi rischia di cadere dal dizionario! Dobbiamo riprenderla e attuarla nuovamente! Il cristianesimo senza tenerezza non va» (18 marzo 2019).

Non è scontato che un papa attinga al registro dei sentimenti, ma papa Francesco è attento non soltanto alle domande ultime e alle esigenze sociali delle persone a cui è vicino, ma anche al loro mondo emotivo. Pensando all’opera silenziosa delle Suore di Madre Teresa, l’anno scorso esclamò: «Sono rimasto colpito dalla tenerezza evangelica di queste donne… Loro accolgono tutti, ma lo fanno con tenerezza. Tante volte noi cristiani perdiamo la dimensione di questa tenerezza e, quando non c’è tenerezza, diventiamo troppo seri, acidi… senza tenerezza, senza amore, è come… buttassimo un bicchiere di aceto» (8 maggio 2019).

In una società violenta, arrabbiata, che riversa sui social, come “bicchieri di aceto”, frustrazioni e paure, ecco la presenza serena di papa Francesco a ricordarci che la tenerezza svela il volto materno di Dio, «di Dio innamorato dell’uomo, che ci ama di un amore infinitamente più grande di quello che ha una madre per il proprio figlio». Così, «quando l’uomo si sente veramente amato, si sente portato anche ad amare» (13 settembre 2018).

Creata a immagine di un Dio che è amore, ogni persona è capace di tenerezza. Chissà perché abbiamo paura di farla emergere, di esprimerla, quasi fosse una debolezza. È invece la più semplice e profonda espressione dell’amore, mai possessivo, mai ripiegato su sé stesso, sempre attento all’altro e in donazione costante e concreta.

“Tenerezza” è la prima parola che ho scelto per la nuova rubrica - “In poche parole. Una parola del papa” - che “Città Nuova” mi ha affidato a cominciare dal mese di ottobre.

martedì 29 settembre 2020

50 anni: meglio celebrare la fedeltà di Dio


 
50 anni fa...

Negli anniversari di solito c’è sempre un po’ di retorica…
Per 50 anni di vita consacrata in genere si esalta la fedeltà della persona. In effetti perseverare per 50 anni, specialmente in tempi come questi, è qualcosa.
Nel mio caso preferisco mettere tra parentesi la mia fedeltà e dar gloria a Dio per la sua fedeltà. Mi ha sopportato nonostante tutto, ha continuato a tenermi con sé, non si è mai stancato di amarmi, mi dà sempre fiducia permettendomi di ricominciare... Incredibile!
Celebro la fedeltà di Dio.

lunedì 28 settembre 2020

50 anni fa: la prima oblazione

 

Il noviziato degli Oblati a Ripalimosani, nel Molise, era stato chiuso nel 1968. Intanto a Marino era iniziata la splendida avventura di una nuova comunità oblata, aperta all’accoglienza dei giovani. Il noviziato, dopo l’anno di chiusura, riaprì i battenti proprio a Marino. Era tutto nuovo: nuova la casa, nuovo il maestro, nuova l’impostazione, perché era appena stata promulgata l’Istruzione Renovationis causam, nuovo lo spirito, che si ispirava all’Ideale dell’unità dell’Opera di Maria.

Noi sette novizi (Celso, Rino, Peppino, Raffaele Fiorenza, Raffaele Moretto, Stefano e io) eravamo persone piene di buona volontà, ma ancora slegate l’una dall’altra, provenienti da esperienze molto diverse. Dovevamo imparare a morire a noi stessi per dare vita a Gesù tra noi. Fu un esercizio difficile, pieno di fallimenti, ma non venimmo meno al desiderio di ricominciare sempre e di andare avanti nonostante le difficoltà. Eravamo circondati da un amore, una fede e una pazienza senza limite dei nostri Padri, p. Marino Merlo, maestro dei novizi, p. Santino Bisignano, superiore, p. Angelo Dal Bello, p. Marcellino Sgarbossa, p. Marcello Fidelibus...

Arrivammo così al 29 settembre di 50 anni fa.


Dal diario del noviziato:

29 – 9 – 1970

Alle 16.30 si è svolta la liturgia della nostra professione religiosa. La celebrazione è stata presieduta dal rev.mo Padre Generale. All’omelia, p. Contiguglia ha rievocato le vie della Provvidenza sulla opera di Marino, cominciando dal sacrificio di P. Armando Messuri a cui si è ispirata la generosità della nostra benefattrice [Caterina Solina]. Si è soffermato pure sul significato della consacrazione, dicendo che essa è: “La più perfetta risposta di amore alla più grande esigenza di amore”.

Tra i presenti c’erano il R.P. Provinciale e diversi Padri e Fratelli, la sorella di P. Mario Borzaga: Lucia, i fratelli di P. Messuri e un gran numero di Suore della S. Famiglia con le Superiore, riunite a Marino per il loro C.P.A. e anche Luciano.

Le parole che il Rev.mo P. Generale ha rivolto alla fine della Messa sono state espressione di gioia e di incoraggiamento.

Il P. Generale si è pure fermato con noi a cena in un clima di fraterna semplicità. Gli abbiamo presentato alcune sue foto-cartoline da firmare per ognuno di noi e a ciascuno ha trascritto una frase delle vecchie Regole, espressioni molto indovinate per le persone alle quali erano dirette. Ne ha data una anche ai Padri, alle suore, a Caterina e a Luciano il quale si è commosso e come ringraziamento ha cantato due delle sue canzoni.

A me il padre generale, Leo Dechâtelets, diede questa frase: Ut proferetur regnum Christi! 

 

domenica 27 settembre 2020

Visita a Tonadico

Terminato il convegno sulla linguistica, con un piccolo gruppo di partecipanti, abbiamo risalito la valle del Primiero e abbiamo visitato Tonadico. Ho così potuto esaudire uno dei miei più profondi desideri: fare la guida (l’altro desiderio nascosto è quello di direttore d’orchestra, ma lo vedo proprio irrealizzabile!).

Siamo stati nella “Baita Paradiso”, siamo saliti alla chiesa di San Vittore, siamo andate nel bosco di “Madonna della Luce”… e abbiamo riascoltato i racconti di quanto accadeva in quei luoghi più di settant’anni fa, quando attorno a Chiara nasceva un’Opera nuova, nella semplicità della vita quotidiana, in mezzo ad una natura incantata, nella luce del Cielo.

Abbiamo così ascoltato le testimonianze di chi era là allora:

 

«Una volta sbrigate le faccende di casa passavamo fuori il resto della giornata, salivamo per i boschi e per i prati, in lunghe gite in montagna. Andavamo insieme e, lungo il cammino, conversavamo.

Se sostavamo per un pic-nic, o se ci accomodavamo all’ombra di un albero o su di un prato, lei cominciava a parlare e noi le stavamo sedute tutt’attorno. Ci riposavamo e costruivamo l’unità tra noi, cioè ci amavamo in modo ‘soprannaturale’. Eravamo sempre in Dio, con semplicità. Natura e sopranatura erano un tutt’uno per noi».

 

«Chi potrà dimenticare quei giorni di luce? I tramonti infuocati ci parlavano del Verbo, splendore del Padre, le campane di san Vittore ci accompagnavano nel canto del Magnificat, gli abeti della località Madonna della Luce, così in armonia con le leggi della natura, ci svelavano il mistero di Maria, fiore dell’umanità. Tutto il creato ci parlava e cantava al Creatore, anche un verme che usciva dalle tombe del cimitero era un richiamo a Gesù Abbandonato, il nostro sposo, che per amore s’è fatto verme della terra. 

Ci parlava, con chiarezza mai sperimentata, la Parola di vita, che vivevamo con intensità unica, in mezzo ai lavoretti di casa. Soprattutto ci parlava Chiara, che per noi si faceva voce di Dio. Viveva nel suo Cielo e viveva con noi, con la semplicità di una mamma. Ci comunicava tutto».

sabato 26 settembre 2020

La goccia nel mare

La goccia nel mare

Vide la goccia
cadere giù in basso

nel mare.

 

“È morta e scomparsa”

gridò il gabbiano

librandosi in alto.

 

Il mare rispose:

“Non sono sparita.

Son diventata il mare”.

venerdì 25 settembre 2020

Una Chiesa pienamente laicale

Il convegno sulla mistica di Chiara ha raggiunto, nella mattinata, un momento molto alto. L’analisi della “Favola fiorita” (Adonella, da attrice consumata, ne ha fatta una lettura eccellente), la storia della scrittura del testo del Paradiso e dei diversi generi letterari, e soprattutto lo studio sull’originalità del linguaggio mistico in esso impiegato, l’uso dell’ossimoro, la metafora della luce, il confronto con altre mistiche, sono stati trattati in maniera magistrale.

Il pomeriggio i contributi si sono spostati sulla mediazione linguistica e le traduzioni degli scritti di Chiara.

Leggo e studio il libro Paradiso ’49 dal 1996, eppure oggi mi si sono dischiusi nuovi aspetti, e mi hanno sorpreso nuove comprensioni…

Gli atti del convegno daranno ragione della sua ricchezza.

 

C’è un altro aspetto di questo convegno che mi dà una gioia supplementare. In sala, tra la trentina dei partecipanti, sono l’unico sacerdote. Anche tra le quasi cento altre persone che partecipano e intervengono via web c’è un solo religioso. Naturalmente sarei contento se fosse presente un numero maggiore di sacerdoti e religiosi. La mia piacevole sorpresa è costatare che nel convegno l’analisi e lo studio su testi mistici sia portata avanti soltanto da laici e per la maggior parte da donne. 

Un’altra sorpresa è che soltanto io sono sorpreso da questo fatto, per gli altri è del tutto normale. Ma non lo è! Dove e quando mai un convegno sulla mistica cristiana è condotto esclusivamente da laici, senza che questi siano proposti di essere solo tra laici... Da parte delle donne poi, principali protagoniste del convegno, nessuna rivendicazione femminista. Anche questa realtà non è frutto di una scelta, è semplice un dato di fatto.

La gioia mi viene dal costatare la maturità e la freschezza del laicato cristiano.

In una Lettera al cardinale Marc Ouellet, presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina (19 marzo 2016), papa Francesco scriveva: «Nessuno è stato battezzato prete né vescovo. Ci hanno battezzati laici ed è il segno indelebile che nessuno potrà mai cancellare». Poi continuava denunciano nel clericalismo «una delle deformazioni più grandi» della nostra Chiesa che «non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale che lo Spirito Santo ha posto nel cuore della nostra gente. Il clericalismo porta a una omologazione del laicato; trattandolo come “mandatario” limita le diverse iniziative e sforzi e, oserei dire, le audacie necessarie per poter portare la Buona Novella del Vangelo a tutti gli ambiti dell’attività sociale e soprattutto politica. Il clericalismo, lungi dal dare impulso ai diversi contributi e proposte, va spegnendo poco a poco il fuoco profetico di cui l’intera Chiesa è chiamata a rendere testimonianza nel cuore dei suoi popoli. Il clericalismo dimentica che la visibilità e la sacramentalità della Chiesa appartengono a tutto il Popolo di Dio (cf. LG, n. 9-14), e non solo a pochi eletti e illuminati».

Sempre in questa lettera al cardinale Ouellet, il Papa ricordava la famosa frase: “è l’ora dei laici”, per poi concludere: «ma sembra che l’orologio si sia fermato». Se vieni qua, caro Papa, vedrai che l’orologio non si è fermato, è proprio l’ora dei laici. Nel nostro convegno il clericalismo è scomparso, senza che nessuno abbia mosso un dito per abolirlo. Fiorisce la grandezza del battesimo.

giovedì 24 settembre 2020

Chiara Lubich: la scrittura e la scrittrice

 
Avevo visitato la mostra del centenario di Chiara Lubich in occasione della sua inaugurazione. Oggi mi ha parlato in maniera nuova. Mi ha quasi commosso. Allestita nel centro museale “Le Gallerie” a Trento espone foto e documenti di grande impatto, che ambientano la vita di Chiara e ne offrono le principali tappe.
Vi sono originali o riproduzioni di testi di primaria importanza, come i quaderni di scuola, “Resurrezione di Roma” (ne vedo per la prima parte il manoscritto!), “Ho un solo Sposo”… 


Ho trovato anche una foto del 1996 dove sono con Chiara attorno allo stesso tavolo per lo studio della Scuola Abbà (anche questa foto la vedo per la prima volta). Di grande impatto lo scenario iniziale, con i volti di quanti hanno seguito Chiara nella sua divina avventura. Alcuni li ho conosciuti e li conosco, ma la maggior parte mi sono ignoti, eppure mi sono tutti fratelli e sorelle. È l’idea di un intero popolo che cammina unito. La disposizione a cerchio dei pannelli giganti ti prende dentro in prima persona e ti fa sentire parte di un nuovo mondo.

 

La visita guidata è avvenuta subito dopo l’apertura del 2° Convegno internazionale di studi linguistici e letterari dedicato a Chiara Lubich: “Un approccio linguistico, filologico e letterario ai suoi scritti”. Il convegno era stato rimandato a causa della pandemia, eppure questo fenomeno continua a condizionalo: nella sala siamo presenti soltanto una trentina di persone, mentre tutti gli altri, un centinaio di partecipanti, devono seguire on line, da Paesi di tutti i continenti. 
Si annunciano tre giorni intensi, con interventi provenienti da ogni dove. Oggi i contributi sono stati undici, a cominciare dal biografo di Chiara, Mauro Gentilini e dal professore Paolo Marangon dell’Università di Trento, partner dell’evento.

 

La giornata è iniziata con “interventi istituzionali”, tra i quali anche il mio in quanto responsabile della Scuola Abbà che, attraverso il gruppo della linguistica, ha organizzato il convegno. 
Le mie poche parole hanno riguardato un elemento ermeneutico per me di particolare importante: la comprensione di una dottrina non può prescindere dalla persona che la propone, soprattutto quando una dottrina è frutto di una esperienza. Da qui il mio augurio perché lo studio sul linguaggio di Chiara Lubich porti ad una più profonda comprensione di Chiara Lubich scrittrice.

mercoledì 23 settembre 2020

Lucia Borzaga: la visita di 50 anni fa

Ho restituito la visita che Lucia mi ha fatto 50 anni fa quando venne per partecipare alla mia prima oblazione. C’era anche lei quel 29 settembre 1970. 
Sono stato a visitarla nella sua casa a Trento, a due passi del ponte p. Mario Borzaga che attraversa il Fersina. 
Sono trascorsi un po’ di anni, ma è sempre bella e positiva come allora. 
Le ho ricordato che per scrivere la biografia di suo fratello, il beato p. Mario Borzaga, mi sono dovuto leggere tutti i suoi scritti, o meglio la trascrizione dei suoi scritti, perché gli originali non li ho mai visti. Allora mi ha portato nel salotto, dove c’è ancora il piano che suonava p. Mario, e mi ha mostrato, ben custoditi e ordinati, i manoscritti: le agendine e, i diari (le lettere la prossima volta…). Sono un gioiello! Che scrittura ordinata, senza correzioni. 


I
l primo quaderno, iniziato a san Giorgio Canavese, porta sulla prima pagina quello che poi sarà il titolo famoso della sua opera: “Diario d’un uomo felice”. Le prime due righe sono tutto un programma:
 “Mi piace scrivere e ancor più scrivere bene: soprattutto mi piace pensare e ancor più vivere quello che penso”. 

Nello scrigno di Lucia c’è anche una scatola rossa con le poche cose rimaste di p. Mario. Tra queste quattro stelle alpine raccolte in una delle sue tante scalate sulle sue montagne trentine. Tutto tenuto con ordine, dettato dall’amore. 
Mario, quando descrive il clima che regnava in casa durante gli esami, non ricorda la sorella così ordinata. Scrive: “Fine di maggio. Sono giorni di burrasca. Quando incominciano gli esami, incominciano i passi duri. Dovunque libri e libri ammonticchiati, squinternati, sgualciti, quelli di Lucia si possono riconoscere subito per il loro disordine… Lucia coi capelli sbrigliati fin sotto il naso, fa passi di tre metri per cercare i suoi libri che eran qui, eran là, glieli hanno nascosti!”. 

Per Lucia Mario ha un debole: era l’unica sorella, la più piccola, e quella che come lui si consacrerà nella vita missionaria. 
Un giorno le scrisse la “ricetta” della santità: 
“In quanto poi al metodo per diventare santi bisogna anzitutto volerlo: poi bisogna amare, amare con la A maiuscola Gesù e i propri fratelli che sono le sue membra indistintamente: per dimostrare il proprio amore a Gesù bisogna fare momento per momento tutto il giorno la sua volontà: non manca la forza e la grazia nella preghiera, nella preghiera a Maria: nella Comunione, in cui l’anima sen­tendosi proprio di Gesù impara ad amare come lui ha amato; a portare la propria croce e la sua croce, per salvare gli uomini, per continuare l’opera della redenzione che egli ha lanciato sul Calvario”. 

Un’altra volta, sempre riguardo alla santità: 
“Immaginati di dover scrivere il romanzo della tua vita, come meglio, ti piace. con tutti gli avve­nimenti più lieti e più consolanti di tuo gusto, e che come l’hai scritto così in realtà ti dovesse poi accadere; credi tu di aver scritto un romanzo migliore di quello che Gesù ha già scritto e preparato per te? Egli che ti conosce e ti ama (…)? No di certo! E allora noi con­tinuiamo imperterriti nell’esatto compimento dei nostri doveri, dei comandamenti di Dio, nella preghiera fervente e poi lascia­mo fare tutto al Signore e crediamo fino all’inverosimile al suo amore”. 

Ma gli originali di queste lettere mi li farà vedere un’altra volta… 
Grazie Lucia!

 


martedì 22 settembre 2020

50 anni fa: alla vigilia dei voti


Il nostro noviziato con la comunità 
degli Oblati di Marino, 
all'incontro dei religiosi al Centro Mariapoli

Nel mese di settembre 1970, pochi giorni prima di terminare il noviziato, partecipammo al Centro Mariapoli di Rocca di Papa a uno dei primi incontri dei religiosi, se non il primo, dal periodo in cui, nel 1968, si era ricostituito il Movimento dei religiosi. Ricordo la festa che fecero a noi che eravamo i più piccoli e come Micor (p. Giuseppe Savastano) ci presentò a tutti quale segno di speranza. Quell’incontro fu per me una scoperta straordinaria. Finalmente arrivavo al cuore di quella vita nella quale ero stato introdotto con tanta discrezione e gradualità durante sei anni. Rimasi colpito soprattutto dalla serietà che vedevo nei religiosi presenti. Allora erano tutti abbastanza giovani, ma a me davano l’impressione di persone mature, decise nel cammino di santità. Mi colpì anche la grande varietà degli Istituti presenti, evidente nella diversità degli abiti, e l’unità che c’era tra tutti.

Nel diario del noviziato si legge: «22 – 9 – 1970. Comincia oggi un raduno di religiosi al Centro Mariapoli. Durerà una settimana e noi vi parteciperemo. Finisce oggi il ritiro preparatorio ai voti e questo incontro ci dà la possibilità di estendere il nostro sguardo sulla Chiesa intera, ivi rappresentata da tante famiglie religiose. I partecipanti vengono da tutto il mondo».

L’incontro terminò il 28 settembre, il giorno prima dei voti!

Oggi, 22 settembre 2020, a 50 anni da quella data sono nuovamente arrivato al Centro Mariapoli, questa volta non a Rocca di Papa ma a Cadine a Trento. Una coincidenza provvidenziale che dice continuità e nuova chiamata a ricominciare. 

lunedì 21 settembre 2020

A Viterbo con san Crispino

Sono stato a parlare nel Convento dei Cappuccini a
Viterbo.
Nella chiesa riposa san Crispino da Viterbo, un cappuccino del 1600, semplice e molto vicino al popolo. Andando per la questua di porta in porta aveva l’occasione di seminare parole buone, portare la pace e diffondere la gioia.
Nelle vetrate della cappella scene belle di vita e alcune delle sue celebri frasi come:
- Ama Dio e non fallire
Fa pur bene e lascia dire.
- La divina Provvidenza
Più di noi assai ci pensa.
- Chi è devoto di Maria Santissima
Non si può perdere.

domenica 20 settembre 2020

I colori dell'autunno


L’equinozio d’autunno quest’anno 
sembra sia il 22 settembre attorno alle 13.00.
L’autunno comincia comunque il 21 settembre!
Quest’anno sarà un’incognita, col virus che gira per aria…
Eppure i colori saranno belli come sempre.
Ricordo quelli della Svizzera, della Polonia, del Canada…
Quest’anno non si viaggia. Chissà quanti colori scopriremo attorno a casa…

sabato 19 settembre 2020

Andate anche voi!


Con la parabola dei vignaioli Gesù vuol farci capire che Dio ha un suo modo di ragionare diverso dal nostro. La prima lettura della domenica ci mette già in guardia, con l’affermazione ripetuta più volte che le vie di Dio – ossia il suo modo di comportarsi – non sono le vostre vie, i suoi pensieri non sono come i nostri pensieri. Sono lontani tra loro come il giorno e la notte (il cielo e la terra, dice Isaia).

Nella mia lettura del Vangelo di oggi l’occhio cade però da un’altra parte, su due parole: “li mandò” e “andate”. Forse sono condizionato dal fatto che la comunità vuole che ricordi i miei 50 anni di oblazione e io sono un operaio della primissima ora!






Forse quando chiama i primi è interessato alla sua vigna, ma a mano a mano che passano le ore è interessato sempre più al bene degli operai che al bene della sua vigna.
È bello essere scelti, chiamati, mandati. Si fida di noi. Siamo alle sue dipendenze. E una volta arrivati nel campo ci troviamo accanto generazioni e generazioni di santi e martiri, di uomini grandi e piccoli che ci hanno preceduti, che hanno lavorato ben prima di noi...
E alla fine paga, indipendentemente dal lavoro fatto: è troppo!

venerdì 18 settembre 2020

A scuola della storia

Poco distante, al foro Italico, a centinaia si ergono statue nude e muscolose di atleti. Creano una s
cenografia mozzafiato, ma sembra non abbiano anima, o almeno non hanno parole per dirla. Il Cristo accanto al Ponte Milvio è massiccio e una veste amplissima ne nasconde i muscoli. Ma ha un messaggio che attraversa la storia, quell' “Amatevi l’un l’altro come io ho amato voi”, capaci di orientare la orienta verso la sua meta, il suo compimento.
Lunedì inizierà l’autunno. Approfitto degli ultimi giorni dell’estate calda per qualche passeggiata. 12, 13 chilometri in luoghi silenziosi come i lungo Tevere, sui camminamenti a livello del fiume, o su per Monte Mario. 
Da Ponte sant’Angelo a Ponte Milvio il cammino è accompagnato dagli alberi che crescono sulla riva, dell’affacciarsi dei palazzi su in alto, lungo i viali, da vogatori in canoa, da pochi ciclisti. 
I ponti raccontano la storia.

Il ponte Duca d’Aosta collega il quartiere Flaminio al Foro Italico, una volta Foro Mussolini. È elegante, a una sola arcata, bianchissimo. Davanti la stele di Mussolini, che reca ancora il suo nome e l’appellativo di Dux. Forse è l’unica memoria rimasta di lui. La storia non si cancella. O anche il voler cancellare la storia, come i fasci tolti dall’obelisco, segna un’altra pagina di storia. In quel nome rimasto e in quei fasci aboliti, il succedersi dell’intricato cammino della nostra umanità.

Più avanti, a Ponte Milvio la storia è una sovrapposizione di storie, dalla battaglia tra Costantino e Massenzio alla difesa della Repubblica romana, quando Garibaldi fece saltare il ponte per arrestare l’avanzata dei francesi, fino ai lucchetti che oggi gli innamorati lasciano in segno d’una storia d’amore che vorrebbero non finisse mai.
Lasciare che le storie si raccontino. E proprio lungo il fiume: il suo corso silenzioso e costante ricorda che tutto passa.

Accanto a Ponte Milvio, da una ventina d’anni, sta una nuova statua di Cristo, in bronzo (ce n'ha già una sul ponte, da secoli). Chi l’ha messa? Perché? Resta un mistero. Ormai è lì, provvisoria per sempre, e sul suo basamento una sua frase scolpita nel marmo: “Amatevi l’un l’altro come io ho amato voi”. 

giovedì 17 settembre 2020

Le sei azioni (più una settima) della peccatrice

Leggendo il vangelo della liturgia odierna mi hanno colpito i sette verbi che descrivono le azioni della peccatrice.
Non è la grande Maria Maddalena e neppure Maria di Betania, ma una donna innominata, che appare un attimo nel Vangelo e subito scompare, pur rimanendo per sempre nel suo atteggiamento di autentica discepola.

1. Portò. La donna entrò nella casa del fariseo Simone portando un vaso di profumo. È la sua prima azione. Il verbo non indica un semplice portare, ma un portare con cura. Non ha scelto la prima cosa che le capitava tra le mani, ma qualcosa che le era cara, che usava per sé, per farsi bella. La porta sapendo che ha in mano un oggetto prezioso. Vuol fare un dono bello. Non ci si presenta da Gesù a mani vuote.

2. Stando dietro. Maria di Betania si mette seduta davanti a Gesù, come un’autentica discepola, in atteggiamento di chi pende dalla sua bocca, ponta ad accogliere ogni sua parola. La peccatrice sta invece dietro, come il peccatore dell’altra parabola che sta in fondo alla sinagoga, a testa bassa, a differenza del fariseo che sta in prima fila a testa alta. Lei si mette dietro, ai piedi di Gesù, consapevole dei suoi peccati, quasi non ha il coraggio di guardarlo in faccia.

3. Piangendo. Sono lacrime di pentimento, di implorazione, di gioia per aver finalmente avuto il coraggio di venire da Gesù e di aprirgli in cuore, anche senza pronunciare una parola.

4. Bagnava i piedi di lacrime. Di verbi, per la verità, ce ne sono due: “Comincio a bagnarli [i piedi]”. Cominciò e non finiva più! Il verbo bagnare, qui, è lo stesso che indica il cadere della pioggia: è una pioggia di lacrime, lo inonda di lacrime che le cadono giù come una fontana. Non si trattiene, lascia che venga fuori tutta la sua vita e la dona a Gesù.

4. Asciugava con i suoi cappelli. Anche Maria di Betania asciuga con i capelli l’unguento con cui ha profumato i piedi di Gesù, ma era a casa sua e poteva permetterselo. Ma questa peccatrice è in casa d’altri, davanti a uomini e se fosse una donna perbene mai si sarebbe permessa di togliersi il velo e di sciogliersi i capelli. Davanti a Gesù non ha nessun ritegno, nessun pudore, non si vergogna di mostrarsi in tutta la sua femminilità.

5. Baciava i piedi di Gesù. E qui mi taccio, davanti all’espressione di tanto amore. Noto soltanto che Gesù, rivolto a Simone, dice: “Da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi”. Non dice “da quando è entrata”, ma “da quando sono entrato”! Non è vero, lei è arrivata dopo, eppure Gesù ha l’impressione che ella sia lì dal principio, tanto si sente avvolto dai suoi baci.

6. Cospargeva di profumo. Unge i piedi di Gesù, con l’amore con cui si unge il marito, con la cura con cui si unge un morto…

7. C’è un settimo verbo. Non è presente nelle azioni della donna, ma tutti li motiva e li esprime. Ed è un verbo messo sulla bocca di Gesù: “ha molto amato”. La donna ha amato, per questo corre da lui con ciò che ha di più prezioso, sta ai suoi piedi, piange, bagna i suoi piedi con le lacrime, li asciuga con i cappelli, li bacia, li cosparge di profumo. Il settimo verbo è amare, proprio con la parola greca agapáô, che indica l’amore più puro, più intenso, più bello, quello pronto a dare la vita.

 

mercoledì 16 settembre 2020

Oblatio: Omaggio a Yvon Beaudoin

È apparso il nuovo numero di “Oblatio” dedicato a p. Yvon Beaudoin.

Un omaggio dovuto visto che ha dedicato tutta la vita agli studi oblati (e non solo!).
Oltre al mio editoriale nel quale rievoco la sua figura, pubblico un suo inedito sui noviziati, i novizi e i maestri dei novizi al tempo di sant’Eugenio. Vi è anche un articolo sul suo contributo alla beatificazione del Fondatore.
Infine il profilo della sua vita scritto da lui stesso e la sua nutritissima bibliografia.
Buona lettura!

martedì 15 settembre 2020

Tra due sì

Ieri mattina sono stato nella basilica di santa Maria Maggiore per pregare nella cappella del Crocifisso. Mi sono fatto aprire la cappella ed ero solo, in silenzio, davanti alla scultura lignea della prima metà del Quattrocento: un Gesù morto, ormai nella pace, di cui rimane un gran sorriso.
Ho pensato al suo sì iniziale quando, entrando nel mondo, disse: “Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà” (Eb 10, 5-7). Quante slancio in queste parole, quanta prontezza e gioia nel fare la volontà del Padre.
Come diverso fu il sì nell’orto degli olivi e sulla croce, pronunciato “con forti grida e lacrime” (Eb 5, 7).
Imparò l'obbedienza, il suo sì, attraverso quello che patì.
Il Crocifisso sorridente mi mostra quanto quel sì ha saputo fruttare: nella sua maternità fa nascere la Chiesa.

Dopo la festa dell’esaltazione della croce, ecco quella di Maria ai piedi della croce.
Fedele discepola del Figlio, anche lei ha pronunciato i suoi due sì.
Il primo all’annunciazione, identico a quello del Figlio: “Avvenga di me secondo la tua parola” (Lc 1, 38). Anche questo sì con quanto slancio e gioia è stato pronunciato: il sì alla vita, il sì alla maternità.
Poi viene il secondo, ai piedi della croce, anche questo simile a quello del Figlio: non è più il sì che consente la nascita, ma quello che acconsente alla privazione del Figlio, alla sua morte. Come quello di Gesù, questo secondo sì di Maria apre a una nuova infinta maternità.

Forse anche nella nostra vita vi sono due sì, quello iniziale, quando la vita ci si apre davanti e appare in tutta la sua bellezza. È facile dire di sì al disegno di Dio così promettente.
Poi ci sono altri sì, più sofferti, “tra forti grida e lacrime”, quando il disegno di Do appare assurdo o almeno ci è incomprensibile… Sono i sì che contano, quelli che generano la vita.

lunedì 14 settembre 2020

Il diamante che siamo noi

Una mamma tiene in grembo il bambino per nove mesi, e giorno dopo giorno lo pensa, gli parla, impara a volergli bene, l’attende, sogna il suo futuro…
Dio ci  tiene in grembo per un’eternità e non meno d’una mamma: giorno dopo giorno, nel presente dell’eternità, ci ha amato, ha pronunciato il nostro nome, ha fatto progetti su di noi…
Nasciamo carichi dell’amore d’un’eternità!

Che valore ogni persona se è stata così tanto tempo in seno al Padre, se è stata plasmata a immagine del Figlio, se ha ricevuto il soffio dello Spirito.
Come possiamo pensare di non valere niente? che posto c’è per sensi d’inferiorità?
Può non averci fatto bene il Fattore dell’universo?

Siamo  un diamante.
Un diamante che spesso, con passare del tempo, affonda e sparisce nel fango.
Il cammino della vita serve per trarre dal fango il diamante che è in noi, per diventare come Dio ci ha da sempre pensati, per portare a compimento il progetto che egli da sempre ha su di noi.
E splendere nel firmamento del cielo.

domenica 13 settembre 2020

Arrivederci vecchio pino

100 anni. Tanti ne aveva l’antico pino che vegliava davanti alla porta di casa. Ha visto entrare e uscite migliaia di persone, di tutte le età, di tutti i Paesi. Testimone silenzioso dello scorrere della vita alla casa generalizia. L’ha vista costruire settant’anni fa, ha visto il susseguirsi di sei superiori generali, di generazioni di Oblati.
Adesso se n’è andato in silenzio. In un giorno è sparito, portandosi con sé tanti ricordi.

Lo ritroverò in paradiso? Penso di sì. Nei cieli nuovi ci sarà anche una terra nuova, e cosa sarebbe una terra senza pini? Solo che sarà più bello, perfetto, come lo sono le cose nella mente di Dio.
Arrivederci vecchio pino…

sabato 12 settembre 2020

Quante volte devo perdonare?

“Quante volte devo perdonare mio fratello? Sette volte?” (Mt 18, 21-35)
Quella di Pietro è una questione teorica o si riferisce davvero a suo fratello, ad Andrea?
Chi lo sa. In ogni caso la risposta di Gesù è sconcertante: Perdona settanta volte sette, ossia sempre…
La parabola sposta però l’accento, da “quante volte” a “perché”: perché devo perdonare? Perché io per primo ho bisogno d’essere perdonato!
La domanda vera allora è diversa: come devo guardare l’altro?
È facile vedere nell’altro gli sbagli e quindi è naturale giudicarlo.

Ma subito mi vengono alla mente altre parole di Gesù, dal Vangelo di Luca che leggiamo in questi giorni feriali:
“Con la misura con cui misurate sarà misurato a voi in cambio” (Lc 6, 38).
“Come puoi dire al tuo fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, e tu non vedi la trave che è nel tuo?” (Lc 6, 42).
“Caricate gli uomini di pesi insopportabili e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito” (Lc 11, 46).

La conseguenza è logica:
“Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato” (Lc 6, 37).
Mi metto davanti all’altro come vorrei che Dio si mettesse davanti a me,, con la stessa misericordia e compassione che vorrei ricevere io: “Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”.

venerdì 11 settembre 2020

Caro Google perché cambi la versione del blog?

Google ha cambiato le impostazioni del blog. Per adesso riesco ancora ad usare la vecchia versione, ma da fine mese il cambiamento sarà irreversibile. Certamente l’dea sarà stata quella di migliorare. A me invece risulta più difficile e mi verrebbe voglia di mollare.

Poi però vedo che gli Oblati del Sahara hanno letto i miei post su de Mazenod e de Foucault e mi scrivono: “De hecho hay sus paralelismos y diferencias que marcan su espiritualidad. Aquí en el Sáhara, como hijos de san Eugenio, no renunciamos a enriquecer nuestro carisma con la herencia de Foucauld en medio del pueblo del Islam”.

A proposito di Marino Josè Damián mi scrive: “Quella porta della casa suscita in me tanti bei ricordi di incontri con Dio attraverso delle realtà e delle persone molto concrete. Quella era la porta della mia casa...”

Un altro mi chiede dove può trovare il mio libro “Quel che resta delle parole”. Ma se ne ho fatte 20 copie! Se mi manda un indirizzo email posso mandargli il pdf.

Un ignoto lettore, vedendo la foto nella quale leggo il Passio in san Pietro insieme a Celso e Rino, mi domanda: “La foto con San Paolo VI fu scattata in occasione della domenica delle palme o del Venerdì Santo?”. Domenica delle palme naturalmente.

Non parliamo del fiume di commenti che mi sono giunti da una folla anonima riguardo al post su padre Bonaventura (che ha avuto 6.591 visite!).

Forse continuo, anche se postare le foto sarà un disastro… Comunque metterne una non è poi così difficile. Per questa volta basterà una di domenica scorsa, quando nel pomeriggio ho visitato Sara in Sabina.

giovedì 10 settembre 2020

Un cammino iniziato 50 anni fa



Il 28 settembre 1969 iniziava il noviziato. Tre giorni dopo “alcuni di noi sono andati a vendemmiare”. Due giorni più tardi “abbiam avuto la visita di un missionario… ci ha parlato del Laos…”. Siamo a 7 ottobre: “Visita di Mons. Dupont, vescovo del Ciad, di p. Angelo Pelis, missionario nel Laos, e di p. Liuzzo. 9 ottobre: “Siamo andati a trovare il R.P. Generale che ci ha ricevuto nel suo studio… Ci siamo trovati davanti a un uomo di Dio che sente profondamente i problemi e le necessità della Chiesa e ci è parso di vedere in lui la figura del P. Fondatore. Al ritorno è venuto con noi p. Palmiro Delalio, missionario nel Laos”.
Le pagine di diario sono naturalmente più lunghe, ma già queste pochi righe lasciano intuire quante persone abbiamo incontrato durante l’anno di noviziato, anche Carlo Carretto, don Zeno di Nomadelfia, p. Lombardi del Mondo Migliore… Paolo VI… Siamo stati a visitare ammalati, anziani, giovani infermi, bambini con problemi fisici e psichici. Abbiamo accolto giovani, seminaristi, sacerdoti, famiglie, con le quale abbiamo condiviso la nostra vita.
Siamo stati in missione a Monteleone di Spoleto, Vallada. Abbiamo visitato le comunità oblate di Oné di fonte, Firenze, Ripalimosani, Santa Maria a Vico… Ma siamo stati anche a Nettuno al Santuario di Maria Goretti, nelle basiliche romane, nel monastero di Subiaco, alla montagna spaccata di Gaeta… Siamo saliti sulle Dolomiti…



Giorni fa sono andato a Marino e ho fatto il pdf del diario storico che abbiamo redatto durante l’anno di noviziato. L’ho riletto d’un fiato e mi sono ritrovato in un mondo bello, pieno di vita, di speranze… Poche riflessione e molti avvenimenti per i “magnifici sette”, quanti eravamo noi novizi.
A 50 anni di distanza è bello guardare gli inizi del cammino…