Nell’odierno contesto di domanda di rapporti informati dal rispetto reciproco, dall’amore, dalla comunione – a livello umano, sociale, politico, ecclesiale, inter-ecclesiale – la comunità religiosa può trovare una sua specifica missione. Essa può diventare luogo della riconciliazione, della piena realizzazione della persona e del rapporto interpersonale, il bozzetto paradigmatico della compiutezza della convivenza umana animata dai valori evangelici, dove «non c’è più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né maschio né femmina, essendo tutti una sola persona in Cristo Gesù» (Gal 3,28).
Fermarsi a riflettere sulla comunità religiosa non sarà allora narcisismo, ripiegamento su di sé, fuga dalle responsabilità dell’impegno socio-politico, ricerca di una intimistica protezione e bisogno di sicurezza. Sarà piuttosto espressione della volontà di riscoprire le profondità del progetto cristiano e, in radice, di quello umano, perché l’uomo in quanto essere in relazione si realizza appunto nella comunione. Sarà la proclamazione, a fatti, che l’unità è possibile nonostante i segni contrari, che l’anelito ad una fraternità universale non è un’utopia ma una realtà sperimentata e presente, anche se sofferta e sempre bisognosa di essere ricostruita. La comunità religiosa sarà segno di speranza per l’uomo di oggi.
Oggi, iniziando al Claretianum il corso sulla comunità religiosa ho riletto queste parole che avevo scritto vent’anni fa. Mi sembra che come allora hanno fatto breccia nel cuore degli studenti.
Oggi, iniziando al Claretianum il corso sulla comunità religiosa ho riletto queste parole che avevo scritto vent’anni fa. Mi sembra che come allora hanno fatto breccia nel cuore degli studenti.
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