Con questo titolo, “Dio seduce ancora”, è apparso un bel libro su l’identità e l’attualità della vita consacrata, nel quale tra le venti “parole” per dire la vita consacrata c’è anche “Unità”, che avevo scritto tempo fa:
Unità. È l’anelito supremo del Figlio di Dio. Unità tra cielo e terra, spezzata all’inizio dal peccato; unità tra uomo e donna incrinata nell’Eden; unità tra fratelli, frantumata con l’omicidio di Abele; unità tra i popoli, dispersi a Babele. Gesù è venuto sulla terra perché l’unità diventasse realtà. Ha abbattuto i muri di separazione per fare la pace e riconciliare tutti con Dio in un solo corpo (cf Ef 2,14-16). La nuova famiglia dei figli e delle figlie di Dio trascende ogni divisione: «non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna», siamo diventare tutti «uno in Cristo Gesù» (Gal 3, 28).
La primitiva Chiesa di Gerusalemme ne è la visibilizzazione: molti eppure «un cuore solo e un’anima sola». Non era questo il modello a cui si sono ispirati i nostri fondatori e fondatrici? Non era questo il loro sogno, rivivere l’esperienza delle origini: l’unità di una famiglia d’un solo cuore e una sola anima? «Imitiamo la prima comunità cristiana! – esortava Basilio. - Tutto avevano in comune: la vita, l’anima, la concordia, la mensa, la fraternità indivisibile, l’amore non ipocrita che di molti corpi ne faceva uno solo, armonizzando le diverse anime in un solo pensiero».
Lo stesso hanno cercato tante donne come Chiara d’Assisi, che voleva vivere assieme alle sorelle «in unità di spiriti», «sollecite di conservare sempre reciprocamente l’unità della scambievole carità, che è il vincolo della perfezione». Angela Merici chiedeva di essere «unite e concordi di volere, così come si legge degli Apostoli e di altri cristiani della Chiesa primitiva». Luisa di Marillac risale al modello trinitario, così da «essere un cuor solo e operare in un medesimo spirito, come le tre divine Persone».
Lo stesso hanno cercato tante donne come Chiara d’Assisi, che voleva vivere assieme alle sorelle «in unità di spiriti», «sollecite di conservare sempre reciprocamente l’unità della scambievole carità, che è il vincolo della perfezione». Angela Merici chiedeva di essere «unite e concordi di volere, così come si legge degli Apostoli e di altri cristiani della Chiesa primitiva». Luisa di Marillac risale al modello trinitario, così da «essere un cuor solo e operare in un medesimo spirito, come le tre divine Persone».
Un modello storico: Gerusalemme; un’ispirazione teologica: la Trinità. Troppo? Sì, è il massimo, ma è anche il minimo per essere Chiesa, icona in terra dell’Uni-Trinità in cielo. La vita consacrata altro non è che segno “eloquente” di quella comunione e unità che tutta la Chiesa è chiamata vivere, «testimone del progetto divino di fare di tutta l’umanità, all’interno della civiltà dell’amore, la grande famiglia dei figli di Dio (VC 41).
Ogni comunità di consacrati vive dell’unità e per l’unità. La motivazione finale di ogni carisma è l’edificazione del corpo di Cristo. Chi annuncia il Vangelo lo fa perché si realizzi l’unità. Chi vive nella contemplazione e nella preghiera, chi cura i malati, chi insegna lo fa perché si realizzi l’unità... Tutto ha un’unica convergenza, un unico scopo: la crescita del corpo, la ricapitolazione di tutto in Cristo, la realizzazione della preghiera di Gesù al Padre: «... che tutti siano una cosa sola». Ogni istituto vive per realizzare la vocazione a cui tutta la Chiesa è chiamata: essere segno e sacramento dell’unità degli uomini con Dio e tra di loro.
Perché si attuasse l’unità, Gesù ha dato un comando, suo e nuovo, nel quale si rispecchia la legge di vita trinitaria per cui ognuna delle Tre vive per l’altra, nell’altra, dell’altra. La stessa reciprocità di donazione, di accoglienza, di appartenenza, di amore, caratterizza la Chiesa e la costituisce nella sua essenza. Nel cuore di questo comandamento c’è un come: amatevi «come io vi ho amato» (Gv 13,34; 15,12). Egli ha operato l’unità con l’amore più grande, quello che dà la vita per le persone amate; «doveva morire (...) per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (Gv 11, 52); ci ha riconciliati «per mezzo della morte del suo corpo di carne» (Col 1,21-22); ha unificato i due popoli in uno «per mezzo della croce».
Non c’è altra via per costruire l’unità tra noi e attorno a noi; dare la vita. La misura dell’amore – un amore senza misura – diventa lo stile di vita e di rapporti tra le persone consacrate. Anche tra loro «non c’è unità vera senza questo amore reciproco incondizionato», che esige disponibilità sincera al servizio, accoglienza e perdono reciproci, comunione di beni materiali e spirituali (cf VC n. 42).
L’unità rimane tuttavia un dono da chiedere. Nell’ultima sera essa fu oggetto della più ardente e intensa preghiera del Figlio rivolta al Padre: «Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità» (Gv 17, 21.22). «Ut sint consummati in unum – ricorda don Luigi Orione -. È stata questa la preghiera della maggior parte dei Fondatori di ordini e Congregazioni religiose».
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