lunedì 31 ottobre 2011

Viaggio in Polonia / 6 – Una normale giornata alla scolasticato


Nel 1231, su una delle vie conducono a Compostella, i Cistercensi costruirono il loro monastero. La zona era paludosa, aprirono canali, la bonificarono, iniziarono a coltivare le terre, attorno si raccolse un villaggio… era nata Obra. Nel 1835, dopo l’annessione alla Prussia, i monaci furono espulsi e i beni e le terre confiscati. Nel 1926 vennero gli Oblati e vi portarono i loro studenti di teologia. Durante la Seconda guerra mondiale i locali furono requisiti dai Tedeschi che inviarono molti Oblati nei campi di concentramento. I missionari tornarono dopo la guerra. Dal 1981 fu costruita la nuova ala e la biblioteca.
Gli Oblati polacchi nel mondo attualmente sono circa 600, veri missionari! Qui studiano 55 studenti. Oggi, dopo i giorni di festa, sono di nuovo al posto di lavoro. Ho parlato a loro, molto interessati alla vita della missione e alla nostra vocazione.
La giornata comincia molto presto con la preghiera, la meditazione, la messa e poi le lezioni, il lavoro, lo studio… L’azienda agricola, con 300 maiali, 20 vitelli e mucche da latte, campi e orti assicura il cibo quotidiano e contribuire notevolmente al bilancio della casa.
Attorno la grande foresta assicura il silenzio e la pace.
Da qui la vita continua e il futuro della missione è assicurato.

domenica 30 ottobre 2011

Viaggio in Polonia / 5 – Una straordinaria domenica ordinaria

Dopo la lettura del vangelo tutti i bambini vengono davanti all’altare e rimangono in piedi, mentre padre Jozef fa l’omelia apposta per loro, dialogando, interrogando... È la loro messa, la messa dei bambini. Ma anche gli adulti vengono numerosi meglio quando ci si rivolge ai bambini anche loro comprendono meglio. I chierichetti sono uno stuolo. Che bella messa, viva, partecipata, allegra… C’è già stata una messa, presto. Poi ce n’è una terza più tardi. Le persone sono così tante che, benché la chiesa sia grande, parecchie devono rimanere fuori; seguono dagli altoparlanti e alla consacrazione tutti si inginocchiano sul selciato. L’organista è vestito da cerimonia, con la farfalla, il coro parrocchiale al completo. Sei ottoni completano l’accompagnamento. Ogni domenica così, tutto il paese viene in chiesa. La domenica è proprio festa. Oggi si aggiunge l’onomastico del parroco, quindi al termine della terza messa si presentano all’altare quindici delegazioni, dai bambini ai fidanzato, dalla corale alla polizia municipale, ognuna con un pensiero di augurio e un omaggio floreale.
Nel pomeriggio, approfittando del sole che finalmente si fa vedere, visito il cimitero accanto alla chiesa dove sono sepolti decine di Oblati e i bambini del paese. Sì. I bambini hanno il loro cimitero distinto da quello degli adulti e stanno bene accanto agli Oblati. Cammino per le strade del paese, semplice, bello, tranquillo. Mi fermo a vedere la chiesa in legno (questa sera vi si celebra una quarta messa) e proseguo fino al lago, silenzioso e riposante. Accanto al lago l’altro cimitero, brulicante di persone e splendente di fiori; siamo ormai alla vigilia della festa dei morti, I bambini giocano con le grandi foglie gialle che gli aceri continuano a lasciar cadere in questo autunno d’oro.

sabato 29 ottobre 2011

Viaggio in Polonia / 4 – Festa di Sant’Eugenio


A cento cinquant’anni dalla morte, la Polonia festeggia sant’Eugenio. Ieri il convegno di studio, oggi la festa popolare. La gente è venuta da vicino e da lontano; qualcuno è partito stamani all’una di notte! Anche qui abbiamo una grande bella famiglia di persone che vogliono bene ai missionari, sono vicini, condividono la nostra vita e il nostro ministero.
La mattina messa nella chiesa dello scolasticato, chiesa parrocchiale del piccolo paese di Obra, che conta 2000 abitanti. È una delle poche chiese - autentico gioiello barocco - che in Polonia ha sopravvissuto alla distruzione della seconda guerra mondiale.
La messa, è stata presieduta da un altro Eugenio, vescovo in Cameroun tra i pigmei; un Oblato che nei suoi primi tre anni di sacerdozio è stato vice parroco a Obra e che è ancora molto amato. Con tanti Padri venuti appositamente, tanti giovani studenti oblati e tanto concorso di popolo non poteva non essere una messa bellissima, gioiosa e insieme solenne. Ho visto gli Oblati contenti e orgogliosi di essere Oblati e la gente contenta e orgogliosa di appartenere alla famiglia di sant’Eugenio.
Nel pomeriggio spettacolo tenuto dai giovani, ragazzi e ragazze, dei nostri gruppi. Hanno scritto loro stesso il testo teatrale, la sceneggiatura, le musiche, le canzoni. Una presentazione originale di sant’Eugenio, visto vivo e attuale nel lavoro dei gruppi giovanili di oggi in Polonia. Subito dopo un concerto, nella chiesa, di un gruppo musicale famoso in Polonia, che ha preparato tutta una serie di canzoni ispirate a sant’Eugenio.
Cento cinquant’anni sono passati… e il carisma è sempre vivo!

venerdì 28 ottobre 2011

Viaggio in Polonia / 3 – La nuova evangelizzazione di Eugenio de Mazenod


Al centro della foto Eugenio Boisgelin, figlio di Charlotte Eugénie Césarie Antoinette Émilie, detta semplicemente Ninette, sorella di sant’Eugenio de Mazenod (è stato lui a battezzarlo e a sposarlo). La bambina a sinistra è la nipotina di Eugenio Boisgelin e la nonna di Bertrand Morard, uno dei 350 discendenti di Ninette. Una famiglia fiera di avere alle sue origini un santo, convinta che sant’Eugenio fosse santo prima ancora che fosse proclamato tale dalla Chiesa. Nel 1960, quando Bertrand Morard aveva 5 anni, la nonna a sera riuniva la famiglia per la preghiera e alla fine diceva: “E ora preghiamo sant’Eugenio…”.
Bertrand Morard
La conferenza di Bertrand Morard ci ha incantati. Ha parlato delle tre famiglie: quella del padre di Sant’Eugenio, i de Mazenod; quella della madre, i Joannis; quella della sorella, i Boisgelin; e del rapporto di sant’Eugenio con tutte e tre le famiglie. Varrà la pena leggere il suo testo.
Quella di Bertrand Morard è stata una delle 12 conferenze che si sono tenute oggi al convegno dal titolo “Dalla Rivoluzione francese alla nuova evangelizzazione”, in occasione dei 150 anni della morte di sant’Eugenio e organizzato dall’università di Porzan e dallo studentato oblato di Obra, parte integrante della facoltà di teologia dell’università.
La giornata si è aperta con il messaggio di Fisichella, presidente del nuovo Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione ed è continuata con tanti apporti molti interessanti sul tempo di sant’Eugenio e sul suo lavoro di evangelizzazione. Circa 150 i partecipanti: Oblati e laici amici. Presiede l’ausiliare di Poznan e il nostro superiore generale.
A me il compito di spiegare il segreto della “nuova evangelizzazione” (tale era al suo tempo) di sant’Eugenio e dei primi Oblati: “Away from Jansenism and closer to the Savior: Eugene de Mazenod’s missionary method”. Devono aver avuto certamente un loro segreto, perché in quegli anni nacquero altri 45 gruppi di missionari, come il loro, eppure sono tutti spariti o si sono ridotti a poche unità, mentre gli Oblati si sono sviluppati in tutto il mondo e sono rimasti fino ad oggi. Penso che il segreto sia stato non tanto nel metodo missionario, ma nello spirito che ha animato quel primo gruppo e che si è trasmesso di generazione in generazione.
Di questo spirito ho messo in luce soltanto la coscienza di essere amati da Dio e il bisogno di trasmettere a tutti la certezza del suo amore misericordioso:
“Io amo sprofondarmi nell’oceano della misericordia di Dio… Dio è infinitamente misericordioso; nessuno ha il diritto di misurare, ancor meno di restringere la sua misericordia, nell’applicazione che egli ne vuol fare per la salvezza delle anime che il suo divin figlio Gesù Cristo ha riscattato col suo sangue prezioso”.
“Noi siamo per vocazione degli uomini di misericordia!”
“Perché Dio ci ha investiti di questo ministero di pace? Perché ha posto in noi questa parola di riconciliazione, se non perché sia applicata efficacemente ai peccatori al fine che i loro peccati non gli siano più imputati, che ricevano il perdono e che siano effettivamente riconciliati con Dio…?” 

giovedì 27 ottobre 2011

Viaggio in Polonia / 2 – Poznan


Anno 966, il principe che ha unificato le tribù slave della regione riceve il battesimo. Nasce la Polonia, e nasce cristiana. Non a caso questa religione si chiama “Polonia maggiore”. Nasce anche la città di Poznan, dove il principe ha la sua dimora e diventa la prima sede vescovile della nuova nazionale.
Ho visitato la cattedrale. Nella cripta le fondazioni dell’antica costruzione del 1000. Nella cappella d’oro i due figli del principe. Furono i missionari della Cechia a portare il Vangelo, poi consolidato da sant’Adalberto. In cattedrale come nella chiesa dei Gesuiti non ci sono turisti, ma tanta gente in preghiera e file davanti ai confessionali. La fede seminata mille anni fa porta ancora frutto.
La città, pur con i suoi 700.000 abitanti, è ben raccolta nel suo centro. Il cuore, come a Breslavia, visitata dieci anni fa, è la grande piazza del mercato circondata da palazzi che hanno ognuno una distinta architettura e colori vivaci e decorazioni diverse l’una dall’altra. Al centro l’antico palazzo del commercio con la torre e ancora costruzioni con porticato, altrettanto colorate e fantasiose. Il cielo è coperto e scende una pioggerellina fine fine, ma la piazza è così vivace e allegra che splende da sé.
Sono con Betrand Morard, discendente della famiglia de Mazenod, arrivato ieri per parlare, come farò anch’io domani, sul suo famoso avo, e con padre Piotr, professore di teologia spirituale a Obra e qui nell’università di Poznan.  

mercoledì 26 ottobre 2011

Viaggio in Polonia / 1


Sono nella villa degli ospiti, vicino alla vecchia fattoria. Una giornata intensa, cominciata con il volo verso l’alto, spiccato da Fiumicino, che in pochi minuti mi portato tra cielo e mare, prima di virare di nuovo sulla terra ferma, alla volta di Venezia, Vienna, Poznan. Dopo lo squarcio di luce sul litorale romano, lo strato di nubi sotto di noi è rimasto costante fin qui in Polonia, celando ogni visione dal basso, quasi a obbligarmi a mirare il cielo, quel cielo che sant’Eugenio mi aveva spalancato alla meditazione del mattino: “… ne avrei abbastanza di Roma; non mi ci posso abituare a vivere separato da chi amo, non ho godimento alcuno lontano da essi. Oh! come staremo bene in cielo quando saremo lì tutti uniti: niente più viaggi, nessuna separazione, benché sprofondati in Dio ameremo ancora e molto i nostri amici. La vista intuitiva di Dio non impediva a Gesù Cristo di amare gli uomini, e tra di essi gli uni più degli altri. Ecco il modello, con buona grazia dei mistici raffinati i quali a forza di perfezione vorrebbero darci una natura diversa che di certo non varrebbe di più di quella che Dio ci ha dato. Tant'è: lontano dai miei per me non c'è felicità” (9 dicembre 1825).  
All’aeroporto mi aspettava padre Jozef Wcislo. Singolare la sua vocazione. Figlio di contadini sperduti nelle campagne, poteva studiare al liceo ed abitare gratis in un internato, grazie alle agevolazioni dello stato socialista. Nell’internato oltre duecento ragazze e venti giovani. Condivideva la stanza con altri quattro. Uno di loro, tornato dalle vacanze, racconta di un missionario del suo paese che lavora in Canada, mostra le foto ed entusiasma tutti. Jozef si fa Oblato, uno dei suoi compagni Salesiano, un altro prete diocesano. Dopo aver studiato a Roma e a Lublino Jozef, da quattro anni è professore di Scrittura ad Obra. I suoi compagni di sacerdozio lo hanno lasciato solo in Polonia e se ne sono andati missionari in Madagascar, Turkmenistan, Ucraina, Repubblica Ceca, Canada…
Altre due ore di viaggio prima di giungere al piccolo villaggio di Obra. Un incidente, lungo la strada, ci obbliga a lunghi giri per campi, letteralmente, su strade sterrate. I campi sono verdi dei primi germogli di grano, in attesa di essere coperti di neve. Spuntano per tempo, perché sanno che la primavera sarà troppo breve… Nei boschi aceri e betulle si arrendono e lasciano che le foglie se vada libere, coi loro colori d’ocra, mentre gli abeti rimangono imperterriti al cambio delle stagioni.
Arrivo allo scolasticato che è già buio, in tempo per vedermi sfilare davanti gli studenti con le loro vesti e il crocifisso degli Oblati, schierati come un’armata. Subito nella grande sala da pranzo per il rito della cena, tipicamente polacca: zuppa fatta con uova sode e insaccati, seguita da fette di pane con burro, ricotta, altri insaccati, il tutto rigorosamente prodotto nell’azienda agricola di casa.
Dopo cena rosario e… festa al nuovo ospite!

martedì 25 ottobre 2011

La spiritualità in quattro parole / 4


... e zelo. La carità oblata non si chiude nel breve cerchio delle comunità, è universale e dinamica come la carità del Redentore e della Corredentrice. Sintetizzando quanto aveva scritto lungo tutto il suo libro, Padre Gaetano Liuzzo spiega: “Il loro zelo non deve conoscere confini; deve forzare – e ha forzato – le distese sconfinate dei ghiacci e le giun­gle dei tropici, come i battenti degli opifici e le porte delle prigioni; deve costruire – ed ha costruito – chiese di neve, di legno e di marmo, ospedali, lebbrosari e scuole dalle più umili alle più alte, da quelle primitive degli Indi Pellirossa alle Università, per rafforzare ovunque le posizioni della Chiesa e piantarla in ogni più squallido angolo del globo.
“Tale multiforme dinamismo apostolico deve scaturire non da vano spirito di avventura, ma da una profonda, spontanea esigenza del loro cuore che vuole realizzare ad ogni costo l’ideale affascinante della Regola: ‘lanciarsi verso la santità e – come splendida conseguenza ed insieme mezzo potentissimo – bruciare di zelo onde esser pronti a sacrificare i beni, le doti, il tempo e la vita stessa all’amore di Cristo e della Chiesa...; poi, ripieni di fi­ducia in Dio, buttarsi nella mischia a combattervi sino all’effusione del sangue”.

lunedì 24 ottobre 2011

La spiritualità in quattro parole / 3



Dallo spirito cristocentrico-mariano della spiritualità, Padre Gaetano Liuzzo vedeva svilupparsi le grandi aspirazioni del Redentore e della Corredentrice: la più accesa, universale carità e lo zelo di fuoco per tutte le anime, secondo il testamento che sant’Eugenio de Mazenod ha lasciato ai suoi figli sul letto di morte: “Praticate fra voi la carità, la carità, la carità e, all’esterno, lo zelo per le anime”.

Carità, carità, carità... “La carità è il volto specifico delle nostre comunità re­ligiose… che colpisce quanti vi entrano per la prima volta… Per la Regola la carità è il dolce vincolo dell’Istituto, è catena d’oro che deve fortemente e deliziosamente avvincere tutti i confratelli pur nelle immancabili diversità di nature e di caratteri e che deve fare di tutti una sola famiglia… Carità intima e profonda, dunque, ricca di sfumature delicate, e protesa ogn’ora a creare e conservare l’armonia delle intelligenze, la fusione dei cuori, l’unione delle volontà e, più ancora, a far di tutti ‘un sol cuore ed un’anima sola’… La carità quindi, virtù divina e attraente – amato riflesso della santa passione filiale per Cristo e per Maria – è sintesi dello spirito oblato. Ed è splendida arma di santità e di conquista missionaria”.

domenica 23 ottobre 2011

La santità di Guido Maria Conforti e la nostra



"La santità non consiste in penitenze straordinarie, in estasi e rapimenti, in doni meravigliosi, in opere grandi che attirano l’ammirazione. Essa consiste nel possesso della grazia e dell’amicizia di Dio, nel possesso della carità, nell’esercizio della virtù, nell’adempimento dei doveri del proprio stato, nell’osservanza della divina legge. E questa santità che io chiamerò comune, è possibile, è doverosa per tutti e non vi è alcuna scusa o pretesto che possa mostrarci impossibile siffatta santità” (Omelia, 1 novembre 1913).

Così Guido Maria Conforti, oggi proclamato santo.
Auguri ai Saveriani, miei vicini di casa!

sabato 22 ottobre 2011

L'invito di sant'Antonio da Padova: Parlino le opere!

Cessino, ve ne prego, le parole, parlino le opere. Purtroppo siamo ricchi di parole e vuoti di opere, e così siamo maledetti dal Signore, perché egli maledì il fico, in cui non trovò frutto, ma solo foglie. «Una legge, dice Gregorio, si imponga al predicatore: metta in atto ciò che predica». Inutilmente vanta la conoscenza della legge colui che con le opere distrugge la sua dottrina. Gli apostoli «cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito Santo dava loro il potere di esprimersi» (At 2, 4). Beato dunque chi parla secondo il dettame di questo Spirito e non secondo l'inclinazione del suo animo. Vi sono infatti alcuni che parlano secondo il loro spirito, rubano le parole degli altri e le propalano come proprie. … Parliamo quindi secondo quanto ci è dato dallo Spirito Santo, e supplichiamo umilmente che ci infonda la sua grazia per realizzare di nuovo il giorno di Pentecoste nella perfezione dei cinque sensi e nell'osservanza del decalogo. Preghiamolo che ci ricolmi di un potente spirito di contrizione e che accenda in noi le lingue di fuoco per la professione della fede, perché, ardenti e illuminati negli splendori dei santi, meritiamo di vedere Dio uno e trino" (Discorsi, I, 226).

Queste parole di sant’Antonio da Padova mi sembrano un bellissimo augurio per la giornata missionaria mondiale che celebriamo.

Oggi sono stato a Padova a trovare il Santo. La sua basilica era gremita come sempre e lui da secoli continua ad attrarre ogni giorno migliaia di persone e a parlare a tutti… perché parlano le sue opere! Ho visto la mostra che narra del santuario, delle opere antoniane, dello stesso sant’Antonio. Una mostra vecchia penso di una trentina d’anni, animata ancora con complessi sistemi meccanici. Oggi la si farebbe tutta digitale, eppure, anche con i mezzi di una volta, riesce a comunicarti l’anima del Santo, la sua opera, e a chiamare  a conversione: i mezzi contano, ma soprattutto conta il messaggio; un richiamo anche per l’annuncio missionario e per questa giornata missionaria mondiale.

venerdì 21 ottobre 2011

La spiritualità in quattro parole / 2

Marianizzazione. “Oblato di Maria! Il nome solo è tutto un programma splendido di spiritualità mariana, che la Regola non farà che precisare, con parole quanto mai forti ed incisive, quando ordina: ‘Nutrano in cuore singolare devozione a Maria’, ‘per la dolce Maria avranno singolare ardore di devozione e la terranno sempre per Madre’… Tale devozione non dev’essere e non è intesa come una semplice, sia pure ar­dente, venerazione, ma nel senso teologico di donazione, di consacrazione e di immolazione, che del resto sono espresse, in sintesi, nel bellissimo titolo di ‘Oblato’: la devozione vera è la volontà di donarsi: quindi senza ri­serva, per sempre, ad ogni costo. Donazione totale a Maria, senza sottintesi né segreti compromessi, ‘Oblato’ infatti vuol dire ‘offerto’ o, se si vuole, ‘una cosa’ della Madre Imma­colata e suo strumento per le anime”.
Immolazione infine, perché l’offerta a Maria implica “rinnegare se stesso per Lei, per la Sua gloria, per il Suo regno da affer­mare e dilatare ovunque, fino alle ultime inospiti lande del mondo”.
“Donazione intera, consacrazione filiale e immolazione di amore; è questo il senso pieno e splendido dell’‘oblazione’, cioè della nostra professione religiosa, gesto so­vrano e divino che ci rende ‘oblati’ ossia Religiosi di Maria, Sacerdoti di Maria, Missionari di Maria sempre e dovunque”.
Nell’interpretare così, come ‘marianizzazione’, la propria vita e quella di ogni persona chiamata a cooperare con l’Oblato, Padre Liuzzo seguiva gli scritti e il pensiero di p. Anselmo Maria Trèves, suo confessore quando ragazzo studiava a S. Maria a Vico, di cui aveva fatto pubblicare la biografia. Non disgiungeva la marianizzazione dalla sua dimensione cristologica: l’oblazione a Maria vuole essere “eco, riflesso e pro­lungamento felice della Sua stessa sublime oblazione a Cristo e alle anime e dell’oblazione, ancor più sublime ed estasiante, di Cristo alla Madre sua, di Cristo il primo vero e divino ‘oblato di Maria Immacolata’, il primo Religioso, Sacerdote, Missionario di Maria… Poiché – occorre dirlo? – l’Oblato non pone una barriera fra Dio e la Madre sua; fra Cristo e Maria, niente barriera, ma somma unione, e strettissima unità: ad Jesum per Mariam”.
Marianizzazione: la seconda parola con cui Padre Gaetano Liuzzo ha sintetizzato la spiritualità oblata.

giovedì 20 ottobre 2011

La spiritualità in quattro parole / 1


Cristocentrismo. È la prima delle quattro parole nelle quali Padre Gaetano Liuzzo ha riassunto la spiritualità oblata, che ha diffuso tra la gente.
La centralità di Gesù Cristo, scriveva, dev’essere per ogni cristiano “la calamita divina e trasfigurante… anima di ogni Sacerdote e Missionario”. È lui, ripeteva, il vero Fondatore degli Oblati, ed essi devono imitarlo in ogni cosa. Di lui devono ricolmarsi per poter dif­fondere ovunque, quasi senza avvedersene, il profumo delle sue virtù. Per sant’Eugenio l’Oblato deve incessante­mente mirare, con ferrea decisione ad essere una viva immagine, una riproduzione fedele di Cristo, e ogni sera, nella preghiera silenziosa e prolungata davanti al Santissimo Sacramento, deve operare una specie di spi­rituale e vitale contatto d’amore con Lui, così da notarne le eventuali dissonanze e imprimerne più a fondo i tratti so­miglianti, fino ad essere un “fedele continuatore non solo della missione di Cristo, ma anche dei Suoi sentimenti, delle Sue aspirazioni, dei Suoi spasimi santi, della Sua stessa anima divina”.

mercoledì 19 ottobre 2011

19 ottobre 1975, de Mazenod Beato



Ai figli di Padre de Mazenod… diciamo : siate fieri, esultate di gioia ! Era un appassionato di Gesù Cristo, e si era donato incondizionatamente alla Chiesa.
A partire dal 1841 gli Oblati di Maria di imbarcano verso i cinque continente e vanno fino al limiti delle terre abitate. Il nostro Predecessore Pio XI dirà di loro: “Gli Oblati, ecco gli specialisti delle missioni difficili!”
E Padre de Mazenod voleva che fossero perfetti religiosi. Questo Pastore e Fondatore, testimone autentico dello Spirito Santo, lancia a tutti i battezzati, a tutti gli apostoli di oggi un appello fondamentale: lasciatevi invadere dal fuoco della Pentecoste e conoscerete l’entusiasmo missionario!
Così Paolo VI il 19 ottobre di 36 anni fa. Era l'Anno Santo e aveva scelto la Giornata Missionaria Mondiale per beatificare Eugenio de Mezenod.

lunedì 17 ottobre 2011

Il segreto dei salesiani

Sulla rivista “Se vuoi” è apparso un mio piccolo articolo sul segreto dei Salesiani (“Amare quello che piace ai giovani”)
Don Giovanni Bosco, giovane sacerdote, ha appena terminato di celebrare la messa in una chiesa di Torino. Un ragazzo “si permette di curiosare in sacrestia”. Il sacrestano lo sgrida e lo caccia picchiandolo con una canna. Don Bosco lo ferma e rimprovera il sacrestano dicendogli che è suo amico. Gli domanda come si chiama: “Bartolomeo Garelli!”. “Vive tuo padre?”. “No, mio padre è morto”. “E tua madre?”. “Mia madre è anche morta”. “Quanti anni hai?”. “Ne ho sedici”. “Sai leggere e scrivere?”. “Non so niente”. “Sai cantare?”. “No”. “Sai fischiare?”. Il giovane si mette a ridere. Ecco trovato l'elemento d'incontro. Bartolomeo torna la domenica seguente con altri amici, senza più paura di prendere botte dal sacrestano, ormai ha un prete per amico. Il sogno che Giovannino Bosco aveva avuto da piccolo comincia ad avverarsi.
Aveva 9 anni quando avvenne quel sogno profetico: si trovava in mezzo a una moltitudine di ragazzi intenti a giocare. Alcuni, però, bestemmiavano. Subito Giovannino si gettò in mezzo a loro con pugni e calci per farli tacere; ma ecco farsi avanti un Personaggio che gli dice: “Non con le percosse, ma con la bontà e l’amore dovrai guadagnare questi tuoi amici... Io ti darò la Maestra sotto la cui guida puoi divenire sapiente, e senza la quale, ogni sapienza diviene stoltezza”.
Davanti alla casa di don Boscro
Il personaggio era Gesù e la Maestra Maria, alla cui guida Giovannino si abbandonò per tutta la vita chiamandola “Ausiliatrice dei cristiani”. Giovanni Bosco imparò a fare il saltimbanco, il prestigiatore, il cantore, il giocoliere, per attirare a sé i compagni. “Se stanno con me, diceva alla mamma, non parlano male”. Poi divenne prete e si stabilì a Torino.
Torino, nella prima metà del 1800, era piena di poveri ragazzi come Bartolomeo, in cerca di lavoro, orfani o abbandonati, esposti a molti pericoli. Don Bosco cominciò a radunarli la domenica, ora in una chiesa, ora in un prato, ora in una piazza per farli giocare ed istruirli nel catechismo. Dopo cinque anni di difficoltà e incomprensioni, si stabilì nel rione periferico di Valdocco, dove aprì il suo primo Oratorio. Qui era amato dai suoi “birichini” (come egli li chiamava) e con essi si fece santo.
Il suo segreto? L’amorevolezza, che è, come spiega lui stesso “amore che si esterna in parole, atti e perfino nell'espressione degli occhi e del volto”. “In che modo riuscirò ad educare bene i giovani del mio Collegio?”, gli domandò un giorno un padre gesuita del Portogallo. E don Bosco “Amandoli!”. Ai suoi giovani egli non aveva paura di dire: “Miei cari, io vi amo di tutto cuore, e mi basta sapere che siete giovani perché io vi ami assai. Troverete scrittori di gran lunga più virtuosi e più dotti di me, ma difficilmente potreste trovare chi più di me vi ami in Gesù Cristo, e più di me desideri la vostra vera felicità”. Era un amore concreto, il suo, fatto di una casa, cibo, vestiti, affetto, istruzione, gioco... “Insomma trattiamo i giovani come Gesù Cristo stesso tratteremmo, se fanciullo abitasse in questo luogo”.
Pur essendo centinaia e centinaia, ognuno di loro sentiva di avere con Don Bosco un rapporto personale così profondo da sembrargli privilegiato, anzi unico. Spesso i ragazzi si assiepavano attorno cercando di contendersi questo privilegio. E lui: “Ora tocca a me rispondere chi sia da me più amato. Dite voi: questa è la mia mano; quale di queste cinque dita è più amato da me? Io vi dirò che vi amo tutti e tutti senza grado e senza misura”. La "parola all'orecchio" che diceva all’uno o all’altro  durante il gioco, oppure le letterine o i bigliettini e messaggi, erano segreti, personalizzati, adatti a quel ragazzo singolo, in quel momento particolare. Aveva coniato la formula: “Amare quello che piace ai giovani”.
Ma amare non basta. Scriveva don Bosco in una lettera del 1884: “Che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati… Chi vuol essere amato bisogna che faccia vedere che ama”. Ha intuito che il vero amore deve essere visibile e che soprattutto occorre suscitare la reciprocità di amore, nella convinzione che “chi è amato ottiene tutto specialmente dai giovani”.
Per continuare la sua opera fondò la Congregazione Salesiana, i cui primi membri erano proprio quei giovanissimi che vivevano nel suo oratorio. Oltre i ragazzi c’erano anche le ragazze di cui prendersi cura, ed ecco le Figlie di Maria Ausiliatrice, fondate assieme a Santa Maria Domenica Mazzarello.
Torino era troppo piccola per don Bosco. La sua opera si dilatò per tutta l’Italia e nel 1875 partì la prima missione salesiana diretta in Argentina. Attualmente i 16.400 Salesiani sono presenti in 128 nazioni, le Figlie di Maria Ausiliatrice sono 15.000. Con loro anche i Cooperatori Salesiani (35.000), gli Ex-Allievi di Don Bosco (197.730) e tutta una grande Famiglia Salesiana che conta circa 402.500 membri.
Don Bosco è ancora vivo e continua a ripetere, come al momento della sua morte, avvenuta il 31 gennaio 1888: “Dite ai giovani che li aspetto in Paradiso...”. 

Corso Claretianum - Koinonia 1

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domenica 16 ottobre 2011

Rendete a Dio quel che è di Dio

Sulla moneta d’argento con la quale si pagava il tributo c’è impressa l’immagine e l’iscrizione di Cesare Augusto. Se è dell’imperatore che a lui la si renda: “Rendete a Cesare quello che è di Cesare”. Con queste parole Gesù riconosci il valore dello Stato e delle sue istituzioni. E inviti alla stima, al senso di responsabilità, all’impegno per la "cosa pubblica", nel rispetto delle leggi, nella tutela della vita, nella conservazione dei beni della collettività.
Ma la tua risposta va ben oltre. Come sulla moneta romana c’è l’immagine dell’imperatore, così nel nostro cuore è impressa l’immagine di Dio: ci ha creati a sua immagine e somiglianza! Allora occorre rendere a Dio quello che è suo.
Il profeta Isaia invita a scrivere sul palmo delle mani: “Proprietà del Signore”! quasi a ricordarci che gli apparteniamo e a lui dobbiamo tornare: rendere a Dio ciò che è suo e che ci ha donato.
Tutto ci ha donato, vita, forze, intelligenza, cuore. Da Lui veniamo, a Lui torniamo: “Rendete a Dio quello che è di Dio”.
“Sono tuo, ti appartengo”, dice l’amato all’amante, senza sentire l’espropriazione ma soltanto il gaudio d’un legame intimo, costitutivo del proprio essere.
“Sono tuo, ti appartengo”, è la mia dichiarazione d’amore, oggi e sempre. E tu a me: “Allora donami ciò che mi appartiene, donami senza riserve, sapendo che solo così sarai veramente”. 

sabato 15 ottobre 2011

Dio seduce ancora

Con questo titolo, “Dio seduce ancora”, è apparso un bel libro su l’identità e l’attualità della vita consacrata, nel quale tra le venti “parole” per dire la vita consacrata c’è anche “Unità”, che avevo scritto tempo fa:

Unità. È l’anelito supremo del Figlio di Dio. Unità tra cielo e terra, spezzata all’inizio dal peccato; unità tra uomo e donna incrinata nell’Eden; unità tra fratelli, frantumata con l’omicidio di Abele; unità tra i popoli, dispersi a Babele. Gesù è venuto sulla terra perché l’unità diventasse realtà. Ha abbattuto i muri di separazione per fare la pace e riconciliare tutti con Dio in un solo corpo (cf Ef 2,14-16). La nuova famiglia dei figli e delle figlie di Dio trascende ogni divisione: «non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna», siamo diventare tutti «uno in Cristo Gesù» (Gal 3, 28).
La primitiva Chiesa di Gerusalemme ne è la visibilizzazione: molti eppure «un cuore solo e un’anima sola». Non era questo il modello a cui si sono ispirati i nostri fondatori e fondatrici? Non era questo il loro sogno, rivivere l’esperienza delle origini: l’unità di una famiglia d’un solo cuore e una sola anima? «Imitiamo la prima comunità cristiana! – esortava Basilio. - Tutto avevano in comune: la vita, l’anima, la concordia, la mensa, la fraternità indivisibile, l’amore non ipocrita che di molti corpi ne faceva uno solo, armonizzando le diverse anime in un solo pensiero».
 Lo stesso hanno cercato tante donne come Chiara d’Assisi, che voleva vivere assieme alle sorelle «in unità di spiriti», «sollecite di conservare sempre reciprocamente l’unità della scambievole carità, che è il vincolo della perfezione». Angela Merici chiedeva di essere «unite e concordi di volere, così come si legge degli Apostoli e di altri cristiani della Chiesa primitiva». Luisa di Marillac risale al modello trinitario, così da «essere un cuor solo e operare in un medesimo spirito, come le tre divine Persone».
Un modello storico: Gerusalemme; un’ispirazione teologica: la Trinità. Troppo? Sì, è il massimo, ma è anche il minimo per essere Chiesa, icona in terra dell’Uni-Trinità in cielo. La vita consacrata altro non è che segno “eloquente” di quella comunione e unità che tutta la Chiesa è chiamata vivere, «testimone del progetto divino di fare di tutta l’umanità, all’interno della civiltà dell’amore, la grande famiglia dei figli di Dio (VC 41).
Ogni comunità di consacrati vive dell’unità e per l’unità. La motivazione finale di ogni carisma è l’edificazione del corpo di Cristo. Chi annuncia il Vangelo lo fa perché si realizzi l’unità. Chi vive nella contemplazione e nella preghiera, chi cura i malati, chi insegna lo fa perché si realizzi l’unità... Tutto ha un’unica convergenza, un unico scopo: la crescita del corpo, la ricapitolazione di tutto in Cristo, la realizzazione della preghiera di Gesù al Padre: «... che tutti siano una cosa sola». Ogni istituto vive per realizzare la vocazione a cui tutta la Chiesa è chiamata: essere segno e sacramento dell’unità degli uomini con Dio e tra di loro.
Perché si attuasse l’unità, Gesù ha dato un comando, suo e nuovo, nel quale si rispecchia la legge di vita trinitaria per cui ognuna delle Tre vive per l’altra, nell’altra, dell’altra. La stessa reciprocità di donazione, di accoglienza, di appartenenza, di amore, caratterizza la Chiesa e la costituisce nella sua essenza. Nel cuore di questo comandamento c’è un come: amatevi «come io vi ho amato» (Gv 13,34; 15,12). Egli ha operato l’unità con l’amore più grande, quello che dà la vita per le persone amate; «doveva morire (...) per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (Gv 11, 52); ci ha riconciliati «per mezzo della morte del suo corpo di carne» (Col 1,21-22); ha unificato i due popoli in uno «per mezzo della croce».
Non c’è altra via per costruire l’unità tra noi e attorno a noi; dare la vita. La misura dell’amore – un amore senza misura – diventa lo stile di vita e di rapporti tra le persone consacrate. Anche tra loro «non c’è unità vera senza questo amore reciproco incondizionato», che esige disponibilità sincera al servizio, accoglienza e perdono reciproci, comunione di beni materiali e spirituali (cf VC n. 42).
L’unità rimane tuttavia un dono da chiedere. Nell’ultima sera essa fu oggetto della più ardente e intensa preghiera del Figlio rivolta al Padre: «Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità» (Gv 17, 21.22). «Ut sint consummati in unumricorda don Luigi Orione -. È stata questa la preghiera della maggior parte dei Fondatori di ordini e Congregazioni religiose».

venerdì 14 ottobre 2011

Nasce una nuova rivista

“Da noi le tradizioni si perdono alla svelta; presto rimarranno soltanto le lettere. Che dunque si curino queste tradizioni, come faccio io, aspettando che qualcuno si metta all’opera”  (Eugenio de Mazenod, Diario, 24 novembre 1838).  “Ho scartabellato tra le mie carte. Ho bruciato quasi 200 lettere. Ho conservato quelle che potrebbero servire da materiale per la storia della Congregazione… Ma occorrerebbe un uomo tutto dedito, paziente, interessato, capace di coordinare il materiale. Stia pur sicuro che avrebbe impiegato bene il suo tempo, se dal suo lavoro ve uscirà l’interessante storia delle origini e dello sviluppo della Congregazione; la relazione della vita edificante, esemplare, apostolica, dei membri della Congregazione che hanno consacrato tutta la loro esistenza, fino a sacrificare anche la vita stessa, per  la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Se trovassi questo uomo di buona volontà, non esiterei a fargli abbandonare ogni altro impegno, ogni ministero perché potesse dedicarsi, anche due anni interi, a questa unica occupazione”  (Diario, 14 dicembre 1838).
Erano passato vent’anni dagli inizi e un uomo che impiegasse due anni a raccogliere e raccontare le origini allora sarebbe potuto bastare. Oggi sono passati 200 anni e gli Oblati hanno fatto storia in tutto il mondo e continuano a vivere e operare ovunque. Non basta più un uomo soltanto e solo per due anni.
Caro sant’Eugenio, adesso hai una squadra che si dedica ad attuare il tuo sogno. Non dovrai più rammaricarti. Guarda la redazione della nuova rivista “Oblatio”! Abbiamo iniziato con due giorni di incontro per programmare le prossime pubblicazioni.
Ha bisogno dei tuoi auguri perché il suo compito è quello di aiutare tutti gli Oblati, anzi tutti i membri della grande famiglia oblata, che comprende anche tanti laici, a riscoprire in maniera sempre nuona lo spirito di famiglia, come scrivevi il 29 luglio 1930: “Bisogna riempirsi del nostro spirito e vivere solo attraverso di esso. La cosa è chiara da sé, senza che ci sia bisogno di spiegazioni. Come nella Congregazione ci sono un vestito comune e Regole comuni, bisogna che ci sia un comune spirito che animi questo nostro corpo”.

giovedì 13 ottobre 2011

La tavoletta e l’sms


“Città Nuova” ha pubblicato il mio editoriale. “Erano giorni e giorni che pensava e ripensava come formulare la sua dichiarazione d’amore. Finalmente i versi gli erano fioriti sulle labbra…”. Vedi:
Nel numero precedente l’editoriale sull’Ucraina: “Kiev si prepara ai campionati di calcio europei dell’anno prossimo. La grande città si dota di nuove infrastrutture e si rifà il look…”. Vedi
http://www.cittanuova.it/sommario2.php?NumRivista=18/2011&idSezione=21&idSito=1

mercoledì 12 ottobre 2011

La comunione missionaria

La sede del Claretianum

Mi è stata consegnata una copia del libro di Pancrazia Chunshim Kuk, La comunione missionaria. La vita consacrata nella teologia postconciliare, Città Nuova, Roma 2011. Un’opera ponderosa e insieme leggibilissima, capace di “dare ragione della speranza” che ha mosso e muove le comunità religiose. È la pubblicazione di una tesa che ho seguito, opera di una mia studentessa coreana.
Nella presentazione del libro ho scritto, tra l’altro:

Nel clima di incertezza che la vita consacrata sta attraversando nel mondo occidentale, l’opera di Pancrazia porta un soffio di speranza. Mentre i nuovi carismi nati in questi anni e che continuano ad apparire esprimono come una nuova fioritura nel giardino della Chiesa, altri, che hanno “sopportato il peso della giornata e il caldo” (cf Mt 20, 12), accusano la stanchezza, espressa in fenomeni a tutti noti: penuria di vocazioni, invecchiamento, ristagnamento del servizio e della missione, progressiva chiusura di case e opere... Per ridare fiducia e nuovo slancio non sono sufficienti strategie e programmazioni. Occorre ritrovare l’ispirazione iniziale in tutta la sua freschezza, lo sguardo puro capace di cogliere i segni dei tempi e di lasciarsi interpellare da essi, la semplicità, la leggerezza e l’immediatezza nelle risposte, l’affiatamento comunitario che rende possibile l’impossibile. Occorre anche una approfondita rilettura delle motivazioni teologiche che sottendono l’intera dimensione carismatica della Chiesa e delle comunità in cui essa di esprime; una lettura seria, calma, meditata che riattivi la circolazione della linfa sapienziale che irrora e nutre la vita consacrata. (…)
Il cammino verso il futuro della vita consacrata si rivela particolarmente arduo. Nella sua storia essa ha dovuto affrontare momenti altrettanto difficili e sempre, dopo ogni potatura, ha saputo rinascere con nuovo vigore e fecondità. Sempre aperti alle sorprese dello Spirito, che conduce la Chiesa nel tempo verso la sua meta, ci è chiesto di rimanere fedeli ai doni da lui elargiti e camminare con fiducia sulla via della comunione e della missione nella convinzione che il Risorto si fa nuovamente presente in quanti sono uniti nel suo nome e si fa loro guida nella dilatazione della nuova novella e nel cammino verso il Regno.

martedì 11 ottobre 2011

La comunità religiosa segno d’unità


Nell’odierno contesto di domanda di rapporti informati dal rispetto reciproco, dall’amore, dalla comunione – a livello umano, sociale, politico, ecclesiale, inter-ecclesiale – la comunità religiosa può trovare una sua specifica missione. Essa può diventare luogo della riconciliazione, della piena realizzazione della persona e del rapporto interpersonale, il bozzetto paradigmatico della compiutezza della convivenza umana animata dai valori evangelici, dove «non c’è più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né maschio né femmina, essendo tutti una sola persona in Cristo Gesù» (Gal 3,28).
Fermarsi a riflettere sulla comunità religiosa non sarà allora narcisismo, ripiegamento su di sé, fuga dalle responsabilità dell’impegno socio-politico, ricerca di una intimistica protezione e bisogno di sicurezza. Sarà piuttosto espressione della volontà di riscoprire le profondità del progetto cristiano e, in radice, di quello umano, perché l’uomo in quanto essere in relazione si realizza appunto nella comunione. Sarà la proclamazione, a fatti, che l’unità è possibile nonostante i segni contrari, che l’anelito ad una fraternità universale non è un’utopia ma una realtà sperimentata e presente, anche se sofferta e sempre bisognosa di essere ricostruita. La comunità religiosa sarà segno di speranza per l’uomo di oggi.
Oggi, iniziando al Claretianum il corso sulla comunità religiosa ho riletto queste parole che avevo scritto vent’anni fa. Mi sembra che come allora hanno fatto breccia nel cuore degli studenti. 

lunedì 10 ottobre 2011

L'anno della Parola

Erano un pugno di uomini timorosi, ma il vento dello Spirito li spinse ad uscire di casa e si trovarono di fronte a migliaia di persone accorse a vedere cosa stesse succedendo. Pietro prese il coraggio a due mani ed iniziò a parlare, raccontando quanto era avvenuto a Gesù di Nazaret. «Coloro che accolsero la sua parola – narrano gli Atti degli Apostoli – furono battezzati e quel giorno si unirono a loro circa tremila persone». Grazie alla Parola annunciata ed accolta era nata la Chiesa! Da allora la Chiesa nasce e rinasce sempre nello stesso modo. Il Vangelo passa di bocca in bocca, si trasmette di generazione in generazione e trova sempre chi ne rimane incantato e decide di aderirvi, di viverlo, diventando a sua volta un nuovo trasmettitore.

domenica 9 ottobre 2011

Filippo Neri e Caterina de Ricci



“Dalla finestra di casa Filippo godeva della più bella vista:  dall’altra parte del fiume Firenze gli si spiegava davanti. La cupola del Brunelleschi la domina, e tutto attorno, il campanile, la badia, le alte mura d’Or San Michele, il campanile di Santa Croce, la torre del Bargello e quella ben più imponente del palazzo della Signoria…”
Per pagine e pagine Firenze rivive sotto la penna di due grandi scrittori, Ponnelle e Bordet, nel suo splendore del primo Cinquecento.  È da molti anni che cercavo questo libro. Giorni fa l’ho scorto tra migliaia e migliaia affastellati alla rinfusa tra scaffali polverosi. Un classico di quasi centro anni fa che fa rivivere la vita di san Filippo Neri collocandola nel suo ricco contesto storico. Ho subito cominciato a leggerlo e subito ti cattura. Ti fa abitare luoghi antichi e ti rende attuali eventi del passato.
Un giorno gli mostrarono il ritratto di Caterina de Ricci, che il popolo chiamava già la Santa di Prato. esclamò: “Non è il suo vero ritratto…, disse. Suor Caterina era più bella…; aveva un volto ridente e gioviale”. Lei aveva 10 anni quando Filippo lasciò Firenze per sempre. Quel volto di bambina, vista per le strade della città, gli era rimasto impresso per sempre.

sabato 8 ottobre 2011

Auguri Oblati di Via Aurelia!


In via Aurelia 290 oggi inizia il nuovo anno, con l’incontro dei 65 Oblati che vi abitano, distinti in tre comunità: Governo centrale: 12; Casa generalizia: 31 (20 membri a servizio dell’Amministrazione generale, della curia romana e delle università + 11 padri studenti); Scolasticato internazionale: 22 (18 giovani studenti e 4 formatori). È l’occasione per conoscere i nuovi arrivati, per crescere nella comunione, per rinsaldare i legami della famiglia.
Una casa speciale questa che accoglie le tre comunità. Abbiamo il dono di una grande varietà di provenienze, età, compiti. I più numerosi siamo proprio noi italiani, ben 8 su 65, insieme con gli statunitensi, 8 come noi. Poi abbiamo Oblati dalla Francia, Belgio, Spagna, Germania, Polonia, Canada, Haiti, Messico, Sudafrica, Nigeria, Zambia, Cameroun, R.D. del Congo, Sri Lanka, Australia, India, Bangladesh, Pakistan, Filippine. Chi può vantare una comunità così internazionale, ricca di tante culture!
Auguri Oblati di Via Aurelia!

venerdì 7 ottobre 2011

Il Rosario dei santi

Il quinto mistero glorioso - Monteoliveto Maggiore, Siena

Festa della Madonna del Rosario.
Da Pio V a Giovanni Paolo II il Magistero pontificio non ha smesso di raccomandare la recita del Rosario. Leone XIII, che dedicò a questa preghiera ben 22 documenti, lo considerava “una maniera facile per far penetrare ed inculcare negli animi i dogmi principali della fede cristiana”. Pio XII lo presenta come “sintesi di tutto il vangelo, meditazione dei misteri del Signore”. Giovanni XXIII ne ha fatto la sua abituale preghiera, lungo tutta la sua vita, prima di farne oggetto di una intera lettera apostolica, Il religioso convegno (1961). Per Paolo VI “meditando i misteri del s. rosario noi impariamo, sull’esempio di Maria, a diventare anime di pace, attraverso il contatto amoroso e incessante con Gesù e coi misteri della sua vita redentrice”.
Accanto al magistero pontificio e all’insegnamento dei teologi, c’è anche il magistero vivo dei santi che hanno pregato e insegnato a pregare il Rosario. Chi ricordare? San Filippo Neri, che trascorreva notti intere a conversare con Maria? Santa Bernardetta, che appena vide la Signora mise istintivamente la mano nella tasca per prendere la corona? Il beato Bartolo Longo, san Massimiliano Kolbe? Per oggi basta il beato Luigi Orione, che parla del Rosario come del “Vangelo popolarizzato”, “Vangelo in compendio”
Un santo così vicino alla gente semplice e povera non poteva non apprezzare questa forma di preghiera semplice. Essa “pone sulle labbra del fedele le più belle parole che si leggano nel Vangelo. (…) Poi lo conduce a contemplare, nei suoi misteri, le virtù, i dolori, le glorie dei principali personaggi che nel Vangelo si incontrano, e che da 19 secoli sono l’oggetto del culto del mondo civile. Il Rosario è dunque il Vangelo presentato ai cristiani in una forma popolare”. “Che sintesi di fede, di immortali speranze, di carità, di amore di Dio e degli uomini è il S. Rosario! Sono i punti più salienti del Vangelo. Viviamo il Rosario e vivremo il Vangelo! Vivremo Gesù e Maria”.
Non mancano i consigli pedagogici per la recita della corona: “Sì dirà che questa preghiera è una ripetizione di parole identiche, la quale deve finire per cagionare la noia? Ma e che cosa è una musica melodiosa? Non è forse la ripetizione di un medesimo motivo? E che cosa è l’applaudire che si fa ad una regina? Non è forse la ripetizione di una stessa parola, del suo nome cioè, accompagnato da battimani che si vorrebbe non finissero mai? E quali parole più belle a ripetersi di quell’Ave Maria, che, spiegate dai primi geni del Cristianesimo, riempiono già dei loro commenti più di quarantamila volumi? E quanto al Pater Noster…? Volete qualche cosa più sublime? Recitate il Pater Noster. E il Gloria, non ti rammenta la pace annunziata dagli Angeli sul presepio di Betlemme?”

giovedì 6 ottobre 2011

La priorità di Dio

Credo che oggi (…) il nostro grande compito sia in primo luogo quello di rimettere di nuovo in luce la priorità di Dio. La cosa importante, oggi, è che si veda di nuovo che Dio c’è, che Dio ci riguarda e che ci risponde. E che, al contrario, quando viene a mancare, tutto può anche essere razionale quanto si vuole, ma l’uomo perde la sua dignità e la sua specifica umanità; e così crolla l’essenziale. Ecco perché credo che l’accento nuovo che oggi dobbiamo porre è la priorità della questione di Dio”.
Così Benedetto XVI nel suo libro Luce del mondo